30 marzo 2015
Ustica, lo stato ricorre contro condanna ministeri: “Familiari paghino spese”
L’avvocatura dello stato chiede il rigetto per prescrizione e chiede di porre a carico dei familiari il “pagamento delle spese di lite oltre che quelle prenotate a debito”. Il giudice monocratico di Palermo lo scorso ottobre aveva condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un risarcimento. L’avvocato dei familiari: “Avvocatura insensibile, rispetto nonostante la Cassazione. Si vuole depistare anche il depistaggio”.
È lo stato italiano, nella figura dell’avvocato dello stato Maurilio Mango, a chiedere alla Corte di appello civile di Palermo il rigetto delle domande di risarcimento che il tribunale ha disposto per alcuni familiari delle vittime della tragedia aerea di Ustica del 27/6/1980 quando il Dc9 Itavia s’inabissò in mare con 81 persone.
Il giudice monocratico di Palermo, Sebastiana Ciardo, lo scorso ottobre aveva condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire con 5 milioni 637.199 euro i 14 familiari delle vittime. E all’inizio di questo mese aveva condannato i ministeri a risarcire 4 familiari di Gaetano La Rocca, con poco più di un milione di euro (1.007.152).
La Suprema corte, il 22/10/2013, aveva “consacrato” la tesi del missile ribadendo il depistaggio che fu innescato per nascondere cosa avvenne nei cieli italiani.
Attraverso un altro giudizio pendente presso la Corte d’ Appello di Palermo, dovrebbe essere confermata la responsabilità dello stato per depistaggio. L’avvocatura dello stato continua a mantenere un atteggiamento dispersivo, soffermandosi ulteriormente su un percorso che avrebbe dovuto già essere abbandonato e non proseguito. Tale condotta è definibile affermando che si vuole depistare perfino il depistaggio che ha determinato la inutile e sterile perdita di tempo. “Provvederemo ad eseguire le sentenze già emesse, visto il mancato risultato della richiesta fatta al Governo di sederci ad un tavolo per raggiungere una transazione in armonia a principi di solidarietà sociale previsti dall’articolo 2 della Costituzione”.
Ma andiamo ad analizzare che cosa successe quel giorno:
Il 27/6/1980 ci fu la strage di Ustica. Un aereo di linea Douglas DC-9 della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall’Aeroporto di Bologna e diretto all’Aeroporto di Palermo, si squarciò in volo all’improvviso e cadde nel braccio di mare compreso tra le isole tirreniche di Ustica e Ponza. Nell’evento persero la vita tutti gli 81 occupanti dell’aereo.
Nel 2007 l’ex-presidente della repubblica Cossiga, all’epoca della strage presidente del Consiglio, ha attribuito la responsabilità del disastro a un missile francese «a risonanza e non ad impatto» destinato ad abbattere l’aereo su cui si sarebbe trovato il dittatore libico Gheddafi. Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime inflitta in sede civile ai ministeri dei trasporti e della difesa dal Tribunale di Palermo….
I procedimenti penali per alto tradimento a carico di alcuni esponenti dei vertici militari italiani, cui si ascrisse che avrebbero ostacolato le indagini, si sono conclusi con l’assoluzione degli imputati…..
Il 28/6/1989 il giudice Bucarelli rinviò a giudizio per falsa testimonianza aggravata e concorso in favoreggiamento personale aggravato, 23 tra ufficiali e avieri in servizio il giorno del disastro. L’ipotesi accusatoria fu che i militari, con una vasta operazione di occultamento delle prove e di depistaggio, avrebbero tentato di nascondere una battaglia tra aerei militari, nel corso della quale il DC-9 sarebbe precipitato.
Nel 1989 l’agenzia di stampa libica Jana preannunciò la costituzione di un comitato supremo d’inchiesta sulla strage di Ustica: Tale decisione è stata presa dopo che si è intuito che si è trattato di un brutale crimine commesso dagli USA, che hanno lanciato un missile contro l’aereo civile italiano, scambiato per un aereo libico a bordo del quale viaggiava il leader della rivoluzione.
Il processo sulle cause e sugli autori della strage in realtà non si è mai tenuto in quanto l’istruttoria relativa definì “ignoti gli autori della strage” e concluse con un non luogo a procedere nel 1999. Il reato di strage non cade comunque in prescrizione per cui, se dovessero emergere nuovi elementi relativi, un eventuale processo potrebbe essere ancora condotto.
Il processo complementare sui fatti di Ustica, per la parte riguardante i reati di depistaggio, imputati a carico di alti ufficiali dell’aeronautica militare italiana, è stato invece definitivamente concluso in Cassazione nel gennaio del 2007, con una sentenza che rinnega si siano verificati depistaggi….
«L’inchiesta», si legge nel documento, «è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana che della NATO, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto».
La strage al DC-9 fu un’azione militare, un’azione di guerra non dichiarata, un’operazione di polizia internazionale (stato di polizia) coperta, contro l’Italia, di cui sono stati violati i confini e i diritti.
Il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, una sentenza emessa dal giudice civile Paola Proto Pisani, ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 42 familiari delle vittime della Strage di Ustica.
Durante il processo, i due ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro (il tribunale ha stabilito che il cielo di Ustica non era controllato a sufficienza dai radar italiani, militari e civili, talché non fu garantita la sicurezza del volo e dei suoi occupanti) e fu ostacolato l’accertamento dei fatti.
Infatti, secondo le conclusioni del giudice di Palermo, nessuna bomba esplose a bordo del DC-9, bensì l’aereo civile fu abbattuto durante una vera e propria azione di guerra che si svolse nei cieli italiani senza che nessuno degli enti controllori preposti intervenisse. Inoltre, secondo la sentenza, vi sono responsabilità e complicità di soggetti dell’Aeronautica Militare Italiana che impedirono l’accertamento dei fatti attraverso una innumerevole serie di atti illegali commessi successivamente al disastro. Il 28/1/2013 la Corte di Cassazione, nel respingere i ricorsi dell’avvocatura dello stato ha confermato la precedente condanna, sentenziando che il DC-9 Itavia cadde non per un’esplosione interna, bensì a causa di un missile o di una collisione con un aereo militare, essendosi trovato nel mezzo di una vera e propria azione di guerra. I competenti ministeri furono dunque condannati a risarcire i familiari delle 81 vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. La sentenza fu accolta favorevolmente dall’associazione dei familiari delle vittime.
Un altro parere sulla Strage di Ustica:
Tutto ha inizio alle 20.08 del 27 giugno 1980.Dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna,decolla un DC9 dell’Itavia diretto all’aeroporto Punta Raisi di Palermo con a bordo 81 persone, è un volo normale,ordinario,con a bordo gente comune, un volo breve. L’aereo si immette nell’aerovia Ambra 13, ossia l’autostrada aerea che il volo deve seguire per arrivare a Palermo, il radar di Ciampino riceve il segnale inviato dal transponder del dc9 e tutto procede alla normalità. All’improvviso, alle 20.26, succede qualcosa di strano, l’aeroporto di Ciampino e quello militare di Ferrara chiedono al Dc9 di identificarsi, perché?Non c’e già il transponder che manda tutte le informazioni? Da Ciampino rispondono che il segnale era confuso, secondo il radar erano usciti fuori rotta,ma i due piloti dicono di non essersi spostati dalla aerovia. Strano. Il volo procede, a bordo l’equipaggio ride e scherza,alle 20.57 il pilota contatta Punta raisi per l’atterraggio,ma alle 20.59 il Dc9, all’improvviso sparisce dai radar, non si trova. Che fine ha fatto il jet dell’Itavia? Che fine hanno fatto le 81 persone a bordo? Due ore dopo era già chiaro a tutti che il Dc9 era precipitato, ma per quale motivo? Aveva appena fatto la revisione, era in ottimo stato, comincia quindi a nascere in alcuni giornalisti l’idea di un abbattimento,subito scartata dall’aeronautica, per loro infatti si tratta di una bomba scoppiata all’interno dell’aereo, ma messa da chi? Non si sa. La magistratura apre un inchiesta, vengono richiesti i tracciati radar di Ciampino, Licola e Marsala, subito si capisce che c’è qualcosa che non va. Il radar di Licola è manuale e i tracciati vengono scritti a mano, ma quando i magistrati chiederanno il registro, risulterà inspiegabilmente scomparso. A Marsala il radar era spento per un esercitazione che dura di norma solo 4 minuti, ma quella sera il radar è rimasto spento per ben 39minuti, perché? I magistrati richiederanno comunque i tracciati il 14 luglio, ma l’aeronautica glieli consegnerà solo il 3ottobre. Gli inquirenti non trovando risposta dalle indagini portano i tracciati di Ciampino da degli esperti a Washington, che studiandoli giungeranno alla conclusione, che un aereo non identificato avrebbe seguito il dc9 e poi con una rapida virata avrebbe attuato una manovra d’attacco tipica dei caccia, perché un caccia seguiva il dc9? Perché mai avrebbe dovuto attaccarlo? Non si sa, per l’aeronautica era il radar che non funzionava bene. Il 18 luglio precipita sui monti della Sila un mig libico, dall’autopsia il corpo del pilota risulta essere in avanzato stato di decomposizione,per i medici è morto intorno al 27 giugno, ma poi ritireranno la perizia e il corpo del pilota coi resti dell’aereo sarà mandato frettolosamente in Libia, coincidenza?Cosa ci faceva un mig libico sui monti della Sila? Per l’aeronautica stava andando a far riparazioni in Serbia. Va bene, ma allora perché il pilota era morto da giorni? Non si sa. Intanto in Italia l’inchiesta crea sempre più scalpore, ci sono i parenti delle vittime che vogliono scoprire la causa della morte dei loro familiari, sarà in questi anni che il giornalista Andrea Purgatori, per definire l’ostilità dell’aeronautica e dei servizi a cedere informazioni, conierà l’espressione “muro di gomma”. Ma nonostante gli ostacoli e le avversità l’inchiesta prosegue, si scopre che anche i radar di Martina Franca, Poggioballone, Ferrara, Potenza e Siracusa potevano vedere il dc9. Martina Franca non ha visto nulla, idem Potenza, Siracusa era spento, anche se doveva rimanere acceso perché quello di Marsala era spento per l’esercitazione. A Poggioballone, sui registri dei tracciati radar la pagina del 27giugno non c’è più, è stata tagliata. Da chi? Perché? La scomparsa del dc9 non fu l’unica cosa di strano successa quella sera, infatti da Grosseto si alzarono in volo due caccia F104 dell’aeronautica con a bordo due istruttori, alle 20.26, mandarono un segnale in codice di emergenza generale, perché? Lo ripeterono anche 7minuti dopo, perché? I magistrati non poterono più interrogare i due istruttori dell’aeronautica, che nel frattempo erano morti in un esercitazione in Germania. Coincidenza? Stranamente chi quella sera aveva visto qualcosa di strano oggi non c’è più, come il maresciallo in servizio a Poggioballone, trovato impiccato ad un albero a Grosseto o come il maresciallo Parisi in servizio a Marsala trovato impiccato ad un albero pochi giorni prima di presentarsi davanti al giudice. Troppe coincidenze? O c’è qualcuno che ci vuol nascondere qualcosa?? Su Ustica sono state fatte infinite ipotesi, ma non è stato trovato nessun colpevole. I vertici dell’aeronautica, del Sismi e del Sisde, che hanno ostacolato per un decennio le indagini avevano una sola cosa in comune: erano tutti membri della loggia massonica P2, erano tutti agli ordini di un solo uomo, Licio Gelli. Lo stesso Licio Gelli non agiva da solo, era stipendiato già da 40 anni dal governo Usa, infatti Licio Gelli negli anni della II guerra mondiale era un agente dell’OSS, ossia i servizi segreti americani prima della CIA, poi dal ’56 intraprenderà una splendida carriera all’interno di Gladio fino alla fine degli anni ’60, quando il Gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Gamberini, su volere della massoneria americana, decide di metterlo a capo, col grado di Maestro venerabile, della loggia Propaganda 2. Perché? Non si sa nemmeno questo. Una risposta si può trovare se si analizza attentamente il contesto storico in cui è avvenuto tutto questo; bisogna ricordare che si era ancora in guerra fredda, e la stabilità del pianeta si basava su equilibri molto fragili. E’ interessante leggere la dichiarazione di un ex-membro di Gladio, apparsa alcuni anni fa nel libro “L’ultima missione”. Secondo quest’uomo, in quegli anni l’U.R.S.S. aveva un immensa flotta navale, la Sovmedron, ancorata a Sevastrol in Crimea, che in caso di utilizzo sarebbe dovuta passare per lo stretto dei Dardanelli che era tenuto sotto controllo dai turchi, che essendo alleati della NATO, in caso di guerra avrebbero distrutto la flotta durante il passaggio. Quindi bisognava trovare un porto “amico”nel mediterraneo, solo che a causa delle caratteristiche pessime dei loro porti ne’ Siria, ne’ Libia potevano offrire ospitalità ai sovietici, rimaneva solo l’isola di Malta che aveva da poco ottenuto l’indipendenza e che aveva degli immensi porti, costruiti dagli inglesi nel corso degli anni. Malta, grazie alla sua posizione geografica era perfetta, e quindi Gheddafi iniziò subito a mandare aiuti e militari a Malta, quasi tutti i piloti di aerei ed elicotteri erano libici, tutta la struttura statale maltese era in mano libica. Ma i reparti speciali di controspionaggio italiani, ossia Gladio, non rimasero a guardare e si accordarono a nome dello stato italiano col premier Don Mintoff attraverso un trattato che avrebbe sostenuto l’indipendenza di Malta e la sua economia con sostanziosi finanziamenti a fondo perduto per 90 milioni di dollari annui dell’epoca: una cifra enorme per la piccola isola, a patto però che ogni militare straniero lasciasse immediatamente l’isola e che l’isola si impegnasse a non concedere a nessuno le sue basi militari. Secondo questo membro di Gladio, Gheddafi volle dare un avvertimento all’Italia abbattendo il Dc9, infatti la sera del 27 decollò da Tripoli un mig col compito di abbattare quell’aereo, ma fu intercettato poco dopo da due caccia e abbatuto sui monti della Sila.
Andreotti a destra e Licio Gelli al centro
Un interessante articolo del 2013 sul recupero del relitto:
USTICA: UNA STRAGE IMPUNITA DI STATI. PROVE OCCULTATE
– di Gianni Lannes –
In fondo al Tirreno, ci sono due missili mai recuperati (uno di fabbricazione israeliana e l’altro francese). Ecco le coordinate: 39°43′0″N 12°55′0″E.
Nella Repubblica degli omissis, i depistaggi classici sono imbastiti mediante distrazioni provvidenziali, ritardi clamorosi o errori giudiziari.
La mattina del 22/5/1988 il Nautile esplora le profondità tirreniche alla ricerca dei rottami del DC Itavia precipitato il 27/6/1980, a causa di un misterioso attacco militare, avvenuto mentre percorreva la rotta Ponza-Palermo sull’aerovia Ambra 13.
Sul minuscolo sommergibile sono imbarcati due operatori dell’Ifremer, la società francese che ha avuto l’incarico di procedere al recupero dei resti dell’aereo. L’area in cui è stato individuato il relitto è a 3.700 metri di profondità. I fari del sommergibile illuminano il fondo che si intravede come una massa grigio brillante nelle immagini trasmesse in superficie alla nave appoggio Nadir. Gli operatori sono immersi in un mondo silenzioso dove sentono solo il ronzio della macchina da ripresa e le loro parole. Alle 11,58 appare sul fondo una forma particolare, che potrebbe essere il corpo di un missile. Uno dei due operatori scandisce il termine: “missile”. Dalla registrazione si sente chiaramente l’inconfondibile pronuncia francese: “misil”.
L’immagine scompare dopo qualche secondo. Continua la monotona visione del fondo marino sabbioso. D’improvviso il nastro si divora una manciata di minuti. Qualcosa è stato tagliato: immagini o parole? L’esplorazione continua. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile, un trapezio isoscele con un corpo allungato. Alle 14,34 sul nastro scorre l’immagine dello stesso oggetto da un’altra angolazione. Le ricerche dell’Ifremer vengono sospese tre giorni dopo. Il 26 giugno si effettua una verifica sul fondo per prendere nota della quantità di reperti non recuperati. Il direttore tecnico dell’Ifremer, l’ingegner Roux, rivela in un’intervista che lo stop è stato dato dall’ingegner Blasi, il perito incaricato dai magistrati di supervisionare le operazioni di recupero.
I reperti tirati a galla sono stati concentrati in un hangar d’aeroporto dell’Aeronautica militare tricolore (l’Arma azzurra che ha concretamente depistato ed inquinato le indagini). La tecnica più avanzata per risalire alla causa di un disastro aviatorio è quella di costruire una sagoma di legno dell’aereo perduto e di far combaciare i pezzi recuperati. Se questo si fosse fatto subito si sarebbe notata già allora la corrispondenza tra due fori di forma trapezoidale, come se il tratto motore di un missile avesse attraversato l’aereo da parte a parte.
I pezzi del Dc9 recuperati sono rimasti ammucchiati alla rinfusa. Delle due sagome di missili, viste durante le riprese del 22 maggio nell’area marina in cui si trovava il relitto, non c’è traccia fra i rottami. Né vengono fuori tra quelli portati in superficie durante la seconda operazione di recupero, affidata ad una società inglese dopo che si sono scoperti i legami dell’Ifremer con i servizi segreti francesi. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di esaminare i nastri dell’operazione Ifremer: è in questa fase che si notano le due sagome di missili sul fondale subacqueo.
Secondo un primo sommario tentativo di identificazione si tratta di un Matra R 530 di fabbricazione francese e di uno Shafrir israeliano. Quel tipo di Matra è lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri, con ingombro alare di 110, pesa 195 chilogrammi. L’ordigno è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a tre chilometri di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 chilometri con la guida radar semiattiva. L’altro tipo di missile è lungo 2,5 metri, ha 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 chilogrammi ed ha una gittata di 5 chilometri. Entrambi sono missili usati per la dotazione dei caccia da Paesi occidentali e da Israele.
Quando il volo IH 870 è posizionato a 43 miglia a sud di Ponza, il controllo di Roma Fiumicino autorizza il pilota a prendere accordi con il controllo di Palermo per iniziare la discesa verso Punta Raisi. Sono le 20:56: in quel preciso momento il DC 9 naviga a 25.000 piedi (7.620 metri) e dista ben 129,5 miglia nautiche dal radar di Fiumicino. Tutti gli aerei civili hanno a bordo uno strumento che si chiama trasponder: trasmette automaticamente ai radar del controllo aereo i dati di identificazione e di quota. L’ultimo segnale del trasponder del DC9 riporta alle 20,59 minuti la posizione dell’aereo esattamente a 25 mila piedi. Poi il vuoto di informazioni. Il pilota non risponde più alle chiamate del controllo aereo. I servizi radar civili non ricevono più segnali. La sigla IH 870 rimbalza nell’etere con affannosi appelli che non ricevono nessuna risposta, neppure dal Rescue Coordination Center di Martina Franca che li capta, una località in provincia di Taranto, che ospita nelle viscere di un sorvegliatissimo promontorio (mascherato da una riserva naturalistica), un’importante base di comunicazioni, utilizzata sia per il soccorso aereo sia come terminale del NIVS (Nato Integrated Communications System).
La base Imaz, nome in codice di Martina Franca, è uno de centri nevralgici delle rete di comando e controllo della NATO. E’ inserita in una maglia di comunicazione che già allora operava attraverso l’integrazione della rete satellitare col troposcatter: un sistema utilizzato per coprire le lunghe distanze mediante la riflessione di onde radio nella troposfera. In altri termini, le antenne di questo dispositivo militare ascoltano, commutano e rilanciano tutte le informazioni che transitano per le linee collegate con i comandi NATO in Italia. La base ha anche la funzione di coordinamento della difesa radar nel centro e sud Italia. Il SOC (Sector Operations Center) di Martina Franca ha il controllo operativo sui gruppi radar di Jacotenente (Gargano), Licola (Napoli) e Siracusa che svolgono funzioni di avvistamento e di guidacaccia (Control and Reporting Center) nei cieli meridionali.
Oltre ad orecchie belliche acutissime la Puglia vanta una finissima vista radar. I suoi potenti e pericolosi (a causa delle radiazioni ionizzanti dal punto di vista sanitario ed ambientale) sensori disseminati fra il centro e il sud sono integrati nel NADGE (Nato Air Defence Ground Environment), l’ombrello radar dela NATO, che assicura una rete di avvistamento e intercettazione nei cieli europei estesa dalla Norvegia alla Turchia. Nel 1980 l’RCC era comandato dal tenente colonnello Gugliemo Lippolis, che poteva chiedere l’intervento di due sottocentri (RSC) di Ciampino (Roma) e di Elmas (Cagliari), e utilizzare aerei e navi forniti dall’Aeronautica e dalla Marina Militare.
Una fonte confidenziale che ho condotto a deporre dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, Amelio e Monteleone, all’epoca sottufficiale dell’Aeronautica nel centro radar di Jacotenente mi ha rivelato – fornendo riscontri – che “quella sera c’era la guerra” e che “il Governo USA pagava loro un doppio stipendio in nero per tenere la bocca chiusa e fare cose fuori dall’ordinario”. A questa persona in procinto tempo fa di fare rivelazioni scottanti, l’Arma Azzurra ha riservato addirittura un trattamento sanitario obbligatorio, facendolo sparire per un mese senza avertire la famiglia (la moglie aveva sporto denuncia ai carabinieri). Inoltre, le forze armate nordamericane, sempre in Puglia avevano a quel tempo una base di intercettazioni del famigerato sistema Echelon, ubicata a San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi (chiusa nel 2004 e ceduta allo Stato italiano per la cifra simbolica di 1 dollaro. A causa dell’elevatissimo livello di inquinamento provocato dalle attiività militari dei cosiddetti “alleati”, il sito risulta tuttora abbandonato tanto da aver subito una visita di ispezione parlamentare e due incendi dolosi.
Il giudice Rosario Priore nella sentenza-ordinanza del 31 agosto 1999 ha ricostruito “uno scenario di guerra” per quella sera.
Sono passati 33 anni dalla strage nel cielo di Ustica. Uno di quei due missili che sono ancora in fondo al Tirreno è stato lanciato contro l’aereo civile, e l’ha trapassato come un panetto di burro.
Le ultime scoperte dei periti di parte civile hanno confermato definitivamente che il Dc 9 Itavia è stato abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera dell’aereo. Il flap è il congegno che consente di aumentare la superficie dell’ala durante le manovre di decollo e atterraggio per far fronte alla riduzione di velocità. Nel foro non si era mai guardato. Per la curiosità di un perito si è frugato all’interno e in una delle cellette rettangolari che costruiscono la travatura del flap sono spuntate le 31 sferule del diametro di tre millimetri. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testata a frammentazione di un missile. Il getto violentissimo di un anello di sferule d’acciaio è il caratteristico effetto di una testata a frammentazione che esplode a distanza ravvicinata. Dall’esame di due fori sulla fusoliera e di alcune deformazioni dell’arredo interno del Dc9 alcuni periti hanno anche tratto la convinzione che dopo l’esplosione della testata di un missile del tipo descritto, il tratto contenente il motore abbia attraversato da parte a parte l’aereo. Il mancato recupero dal fondo del Tirreno dello Shafrir e del Matra ha impedito di fare una verifica probabilmente essenziale per scrivere l’ultimo capitolo del mistero di Ustica.
Lo stato non condanna sé stesso e lascia sempre impuniti i suoi apparati militari clandestini….
Ne’ dio ne’ stato ne’ servi ne’ padroni: fuori i militari e i preti dai coglioni!!!
Rsp (individualità Anarchiche)