SOGIN: accordi economici, potere militare, devastazione ambientale e spese folli…

Il 21 marzo, il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda dichiara che entro la prossima settimana pubblicherà il decreto per la Carta nazionale, che impone e individua le aree idonee (più business per loro – massomafia) dove mettere il deposito nucleare di superficie. Puntualizza il ministro Calenda: ‘Il documento ci sta arrivando. Ha fatto delle correzioni l’Ispra e le ha rimandate al ministero dell’Ambiente che ora deve rimandarla a noi”, (ha risposto ai cronisti a margine del Rapporto del Gse). “Appena lo farà, faremo il decreto ministeriale Ambiente-Sviluppo”. Ispra. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha trasmesso ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico il suo parere su di un aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per localizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (Cnapi). La Carta è stata predisposta dalla Sogin, la società incaricata della dismissione degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. La Sogin, ha spiegato l’Ispra sul suo sito il 5 marzo scorso, ha fatto alcune modifiche alla sua proposta di Cnapi del 2015, a causa di aggiornamenti ai database usati per l’elaborazione. Queste modifiche hanno reso necessario un nuovo controllo da parte dell’Ispra. L’Istituto, dopo aver verificato e validato i risultati cartografici, ha trasmetto ai ministeri la nuova bozza della mappa delle aree idonee per il deposito di scorie nucleari, “senza formulare rilievi”. La relazione dell’Ispra è top secret (poteri occulti: massoneria – politica – servizi segreti – apparati militari occulti e per ultimo c’è sempre la mafia e mammasantissima), così come la proposta di mappa dei siti idonei, fino alla pubblicazione. Questa avverrà dopo il rilascio del “nulla osta” da parte dei due Ministeri. Le associazioni ambientaliste sono in fermento per la collocazione del deposito nazionale in cui bisognerà riunire le scorie radioattive, che per ora sono disperse in più di 23 depositi in tutt’Italia, dal Piemonte alla Sicilia. La Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) è la mappa dei luoghi che dovranno ospitare il capannone in cui riunire i fusti pieni di scorie radioattive. Il Mise (Ministero dello sviluppo economico), spiega: il Deposito Nazionale è “un’infrastruttura ambientale di superficie dove saranno conferiti i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, generati dall’esercizio e dallo smantellamento delle centrali e degli impianti nucleari, dalle attività di medicina nucleare, industriali, militari e di ricerca. Insieme al Deposito Nazionale sorgerà un Parco Tecnologico, nel quale saranno avviate attività di ricerca specializzata”. Il Deposito consentirà la sistemazione definitiva di circa 78 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 17 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività.

Un treno carico di scorie radioattive in partenza dalla Germania per la Russia.

Quando il potere militare si insidia: A Saluggia c’è la EUREX un impianto nel quale, da oltre 40 anni, sono allocati dei serbatoi ormai vetusti che contengono più di 200 litri di rifiuti liquidi radioattivi residuati dal ritrattamento del combustibile nucleare. Nel 2000 il Dipartimento nucleare dell’ANPA impose di solidificare quei rifiuti entro il termine improrogabile del 31/12/2005. Nel 2003 gli impianti passarono alla Sogin e il generale Jean, commissario pro tempore, decise da bravo generale di cambiare il progetto ENEA, basato sulla tecnologia della vetrificazione, a favore, invece, di una più semplice cementazione dei liquidi in modo da accelerare i tempi: il progetto CEMEX. La Sogin ha impiegato ben 10 anni per portare a gara il progetto, mentre tra i due gruppi pubblici, Ansaldo Nucleare (Finmeccanica) e SAIPEM (gruppo ENI), si svolgeva uno scontro a colpi bassi. La SAIPEM vince la gara, lo scontro si sposta al contenzioso continuo tra appaltatore e committente e all’interno della stessa Sogin. E’ sempre la solita Italietta fatta di faide tra corporazioni medievali. Insomma, il problema del nucleare (business della massomafia) lo paghiamo solo noi cittadini e l’ambiente che ci circonda!! Nel 2000 la SOGIN, (l’azienda che si ingrassa coi sovvenzionamenti statali), creata per gestire questo smantellamento “accelerato”, ha presentato l’istanza di disattivazione delle centrali alle autorità competenti. Arrivati al 2008 l’iter legislativo non era ancora stato completato e di conseguenza le centrali nucleari costruite a Caorso, Trino vercellese, Latina e Garigliano sono ancora attive, seppur spente, e in quei siti valgono ancora le prescrizioni nucleari degli anni ‘70. Ancora peggiore la situazione nelle officine nucleari dell’ENEA che, negli anni ‘70, era l’Ente Nazionale per l’Energia Nucleare. Le officine furono chiuse nel 1987, senza alcun piano di bonifica. Ci si limitò a chiudere a chiave i laboratori con all’interno le scorie radioattive (solide e liquide) non condizionate. Ci dobbiamo chiedere se il nostro paese sia rimasto una “nazione nucleare”. Indubbiamente sì, considerato che le centrali sono spente, ma ancora attive, e che funzionano reattori di ricerca nucleare presso varie Università Italiane (Pavia, Palermo), in istallazioni militari (il CISAM di Pisa) e centri di ricerca nucleare (centro europeo ISPRA in Piemonte). Uno è anche alle porte di Roma, presso il centro Enea della Casaccia. Ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo… 24.535 metri cubi di scorie radioattive di I e II categoria, 1566 barre di combustibile irraggiato (pari a 235 tonnellate di ossido di uranio mischiato a plutonio 141, stronzio 90, cesio 137 e cesio 134) affogato da più di vent’anni nelle piscine di decadimento, ormai obsolete e fuorilegge, delle vecchie centrali. Rifiuti per i quali non ci sono possibilità di smaltimento se non la soluzione di isolarli dalla biosfera aspettando che svanisca il loro pericolo radioattivo che può variare dai 300 anni delle scorie di II categoria ai 250.000 anni per quelle di III categoria. Un’eternità. Dobbiamo tener presente che l’Italia esce dal nucleare quando questa tecnologia si sta affermando in Europa. Nel 1987 l’Italia è la prima nazione “nuclearizzata” a voler chiudere quest’avventura e nessuno, in realtà, sa come farlo. La Regione Emilia Romagna chiede al governo di iniziare ad avviare le istanze di smantellamento della centrale di Caorso, l’impianto più grande d’Italia.

Ma la figura più ambigua della società Sogin sarà un generale degli Alpini Carlo Jean esperto di strategia militare e di geopolitica, che diventa presidente della società al posto di Maurizio Cumo. Un militare al posto di un fisico! Quest’ultima scelta è stata fatta direttamente dal massone, Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Dal dicembre 2002 al dicembre 2006 il generale è stato presidente e commissario della SO.G.I.N. Il generale Jean, in breve tempo, diventa il deus ex machina della SOGIN (potere assoluto). La soluzione è comunque semplice, sostiene il generale, basta « un’azione molto chiara e netta del Parlamento, per operare al di fuori delle regole ordinarie». Questa la strategia della nuova SOGIN che il governo farà sua un mese dopo (12/2/2003) decretando l’emergenza terrorismo per i siti nucleari affidando proprio al generale Carlo Jean, presidente di SOGIN, la qualifica di Commissario delegato del governo (7/3/2003) col compito di gestirla al di fuori delle regole ordinarie. Il 12/2/2003 il governo Berlusconi dichiara l’emergenza terrorismo sui territori che ospitano le installazioni nucleari. Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Basilicata si ritrovano dall’oggi al domani ad avere luoghi dove detta legge un generale! Questo significa che il commissario avrà potere di prescindere da normative regionali. Nessuno si preoccupa di dichiarare un’emergenza per salvaguardare gli “interessi della salute della collettività”. Con un generale a gestire lo smantellamento dei siti vuol dire una cosa sola: per assicurare la sicurezza della popolazione è necessario “militarizzare” il problema. Da quando in qua la salvaguardia della collettività si fa con la segretezza ed il silenzio in luogo della trasparenza e dell’informazione? Si recinta l’area dove lo si sta costruendo e la si dichiara zona militare (dittatura militare – stato di polizia)? In realtà la dichiarazione di emergenza è solo un escamotage per poter gestire, senza troppi controlli, i 468,3 milioni di euro che l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha concesso qualche mese prima alla SOGIN. Grazie all’emergenza si delinea la possibilità di gestire quel fiume di denaro senza controlli esterni. Per la prima volta un atto amministrativo del governo (lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi che interessa 5 regioni) si trasforma in una scelta politico militare per l’intero paese, con conseguenze importanti sul piano del rispetto delle leggi e delle normative internazionali. Un indirizzo preciso quindi, che segna una svolta nel rapporto tra cittadini, istituzioni e differenti funzioni dello stato. Molti di questi loschi individui di questa storia si conoscono o hanno qualcosa in comune. Per esempio nel 2003 erano iscritti ad una fondazione massonica chiamata «Fondazione Liberal», una think tank culturale fondata nel 1985 dall’allora deputato socialista Ferdinando Adornato, nel 2003 esponente liberale di Forza Italia. Nel 2003 c è iscritto il generale Carlo Jean, presidente di SOGIN. Nel 2003 è iscritto l’ammiraglio Guido Venturoni, ovvero il presidente della Marconi Selenia Communications, l’azienda cui il generale ha affidato l’appalto. Sia Jean sia Venturoni poi sono anche nel consiglio scientifico della fondazione e ambedue scrivono per una rivista della fondazione da diversi anni. Nel 2003 è iscritto alla fondazione anche l’on. Giulio Tremonti che, come ministro dell’economia, è il proprietario di SOGIN ed è anche colui che ha scelto il generale Jean come presidente di quella società. Nel 2003 è iscritto alla fondazione LIBERAL anche l’ing. Pier Francesco Guarguaglini, ovvero il presidente e amministratore di Finmeccanica, l’holding industriale italiana più importante d’Italia, scelto dal governo Berlusconi nel 2002. Se si continua a leggere la lista degli iscritti si nota anche la forte presenza di militari: il gen. Mario Arpino, il gen. Vincenzo Camporini ed il gen. Carlo Finizio che insieme al generale Jean e all’ammiraglio Venturoni fanno parte di un circolo chiamato «Difesa 2000». P2? Nel 2006 l’Onorevole Aleandro Longhi, presenta un’interrogazione scritta al governo Berlusconi chiedendo se «i lavori relativi alle ordinanze [per l’adeguamento della sicurezza dei siti] siano stati affidati attraverso gare pubbliche o assegnati direttamente alle imprese a trattativa diretta, se essi siano stati motivati dall’emergenza; se risulti vero che circa l’80% dei lavori siano stati assegnati in maniera diretta, con appalti prescritti dal Commissario (il generale umma umma), delegato sempre alla stessa società del gruppo Finmeccanica e che questa sia controllata da esponenti della Casa delle Libertà». Non ottenne risposta. A giugno del 2002 a Kananaskis (Canada), nel corso di una delle tante riunioni dei 7 paesi più industrializzati al mondo, gli Stati Uniti d’America proposero un progetto denominato «Global Partnership», ovvero un intervento a livello mondiale per smantellare gli obsoleti armamenti nucleari, chimici e biologici dell’ex – Urss. La bonifica era considerata essenziale perché la Russia di Putin non aveva le disponibilità finanziarie per porre in sicurezza questo arsenale abbandonato e disperso nel territorio, che riguarda un’intera flotta di navi e sottomarini nucleari in disarmo, nonché fabbriche chimiche semiabbandonate. Il vecchio arsenale, costruito nel corso degli anni della guerra fredda, dovrebbe essere posto in sicurezza, con un progetto unico, dalla durata decennale, che sarebbe stato finanziato con 20 miliardi di dollari: 10 messi dagli Stati Uniti e 10 dagli altri stati. Per il neo governo di centrodestra questa è l’occasione per dimostrare come l’Italia sia degna di sedere al tavolo dei grandi. L’offerta italiana risulterà una delle più alte: 1 miliardo di euro in 10 anni per realizzare tre progetti: lo smantellamento della flotta di sottomarini nucleari bloccati nei ghiacci del Mare del Nord (360 milioni di euro), la bonifica dell’industria chimica di Pochet (360 milioni di euro) e la riqualificazione degli scienziati nucleari (280 milioni di euro). Una follia che gli italiani avrebbero pagato a caro prezzo soprattutto in un momento di recessione economica mondiale. Per il momento uno solo degli accordi è stato ratificato: quello stipulato a Roma il 6/11/2003, per 360 milioni di euro per lo smantellamento dei sottomarini nucleari. La Global Partneship, è stata una decisione assunta nel 2002 dal governo Berlusconi e che ha prodotto un accordo coi russi, che presenta più ombre che luci, ma poi si è trasformata in un progetto del governo di centrosinistra (liberal cattosinistroidi). « A partire da quest’anno (scrive Prodi nel 2007) il finanziamento per l’Accordo bilaterale con la Russia è a regime con lo stanziamento di 44 milioni annui per 8 anni. Belle parole che ci dicono come il progetto, partito già nel 2005, che ha già impegnato 8 milioni di euro, ne disporrà di altri 44, un “tesoretto” che forse sarebbe stato meglio investire per dare dignità e diritti alla povera gente che, inconsapevolmente paga il contesto sociale geopolitico, truffaldino e gerarchico della masssomafia. Ma ricordiamoci degli intrecci oscuri di Prodi: Romano Prodi, il futuro presidente dell’Iri, Il 3/4/1978, partecipa a una seduta spiritica, dove dialoga insieme ad altri politici con l’“entità” degli spiriti di Don Sturzo e La Pira, che avrebbero indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro….

Fermi

Ma ora per capire meglio facciamo un po’ di storia: Il battesimo dell’energia nucleare, fu militare e gli eccidi di Hiroshima e Nagasaki del 1945 furono il risultato (il primo reattore nucleare del 1942, chiamato impropriamente “Pila di Fermi”, non era concepito per produrre energia, ma il plutonio per la bomba). Tutti i paesi che hanno realizzato la bomba sono passati attraverso la costruzione di reattori nucleari. La tecnologia nucleare “civile” fu un derivato delle applicazioni militari, poiché i modelli dei reattori di potenza commerciali derivano dai reattori concepiti per la propulsione dei sommergibili nucleari. Il nucleare militare ha avuto un enorme sviluppo: sono state fabbricate ben 130.000 testate nucleari, alle quali bisogna aggiungere il gigantesco complesso di vettori e lanciatori (missili balistici e da crociera, sommergibili, bombardieri, ecc.), sistemi satellitari, d’allarme, controllo, ecc. Gli interessi economici miliardari dell’energia nucleare corrompono i governi. Il nucleare “civile” si sostiene solo per l’«esternalizzazione» dei costi e delle perdite, di cui si fanno carico i governi, cioè i contribuenti! Incentivi, sovvenzioni, garanzie sui capitali investiti, limitazione delle responsabilità per i danni di incidenti. Nessun’altra industria al mondo gode di supporti e facilitazioni così colossali. D’altra parte, il proclamato rilancio del nucleare esiste solo nella propaganda dell’industria e dei governi prezzolati: per ora è limitata a Cina (se non rivedrà i programmi dopo Fukushima), India, Sud Corea, staterelli arabi che galleggiano su un mare di petrolio, ma negli USA vi è solo un nuovo reattore in costruzione, in Europa tre. Il complesso nucleare militare viene costantemente rinnovato e lautamente finanziato (nuove testate, nuovi vettori, nuovi sommergibili, nuovi sistemi satellitari, ecc.). Per il nucleare civile, alcuni dei maggiori crimini sono sotto i nostri occhi (Chernobyl, Fukushima…), ma in tutto questo disastro ecologico, di business e di malaffare, dobbiamo tenere conto anche dei traffici illeciti di scorie radioattive (insieme a quelle tossiche) da parte della malavita organizzata, l’ultimo gradino della massomafia (ricordiamo le “navi dei veleni” affondate, l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin), nonché i rischi di sottrazione di materiali fissili di interesse militare (sono stati prodotti al mondo ben 1.600 tonnellate di plutonio, che non esiste in natura, e richiede 24.000 anni per ridursi alla metà). A febbraio 2016 il piano di Sogin per la dismissione del sito nucleare di Saluggia (Vercelli) ha ricevuto il via libera della Regione Piemonte. La Giunta Chiamparino ha approvato la delibera che avalla l’obiettivo della società Sogin. La strategia, però, incontra la ferma opposizione degli ambientalisti, che da decenni si battono contro le scorie atomiche nel vercellese. Col suo piano di dismissione, Sogin prevede infatti il raddoppio delle superfici destinate a ospitare i rifiuti radioattivi, nonché l’innalzamento di un metro dell’intera area, così da sfuggire ad una piena del fiume Dora, che scorre a pochi metri dal deposito. Il sito è considerato formalmente ancora in esercizio. Qui si trovano oltre il 90% delle scorie italiane, ma i depositi sorgono in un luogo delicatissimo, vicino al fiume e all’acquedotto del Monferrato, che dà da bere a 154 Comuni. È proprio l’espansione di questi depositi a preoccupare cittadini e associazioni ambientaliste. Per ora, le comunità che hanno avuto sentore di un possibile arrivo della patata bollente (deposito nazionale di scorie radioattive), si sono chiuse a riccio. È il caso della Sardegna che viene indicata come potenziale destinataria delle scorie nucleari italiane, la Regione è insorta, sia a livello popolare che, giocoforza, a livello politico. Gli isolani non sono d’accordo: sull’isola incombe già lo spettro di un inceneritore e delle trivellazioni, senza contare gli orrori dovuti allo smaltimento illecito di rifiuti militari nella ex base di Quirra. Trent’anni fa c’è stato il primo referendum antinucleare, i cittadini che avevano capito i danni ecoambientali causati a lungo termine dal nucleare dissero di no e vinsero, come dissero prontamente di no anche al referendum del 2011. Dopo l’illusione del benessere (bum economico, solo per la borghesia massomafiosa) ora ci rimane il problema delle scorie radioattive!! Un rischio ambientale scontato come quello dei siti dove sono ospitate precariamente le scorie nucleari (si pensi a Saluggia in Piemonte e ai rischi connessi a possibili alluvioni in un sito che ospita 230 metri cubi di rifiuti nucleari liquidi dagli anni ‘70) e che costa a tutti noi risorse ingentissime. Nel 2008 Sogin presenta un piano per cui il decommissioning si sarebbe dovuto concludere nel 2019 con una spesa complessiva di 4,5 miliardi di euro. Due anni dopo aggiorna quel piano spostando la previsione di conclusione dei lavori al 2024 con una spesa aumentata a 5,7 miliardi. Nel 2013 prendono atto di aver fatto poco o nulla e spostando la conclusione dei lavori al 2025 con un aumento della spesa prevista a 6,32 miliardi di euro! Sogin secondo i suoi bilanci, possiamo calcolare che dal 2001 (l’anno in cui il Governo con la direttiva Bersani fissava al 2019 la fine del decommissioning) fino appunto al 2019 verrà a costare 4,3 miliardi di euro: quasi quanto nel 2008 si prevedeva sarebbe venuto a costare l’intero piano di decommissioning. A novembre 2017 l’Ad di Sogin, Desiata, aveva dichiarato che la spesa totale prevista adesso è arrivata a 6,8 miliardi, salvo correggersi qualche giorno dopo, in occasione dell’assemblea generale dell’Aiea a Vienna portando la stima a 7,2 miliardi. I costi fissi lieviteranno, (stipendi, mantenimento in sicurezza dei siti, funzionamento, ecc.) nel 2017 toccheranno la cifra record di 130-140 milioni. Nel 2017, quel lavoro di trattamento dei rifiuti pregressi che secondo il Bersani del 2001 si sarebbe dovuto concludere nel 2010, praticamente non è ancora nemmeno cominciato, per le resine di Trino e Caorso, per i rifiuti liquidi di Trisaia e Saluggia, ecc. Dopo l’improvvisa indicazione di Scanzano come sito nazionale per le scorie (e parliamo del 2003, in piena era berlusconiana) fatta senza alcuna verifica e contrattazione territoriale e per cui inevitabilmente bocciata, si scelse una procedura un po’ barocca …

La Sogin è una creatura statale posseduta al 100% dal ministero dell’Economia. Nel 2014 il precedente capoazienda Riccardo Casale dichiarava che al suo arrivo lo stato dello smantellamento nucleare era al 22%. Lo scorso gennaio, per Desiata, si era al 25%. Questo 3% realizzato in tre anni dalla gestione Casale condurrebbe dritto ad un’attesa di altri 75 anni. Al costo di 130 milioni l’anno, la cifra che serve solamente a tenere in piedi la struttura e a garantire la sicurezza delle centrali. Un circolo vizioso: per ogni anno che passa le strutture invecchiano e la sicurezza si fa più complicata. E più costoso si fa il decommissioning.

Le spese del debito pubblico sono aumentate anche perché l’Italia ha deciso di «scambiare» (a pagamento) col Regno Unito 5 mila metri cubi di rifiuti a bassa attività con un metro cubo ad alta intensità! Il contratto con la Francia scade nel 2025, mentre col Regno Unito si sta negoziando il differimento (sempre a pagamento e questa volta inevitabile) dal 2019 al 2025. Totale? Si potrebbe così arrivare a 10 miliardi di euro, cui aggiungere 1,5 miliardi per la costruzione del Deposito e 900 milioni per il trasferimento dei rifiuti. Poi non bisogna dimenticarsi che se la Sogin esiste dal 2001, è perché negli anni precedenti gli italiani hanno versato in bolletta (componente A2) fior di oneri per indennizzare l’Enel di allora dall’uscita dal nucleare decisa nel 1987. Secondo qualche calcolo i rimborsi per Enel e imprese appaltatrici hanno toccato i 7,5 miliardi di euro. Il che fa sconsolatamente aumentare il conto dell’addio al nucleare a 20 miliardi di euro. Pagati centesimo su centesimo dai consumatori in bolletta.

Nel 2017 la Commissione Ue ha costruito un grande deposito per i residui radioattivi nel centro europeo di ricerca di Ispra, nella provincia di Varese a pochi chilometri dalla riva del lago Maggiore. L’impianto si chiama Area41 e in sigla Isf, Interim Storage Facility, e gode di extraterritorialità: un pezzettino d’Europa incastonato nelle brughiere lombarde. Area41 è un capannone speciale, che servirà per ospitare i rifiuti nucleari generati dalle attività del centro ricerche europeo. I rifiuti atomici a Ispra si producono da sessant’anni, da quando nel 1957 i fisici italiani del Cnrn (poi Cnen poi Enea) costruirono il primo reattore atomico europeo, il Fermi Ispra 1 copia conforme del Chicago Pile 1 costruito da Enrico Fermi. Poi il centro ricerche fu ceduto all’Euratom e l’Europa vi costruì un secondo reattore nucleare, il grande Essor. Con la nascita dell’Unione europea il centro Euratom di Ispra è stato rilevato direttamente dalla Commissione di Bruxelles. In decenni di attività di ricerca, a cominciare dal reattore del 1957, è stato necessario costruire già un altro deposito atomico. Lontano alcune centinaia di metri dall’Area41, il vecchio stoccaggio nucleare è nella parte bassa del centro ricerche dalla parte più vicina al lago Maggiore, oltre i reattori nucleari, di là dai laboratori e dalle palazzine uffici, oltre il sincrotrone. L’impianto nuovo è pronto dal punto di vista strutturale. È costato poco più di una decina di milioni di euro. Potrebbe già essere riempito con 12mila-13mila metri cubi di residui radioattivi…

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/ecco-le-bombe-nucleari-di-brescia-1.171372#gallery-slider=undefined

 

La verità, ammessa al giorno d’oggi dai deposti più sciocchi, è che le forme cosiddette costituzionali o rappresentative non sono in alcun modo un ostacolo al despotismo statista, militare, politico e finanziario; al contrario rendono legale il despotismo e, dandogli l’apparenza di un’amministrazione popolare, possono aumentarne considerevolmente la forza e la potenza interiore.

M. Bakunin

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)