Il Patto Atlantico nasce nel 1949, quando l’Italia entra nella Nato anticomunista per attuare la Strategia della tensione fatta di Colpi di stato e Stragi di stato per incolpare e reprimere i movimenti anarchici e di sinistra.
Il Patto Atlantico anticomunista viene firmato dai servizi segreti di 12 nazioni: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo e Stati Uniti, a cui aderirono, in seguito (1952), anche la Grecia e la Turchia, nel 1955, la Germania federale e nel 1982, la Spagna in funzione anticomunista, per agire militarmente in risposta ad una eventuale invasione da parte delle forze del Patto di Varsavia o di vittoria elettorale del Partito comunista alle elezioni politiche nazionali. L’esistenza di Gladio è stata svelata ufficialmente dal Presidente del Consiglio Giulio Andreotti nel 1990, quando ufficialmente stava terminando la guerra fredda (guerra tra Est e Ovest). Il 3/8/1990 Andreotti risponde a diverse interrogazioni parlamentari, affermando che «una struttura segreta anticomunista, controllata dai servizi segreti Nato, è stata istituita, per evitare un’invasione dell’Italia da parte della Russia, è esistita fino al 1972».
La sinistra DC (centrosinistra -Moro), il cui leader allora era De Mita, in quei giorni è impegnata in un duro braccio di ferro col governo Andreotti contro l’approvazione della legge Mammì che darebbe legittimità alle televisioni di Silvio Berlusconi (centrodestra), allora soltanto patron della Fininvest. De Mita ha appena ritirato dal Consiglio dei ministri i suoi 5 esponenti. Il 9/10/1990 a Milano in via Monte Nevoso 8, zona Lambrate, un operaio mentre sta lavorando alla ristrutturazione di un appartamento, nel demolire un piccolo pannello situato sotto un termosifone, scopre una nicchia in cui sono custoditi documenti delle Brigate rosse. Dodici anni prima quell’appartamento era stato un covo del gruppo terroristico e quei documenti contengono una parte inedita del memoriale del presidente della DC Aldo Moro, sequestrato e ucciso dalle BR nella primavera del 1978. In quei fogli, Moro racconta anche dell’esistenza di una struttura armata clandestina facente capo ai servizi segreti. Si tratta della stessa struttura, rimasta segreta per quasi quarant’anni, di cui in agosto ha parlato Andreotti! L’appartamento, nel 1978, era stato perquisito per ben 5 giorni dai carabinieri (Generale Dalla Chiesa) che, secondo le parole del giudice Pomarici, lo “scarnificarono mattonella per mattonella”. Quindi come è possibile che il pannello in cartongesso sia sfuggito a una perquisizione che si racconta essere stata tanto lunga e tanto minuziosa? E perché, nonostante i terroristi arrestati durante il blitz avessero denunciato la presenza nell’appartamento di altro materiale non trovato e non repertato, non sono state effettuate altre perquisizioni di controllo? Come mai quei documenti segreti riappaiono solo dopo 12 anni? Ma chi aveva nascosto il “malloppo” rinvenuto nel 1990 all’interno del pannello? La logica fa ovviamente pensare che siano stati gli stessi brigatisti, ovvero Bonisoli, Azzolini e la Mantovani. Di sicuro, della presenza del “Memoriale” in via Monte Nevoso lo sapeva anche Dalla Chiesa, così come sapeva che in quelle pagine vi erano dei passaggi assai esplosivi sul conto di Andreotti. Ma l’anomalia più grande è che il capitano Bonaventura, quella stessa mattina del 1978, a perquisizione appena iniziata e col verbale ancora da stendere, portò via il “Memoriale” dall’appartamento per fotocopiarlo e consegnarlo nelle mani di Dalla Chiesa (foto).
Quel giorno furono trovati due “Memoriali”, un sunto dattiloscritto dalle BR e uno costituito dalle fotocopie degli originali manoscritti di Moro, e mentre il sunto fu portato via per censurarne ed eliminarne le parti più scomode, il plico delle fotocopie fu occultato dietro il pannello chiodato, Dopo il secondo ritrovamento del 1990, si aprono ulteriori scenari. Arlati rivelerà infatti alcuni dettagli che, all’epoca, aveva omesso. Prima di tutto che alle 17,30, quando Bonaventura riconsegnò il “Memoriale”, il plico gli apparve “più magro” di quando era uscito. In secondo luogo che una copia del “Memoriale” fu consegnata da Bonaventura al capitano Gustavo Pignero (che nel 1981 risulterà nella lista della P2 di Licio Gelli), il quale le porterà subito a Roma.
Nella sua deposizione la Mantovani parla di passaggi del “Memoriale” dedicati a Kappler, ma nel “Memoriale” del 1990 in proposito vi è solo un piccolo accenno. E sempre la Mantovani ricorda che in via Monte Nevoso ci fosse anche la lista delle domande degli interrogatori. Anche questa, mai rinvenuta. Manca inoltre il capitolo relativo a Taviani e ai servizi segreti americani, di cui le BR avevano pubblicato uno stralcio autografo nel Comunicato numero 5. Dove è finito tutto questo materiale? Nel Memoriale di Moro, tra le parti più esplosive c’è quella dedicata al presidente Segni, che Moro rappresenta come un oscuro uomo di potere che persegue una strategia ostinatamente contraria al centro-sinistra, contravvenendo quindi al suo ruolo super partes di garante delle istituzioni. Cosa più importante, Moro lo indica come il grande regista del “Piano Solo”, il tentato colpo di stato del 1964 che avrebbe dovuto instaurare in Italia una dittatura militare guidata dal generale De Lorenzo. I passaggi su Andreotti sono particolarmente forti, visto che si parla dei legami dell’allora presidente del consiglio con Michele Sindona e tra le righe si accenna ai rapporti di connivenza con Cosa Nostra. Si parla del pesante condizionamento esercitato dai servizi segreti della Nato anticomunista su tutta la vita politica italiana, della regia degli stessi nella cosiddetta strategia della tensione fatta di Stragi di stato e Colpi di stato. A questo proposito, Moro lascia intendere come, in particolare su piazza Fontana, interi settori della Democrazia Cristiana furono sostanzialmente conniventi. Bombe di stato che, se rivelate nel 1978, avrebbero fatto saltare tutta la DC. Ma ciò che avrebbe destabilizzato l’intero sistema è altro, vale a dire il capitolo in cui Moro rivela alle BR l’esistenza di Gladio. Gladio è il segreto per eccellenza. Un’organizzazione paramilitare clandestina del tipo “stay-behind” (letteralmente: stare nelle retrovie) in seno alla NATO, organizzata dalla CIA in funzione anticomunista e allo scopo principale di contrastare un’ipotetica invasione sovietica, che in Italia operò sotto la copertura dei governi della Democrazia Cristiana, con tanto di delega specifica per il ministro della difesa (per essere poi sciolta nel 1986). La Gladio ebbe stretti e accertati legami con la loggia P2 di Gelli (tutti i vertici di Gladio erano al contempo iscritti alla loggia), ed ebbe un ruolo più che attivo nella preparazione del tentato colpo di stato militare passato alla storia come “piano Solo”, fu spalla dei servizi segreti nella strategia della tensione. Quindi Gladio è la chiave di tutti i misteri legati al caso Moro, il perno attorno cui ruotano tutti quegli avvenimenti. È Gladio, il timore che Moro possa rivelarla, la grande ossessione di tutti sin dal giorno del suo rapimento. La cosa terrorizza il governo, la DC, l’amministrazione americana, la CIA, i servizi segreti italiani. E tutti, a partire dai comitati di crisi istituiti da Cossiga, lavorano non per salvare Moro, ma il segreto di Gladio. Il che spiega ogni inefficienza, ogni lungaggine, la rigidità incomprensibile della linea della fermezza, l’abbandono disumano in cui viene lasciato da subito lo statista, l’impegno da ogni parte per rendere inattendibili le sue parole che disperate filtravano dalla prigionia attraverso le lettere.
Gualtieri nel 1990 riceve da Andreotti un dossier sulla struttura clandestina di cui aveva parlato alla Camera il 3 agosto. Quel dossier è una bomba. Intanto quella struttura antinvasione sovietica non è stata sciolta nel 1972, ma è ancora operante. E poi essa coinvolgeva anche dei civili ed è stata voluta dai servizi segreti italiani nel 1956 (Nato: Patto Atlantico anticomunista firmato dai loro servizi segreti, in Italia dai partigiani bianchi – cattolici), cioè dall’allora Sifar del generale Giovanni De Lorenzo e dagli americani della Cia. Il suo nome in codice? Gladio. Il 23 ottobre: la struttura di Gladio viene resa di pubblico dominio. Composta da 622 civili, essa avrebbe potuto disporre di armi ed esplosivi interrati in diverse zone del Nord d’Italia, ma anche (molto stranamente) nel Sud. Ma dietro la facciata legale dei 622 civili, esistevano altre strutture occulte ben più agguerrite, come i nuclei clandestini dello stato formato da forze dell’ordine (Ps – Cc). Oltre ai 139 nasco, Gladio poteva disporre di armamenti nascosti in almeno 50 caserme dei Cc e in una base americana. Quella struttura disponeva di una base segreta in Sardegna ed è possibile anche un suo coinvolgimento nelle stragi e negli episodi più oscuri della nostra storia repubblicana (Colpi di stato – Stragi di stato). Il 30/10/1990 un’attenta campagna di stampa scopre che l’Italia è stata per quarant’anni un Paese a sovranità limitata, dove a farla da padroni sono stati i nostri alleati d’oltreoceano, con la complicità dei nostri governanti e l’asservimento alle logiche atlantiche anticomuniste dei nostri servizi segreti (doppio Sid). Vengono a galla anche i retroscena del Piano Solo (colpo di stato organizzato dai carabinieri e dai partigiani bianchi anticomunisti), cioè dal colpo di stato del generale Giovanni De Lorenzo, prima capo del Sifar e poi dell’arma dei Cc, che nel 1964 col colpo di stato, bloccarono sul nascere l’esperimento del centro-sinistra. L’immagine dell’arma esce dalla vicenda molto appannata.
Il gen. Paolo Inzerilli (foto), era l’ufficiale del Sismi responsabile di Gladio dal 1974 al 1986. Il Governo ordinò lo scioglimento di Gladio il 27/7/1990. I suoi membri sono stati bollati dall’opinione pubblica come fascisti, come probabili cospiratori, come possibili «stragisti». Gladio è stata associata al rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, l’omicidio del giornalista Mauro Rostagno (ucciso da Cosa nostra nel 1988), l’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin, la strage di Alcamo Marina, la strage di Bologna e la strage di piazza della Loggia. Nel 1990 il giudice Giovanni Falcone stava indagando su Gladio (definendola massomafia – P2) e sulla sua probabile implicazione negli omicidi Mattarella, Reina e La Torre; il magistrato Ferdinando Imposimato ha affermato che il giudice Paolo Borsellino è stato ucciso perché sapeva delle indagini di Falcone sull’organizzazione Gladio.
Anche l’ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi, e il suo capo di stato maggiore, il generale Paolo Inzerilli, il 23/12/1990, vengono indagati per le possibili deviazioni di Gladio e la sua possibile compromissione con le stragi.
Il 4/1/1991 vengono tolti gli omissis a tutti i documenti che riguardano il minacciato colpo di stato ‘Piano Solo’ del 14/7/1964. Ciò che emerge da quegli scritti, che il giorno dopo troveranno amplissimo spazio su tutti i quotidiani, è che l’arma dei Cc era dentro fino al collo in un progetto eversivo delle istituzioni democratiche. Per l’arma, si tratta di un colpo durissimo. Lo scontro forte che scuote il Paese attorno all’affare Gladio, verrà vendicato la sera stessa, con l’uccisione di tre cc al Pilastro (foto sotto), dalla banda della Uno bianca (si ammazzano anche tra di loro…). Nel frattempo il presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, l’onorevole Mario Segni, sarà stato costretto a lasciare il suo incarico in quanto figlio di quell’Antonio Segni, presidente della Rep. durante gli anni del Piano Solo. Cossiga, dovrà dimettersi, salvo poi ripresentarsi alle Camere 15 giorni dopo e ottenere la fiducia con una nuova compagine, priva dell’appoggio dei repubblicani.
A seguito dell’esplodere del caso Gladio, finirono sotto una pressione insostenibile le massime istituzioni dello stato: la presidenza della Repubblica, la presidenza del Consiglio, l’arma dei Cc e la parte più rilevante dei servizi segreti, il Sismi, cioè l’intero apparato militare della intelligence italiana. Il Sismi da lì a pochissimo si troverà decapitato della struttura che l’aveva diretto per anni: il suo capo assoluto, l’ammiraglio Fulvio Martini, e l’ultimo capo dei gladiatori, l’inflessibile generale Paolo Inzerilli. Ebbene, sarà soltanto un’altra incresciosa coincidenza, ma proprio in quel periodo, nel momento in cui le massime istituzioni del Paese sono travolte dalla bufera, ecco apparire sulla scena due nuovi giocatori: un gruppo di misteriosissime persone che sono i telefonisti della Falange armata e una banda, composta nella maggior parte da poliziotti, che comincia a giocare una terrificante partita di terrore al calor bianco (partigiani bianchi – cattolici del dissenso) in una delle regioni, guarda caso, amministrata dai comunisti. Quella di decapitare i servizi segreti, senza mai rinnovarli effettivamente, è una tradizione tutta italiana. Nel 1978 dopo lo scandalo del doppio Sid, ci fu la riforma dei servizi segreti, il Sid cambiò nome in Sismi. Quando nel 1981 scoppiò lo scandalo della P2, si scoprì che i capi dei due servizi segreti, il Sismi e il Sisde, erano iscritti alla loggia coperta di Licio Gelli (P2). Nel 1974 la procura bresciana ritiene di aver individuato il cosiddetto servizio segreto occulto chiamato “Sid-parallelo”, l’organizzazione clandestina che fin dagli anni ’70 è emersa dietro stragi, omicidi, operazioni di inquinamento e condizionamento della vita politica. Negli anni ’70, comparvero le prime tracce del doppio Sid, che evidenzia il carattere istituzionale e clandestino della struttura. Più di recente il doppio Sid si è creduto di averlo individuato nella rete Gladio, e poi nei Nuclei per la difesa dello Stato scoperti a Milano dal giudice istruttore Guido Salvini. Ma tutte le volte è emerso qualcosa di dissonante, di diverso, rispetto a quanto testimoni come Amos Spiazzi, Stefano Delle Chiaie (foto sotto), Vincenzo Vinciguerra (nomi di spicco dell’eversione di destra), avevano detto della misteriosa organizzazione.
Non sarebbe questo il caso della struttura individuata dalla procura di Brescia che, nei documenti riservati che hanno consentito di individuarla, viene chiamata semplicemente “il noto Servizio”. Il doppio Sid (organizzazione militare segreta e clandestina), sarebbe nata alla fine della guerra, negli anni convulsi e drammatici della caduta del fascismo, dell’armistizio, della nascita della Rep. sociale italiana, della Resistenza. Verrebbe da lì, dai reduci di Salò, il nucleo originario della struttura, in seguito integrato da ex partigiani bianchi anticomunisti. Tra gli aderenti, imprenditori, uomini politici, giornalisti, ufficiali delle forze armate: personaggi di una certa notorietà, i cui nomi sono comparsi nelle cronache della “strategia della tensione”, e altri personaggi, sconosciuti ai più, ma ben noti negli ambienti imprenditoriali, specie in quelli milanesi. Lo schema dentro cui la pubblicistica di sinistra ha inquadrato il cosiddetto “Sid parallelo”, verrebbe in parte contraddetto. La “strategia della tensione” non più come un piano scientifico, studiato a tavolino da teorici gelidi e feroci, ma come l’effetto di un dibattito aspro, a volte lacerante, tra gruppi imprenditoriali e politici accomunati dalla volontà di contrapporsi al comunismo ma divisi sui metodi da adottare. Se così fosse, sarebbe una conferma dell’analisi svolta proprio da Giovanni Pellegrino nel suo libro – intervista. In particolare nella individuazione di un momento (il 1974), in cui si rompe l’alleanza tra estremisti di destra e apparati istituzionali. Una “operazione di sganciamento” che fu probabilmente all’origine della strage di Brescia: un terribile messaggio lanciato dagli estremisti a chi, dopo averli usati, li aveva lasciati soli. E’ in questo contesto complesso che va collocata l’affermazione di Pellegrino sulla “manovra” di Andreotti: il coprire una certa struttura non significa necessariamente l’ averne condiviso i comportamenti, ma più probabilmente rivela il timore degli effetti politici che la scoperta potrebbe determinare. E’ un aspetto di quella che il presidente della commissione stragi ha definito “patologia del segreto”. Da quello che è emerso, è possibile ricavare qualche ulteriore indicazione sull’origine della scoperta del “noto servizio” (Sid parallelo).
L’attacco indiscriminato della Uno Bianca contro gli zingari e gli extracomunitari (foto sopra), al pacifico vivere quotidiano, serve soltanto a far scivolare lentamente il Paese nel caos.
Ecco allora che entra in azione una sigla minacciosa, quella della Falange armata, pronta a rivendicare ogni cosa oscura si muova nel Paese. Ed ecco che una ben individuata banda di poliziotti rapinatori può servire, per gettare un’intera regione nella paura e nel più assoluto disordine. Insomma il giochetto di sempre, già collaudato con la strategia della tensione e la stagione dello stragismo. In cambio della sua opera, la banda della Uno bianca ha potuto contare su un’impunità per il passato e su una certa mano libera per il futuro. La Uno bianca quindi, fu un’organizzazione dei servizi segreti.
Quel mistero chiamato ‘Falange armata’
Più di 500 telefonate in tre anni e mezzo. Sono loro, i «terroristi della disinformazione che lavorano in orario di ufficio». “Gente che ha la piena disponibilità di una rete informativa all’interno dell’apparato pubblico”, come ritiene la magistratura.
Sul mistero della Falange armata un piccolo squarcio era sembrato aprirsi nell’ottobre del 1993, quando alla Procura di Roma fu consegnato un foglietto autografo dell’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, che per un certo periodo diresse il Cesis, l’organismo di coordinamento tra gli 007 militari del Sismi e i civili del Sisde. In quel foglietto, temendo per la sua vita, Fulci aveva elencato 16 nomi e, mostrandolo al presidente della Commissione stragi Libero Gualtieri, gli aveva confidato: «Se mi uccidono, sarà stato uno di loro».
Secondo l’ambasciatore, quelle 16 persone rappresentavano il cuore pulsante del servizio segreto militare. Tutti paracadutisti formati nelle scuole di guerriglia e sabotaggio; tutti appartenenti alla VII
divisione del Sismi, quella da cui dipendeva Gladio; tutti arruolati dal generale P2 Pietro Musumeci, legatissimo a Licio Gelli, condannato a 8 anni di carcere per aver depistato l’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna del 1980. Tra questi nomi compare quello di un ufficiale di grosso spessore, Bruno Garibaldi, ultimo responsabile tra il 1987 e il ’90 della sezione addestramento speciale di Gladio e membro (secondo la magistratura bolognese), della famigerata sezione K del Sismi, formata da uomini addestratissimi, con licenza di uccidere, adibiti alle “operazioni sporche” del servizio, con a disposizione molto denaro. Della sezione K avrebbero fatto parte altri nomi compresi nella lista dell’ambasciatore, come Gaetano Marcoccio, Antonio Bonanni, Carlo Caporali, Carlo Marchionni, Antonio Nicolella e Mauro Morandi. Sarebbero loro (secondo Fulci) assieme a Roberto Scrocco, Giulivo Conti, Mauro Giannella, Luigi Masina, Paolo Martinello, Giuseppe Passero, Alessio Scaglietta, Giorgio Tolu e Giorgio De Santis i telefonisti della Falange armata. Il loro scopo? Seminare la disinformazione, depistare, tenere costantemente il Paese sotto pressione, per far sì che la struttura di potere di cui loro stessi fanno parte non perda di peso, ma anzi lo aumenti. Bisogna aggiungere che però, contro queste 16 persone indicate da Fulci, la magistratura non ha ritenuto di dover prendere alcun provvedimento, sono rimasti impuniti. Ma ai magistrati romani e bolognesi è rimasto un sospetto che, anche in questo caso, nasce da una coincidenza: l’inizio dell’attività della Falange armata (aprile 1990), avviene contestualmente con la scoperta da parte del giudice veneziano Felice Casson dei depositi clandestini di Gladio, scoperta che prelude alla scioglimento della struttura da parte del governo, alla decapitazione del Sismi e ad una stretta di maggior controllo, almeno sul piano formale, da parte del potere politico. Quali possono essere i collegamenti, i legami, tra la Falange armata e la banda della Uno bianca? Se sarà confermato che la Falange si annida nei servizi segreti, non è escluso che l’attività della Uno bianca, almeno nel periodo che va dall’ottobre del 1990 all’estate del 1991, sia stata aiutata dall’esterno. In altre parole la Falange potrebbe aver offerto coperture ai poliziotti assassini, magari soltanto attraverso l’inerzia delle strutture di intelligence dei servizi segreti. Che invece avrebbero dovuto sapere tutto di quella banda e di alcuni dei suoi componenti, così soliti a recarsi nei Paesi dell’Est europeo, dove erano in contatto con trafficanti di droga e di armi.
Con l’uscita di scena della banda della Uno bianca, cessa anche l’attività frenetica dei telefonisti della Falange armata. L’ultimo colpo messo a segno, questo sì davvero clamoroso, è dell’1/12/1994. La banda dei poliziotti killer è stata appena catturata quando un messaggio, uno stranissimo messaggio, appare sulla stampa. Qualcuno è riuscito a penetrare nel sistema informatico centrale dell’agenzia, qualcuno è riuscito a bloccare il sistema ed ha inserito un testo farneticante a firma, appunto, Falange armata. In esso l’organizzazione prende le distanze dagli uomini della Uno bianca, che definisce “terroristi idioti e incapaci con cui la nostra organizzazione non ha niente a che vedere. La Falange armata è molto di più, ve ne accorgerete perché il 1995 sarà un anno da ricordare nella storia. Questo attentato informatico è la dimostrazione che le nostre capacità non hanno limite”. Alla fine dell’inchiesta sulla Uno Bianca, la Falange armata risulta avere avuto un comportamento “parassitario” nei confronti dei Savi, godendo dei vantaggi che la loro azione criminale gli poteva offrire. La Falange armata ha consapevolmente gestito il medium telefonico ben sapendo che esso avrebbe attivato tutte le moderne tecnologie ed i mezzi di comunicazione di massa (stampa, televisione, radio). Ma quello della Falange armata non è solo terrorismo virtuale; nel corso dell’analisi dei contenuti delle rivendicazioni telefoniche è emersa una stupefacente capacità predittiva di questo misterioso soggetto destabilizzante. Il 3/12/1990, Roberto Savi chiarisce le ragioni dell’azione all’assalto al campo nomadi di Santa Caterina di Quarto: “aveva una finalità di depistaggio. In quell’assalto utilizzammo delle palle cosiddette super esplosive al fine di cagionare il minor danno possibile ai nomadi”. Si tratta di una cinica e sprezzante affermazione, tenuto conto che furono proprio quei proiettili ad alta velocità ad esplodere nel corpi delle vittime con effetti distruttivi e che, in presenza di tanta gratuita ferocia, non si spiega la preoccupazione di fare il minore male possibile ai nomadi che nessuno obbligava a sparare. Il 7 dicembre Roberto Savi insiste: “L’assalto al campo nomadi di Santa Caterina di Quarto lo compimmo io e Fabio. Usammo dei proiettili a frammentazione sx provenienti dall’America”.
Della banda della Uno bianca si conoscono solo alcuni degli esecutori materiali, un gruppo criminale composto per la gran parte da poliziotti che si rese responsabile di 24 omicidi e di 102 feriti, azioni senza un chiaro movente e caratterizzate da una ferocia omicida del tutto irragionevole.
La sede dei servizi segreti italiani si trova in piazza Dante, a Roma.
Il 22/1/2021 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affidato la delega ai servizi segreti a Pietro Benassi, suo consigliere diplomatico e già ambasciatore a Berlino tra il 2014 e il 2018.
In carcere gli sbirri arrestati della Uno Bianca (foto), li hanno messi sicuramente in cella di isolamento, non insieme agli altri detenuti, altrimenti i detenuti li facevano fuori, quei bastardi sbirri! Come diceva Shakespeare allora: ma con tutti questi controllori, chi controlla poi i controllori? Ci pensiamo Noi Anarchici, per rivendicare l’uccisione del compagno Giuseppe Pinelli, ucciso in questura a Milano nel 1969, perchè gli sbirri volevano incolparlo della strage di Piazza Fontana, lo hanno buttato giù dalla finestra della questura perchè continuava a insistere (mentre veniva interrogato e torturato per tre giorni), che la strage era una strage di stato! Gli Anarchici non uccidono civili innocenti, ma piuttosto li difendono dai soprusi e dalla violenza repressiva del potere dello stato e della chiesa.
Siamo anarchici perchè vogliamo la giustizia;
rivoluzionari perchè vediamo l’ingiustizia
regnare ovunque intorno a noi.
E. Reclus
Cultura dal basso contro i poteri forti stragisti
Rsp (individualità Anarchiche)