Oggi 27 giugno 2024, ricorre il 44° anniversario della strage di Ustica, dove persero la vita 81 persone.
Il 27/6/1980 il velivolo DC9 I-TIGI della compagnia Itavia decolla dall’aeroporto “Guglielmo Marconi” di Bologna. Sono a bordo 81 passeggeri, 64 adulti, 11 bambini tra i 2 e i 12 anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell’equipaggio. Il volo, con nominativo IH870, è diretto a Palermo e parte alle 20.08, con due ore di ritardo. L’atterraggio è previsto per le 21.13. Tutto procede regolarmente fino all’ultimo normale contatto radio tra il velivolo e Roma Controllo, avvenuto alle 20.58. Alle 21.04, chiamato per autorizzare l’avvio della fase di atterraggio su Palermo, il DC9 non risponde. Iniziano affannose ricerche e cominciano anche ad emergere dubbi inquietanti su quello che può essere capitato. Già alle 21.40 si ha qualche sospetto: dalle comunicazioni radio – ascoltate molto tempo dopo, durante l’inchiesta – si apprende infatti che «il personale di Roma aveva sentito traffico americano in quella zona». La mattina dopo, tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si comincia anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Nonostante tanti inquietanti interrogativi, le indagini si adagiano sull’ipotesi più tranquillizzante: la «tragica ovvietà» che purtroppo gli aerei cadono. E l’Aeronautica militare è molto attiva nel supportare l’ipotesi del cedimento strutturale. Un’ipotesi che sarà presto smentita (la Commissione ministeriale chiuse i propri lavori escludendo il cedimento strutturale), ma che continuerà inspiegabilmente a condizionare tanti atteggiamenti; tanto che il sospetto che si era diffuso circa la cattiva manutenzione del DC9 ha portato, nel gennaio 1981, alla chiusura e in seguito al fallimento della compagnia aerea Itavia.
Le indagini, che furono avviate dalle Procure di Palermo e di Roma e dal Ministero dei Trasporti, poco alla volta sulla vicenda scese il silenzio fino al 1986. Poi, stimolati da un’inchiesta giornalistica che indicava il DC9 quale vittima di una azione militare, un gruppo di politici e intellettuali si rivolgeva con un appello al Presidente della Repubblica perché «qualsiasi dubbio anche minimo sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari fosse affrontato». Nel 1988 nacque l’Associazione parenti delle vittime della Strage di Ustica, per iniziativa di Daria Bonfietti (foto sopra) sorella di una delle vittime, che ricorda: «Appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti sin dagli istanti successivi al disastro e operavano a vari livelli nelle nostre istituzioni democratiche per tenere lontana, consapevolmente, la verità». Si mobilitò l’opinione pubblica, scossa da una mancata verità che assumeva la dimensione dello scandalo. E l’opinione pubblica, in molti modi, fece sentire la sua pressione; ne seguirono due importanti effetti. Riprese vigore l’impegno della Magistratura: con due successive complesse campagne di recupero svolte a 3.700 metri di profondità, nel 1987 e nel 1991, fu acquisito il 96% del relitto del DC9. La vicenda poi divenne oggetto d’indagine della Commissione parlamentare Stragi, presieduta dal Senatore Libero Gualtieri, dal 1989. Quest’ultima giunse a segnalare comportamenti di militari italiani in servizio presso alcuni centri radar volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno. Come la Commissione, anche la Magistratura ritenne che la mancata ricostruzione della cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove, anche ad opera di appartenenti all’Aeronautica Militare Italiana.
Nel 1992, i vertici dell’Aeronautica all’epoca dei fatti furono incriminati per alto tradimento, «perché, dopo aver omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare […], l’ipotesi di una esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche informazioni errate». Gli imputati furono poi prosciolti per prescrizione nel 2004, e all’inizio del 2006 assolti dalla Cassazione.
Nel 1999, alla fine della più lunga e travagliata istruttoria della storia giudiziaria del nostro Paese, la sentenza istruttoria del Giudice Rosario Priore (foto sopra) affermò che «l’incidente al DC9 era occorso a seguito di azione militare di intercettamento». Il DC9 era stato coinvolto in una azione militare nel corso della quale un missile ne aveva causato la caduta. Alla fine delle indagini, dunque, oltre all’ipotesi del cedimento strutturale anche l’ipotesi di una bomba collocata a bordo, per lungo tempo contrapposta all’abbattimento nel corso di una operazione militare, si è rivelata un tentativo di sviare tanto le indagini quanto la consapevolezza dell’opinione pubblica. In una formula: depistaggio. Alla tragedia umana della morte di 81 persone, si è sommata la tragedia civile di uno Stato che non ha potuto né saputo fornirne una spiegazione. Così oggi, 27/6/2024, quel pagliaccio ipocrita del presidente della Rep. Sergio Mattarella (peggio di quel verme di Andreotti che stava con la Democrazia cristiana di destra e di sinistra), in occasione del 43° anniversario della strage di Ustica dichiara ai mass media: “Manca la verità”. Il presidente ricorda come “al tempo stesso la memoria sia anche trasmissione, ai più giovani [che non hanno più un futuro] dei valori di impegno civile che sorreggono la dignità e la forza di una comunità e le consentono di affrontare le circostanze più dolorose e difficili della vita”. “Nel cielo di Ustica, 44 anni or sono, si compì una strage di stato anticomunista organizzata dai servizi segreti dell’esercito Nato. Rimasero uccise tutte le 81 persone a bordo del DC9 in volo da Bologna a Palermo. La Repubblica fu profondamente segnata da quella tragedia, che resta una ferita aperta anche perché una piena verità ancora manca e ciò contrasta con il bisogno di giustizia che alimenta la vita democratica”. “La Repubblica (prosegue Mattarella) non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne. Nel giorno dell’anniversario desidero anzitutto rinnovare i sensi di una profonda solidarietà ai familiari delle vittime, che non si sono arresi davanti a opacità, ostacoli, distorsioni e hanno sempre cercato, pur in condizione di umana sofferenza, di fare luce sulle circostanze e le responsabilità della tragedia. Sulla strada della ricostruzione della verità, passi significativi sono stati compiuti. Ne offre testimonianza il Museo per la Memoria di Ustica, aperto a Bologna” (foto sotto).
Ma quante stragi di Stato abbiamo avuto in Italia?
Da Ustica a Bologna: le stragi di Stato Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904. Per 15 anni, dal 1969 al 1984, l’Italia è stato un paese insanguinato dalla logica del terrorismo di Stato, che ha fatto 150 morti, 652 feriti. Passò alla storia come il periodo dello “stragismo” e condizionò la vita democratica di un’intera nazione fino ai giorni nostri. I nomi degli uomini P2 stragisti erano: piduisti, golpisti, politici, esponenti dei servizi segreti e militari, manovalanza neofascista, tutti colpevoli, a vario titolo, di esecuzione materiale e depistaggio, di omissioni e occultamento della verità sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia degli anni ’70, pressappoco da piazza Fontana (Milano il 12 dicembre 1969) all’attentato alla stazione di Bologna (2 agosto 1980), passando per piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio del 1974).
Il Piano militare Nato anticomunista della strategia della tensione indicava quella serie di azioni terroristiche, ma non solo, dirette a impedire ogni sviluppo della politica italiana in senso riformista. Come è noto si trattò di una strategia che aveva come sfondo significativo la Guerra fredda (comunismo contro anticomunismo: comunismo: URSS – anticomunismo: Cia, USA, Nato) che, con diversi attori e articolazioni, non necessariamente dirette da un solo soggetto interno o esterno, in nome dell’anticomunismo e di una ottusa pregiudiziale nei confronti del Partito comunista limitò pesantemente la libertà e la democrazia italiane.
L’espressione ‘destabilizzare per stabilizzare’ esprime molto bene quali erano gli obiettivi degli attentati e dei mandanti, infatti non si trattava di fare dell’Italia un’altra Grecia (quella del colpo di stato militare del 1967 – o “dittatura dei colonnelli”), come viene chiamato il regime instaurato dai militari organizzatori del colpo di stato che durerà fino al 1974, ma si voleva bloccare la pace in una infinita glaciazione conservatrice imputando alla sinistra italiana il caos sociale e gli attentati.
Tuttavia quello che emerge è il profilo di uno Stato italiano che nonostante sia stato attraversato da zone oscure e da ignobili civil servants, è riuscito solo a far luce, almeno parzialmente, sui responsabili materiali delle stragi. L’Italia democratica ha retto di fronte alle spinte eversive del terrorismo di destra e sebbene con enormi difficoltà e lentezza è riuscita a fare luce sulle trame dei nemici della Repubblica. Sono riusciti ad individuare con precisione gli ambienti politici da cui la strategia eversiva è nata: i gruppi neofascisti e neonazisti e in particolare Ordine Nuovo. Gruppi che hanno intrecciato la loro attività con settori dei servizi segreti italiani e stranieri, delle forze armate, delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e di organizzazioni a cavallo tra la dimensione nazionale e internazionale, come la P2, nei suoi ulteriori oscuri intrecci con il mondo della criminalità organizzata. Cosa possono imparare gli storici, dalle sentenze e dai materiali dei processi, dal momento che la storia di quegli anni deve essere ancora scritta e insegnata? Tra giudici e storici ci sono dei punti in comune, già ne parlava in un grande saggio Piero Calamandrei. Uno storico, dalla lettura degli atti processuali può cogliere e argomentare meglio la continuità ideologica e l’identità di obiettivi politici dello stragismo laddove processi sono frammentati e stralciati in più parti; dove il magistrato è costretto a fermarsi nell’accertamento delle colpe individuali (il non luogo a procedere, si direbbe), lo storico invece può inserirsi e individuare le responsabilità storiche e intellettuali, e cercare di rendere meno insopportabile l’incompiutezza della verità giuridica. Il disegno politico della lega meridionale dietro al periodo delle stragi raccontato da Roberto Scarpinato: “Cosa Nostra assume ruolo di braccio armato e Gelli il gran maestro massone, sovvenzionatore…“. L’ex magistrato intervistato da Andrea Purgatori (foto sopra), inizia il racconto passando dal sud come regno delle mafie come pensato dai mafiosi e come spiegato da Graviano dal carcere. “Chi sono le menti raffinatissime e le mani che si muovono dietro gli attentati? Dove è la regia? Quali sono gli obiettivi nascosti dai depistaggi? Perché all’improvviso le stragi finiscono? Dietro le stragi di mafia: talpe, complici e vuoti a perdere”, la strategia eversiva di Cosa Nostra perseguita da Matteo Messina Denaro e dai fratelli Graviano, fin dalla prova generale dell’attentato a Rocco Chinnici primo capo del pool antimafia ucciso il 29/7/1983. Nel 2019 è stata commemorata la strage di piazza Fontana, avvenuta 50 anni prima, il 12 dicembre 1969: una bomba alla sede milanese della Banca nazionale dell’agricoltura causò 17 morti inaugurando l’epoca dello stragismo degli anni ‘70. Nelle celebrazioni ufficiali il sindaco di Milano Beppe Sala ha chiesto scusa alla famiglia del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli a nome della città, mentre il presidente della rep. Sergio Mattarella ha presenziato alla seduta straordinaria del consiglio municipale a palazzo Marino. Dopo 50 anni, possiamo assumere una prospettiva storica in grado di imporsi sul racconto giudiziario, su quello politico, su quello complottista, sulla cronaca e sulla narrazione letteraria e memoriale. L’ultima occasione in cui piazza Fontana era tornata potentemente nel dibattito pubblico era stata nel 2009, per il 40° anniversario, con la pubblicazione del libro di Paolo Cucchiarelli Il segreto di piazza Fontana (tre edizioni aggiornate, l’ultima nel 2019), che ha ispirato il fortunato film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage (2012), a cui era seguita una lunga scia di polemiche e prese di posizione. La tesi di Cucchiarelli e in parte del film era che a piazza Fontana fossero state collocate due bombe: i neofascisti veneti di Ordine Nuovo (a cui ormai viene attribuita unanimemente una responsabilità storica di molte stragi, ma che da un punto di vista giudiziario hanno ricevuto condanne e assoluzioni in parte contraddittorie) avrebbero infiltrato gli anarchici e li avrebbero usati per coprire la loro strage. Pietro Valpreda, tra i primi indagati (e poi scagionato), e altri suoi compagni anarchici avrebbero agito pensando di aver messo solo un ordigno dimostrativo (i loro attentati di solito non provocavano vittime): a fare la strage sarebbe stato un 2° ordigno, piazzato dai neofascisti, e loro si sarebbero trovati a essere indicati come colpevoli di un’azione da guerra civile. Tra gli ultimi testi usciti la tesi della doppia bomba non sembra trovare favore. La morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli il 15/12/1969, precipitato dalla finestra della questura di Milano dove si trovava, tra i primi indagati per l’attentato, per un fermo prolungato oltre i termini legittimi. Da un punto di vista giudiziario, l’ultima sentenza (del 1975, a firma del giudice Gerardo D’Ambrosio) attribuisce la sua morte a un “malore attivo”; sentenza che ha ovviamente lasciato moltissimi insoddisfatti e indignati. La furiosa ondata stampa e politica contro il commissario Luigi Calabresi e la squadra della questura di Milano considerati responsabili della morte di Pinelli, che coinvolse la maggior parte dei movimenti politici di allora e anche moltissimi intellettuali militanti e non. Una massa copiosa di canzoni, film, documentari, testi: da Pinelli. Una finestra sulla strage di Camilla Cederna, a Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo a Tre ipotesi sulla morte di Pinelli di Elio Petri con Gianmaria Volonté, a un famoso appello dell’Espresso con 750 e più firmatari, tra cui Umberto Eco e Norberto Bobbio.
Tra i più virulenti protagonisti di questa campagna ci fu il gruppo e il giornale di Lotta continua, di cui Adriano Sofri era un leader. L’assassinio di Luigi Calabresi la mattina del 17 maggio 1972, per il quale furono accusati nel 1988 e condannati definitivamente a 22 anni nel 1997 dopo un iter giudiziario tormentatissimo tre militanti di Lotta continua: lo stesso Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. Sofri ha scontato la pena, Bompressi è stato graziato, Pietrostefani è latitante in Francia. I tre si sono sempre dichiarati innocenti. Questo decennio appena trascorso sembra un decennio-luce; i testi usciti negli ultimi mesi riescono a spostare molto in avanti il percorso di conoscenza di quella stagione, e perfino nei toni il discorso pubblico sa oggi coinvolgere posizioni opposte per storia, militanza, analisi. Il vantaggio maggiore di alcuni di questi libri è poter partire da un riconoscimento delle memorie: lo shock chiamato “perdita dell’innocenza” di un’intera generazione politica che torna in molti dei testi su piazza Fontana. In questo senso è significativo anche il fatto che Licia Rognini e Gemma Capra, le vedove di Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, fossero entrambe presenti alla commemorazione di Mattarella. L’intelligenza di questi autori sta anche nel ribadire come la memoria non debba però appropriarsi delle prerogative della storia: per questo in diversi hanno messo tra parentesi i corollari di piazza Fontana (proprio la morte di Pinelli e l’omicidio Calabresi) e si sono concentrati sul prima e sugli effetti degli avvenimenti drammatici rispetto alla storia politica successiva. I neofascisti di Ordine Nuovo (che per questi attentati riusciti e falliti sono stati condannati in via definitiva) hanno ideato e sviluppato un programma terroristico per la destabilizzazione della democrazia italiana in senso autoritario, e lo hanno fatto per almeno un lunghissimo decennio in simbiosi con una rete di neofascismo internazionale e un apparato statale coinvolto ben oltre la dicitura “servizi segreti deviati”. La seconda è che la repressione poliziesca nei confronti dei movimenti di sinistra, e tra questi gli anarchici, è stata violenta, anche qui ben oltre quello che possiamo considerare uno stato di diritto giustificato dall’emergenza politica di quegli anni; i metodi adottati dagli uomini della questura di Milano furono deprecabili molto prima di piazza Fontana. La terza è che la pista anarchica fu pensata da subito come il capro espiatorio sul quale rovesciare un sistema accusatorio pieno di falle, strumentalizzazioni, testimoni non credibili e prezzolati, che servì a orientare l’opinione pubblica ma si dimostrò inconsistente dal punto di vista giudiziario. C’è stata una parte consistente degli apparati statali, a partire dal famigerato Ufficio affari riservati, che ha agito in modo criminale per più di un decennio, operando contro la costituzione e a favore di una svolta antidemocratica e neofascista. Non ha senso parlare di “servizi segreti deviati”, perché la presenza di questa comunità criminale all’interno delle istituzioni era massiva e organica; al tempo stesso però non ha senso, dopo aver letto il suo libro, usare l’espressione “strage di stato”. Una questione è quella della centralità del neofascismo nella storia della repubblica italiana, a partire per esempio dalla figura di Franco Freda (foto sotto), oggi uomo libero, a capo delle edizioni di Ar. È esemplare il saggio che gli dedica Elia Rosati in Dopo le bombe, leggendo anche Non ci sono innocenti – il romanzo scritto da Anna K. Valerio (moglie di Freda) e sua sorella Silvia Valerio – dove sono raccontate le imprese di Freda trasfigurato nel personaggio dell’Autocrate che appare come una specie di eroe bandito.
Report dedica una puntata speciale alla trattativa Stato-mafia, alle stragi del 1992 e quelle del 1993
Un filo nero collegherebbe l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 alle bombe di Capaci e via D’Amelio in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mafia, massoneria, terroristi di destra e servizi segreti deviati avrebbero contribuito per anni ad organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Una verità a cui probabilmente era arrivato Paolo Borsellino. Quando viene ucciso in via D’Amelio, sparisce l’agenda rossa che portava sempre con sé, dove conservava tutti gli appunti sulle indagini da lui svolte in prima persona sulla strage di Capaci. Che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino? I volti delle 5 donne che avrebbero partecipato alle stragi di via Palestro a Milano e via dei Georgofili. Gli identikit furono realizzati subito dopo l’esplosione delle bombe. Secondo la pista investigativa le 5 donne sarebbero esponenti di quei servizi deviati che potrebbero aver avuto un ruolo centrale negli attentati del 1993. Mafia, massoneria deviata, estrema destra e servizi segreti avrebbero contribuito a organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro Paese.
Per capire meglio il problema del potere della chiesa vi consigliamo di andare a vedere questi video:
Report – 28 maggio 2021: Documenti ESCLUSIVI – Trattativa STATO MAFIAhttps://www.youtube.com/watch?v=8rBaLaaBjaw
2021 – Report: Il vertice delle stragihttps://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-vertice-delle-stragi-c1381f23-950d-46f5-8f5f-7499a1bb2473.html
SERVIZI SEGRETI ITALIANI: La STORIA le SIGLE gli SCANDALI i MISTERIhttps://www.youtube.com/watch?v=h8cOlmbRu-w&t=679s
La Loggia MASSONICA Segreta in VATICANO: LEGGENDA o Verità SCOMODAhttps://www.youtube.com/watch?v=H5hLPtSM4W8
Il mistero della MORTE di PAPA LUCIANIhttps://www.youtube.com/watch?v=qYeB_smBMtQ&t=615s
28 giugno 2021: La Storia Proibita: i Segreti del Vaticanohttps://www.youtube.com/watch?v=q_nrgJ9DRVE&t=105s
L’improvvisa morte di Papa Luciani, gli affari oscuri dello IOR di Paul Marcinkus, le morti misteriose di Michele Sindona e Roberto Calvi, l’attentato a Papa Giovanni Paolo II ed i suoi risvolti internazionali, la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, la strage delle Guardie svizzere, passando per le ombre dell’Opus Dei.
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Lo stato è nato dalla forza militare;
si è sviluppato servendosi della forza militare;
ed è ancora sulla forza militare che
logicamente deve appoggiarsi per mantenere
la sua onnipotenza.
dal “manifesto internazionale anarchico contro la guerra” (1915)
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Nè col potere della NATO, nè col potere della Russia!
Anarchia l’unica via!!!
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Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)