Il 5 Gennaio i mass media scrivono che 38 anni fa veniva assassinato a Catania Pippo Fava (foto), il giornalista e scrittore, fondatore del mensile «I Siciliani», ucciso in un agguato mafioso la sera del 5/1/1984, dinanzi all’ingresso del teatro Stabile di Catania. Fava, con le sue inchieste antimafia, svelò oscuri intrecci politico-mafiosi, denunciando con coraggio il malaffare e pagando con la vita il suo impegno antimafia. Per il suo delitto sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo il capomafia catanese Benedetto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano.
Così come avviene ogni anno, “I Siciliani giovani”, decidono di ricordare Giuseppe Fava, nella data della sua uccisione da parte della mafia, e hanno organizzato di ritrovarsi alle 10,30 all’assemblea online sul sito www.isiciliani.it, su Facebook e twitch. In programma anche un presidio sempre alle 10,30 al Giardino di Scidà (bene confiscato alla mafia), in via Randazzo 27 a Catania, per proporre il comune lavoro fatto contro la mafia, e per rilanciare la campagna per ottenere il riuso sociale dei soldi dei mafiosi, e per proseguire il lavoro di denuncia e di racconto della storia sociale della terra Siciliana.
Pippo Fava il 28/12/1993 dichiarò ad Enzo Biagi, durante la trasmissione “Filmstory”, appena una settimana prima di essere ucciso: “I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della Nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo (cioè non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità che credo abiti in tutte le città italiane ed europee), il problema della mafia è molto più tragico e importante, un problema di vertici di gestione della Nazione che rischia di portare al decadimento politico, economico e culturale l’Italia. I mafiosi non sono quelli che uccidono, quelli sono gli esecutori, anche ai massimi livelli”. Potrebbero bastare quelle parole, per spiegare i motivi per cui Pippo Fava doveva essere eliminato. Le sue incessanti denunce sul connubio tra i boss e gli imprenditori catanesi, erano una spina nel fianco non solo per i mafiosi, autori del delitto, ma anche, se non soprattutto, per quel pezzo di istituzioni corrotte e colluse con la mafia.
Fava, giornalista, scrittore e drammaturgo italiano, fu tra i fondatori della rivista I Siciliani nel primo numero scrisse un pezzo intitolato “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” dedicato ai 4 maggiori imprenditori catanesi: Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Nell’inchiesta, frutto di due anni di lavoro già da quando Fava lavorava al Giornale del Sud, accusava il mondo imprenditoriale e politico della città di essere legato a doppio filo con la mafia catanese e in particolare col boss Nitto Santapaola. Col consenso della mafia palermitana, le 4 maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Tra le inchieste più rilevanti: quelle sui rapporti tra la mafia e la politica, le banche, e le altre criminalità organizzate, a cui si aggiunsero quelle sulla Giustizia e il “Caso Catania”, sullo stanziamento dei missili nucleari nelle Basi Nato siciliane. Fava venne ucciso la sera del 5/1/’84 da 5 proiettili calibro 7,65 (provenienza Nato), sparati sulla nuca dai sicari di Cosa nostra.
Il sindaco Angelo Munzone, evitò di organizzare una cerimonia pubblica con la presenza delle cariche cittadine e arrivò persino a dire che la pista mafiosa fosse impossibile in quanto “a Catania la mafia non esiste”. L’onorevole Nino Drago (foto sopra), chiese una chiusura rapida delle indagini perché “altrimenti i cavalieri del lavoro potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al nord”. In quel clima di polemiche, omertà e depistaggi non fu facile giungere ad una verità. Per l’omicidio sono stati condannati nel 1998 dalla Corte d’Assise di Catania i boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, considerati i mandanti, e Marcello D’Agata, Francesco Giammuso e Vincenzo Santapaola, come organizzatori ed esecutori dell’omicidio. La Corte d’Appello di Catania confermò poi le condanne all’ergastolo per Santapaola e Ercolano, mentre assolse D’Agata, Giammuso e Vincenzo Santapaola: sentenza divenuta definitiva nel 2003. L’omicidio Fava è servito allo scopo della mafia e dei Cavalieri di cui Fava aveva scritto molto, parlando, in particolare, della mafia dei colletti bianchi.
Oggi è anche l’anniversario della nascita di Peppino Impastato: nato il 5 gennaio 1948 a Cinisi, in una famiglia mafiosa, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella. Giuseppe Impastato detto Peppino, fu capace di ribellarsi al suo contesto familiare e di mettere in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Da quando venne cacciato di casa dal padre, ha avviato una forte attività politico-culturale antimafiosa, prima fondando il giornalino L’Idea socialista, poi con la costituzione del gruppo “Musica e cultura”, che svolgeva attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.), e la realizzazione di “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era “Onda pazza”, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Peppino dava fastidio anche per il suo impegno politico accanto ai gruppi di Nuova Sinistra e le lotte accanto ai contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, degli edili e dei disoccupati. Un percorso che lo portò a candidarsi nel 1978 all’interno della lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Peppino Venne assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo a eleggerlo al Consiglio comunale. Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, di suicidio. E’ l’inizio della ‘campagna del fango’. Solo grazie all’attività del fratello Giovanni, della madre Felicia Bartolotta Impastato, e degli amici della Radio, l’inchiesta giudiziaria venne riaperta. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6/12/2000, è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Il 5/3/2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11/4/2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Proprio sul depistaggio ancora oggi è aperto un fascicolo alla Procura di Palermo. Già la sera stessa dell’omicidio, accaddero cose inquietanti. Un gruppo di carabinieri perquisì la casa di Impastato e portò via l’archivio del giovane militante antimafia, ma non fu stilato alcun verbale. Anni fa, il sostituto procuratore Franca Imbergamo era riuscita a farsi consegnare dall’arma dei cc, una copia del materiale sequestrato, ma si trattava solo di una minima parte. Su un foglio senza intestazione era stato scritto, nel 1978: “Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe”. Ma il sequestro informale è una formula che ha poco di diritto, quei documenti sono insomma detenuti illegalmente nell’archivio degli sbirri. Così, ad oggi, iscritti nel registro degli indagati ci sono 4 militari dell’arma che parteciparono alle perquisizioni in casa Impastato dopo l’omicidio dell’attivista antimafia di Cinisi: il generale Antonio Subranni per favoreggiamento, Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo per falso.
Ma non è finita qua: nel 2015, nel giorno della memoria del giornalista Giancarlo Siani (foto sopra), la Camera uccide la libertà di stampa sancita e tutelata nell’articolo 21 della Costituzione. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Così, in un colpo solo, quel bavaglio sulle intercettazioni, che non era riuscito al pregiudicato ex premier piduista PEDOFILO (numero di tessera P2: 1816) Silvio Berlusconi, riesce a Matteo Renzi. Il Governo potrà scrivere nuove “prescrizioni” su come pm e giudici dovranno usare le intercettazioni nei provvedimenti. Non sarà più necessaria un’udienza stralcio o filtro, un incontro tra magistrati e avvocati per decidere quali intercettazioni usare e quali no, ma sarà “rispettato il contraddittorio tra le parti”. Ma, soprattutto, le intercettazioni di chi è “occasionalmente coinvolto” nelle indagini non saranno più pubbliche. Poco importa se sul piano etico e morale le stesse possono essere rilevanti nei confronti dell’opinione pubblica. Guardando al recente passato non avremmo mai saputo delle intercettazioni sul Rolex del figlio di Lupi, o sull’ex ministro Cancellieri con Ligresti, su Renzi e il generale Adinolfi, ecc..
E’ la beffa più grande rispetto a tutti quei giornalisti che proprio per il diritto all’informazione hanno sacrificato la propria vita, uccisi dalla massomafia. In Italia sono stati uccisi in 11 (Giuseppe Alfano, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi), 9 dei quali direttamente dalla criminalità organizzata. Non si possono poi dimenticare quei colleghi uccisi all’estero in circostanze diverse, come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Giornalisti detective che hanno colmato quei vuoti investigativi lasciati da magistratura e forze dell’ordine. Un ulteriore elemento a conferma che il loro essere scomodi non era temuto soltanto dalle mafie ma anche da certi vertici di potere.
Anche Mauro Rostagno (foto sopra), fu un giornalista ucciso dalla mafia: soltanto il 15/5/2014 fu fatta giustizia con la condanna all’ergastolo del killer Vito Mazzara e del boss trapanese Vincenzo Virga. E’ stato accertato che ad uccidere Mauro Rostagno il 26/9/1988, a pochi passi dalla comunità Saman in contrada Lenzi, fu la mafia. L’omicidio di Mauro Rostagno (scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza), fu volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso. A 27 anni di distanza dalla morte del giornalista-sociologo-attivista di Lotta Continua, viene fatta chiarezza sulle modalità dell’omicidio e viene ricostruito il movente che ha portato la mafia ad agire in prima persona.
A confermare il movente e le responsabilità del capomafia Vincenzo Virga e il suo sicario prediletto Vito Mazzara, fu anche una impronta genetica ritrovata su un fucile. L’obiettivo era chiaro, bisognava mettere a tacere per sempre quella voce che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di potere politico e militare. Proprio il contesto trapanese di quegli anni viene ricostruito dal Presidente della Corte d’Assise: “La torsione nelle finalità istituzionali degli apparati di intelligence che si consuma proprio in quegli anni a Trapani, con la costituzione nella storia di Gladio, crea un terreno propizio all’instaurazione di sordidi legami tra alcuni esponenti dei Servizi e ambienti della criminalità organizzata locale”. Un’organizzazione criminale che detiene un controllo capillare del territorio può essere fonte della merce più preziosa per un apparato di intelligence, le informazioni; ma può servire anche per operazioni coperte, ovvero per offrire copertura a traffici indicibili da tenere al riparo da sguardi indiscreti. Traffici che coinvolgono pezzi di apparati militari e di sicurezza dello stato. Rostagno, che già era “socialmente impegnato” nell’attività di recupero di persone tossicodipendenti all’interno della comunità Saman, creata con Ciccio Cardella, dava fastidio per le sue molteplici inchieste e quell’opera di “sensibilizzazione della coscienza civile sui temi della corruzione, della lotta alla mafia e al traffico di droga. Dava fastidio il suo lavoro d’inchiesta “sommerso”, come rivelato da alcuni suoi appunti, sulla massoneria deviata ed il “Circolo Scontrino”. Ed è proprio questo uno degli aspetti gravi che fa presagire come la morte di Rostagno fosse “comoda” anche per altri poteri.
Parlando di quei “sordidi legami tra alcuni esponenti dei Servizi e ambienti della criminalità organizzata locale”, i giudici affrontano una questione chiave: Se Cosa Nostra sapeva che i servizi segreti, certamente annidati anche all’interno degli apparati che, in ipotesi, avrebbero dovuto attuare la paventata risposta repressiva dello stato, da tempo attenzionavano Rostagno non come personalità da proteggere, ma come target, cioè come obbiettivo ostile da sorvegliare, da eliminare…
Secondo la corte vi è stata “la soppressione o dispersione di reperti, la manipolazione delle prove. E’ cosa nota che dalla sede di Rtc scomparve la videocassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Lì, probabilmente, c’era il suo ultimo scoop, la registrazione con le riprese del presunto traffico d’armi nei pressi della pista d’atterraggio di Kinisia. Un elemento di prova scomparso così come non si ritrovano le lettere che Rostagno si scambiava col fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, il memoriale sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi, o la partizione del proiettile calibro 38 estratto dal corpo del sociologo durante l’autopsia. Tra i documenti svaniti nel nulla c’è anche una relazione degli 007 del centro Scorpione, una delle 5 basi della VII divisione del Sismi, da cui dipendeva “Gladio”, che riguardava il centro Saman.
GIUSEPPE FAVA: L’ ultima intervista (1)
www.youtube.com/watch?v=2a89Km8mGi0
GIUSEPPE FAVA: L’ ultima intervista (2)
www.youtube.com/watch?v=kEn9Bwk9Y-s
Intervista di Mauro Rostagno a Claudio Fava – 1/2
www.youtube.com/watch?v=W1Zrd_KalPk
Intervista di Mauro Rostagno a Claudio Fava – 2/2
www.youtube.com/watch?v=uTZhO7nPu8A
Pippo fava Giornalista sull’area di Siracusa Priolo Melilli
www.youtube.com/watch?v=McfgxeFR3Ew
I CENTO PASSI (film completo)
www.youtube.com/watch?v=rYPOKVmPEFQ
Peppino Impastato, La storia siamo noi, Gianni Minoli
www.youtube.com/watch?v=PimdrFfQcok
Felicia Impastato del 10/05/2016
www.youtube.com/watch?v=5p6b6Yb8Glo
Solidarietà ai compagni/e anarchici/e arrestati/e. A loro dedichiamo la canzone Addio Lugano bella:
www.youtube.com/watch?v=S4ou1pNZPMs
ANARCHIA è parola che viene dal greco,
e significa principalmente senza governo:
stato di un popolo che si regge senza autorità
costituito senza governo.
Errico Malatesta
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)