Il 9 di maggio di 43 anni fa, Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, viene ucciso dalle Brigate Rosse; il suo corpo viene fatto trovare in via Caetani, una strada di Roma che si trova vicino a via delle Botteghe Oscure (sede dell’allora Partito Comunista), e piazza del Gesù (sede della DC).
Il 23 MARZO 2014, l’ex (dal 2011 al 2012) ispettore di polizia Enrico Rossi (foto sotto), fa delle dichiarazioni all’Ansa:
“I Servizi segreti aiutarono le Br in via Fani”, “l’Honda di via Fani resta ancora un mistero”.
Durante la guerra fredda (guerra tra Est e Ovest, creata dalla Nato), eserciti segreti sono stati attivi in tutta l’Europa occidentale. Gladio faceva parte di questa rete, che avrebbe dovuto contrastare un’invasione del Patto di Varsavia. Certamente Gladio ha fatto parte a pieno titolo della guerra fredda che si è combattuta in Italia, ma bisogna evitare l’errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia.
In Italia esisteva già una struttura clandestina statunitense anti-invasione, ma il direttore del Sifar aveva preso in considerazione la necessità di costituire a sua volta un nuovo organismo di questo genere e di cercare di arrivare a un coordinamento con quello americano anticomunista. Questa struttura avrebbe dovuto essere capace, in caso di invasione sovietica o jugoslava, di fornire informazioni, sabotare gli impianti dell’occupante e fornire assistenza ai militari rimasti dietro le linee. Gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia avevano già organizzato strutture simili, e non solo nel loro territorio. Successivamente, queste strutture furono fatte nascere in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale, comprese nazioni neutrali come Svezia e Svizzera. Tutte le strutture, inclusa poi Gladio, erano operanti nell’ambito Nato e coordinate dal Clandestine Planning Committee, l’organo multinazionale controllato dallo Shape (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), con sede a Bruxelles in Belgio. Quest’ultima struttura era un organismo di coordinamento tra le diverse nazioni dell’Europa Occidentale già operante dal 1948, anche se col nome di Western Union Clandestine Committee (Commissione clandestina dell’Unione occidentale). Nel 1990, in un articolo del 13 novembre, il giornalista dell’International Herald Tribune Joseph Fitchett, elaborò il termine “Resistenza della Nato”, per spiegare le funzioni di queste reti anticomuniste, finanziate in parte dalla Cia. Queste “armate segrete” ebbero diversi nomi, a seconda del Paese: in Svizzera erano state denominate in codice “P26”, in Austria “OWSGV”, in Belgio “SDRA8”, in Danimarca “Absalon”, in Germania “TD BJD”, nel Lussemburgo semplicemente “Stay-Behind”, nei Paesi Bassi “I&O”, in Norvegia “ROC”, in Grecia “LOK”, in Turchia “Contro-Guerriglia”, in Portogallo “Aginter”. I nomi in codice degli eserciti segreti in Francia, in Finlandia, in Spagna e in Svezia rimangono tuttavia sconosciuti.
La Stay Behind italiana invece era costituita da 5 unità di pronto impiego in regioni di particolare interesse strategico, denominate: “Stella Alpina” nel Friuli, “Stella Marina” nella zona di Trieste, “Rododendro” nel Trentino Alto Adige, “Azalea” nel Veneto e “Ginestra” nella zona dei laghi lombardi.
La struttura, alle dipendenze dell’Ufficio R del Sifar, era articolata in 40 nuclei, dei quali 6 informativi, 10 di sabotaggio, 6 di propaganda, 6 di evasione e fuga, 12 di guerriglia. Inoltre erano state costituite 5 unità di guerriglia di pronto impiego in regioni di particolare interesse.
L’organizzazione su più livelli rese l’intera struttura più protetta nel caso una unità fosse stata scoperta. Esistevano, infatti, almeno 3 livelli: uno formato da elementi destinati a “durare” nel territorio eventualmente occupato, e quindi non facilmente individuabili in quanto insospettabili; un altro formato da unità di guerriglia di pronto impiego da attivare alle spalle del nemico come vere e proprie bande partigiane; un altro livello era direttivo. Quest’ultimo, il più protetto di tutti, è rimasto occulto anche agli occhi degli stessi “gladiatori”, ed era composto da individui i cui nomi dovevano rimanere ignoti (e che tutt’ora in effetti lo sono).
L’origine di Gladio è fatta risalire all’organizzazione O, la quale era originata da una formazione di partigiana bianchi, la Osoppo, formata da partigiani cattolici (foto sopra), che nel 1949 tradirono la lotta di classe firmando il Patto Atlantico anticomunista! Meditate mediocri, meditate…
Ecco come hanno fatto a frenare i movimenti antagonisti degli anni ‘70: infiltrando nel movimento anche i partigiani bianchi che stavano con l’anticomunismo della Nato (peggio degli sbirri, da non fidarsi insomma!!). E poi se lamentano perché siamo diventati tutti individualità!! Non ce fidiamo de nessuno!! Che, semo scemi? Forse ce dobbiamo ancora ripiglià, ma scemi no!! Siamo nati in basso, ecco perché nun ce fidiamo.
A partire dal 1963, ebbe inizio la posa dei contenitori all’interno dei depositi Nasco (materiali di carattere operativo da interrare nelle zone sensibili, nei cosiddetti Depositi Nasco, dove nascondevano armi e materiale Top secret). In totale, secondo le indagini portate avanti dagli inquirenti, i depositi Nasco sono stati 139. Fra i materiali in questione erano comprese armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, coltelli, mortai da 60 mm, cannoncini da 57 mm, fucili di precisione, radiotrasmittenti e così via. Parte del materiale Nasco risulterà essere identico a quello utilizzato per alcune stragi compiute in Italia. Ad esempio, l’esplosivo al plastico C4 ritrovato nel 1972 ad Aurisina, vicino a Trieste, sembra essere identico a quello utilizzato a Peteano per far saltare la Fiat 500 che uccise 3 militi dell’arma (si ammazzano anche tra di loro, non c’è una logica nella cultura militare!).
Il materiale destinato alla rete clandestina non era però solo quello interrato nei Nasco in contenitori sigillati, l’armamento e il materiale per le “Unità di pronto impiego” era anche in superficie, presso alcune caserme di cc e nella base di Capo Marrargiu, in Sardegna.
Il Centro e quartier generale dell’esercito clandestino di Gladio, fu la base militare sarda di Capo Marrargiu, che divenne il Centro Addestramento Guastatori (Gag). All’esterno della base appariva il simbolo della spada Gladio e il motto Silendo Libertatem Servo. La costruzione della “base” iniziò attorno al 1954. Furono innanzitutto acquisiti i permessi necessari, poi si procedette alla costituzione di una società a responsabilità limitata, la “Torre Marina”, costituita pubblicamente presso il notaio De Martino, che ebbe come soci il generale Musco, allora direttore dei Servizi segreti, il colonnello Santini, capo del Sios-Aeronautica, e il colonnello Fettarappa, dirigente dell’Ufficio R del Sifar. Per consentire di derogare alle norme di legge, che vietavano agli ufficiali di possedere quote azionarie e di costituire società, fu necessaria un’autorizzazione speciale del ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani. Per la realizzazione del Centro, la Cia destinò 300 milioni di lire. Il colonnello Renzo Rocca ebbe il compito di sovrintendere alla costruzione della nuova base stay behind italiana. Il Centro fu dotato, oltre delle strutture per l’ospitalità, anche di bunker sotterranei, apparati di radiotrasmissione a lunga distanza, poligoni di tiro, zone per i corsi sull’uso degli esplosivi, aule per le lezioni di carattere ideologico, attrezzature subacquee per l’addestramento di uomini-rana, un piccolo porto, due piste d’atterraggio per aeroplani e una per gli elicotteri. Nel caso anche la Sardegna fosse stata occupata dal nemico, il Comando si sarebbe trasferito in Inghilterra.
All’interno della scuola di Capo Marrargiu operavano i cosiddetti “interni”, per lo più militari effettivi della 7ª Divisione dei Servizi militari, incaricati di formare e addestrare gli “esterni” (i gladiatori). La base sarda servì anche agli specialisti del Cag: infatti al suo interno si addestravano anche molti altri reparti speciali delle forze armate italiane e alleate. Presso la scuola sarda si tennero corsi di preparazione alle tecniche della “guerra non ortodossa anticomunista”, su temi quali sabotaggio, guerriglia, infiltrazione, esfiltrazione e occultamento e riesumazione di depositi Nasco.
In pratica si trattava di imparare tecniche di sabotaggio, di guerra a bassa intensità, di favorire l’introduzione clandestina di gruppi di reparti speciali alleati sul territorio occupato, di favorire l’uscita senza rischi dal territorio occupato di persone di rilevanza, come politici, scienziati, spie, oltre naturalmente agli elementi dei gruppi entrati clandestinamente. Per quanto riguarda, invece, l’occultamento dei depositi Nasco, tutto rimase nella teoria. Infatti i Nasco furono depositati nel 1963 da personale “interno” e nessuno dei gladiatori conosceva le ubicazioni in quanto, in caso di necessità d’uso, sarebbero state segnalate opportunamente tramite messaggi cifrati.
I servizi segreti, che controllavano le reti stay behind in Italiano, contattarono e protessero giovani neofascisti che furono poi coinvolti in una serie di operazioni terroristiche, di cui furono falsamente accusati anarchici per screditare la sinistra.
Gladio entra anche nella vicenda del cosiddetto “Piano Solo”. Il Piano Solo Un piano militare ideato nel 1964 dall’allora comandante dell‘arma dei cc Giovanni de Lorenzo. fu un tentativo di colpo di stato. Il Piano Solo fu predisposto con l’intenzione di creare una dittatura militare, “tutelare l’ordine pubblico”, e approvato da Antonio Segni, Presidente della Rep.
Il Piano Solo, fu un Colpo di stato organizzato solo dei carabinieri e predisposto dal generale dei carabinieri, partigiano bianco anticomunista, massone, De Lorenzo, capo del Sifar, che elaborò un progetto di golpe da attuarsi nel caso in cui il Governo di centro sinistra (presieduto da Aldo Moro) non ridimensionasse le sue istanze riformiste. Il Piano Solo prevedeva, oltre l’occupazione di obiettivi strategici nelle principali città italiane, anche l’arresto di oltre 700 dirigenti comunisti e socialisti, sindacalisti, intellettuali di sinistra ed esponenti della sinistra Dc da deportare poi in Sardegna, proprio nella base di Capo Marrangiu (dittatura militare). Sulla vicenda il governo pose il segreto di stato.
Nel caso Moro, la presenza di Gladio sembra impressionante. È stato appurato che almeno 14 giorni prima, la struttura Gladio fosse già a conoscenza del rapimento. Inoltre è stato appurato che alcuni proiettili sparati dai brigatisti in via Fani sembrano avere le stesse caratteristiche di quelle presenti nei depositi Nasco. La mattina della strage, in maniera del tutto casuale, il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base Gladio di Capo Marrargiu, si trovò a passare proprio nel momento in cui il Presidente Moro stava per essere rapito dai brigatisti. Anche la stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br per i loro comunicati durante il sequestro Moro, sembra provenisse dall’Ufficio del Raggruppamento Unità Speciali (Rus), ovvero l’ufficio che provvedeva all’addestramento dei gladiatori. Probabilmente Moro parlò di Gladio nel suo “processo” da parte delle Br, per questo la vicenda legata al memoriale che racchiude le rivelazioni dello statista è molto contorta, con smarrimenti di carte e ritrovamenti casuali, sino alla morte del generale Dalla Chiesa (ufficialmente ucciso dalla Mafia), che entrò in possesso di quelle carte.
Per concludere, anche nella morte della giornalista Graziella De Palo e del redattore Italo Toni sembra entrare la struttura Gladio. I due reporter, rapiti il 2 settembre 1980 in Libano e poi uccisi, stavano svolgendo un’inchiesta giornalistica su un presunto traffico internazionale di armi tra l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e l’Italia e sui campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano. Le inchieste condotte sulla morte dei due giornalisti, furono depistate da parte dei servizi segreti italiani. Il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, e il colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei Servizi a Beirut dal 1972 al 1981, risulteranno entrambi legati a Gladio. La loro improvvisa morte interruppe il processo a loro carico per le attività di depistaggio.
Mentre la Russia, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1986, apriva i suoi archivi segreti, gli Usa aggiunsero altri lucchetti ai loro, rifiutandosi di collaborare con gli organi italiani. In Italia, invece, pensarono bene di distruggere completamente una parte di questi archivi…
Arriva una lettera anonima che segnalava non un covo brigatista, ma “il” covo brigatista. Doverosamente il documento viene portato al ministero dell’Interno, non solo la segnalazione viene ignorata; la lettera sparisce. C’è di che restare basiti…
Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione parlamentare, usa un’espressione che non lascia spazio a equivoci: “La verità su quei giorni è stata tombata”. Ci sono ancora una quantità di “pagine” oscure, fatti non spiegati…”.
La seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, smonta tutta la versione ufficiale accreditata per una quarantina d’anni. A via Fani (luogo del sequestro), a via Gradoli (covo romano dove si nascondeva il capo delle BR Mario Moretti), a via Montalcini (dove si dice sia stato tenuto prigioniero Moro), e a via Caetani (dove Moro viene fatto trovare morto), cioè i 4 luoghi chiave della vicenda, le cose non sono affatto andate come ce le hanno raccontate:
1) Non sappiamo la verità sulla famosa “seduta spiritica” nel corso della quale una “voce” sussurra il nome di Gradoli. I presenti per tutto questo tempo ci hanno raccontato quelle che si possono solo definire “balle”; dai professori Alberto Clò, Mario Baldassarri e Romano Prodi (foto sopra), ancora non è venuta la verità su quella giornata trascorsa nella casa del professor Clò a Zappolino.
2) Non sappiamo la verità sul brigatista che prese parte al rapimento di Moro e non ha fatto un solo minuto di carcere: quell’Alessio Casimirri che, secondo il suo incredibile racconto, riesce a lasciare l’Italia, transita senza documenti per alcuni giorni nella Mosca sovietica, infine riesce a imbarcarsi per il Nicaragua e beneficia di evidenti protezioni che vanno al di là e al di sopra dei governi che si avvicendano in quel paese. Casimirri vive tuttora indisturbato in Nicaragua: ha certamente avuto contatti coi servizi segreti italiani.
3) Non sono state chiarite tutte le dinamiche relative al falso comunicato brigatista, secondo il quale, Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago della Duchessa.
4) Non conosciamo perché, emerso il nome di Gradoli nel corso della famosa “seduta spiritica” si va nel paese, e non nella via a Roma; e anzi si nega alla vedova Moro che esista una via con quel nome, e la stessa vedova, stradario in mano, la indica; ma quella pista viene lasciata cadere; per poi riemergere nel modo in cui (non) sappiamo.
5) Non conosciamo l’esatta dinamica dell’omicidio di due ragazzi milanesi del centro sociale Leoncavallo, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, uccisi da 8 colpi di pistola a opera di estremisti di destra. La “coincidenza” è che Fausto, con la sua famiglia, abitava in via Montenevoso 9; a sette metri di distanza dalla camera di Fausto, al civico n° 8, c’era il famoso “covo” brigatista del “memoriale”. Una “coincidenza”? È “coincidenza” la morte di un giornalista de “l’Unità”, Mauro Brutto, che seguiva con particolare caparbietà la vicenda? Venne travolto da un automobilista “pirata” a Milano, mai individuato…
In quei giorni dopo il rapimento di Moro, Camera e Senato, con procedura d’urgenza, esprimono fiducia al governo: monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti. Per la prima volta il PCI appoggia il governo. Per la fermezza: democristiani, comunisti, repubblicani, missini; per la cosiddetta trattativa: socialisti, radicali, sinistra extraparlamentare.
Il ruolo ambiguo (come sempre), giocato dal Vaticano è ancora tutto da spiegare: Papa Paolo VI era amico di Moro e in un disperato tentativo di liberare Moro, il Vaticano dona una decina di miliardi di lire, per liberare la vita del leader democristiano. E, il 6 maggio del 1978, alle 19,35 arriva una telefonata a Castel Gandolfo, residenza estiva del papa, e luogo dove è custodito il denaro. Risponde monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI. Macchi impallidisce vistosamente. Sospira: “Il dramma è che anche a Sua Santità viene preclusa la possibilità di liberare Moro”. Sembra un dramma di Shakespeare. Quali oscuri interessi condannano Moro, la cui politica certamente dà fastidio a molti: poteri annidati a Washington, a Mosca e chissà dove?
Il popolo è sempre il mostro a cui mettere
la museruola, da curare mediante la
colonizzazione e la guerra, da ricacciare
il più possibile fuori dal diritto e dalla politica.
P.J. Proudhon
Fine I parte
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)