Il 20 ottobre la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese si difendende giustificando le tante bastardate e contraddizioni messe in atto dalle forze del disordine durante le manifestazioni di questi giorni, dichiarando ai mass media che:
“Gli agenti non sono uno “strumento di oscure finalità politiche: è un’accusa ingiusta, che getta un’ombra [occulta! capirai che novità…] inaccettabile sull’operato delle forze dell’ordine”. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese tenta di mettere fine a fiumi di polemiche e insinuazioni arrivate dopo 10 giorni di tensioni in piazza per le manifestazioni dei No Pass, cominciate con gli scontri a Roma dello 9 ottobre, passando per i tafferugli a Milano sabato scorso e culminate nello sgombero dei manifestanti al porto di Trieste. Cerca ancora di creare quell’atmosfera di terrorismo psicologico (loro sono abituati fin dagli anni ’70), rilanciado un allarme, chiarendo che “la protesta è intenzionata a non fermarsi”, già in vista della prossima settimana: “ci attende un periodo ancora molto impegnativo, che peraltro vedrà a fine ottobre lo svolgimento del G20”.
Ma la contraddizione più grossa di tutta questa pagliacciata (paragonabile all’organizzazione classica dell’italiano medio), è avvenuta quando i fasci (erano già il braccio armato della destra Andreottiana cattofascista e anticomunista), il 9 ottobre a Roma (è dagli anni ’70 che ce li troviamo in mezzo ai coglioni), assaltano la sede della Cgil senza che nessuno disturbasse la loro manifestazione, il loro assalto cattoliberalfascista (alla faccia della costituzione antifascista…). Se fossimo stati noi, sognatori utopisti Anarchici, ci trattavano come al G8 di Genova nel 2001: sparandoci, torturandoci, intossicandoci coi lacrimogeni e denunciandoci.
Il problema è che qua in Italia è ancora proibito parlare o aprire il dibattito per capire bene cosa è stata la strategia della tensione (stragi di stato, colpi di stato), e chi erano i partigiani bianchi. Noi qui non abbiamo potuto permetterci di aprire un dibattito sui partigiani bianchi e sui loro piani militari anticomunisti: è questo il problema principale! Quindi non possiamo ancora mettere in discussione le tante contraddizioni e incoerenze provocate dai servizi segreti e dalle forze dell’ordine (disordine) durante la lotta di classe. Ancora oggi è Top Secret, è ancora proibito discutere delle contraddizioni avvenute negli ultimi 100 anni…
Ma la cosa più assurda è che la ministra dell’interno Luciana Lamorgese, anche davanti all’evidenza della solita prassi bastarda eseguita dalle forze del disordine, vuole lo stesso motivarle e giustificarle (come se noi ci fossimo dimenticati i crimini impuniti della P2, della Gladio e di tutti i gruppi militari occulti che hanno attivato la strategia della tensione): “c’è stata una lettura politica che tende ad accreditare la tesi di un disegno assecondato da comportamento delle forze dell’ordine, devo respingere fermamente questa lettura”, perché essa “insinua il dubbio che le forze della polizia si prestino ad essere strumento di oscure finalità politiche”.
Non è un dubbio, è una macabra certezza che si ripete da troppo tempo!
L’11 ottobre i mass media scrivono che sono stati aperti due fascicoli di indagine avviati dalla Procura di Roma in relazione agli scontri avvenuti sabato nel cuore della Capitale. Gli indagati sono 6, ritenuti promotori della rivolta, con l’irruzione nella sede della Cgil, tra cui Roberto Fiore, Giuliano Castellino di Forza Nuova, l’ex Nar Luigi Aronica, l’attivista Pamela Testa e il leader del movimento IoApro, Biagio Passaro. Per loro i magistrati contestano, al momento, i reati di istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio.
Cara ministra dell’interno Luciana Lamorgese, i gruppi clandestini occulti dello stato, erano il problema più grosso da affrontare in quel periodo in Italia (purtroppo ancora oggi). Il giudice Casson temeva nel 1990 per il trasferimento a Roma dell’indagine su Gladio. Era accaduto 15 anni prima, al suo collega Giovanni Tamburino, allora titolare dell’inchiesta sul gruppo militare (occulto) eversivo ‘Rosa dei venti’. Il processo si concluse (appunto), con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Ma puntualizziamo meglio gli eventi:
Fu Giancarlo Porta Casucci, un medico di La Spezia, a raccontare cos’era l’organizzazione militare Rosa dei venti. Il 29/11/1973 consegna in questura i documenti di una organizzazione eversiva: c’ è il programma di un colpo di stato. La pista nera porta a Padova, dove la procura della rep. apre un’inchiesta: in due mesi i giudici Luigi Nunziante e Giovanni Tamburino ordinano l’arresto di 10 esponenti del neofascismo veneto, ligure e toscano, tra i quali il dirigente della Cisnal di Verona Roberto Cavallaro e il colonnello Amos Spiazzi, alto ufficiale di artiglieria a Verona. Cavallaro, considerandosi abbandonato dal Sid, decide di collaborare con la magistratura. Dagli interrogatori emerge una ragnatela di complicità tra alti ufficiali, dirigenti dei servizi, politici, industriali, finanzieri come Michele Sindona. Il 30/10/1974 viene arrestato Vito Miceli, allora capo del Sid, affiliato alla loggia massonica P2. L’ accusa è cospirazione politica. Tre settimane dopo l’arresto di Miceli, la Cassazione ordina il trasferimento dell’inchiesta da Padova a Roma, per unirla a quella sul golpe Borghese condotta dal giudice Filippo Fiore e dal pm Claudio Vitalone. Sulle parti più inquietanti della deposizione di Cavallaro viene posto il segreto militare. Il processo inizia il 30/5/’77, dopo 118 udienze Vito Miceli è assolto. Sono invece condannati 46 imputati minori tra cui Amos Spiazzi e Roberto Cavallari. Il 27/11/1984 la corte di assise di appello nega che ci sia mai stato un tentativo di golpe ed assolve tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.
L’indagine padovana sulla Rosa dei venti fece emergere l’esistenza di un’operazione militare definita “Nuclei per la difesa dello Stato”: fu ideata per potenziare il dispositivo anticomunista nella fase più acuta degli scontri tra frange estremiste dal 1964 al ’73 (piano Solo: i cattofascisti Andreotti e Cossiga contro i cattosinistroidi Edgardo Sogno e Moro, che però, quando dovevano mangiare tutti assieme, andavano d’accordo…).
La Rosa dei venti era un’organizzazione clandestina paragonabile a Gladio, una sorta di filiale locale di un servizio di intelligence NATO operante parallelamente (e su un piano superiore) rispetto ai servizi ufficialmente riconosciuti.
Inoltre, scrive ancora il giudice Salvini: il colonnello Amos Spiazzi, già imputato nel processo alla Rosa dei Venti, ha voluto spiegare quale fosse effettivamente, a cavallo degli anni ’70, il suo ruolo svelando di avere diretto la Legione di Verona dei Nuclei Difesa dello Stato, una sorta di seconda Gladio che ha operato fra il 1968 e il ’73. Poiché tale struttura era coordinata dallo Stato Maggiore dell’Esercito e quindi era in qualche modo “ufficiale”, Spiazzi ha voluto così rivendicare a sé il “merito” di avere guidato una struttura formalmente illegale ma, secondo la sua visione, sostanzialmente lecita, intendendo per legalità sostanziale, il fine di difendere la penisola dal pericolo comunista (1949: Patto Atlantico – anticomunista).
Inoltre si deve tenere in considerazione che mentre avviene l’inchiesta del giudice Tamburino, coinvolgendo ufficiali e uomini dei servizi segreti, negli stessi mesi del 1974 avvengono alcune stragi, quella di Brescia e quella dell’Italicus, oltre che altri attentati terroristici gravi ai treni. Tutto questo faceva parte del Piano militare Nato anticomunista Stey behind.
L’organizzazione militare Rosa dei Venti, è protagonista anche nelle lotte fasciste in Alto Adige. Fascisti come Norbert Burger e Peter Kienesberger avrebbero cooperato strettamente col SIFAR. Contestualmente, sarebbero stati attivi in Alto Adige numerosi funzionari dei servizi, tra cui Carlo Ciglieri, Giulio Grassini, Federico Marzollo ed Angelo Pignatelli. Significativamente, gravitavano al contempo nella medesima area, neofascisti vari, tra cui Franco Freda, Carlo Fumagalli, esponente del Movimento di Azione Rivoluzionaria, l’ordinovista Elio Massagrande e Sandro Rampazzo. Ritornando all’indagato Miceli, questi riuscì a trascorrere poco tempo in carcere, giocando proficuamente la carta del silenzio, cui lo costringeva, a suo dire, il segreto politico-militare a riguardo di un “Super SID” che egli del resto non ebbe mai a smentire.
Ma il problema del potere fascista non è mai sparito ed è sempre rimasto protetto dalla borghesia imprenditoriale e militare (P2: loggia massonica formata da alti gradi delle forze dell’ordine).
Il 19 ottobre i mass media scrivono che, la polizia di Napoli (!?), ha eseguito delle perquisizioni domiciliari nei confronti di 26 persone indagate per associazione sovversiva di matrice neonazista e suprematista. Le perquisizioni interessano le province di Napoli, Caserta, Avellino, Siena, Roma, Torino, Ragusa, Lecce e Ferrara.
Ma non finiscono qua le malefatte dei cattosinistroidi: sempre il 19 ottobre, la procura di Firenze fa pubblicare le indagini sulle presunte irregolarità nei finanziamenti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche di quel mediocre di Renzi. Sono 11 le persone indagate destinatarie dell’avviso di conclusione indagini, tra cui lo stesso attuale leader di Italia Viva, l’egocentrico Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’ex presidente di Open Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Coinvolte nell’inchiesta anche 4 società. Tra i reati contestati a vario titolo nell’inchiesta, compaiono: il finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio, traffico di influenze.
Ricordiamoci anche del sequestro del democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. La lotta contro le istituzioni, fu l’occasione per imporre una situazione di imminente guerra civile. In questo specifico episodio emerge la figura criminale, fascista, di Antonio Chichiarelli: simpatizzante brigatista, neofascista, informatore, falsario della banda della Magliana ed esecutore materiale del falso comunicato n. 7. Bisognerebbe evidenziare anche i possibili legami operativi che potrebbero essere avvenuti tra la malavita romana, le BR e le agenzie di sicurezza, all’interno di una vicenda ancora oggi pervasa da numerose questioni occulte e irrisolte.
Giovedì 16/3/1978 il presidente della Democrazia cristiana (DC), Aldo Moro, lasciò in automobile la sua abitazione in via Forte Trionfale 79 per dirigersi, insieme ai 5 agenti della scorta, in piazza Montecitorio. L’appuntamento cui non poteva mancare, era il frutto del suo lavoro politico degli ultimi anni: l’apertura della maggioranza parlamentare democristiana al Partito comunista italiano (PCI) di Enrico Berlinguer. Sembrò che il progetto del “compromesso storico (Dc – Pci)”, stesse per realizzarsi. Quella mattina, infatti, la Camera dei Deputati avrebbe votato la fiducia per il 4° governo cattofascista presieduto da Giulio Andreotti, dopo un accordo programmatico elaborato anche dal PCI. Mentre percorreva via Mario Fani, alle 9.21 la vettura FIAT 130 dell’on. Moro venne bloccata da una FIAT 128 bianca con targa del Corpo diplomatico, che gli si posizionò di fronte. Dopo il massacro dei 5 uomini della scorta, il commando terrorista delle Brigate rosse si dileguò sequestrando il politico. Fu incredibile il fatto che 31 bossoli ritrovati sul luogo del delitto avrebbero potuto essere utilizzati soltanto da organi militari «non convenzionali». Una tipologia di munizioni presente solamente all’interno dei depositi militari segreti della organizzazione paramilitare Gladio.
L’eliminazione di Moro dalla scena politica si verificò proprio nello stesso periodo in cui lo statista stava perseguendo una concreta alleanza di governo col Pci. Una mossa strategica fortemente osteggiata dal governo Nato anticomunista (Patto Atlantico anticomunista 1949).
Nel corso dei 55 giorni intercorsi tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, i servizi segreti italiani, diretti dai generali Giuseppe Santovito, Giulio Grassini e dal prefetto di Roma Walter Pelosi, furono allo stesso tempo responsabili di una serie di inefficienze e di errori difficilmente ascrivibili alla pura e semplice casualità. Sintomatici, al contrario, di una precisa operazione di depistaggio e di occulta protezione dell’azione terroristica. Non sembra casuale il fatto che il Comitato di crisi, istituito al Viminale dal ministro dell’Interno Francesco Cossiga, fosse composto interamente da infiltrati della Loggia P2, ingaggiati quali esperti o consiglieri del ministro.
La mattina del 16/3/1978, nei pressi di via Fani è stata accertata la presenza del colonnello del Servizio d’Informazione per la Sicurezza Militare (SISMI) Camillo Guglielmi, già addestratore per le tecniche d’imboscata nella base militare di Gladio a Capo Marrangiu (SS), oltre che di Bruno Barbaro, cognato del colonnello Fernando Pastore Stocchi, anche lui dirigente del centro di addestramento sardo.
Senza troppo filosofare, bisognerebbe dire che quell’ambiguo di Mario Moretti, non ha detto tutta la verità su dove è stato tenuto prigioniero Moro, o su come e dove è morto Moro.
Moretti, se lo stato lo lascerà tranquillo, non dirà mai più nulla. È riuscito ad accreditare di sé l’immagine del capo sconfitto che porta il peso politico dei morti, ma non quello morale, non più di quanto lo porti un soldato che in guerra, sparando dalla trincea, abbia ucciso un nemico dall’altra parte. Lui e quel cattolico di Curcio, tendono a collocare le Br dentro la storia rivoluzionaria italiana, senza errori, senza sbavature, senza viltà, per avere la possibilità che la storia della loro esistenza, risulti una storia eroica, titanica, tragica si, ma alla greca antica…
Il 21 ottobre 2021 i mass media scrivono che l’ex coordinatore di Forza Italia a Varese Nino Caianiello, uno dei principali imputati per la vicenda su un presunto “sistema” di mazzette, appalti, nomine pilotate e finanziamenti illeciti in Lombardia, l’inchiesta ‘Mensa dei poveri’, ha patteggiato stamane 4 anni e 10 mesi mentre il deputato di Forza Italia Diego Sozzani è stato mandato a giudizio davanti al Tribunale.
Il maxi processo ‘Mensa dei poveri’ sul presunto sistema massomafioso (a umma umma) di mazzette, appalti e nomine pilotate in Lombardia, parte con oltre 60 imputati.
Un vero amico della libertà deve essere
nemico di ogni potere, di ogni autorità,
di ogni comando, di ogni elevazione di uomo
al disopra di altri uomini, deve essere nemico
di ogni legge, di ogni ordine prestabilito,
deve essere, in una parola,
un anarchista.
C. Cafiero
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)