Ligresti l’aviatore, il “porco rosso mercenario” imprenditore cattosinistroide…

Il 15 maggio è morto a 86 anni Salvatore Ligresti, conosciuto come l’amico di Craxi, era un uomo sporco e ambiguo, che tramava con entità oscure (massomafia: banchieri, politici, servizi segreti, imprenditori, mafia). Ligresti è nato in una famiglia borghese della Sicilia degli anni ’30. Un uomo molto ambizioso, disposto a tutto pur di scalare il potere, era conosciuto come il “re del mattone” della Milano da bere, il “Mister 5 per cento” della finanza, il devoto alleato di Mediobanca. Don Totò arriva a Milano negli anni ‘50. Non ha alcun capitale, solo una laurea in ingegneria comprata all’Università di Padova. Dopo la laurea, arrivò a Milano per prestare il servizio militare in Aeronautica e, di fatto, ci restò per tutta la vita. Congedato, aprì uno studio di progettazione e nel 1966 si sposò con Antonietta Susini, figlia del provveditore alle Opere pubbliche della Lombardia con la quale ha avuto tre figli, Giulia Maria, Paolo e Jonella. Ma è l’amministrazione di sinistra che ha dato la città di Milano in mano al palazzinaro! Infatti due terzi delle edificazioni avviate dalla giunta, a colpi di miracolose varianti al piano regolatore, sono targate Ligresti. Salvatore Ligresti è stato coinvolto nel magna magna della Milano da bere, gli anni delle grandi infrastrutture, delle grandi speculazioni edilizie e urbanistiche fatte soprattutto a Milano (Expo, Fieramilanocity e Garibaldi-Repubblica), a Firenze (Castello e Manifattura Tabacchi), e a Torino. Alla fine dopo i processi e le accuse perde il potere ma a lui rimane una società-cassaforte in Svizzera in cui si trovano una trentina di immobili detenuti nel quartiere San Siro di Milano.

Ma andiamo nel dettaglio:

Don Salvatore, tra gli anni ’70 e ’80 aveva messo su un impero, dapprima come imprenditore immobiliare in pieno boom dell’edilizia, e poi reinvestendo i guadagni nelle maggiori società italiane, da Pirelli a Gemina, da Sai a Mediobanca, anche grazie allo stretto legame con Enrico Cuccia (crac ambrosiano 1992). Ma è a Milano che Ligresti fa i soldi e fa affari con la massomafia. Michelangelo Virgillito (suo compaesano, grande manovratore di Borsa nella Milano del “miracolo economico”), è il primo a insegnargli come fare i soldi col malaffare. Il secondo è stato è Raffaele Ursini, che lo ha introdotto nei salotti massomafiosi. Orsini è l’uomo che eredita da Virgillito il gruppo Liquigas e lo porta al fallimento. Da loro Ligresti impara a muoversi nel mondo della finanza e degli affari immobiliari (umma umma). Da Michele Sindona Ligresti rileva la Richard-Ginori, ormai povera di produzione ma ricca di aree industriali da dismettere e riempire di palazzi. Il suo primo pacchetto d’azioni Sai lo eredita da Ursini. Ursini, dopo il crac, scappa in Brasile, lasciando il malloppo nelle mani del figlioccio Ligresti.

La conquista della Sai avviene con la partecipazione di strani personaggi. C’è Luigi Aldrighetta, operatore finanziario palermitano che fa da mediatore per l’acquisto da parte di don Salvatore di un ulteriore, grosso pacco di azioni Sai. Ci sono i sei fratelli Massimino, costruttori catanesi partiti da zero (erano muratori) e diventati potenti: erano intestate a loro due misteriose finanziarie, la Finetna e la Premafin, che controllavano la Sai nel periodo d’interregno tra la fuga di Ursini e l’arrivo palese di Ligresti ai vertici della compagnia. A maneggiare il malloppo da Virgillito, Ursini, Sindona a Ligresti è Antonino La Russa, senatore missino, padre di Ignazio, anch’egli di Paternò, che prende sotto tutela il giovane compaesano Totò.

Ligresti nel 1978 era diventato uno dei 5 uomini più ricchi d’Italia e aveva dichiarato al fisco un reddito di 30 milioni di lire.

Sono gli anni della Milano “da bere”, in cui Ligresti diventa il re degli immobiliaristi, tra appalti pubblici e grandi realizzazione nel terziario che prende il posto delle grandi fabbriche e cospicui investimenti nei salotti buoni della finanza. I ricchi guadagni del mattone finiscono nei patti di sindacato che contano, da Pirelli a Gemina, da Mediobanca al gruppo assicurativo Sai, poi fuso con la fiorentina Fondiaria. Sono anche gli anni delle scatole cinesi e delle holding, grazie alle quali con piccole partecipazioni azionarie era in grado di controllare società di primo piano di Piazza Affari.

Gli scandali immobiliari di Ligresti, provocarono nel 1986 la caduta della giunta guidata dal sindaco socialista Carlo Tognoli per il cosiddetto scandalo delle “aree d’oro”: il Comune si impegnava a comprare aree per 5mila lire al metro quadro, ma vennero poi rintracciate lettere con cui Ligresti aveva già concordato l’acquisto a prezzi più bassi. Cade la giunta, Tognoli che sull’espansione del terziario aveva puntato tutto, anche barando: quello che era stato chiamato Piano Casa, varato in nome della necessità di costruire abitazioni per la povera gente, si era via via trasformato in un diluvio di uffici, il più grande mai permesso fino a quel momento a Milano.

Nel 1992 Don Salvatore venne coinvolto in Tangentopoli: tangenti pagate per vincere appalti per la Metropolitana milanese e le Ferrovie Nord. Ligresti viene arrestato e passa 112 giorni in cella. Ma viene assolto! Niente galera per i furbetti alla Gelli, solo affidamento ai servizi sociali, cioè una chiacchierata ogni tanto con un’assistente sociale e un piccolo impegno di facciata per la Caritas ambrosiana. Queste condanne penalizzano il suo lavoro da truffaldino e non può più guidare le compagnie d’assicurazione. A sostituirlo, almeno per la legge, sono i figli: Jonella diventa presidente della Sai, vicepresidente di Premafin e unica donna a sedere nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca; Giulia siede nei consigli di Sai, Premafin e Telecom, ma è più interessata alle sue borse e accessori in pelle, che disegna di persona e commercializza col marchio Gilli; Paolo, il figlio minore, è presidente di Sai International e vicepresidente di Atahotel, la società che controlla gli alberghi del gruppo. Ma quello che coordina tutto è il successore di Cuccia a Mediobanca, Vincenzo Maranghi. Nel 2002 gli fa comprare Fondiaria, grande compagnia d’assicurazioni fiorentina, per sottrarla all’orbita Fiat. Il 12 ottobre 2004, sua figlia Jonella entra nel consiglio d’amministrazione del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera…

Ligresti fu arrestato nel 1992 quattro mesi dopo che è finito in carcere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, (Tangentopoli). E’ proprio lui ad accusare il costruttore di avere pagato tangenti al Psi e alla Dc per ottenere appalti dalla Metropolitana Milanese per una sua società. Un anno dopo, il 30/6/’93 arriva un secondo mandato d’arresto. Questa volta gli viene contestato di avere versato mazzette al Psi e alla Dc per far avere alla Sai l’esclusiva per le polizze di assicurazione sulla vita dei 140 mila dipendenti dell’Eni. Per questo capitolo, nel dicembre del 1996 viene condannato dalla Cassazione a 2 anni e 4 mesi assieme all’ormai ex segretario socialista Bettino Craxi (5 anni e 6 mesi).

Nel 2012 Ligresti è accusato di aggiotaggio in relazione a due trust esteri titolari del 20% di Premafin, di cui era presidente onorario. Nuovamente arrestato nel luglio 2013, subisce poi due condanne in primo grado, a Torino a 6 anni per falso in bilancio, e a Milano a 5 anni per aggiotaggio per il caso Premafin.

I figli viziati di Don Salvatore hanno un patrimonio immenso da gestire: nel 1966 Ligresti si sposò con Antonietta Susini, figlia (non a caso) del provveditore alle Opere pubbliche della Lombardia con la quale ha avuto tre figli, Giulia Maria, Paolo e Jonella, che hanno ereditato da Don Salvatore: il negozio di moda in via della Spiga. Il campo da golf da 18 buche in Sardegna. I cavalli purosangue, da “Quintero” a “Caruso”, dal costo di mantenimento di quasi 7 milioni di euro. Gli elicotteri da 10mila euro l’ora. Il jet privato. Le segretarie. Le auto blu. La bella vita tra Maldive, Santa Margherita Ligure, la Thuile in Valle d’Aosta e Montecarlo. I pranzi con (non a caso) Geronimo La Russa e Barbara Berlusconi al Baretto dove si sedeva anche Daniela Santanchè o il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. E le ‘colazioni’ con la finanza giovane e rampante, da Matteo Arpe a Roberta Furcolo, moglie dell’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, al ristorante La Risacca. Coi soldi di Don Salvatore, i figli ottennero incarichi importanti fino ad ottenere 22 poltrone. Poltrone nelle società di famiglia, in Sai Fondiaria, nel Milan di Silvio Berlusconi, nella compagnia di bandiera Alitalia (dove i Ligresti dal 2008 figurano fra gli azionisti). E poi c’era il residence Planibel a La Thuille, il Tanka Village a Villasimius in Sardegna o l’Hotel Villa Pamphili di Roma, le vacanze alle Maldive. Coi soldi di Don Salvatore si sono comperati anche architetti “de sinistra” come Stefano Boeri per ricominciare a fare affari nella speculazioni edilizie come gli aveva insegnato il paparino (Paperon dei paperoni). In seguito al crack Fonsai, i figli di Ligresti hanno continuato a fare, più o meno, la vita di sempre. Jonella a cavallo, Giulia nel cercare nuove iniziative nella moda dopo il crack del marchio Gilli e Paolo in Svizzera, tra la passione per lo sport, le auto di grossa cilindrata e le ultime attività immobiliari.

Lo sciopero lascia a terra la Moratti lei torna con l'aereo privato di Ligresti

Anche nel business dell’Expo (una vera pioggia di miliardi), c’era dietro Ligresti. I suoi nuovi agganci politici per fare tramacci, sono “i soliti furbetti”: Ignazio La Russa, il fratello Vincenzo e il figlio Geronimo, che siedono nel Consiglio della ligrestiana Premafin. Anche Berlusconi rischia d’imparentarsi con lui, dal momento che uno dei figli giovani è fidanzato con una nipotina Ligresti. E poi c’è Matteo Cabassi, quinto figlio di Giuseppe, titolare di una parte dei terreni a destinazione agricola su cui sono sorte le opere dell’Expo. E ancora Luigi Zunino, ras dell’Area Falk. Lavorano assieme, tutti assetati di soldi, persone arriviste, ambiziose senza scrupoli che puntano come sempre per fare soldi sulla “leva finanziaria” e sui soldi delle banche. L’indebitamento finanziario di Ligresti, è da vertigine: più di 1.150 miliardi di lire. Per di più il vecchio maestro, Ursini, si rifà vivo e trascina Ligresti in tribunale, perché pretende che gli sia restituita la sua Sai.

Ligresti aveva gestito Fonsai per un decennio come fosse un bene di famiglia, spolpandola via via fino a portarla al crollo. In un decennio Mediobanca aveva buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai. Ma a un certo punto il nuovo amministratore delegato di mediobanca, Alberto Nagel, chiude i rubinetti e sceglie Carlo Cimbri. La sua Unipol, indebitata con Mediobanca, ne viene fuori rigenerata. Nasce UnipolSai. Nel 2013 finisce agli arresti domiciliari, mentre le sue figlie Jonella e Giulia sono rinchiuse in cella.

 

Libro consigliato: Franco Stefanoni: Le mani su Milano – Gli oligarchi del cemento da Ligresti all’Expo

Chissà se l’altoborghese Senzani, capo delle Br costituite dopo l’arresto di Franceschini, conosceva l’aviatore Ligresti?

Franceschini fu arrestato da Frate Mitra (spione dei servizi segreti), dopo lo scontro con l’aristocratico Corrado Simioni.

 

Appena il vincitore ha gustato il piacere di comandare

ed ha imparato a valutare i vantaggi economici che ne derivano,

egli è facilmente avvelenato  dall’esercizio del potere.

R. Rocker

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

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