EXPO: le mani della mafia

EXPO, LE MANI DELLA MAFIA 

di Fabrizio Gatti (2012)

L’appalto principale (e più pagato) per la fiera del 2015 a Milano è andato a imprenditori che erano in affari con una delle cosche più sanguinarie della Sicilia.

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Su questi campi, imprigionati tra il nuovo carcere e i Frecciarossa che portano a Torino, è schierato un bel pezzo di Seconda Repubblica. Il capocordata dell’appalto più pagato del momento è un famoso costruttore veneto, in società con l’allora segretaria dell’ex governatore ed ex ministro Pdl, Giancarlo Galan. L’altra è l’azienda del collaboratore e sponsor romano di Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture nell’ultimo governo Berlusconi. C’è poi il grande consorzio di cooperative rosse. E la famiglia di imprenditori siciliani dal doppio curriculum.

Quello ufficiale di associati alla Compagnia delle opere, il braccio economico di Comunione e liberazione. E quello conosciuto soltanto a pochi intimi: un passato di incontri e affari coi boss di Barcellona Pozzo di Gotto, una delle cosche più sanguinarie della provincia di Messina, il clan che ha ordinato l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Raccontati da questa prospettiva, i lavori per l’Expo 2015 sembrano un’altra storia. Una grande coalizione attraverso le imprese. Da sinistra a destra. E ben oltre (massomafia ndr).

È un regolare raggruppamento di ditte, come avvertono i cartelli. Provvisto di attestati adeguati. E di certificati antimafia. Non avrebbero vinto, altrimenti. Mai però, nel tormentato avvio del progetto per l’Esposizione universale, imprenditori già in rapporti con Cosa nostra sono saliti tanto in alto. Il contratto in questione non è un subappalto. È il lotto principale, finora il più redditizio. Quello da cui dipende il successo o la figuraccia nel prossimo appuntamento italiano col mondo. L’incarico, affidato la scorsa estate, per la costruzione della “piastra”: lo strato di cemento, strade, canali e servizi su cui verranno innalzati i padiglioni.

La cordata veneto-romano-siciliana se l’è aggiudicato per 165 milioni 130 mila euro, partendo da una base d’asta di 272 milioni e 100 mila. Uno sconto record: 106 milioni 970 mila euro in meno. Un’enormità che ha scosso perfino Roberto Formigoni, padrino politico della Compagnia delle opere, commissario generale di Expo e presidente al tramonto di un governo regionale travolto dagli scandali: «Il ribasso si avvicina molto alla soglia di anomalia calcolata nel 43 %», ha detto Formigoni, «un valore che, pur rientrando nei parametri di legittimità, suscita qualche preoccupazione».

E anche la Procura ha aperto un’inchiesta. In 660 giorni, un anno e 10 mesi, dovranno costruire una città. Una sfida al calendario, dopo i ritardi del tandem Regione e Comune quando sindaco era Letizia Moratti. E non è escluso che per farcela, Expo 2015 ottenga la procedura d’urgenza. Quella scorciatoia alle norme che ha reso celebri Guido Bertolaso e Angelo Balducci. Entrando di nascosto nei cantieri più costosi in questi tempi di recessione, si capisce come la riuscita sia tutta nelle mani della capogruppo: la Mantovani spa di Mestre. E delle altre imprese della cordata: il consorzio cooperativo Coveco e la Sielv, entrambe veneziane, la Socostramo srl di Roma e la Ventura spa di Furnari, piccolo paese siciliano vicino a Barcellona Pozzo di Gotto.

Parla per tutti attraverso il suo staff, Piergiorgio Baita, 64 anni, presidente e azionista della Mantovani, sostenitore del Pdl veneto, socio e amministratore di altre aziende del gruppo con Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan: «Il raggruppamento di imprese è nato partendo da un presupposto: ricercare il meglio negli specifici ambiti. In questo senso», spiega Baita, «Mantovani ha fatto riferimento a imprese con cui ha una collaborazione corrente e ultra decennale. Fra queste ha selezionato quelle che per capacità tecnica e organizzativa erano i partner più adatti per vincere l’appalto e garantire un cantiere di qualità e rispetto dei tempi». Nello stesso periodo di questa “collaborazione ultra decennale”, crescono anche i proprietari della Ventura spa, l’impresa della Compagnia delle opere. Dalla coltivazione di ortaggi, meloni, radici e tuberi, come segnala la ragione sociale di una delle loro attività, fino all’Esposizione universale.

Due generazioni, la stessa famiglia: Sebastiano, 67 anni, Giuseppe, 50, Angelo, 55, e Raffaele Ventura, 39. Fatturato da 19 milioni nel 2009, 15 milioni nel 2011. Progettazione e costruzione di strade, parchi e strutture di ingegneria civile. I Ventura lavorano per i Comuni in provincia di Messina, il Consorzio autostrade siciliane, la Forestale. Ma anche al Nord, a Barlassina, in Brianza. E a Ravenna.

La scorsa estate in Sicilia arrestano Rosario Cattafi, 60 anni. Una storia personale che attraversa Cosa nostra, estrema destra e contatti con apparati ministeriali. Cattafi entra e esce sempre indenne da inchieste storiche, come quella di vent’anni fa sull’autoparco dei clan in via Salomone a Milano. E da qualche settimana è il nuovo testimone sulla trattativa tra stato e mafia. Con lui, a fine luglio vanno in carcere altri 14 presunti complici. Come Salvatore Campanino, un imprenditore al quale i Ventura subappaltavano i lavori. Altri ancora, come Salvatore “Sam” Di Salvo, finiscono nelle indagini già nel 2011. Secondo l’accusa, è la mafia dei lavori pubblici. Quella che allunga i tempi nei cantieri. E fa lievitare i costi a colpi di gare truccate, attentati ed estorsioni contro i concorrenti. Sam Di Salvo, nato a Toronto nel 1965, è il boss di Barcellona specializzato in appalti. E tra le pagine dell’inchiesta, ce n’è una dedicata ai suoi rapporti con la Ventura spa. Una conoscenza decennale, pure la loro.

La sede milanese dei Ventura è nelle campagne di Pieve Emanuele, all’interno di una grossa azienda agricola lungo la ferrovia Milano-Genova. “L’Espresso” ha chiesto conferma ad Angelo e Giuseppe Ventura dei rapporti con Sam Di Salvo e la sua feroce organizzazione. Soprattutto alla luce della dichiarazione di intenti pubblicata su Internet: «Ventura spa è impresa associata alla Compagnia delle Opere , nata del 1986 per promuovere e tutelare la presenza dignitosa delle persone (…) favorendo una concezione del mercato e delle sue regole in grado di comprendere e rispettare la persona in ogni suo momento della vita». Così ha risposto la società: «Ci pregiamo informarla di aver appreso tramite Internet dell’esistenza di un’indagine da parte della Procura di Milano. La Ventura spa non ritiene di rilasciare alcuna dichiarazione». L’altro imprenditore nella cordata coi Ventura, Piergiorgio Baita e il consorzio di cooperative rosse, è il costruttore romano Erasmo Cinque, 72 anni, proprietario della Socostramo srl. Ma anche sponsor, consigliere e tra i fondatori del movimento dell’ex ministro Matteoli, “Fondazione della libertà per il bene comune”.

Il peso di Cinque nel ministero delle Infrastrutture durante il governo Berlusconi lo si misura da una telefonata intercettata durante le indagini sulla Cricca. L’imprenditore avverte Angelo Balducci che i lavori stradali per il G8 sono stati finanziati. Cioè un privato informa un alto dirigente dello stato su una decisione del governo. «Embeh, è il coordinatore per i rapporti con le imprese per il ministro», dice di lui sotto interrogatorio Patrizio Cuccioletta, 68 anni, ex presidente del Magistrato delle acque di Venezia che ha legato il suo nome al progetto Mose.

E dall’interminabile costruzione delle paratie mobili contro le maree si torna alla gara da 272 milioni per l’Expo. Cinque delle nove imprese che hanno presentato offerte per il grande appalto milanese, tra cui la Mantovani, siedono infatti alleate nel Consorzio Venezia nuova. E ne condividono il fatturato da 700 milioni l’anno. Il consorzio è il concessionario unico privato al quale lo stato ha affidato la realizzazione del Mose e la sua futura manutenzione. Una spesa lievitata in quasi trent’anni a oltre 4 miliardi. Sempre gestiti, secondo la Corte dei conti, a trattativa privata. Insomma, soci in affari in laguna. E concorrenti a Milano. «Abbiamo strutturato l’offerta tenendo conto di due aspetti chiave: i costi di costruzione e quelli di organizzazione», spiega il presidente Baita. Quella vinta dalla cordata della Mantovani è anche l’unica grossa gara di cui Expo 2015 non pubblica i singoli ribassi, né i punteggi tecnici. La risposta definitiva della società organizzatrice, partecipata da ministero dell’Economia, Regione, Provincia, Comune e Camera di commercio, arriva il 16 novembre: «L’ufficio legale dice che quei documenti non sono disponibili per la stampa». Addio trasparenza. Il confronto tra le offerte potrebbe invece confermare che il forte sconto non nasconda brutte sorprese e rischi di rincari in corso d’opera.

Come è già accaduto per il primo appalto Expo, aggiudicato nel 2011 da un’altra coop rossa, la Cmc: un ribasso del 42,83% sui 97 milioni di base d’asta. Da qualche settimana, la società chiede più soldi per lo smaltimento delle terre di scavo. Circa 30 milioni, che azzerano il risparmio di denaro pubblico. Ora nessuno può garantire che la richiesta di aumento non si ripeta col contratto vinto da Baita, Cinque e i Ventura. Non resta che fidarsi dei controllori. Il direttore dei lavori è un dipendente di Infrastrutture lombarde, società della Regione su cui sta indagando la Procura. Il responsabile unico del procedimento è un ingegnere di Expo 2015 il cui curriculum tra le varie voci precisa: “Inglese scolastico, meglio il dialetto bolognese”. Il presidente della conferenza dei servizi per l’Expo, Natale Maione, è un alto dirigente del provveditorato alle Opere pubbliche: così devoto al Pdl da farsi fotografare nel 2011 in prima fila alla manifestazione contro i magistrati “brigatisti” di Milano. E se nemmeno loro hanno notato irregolarità, dovremo fidarci anche degli imprenditori cresciuti a tu per tu coi picciotti. In fondo, ci hanno fatto uno sconto di 106 milioni….

 

Rsp (individualità Anarchiche)