La Nato sta creando e provando la terza guerra mondiale!

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Centinaia di aerei da combattimento dagli Stati Uniti e da altri paesi della NATO verranno trasferiti in Germania per volare da qui verso la Russia. Anche gli aerei stealth F-35 con capacità nucleare sono in fase di preparazione per l’uso: sono spuntate le prime ore di una grande guerra. Questo scenario costituisce la base per la manovra “Air Defender 23”, che si è svolta dal 12 al 23 giugno. La guerra aerea anticomunista attivata nel 1949 (Stay Behind) e ancora attiva, è stata simulata contro un “nemico immaginario” che dispone di una potente forza aerea. È facile indovinare che significa. La gestione della manovra può essere ancora reticente nella sua comunicazione pubblica, ma Michael A. Loh, generale della US Air National Guard, ha espresso tempo fa la sua motivazione. Nel 2021, in vista di “Air Defender”, ha auspicato che la sua gente “pensi di più ai nostri pericoli imminenti: Cina e Russia”. Le manovre vengono eseguite secondo il principio “allenati mentre combatti”. Aree operative, tattiche, logistica: tutto dovrebbe essere il più realistico possibile. Non è quindi un caso che la Germania stia diventando l’hub centrale dell’esercitazione. Anche in caso di emergenza, innumerevoli jet della NATO decollerebbero dagli aeroporti tedeschi e sciamerebbero fuori. Le rotte di volo che l’aereo da combattimento testerà sono altrettanto realistiche. Conducono ai confini orientali del territorio della NATO, ai confini russo e ucraino. Quella che a prima vista sembra un’audace ma usuale provocazione, è nei fatti una minaccia tangibile alla pace mondiale in tempo di guerra. Al momento, il territorio russo viene bombardato quasi ogni giorno e il presidente ucraino minaccia in modo penetrante gravi attacchi. In questa situazione il potenziale di escalation di un attacco militare ucraino, mentre i jet della NATO pattugliano nelle vicinanze, è evidente. Il governo federale non solo è disposto ad accettare questi enormi rischi, ma sta anche sospendendo le consuete misure di sicurezza. Gli osservatori russi, che potrebbero garantire che l’esercitazione non venga utilizzata per preparare un attacco, non sono invitati. Non dovrebbe esserci nemmeno un annuncio formale. “Non ti scriveremo una lettera. Capirai il messaggio quando i nostri aerei sciameranno fuori”, ha detto il massimo generale dell’aeronautica tedesca, Ingo Gerhartz, all’inizio di aprile quando gli è stato chiesto come fosse stata informata la Russia. Questo allontanamento dalla politica di rassicurazione è stato accompagnato da una lotta alla diplomazia. Le relazioni tra la NATO e la Federazione Russa vengono stabilite a partire dal 1991 nel quadro del Partenariato Euro-Atlantico, che ha bloccato il funzionamento di 4 consolati. Dovranno essere chiusi entro la fine dell’anno.

Air Defender 23 sarà la più grande esercitazione aerea della storia della NATO

Oggi 23 giugno 2023 si è conclusa  la più grande esercitazione aerea Nato anticomunista (Patto Atlantico firmato nel 1949). Un’esercitazione coordinata dalla Germania e denominata “Air Defender 23”, l’esercitazione ha riunito circa 250 aerei militari provenienti da 25 Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Fino a 10.000 persone hanno preso parte a queste manovre militari. L’esercitazione è stata pianificata nel 2018, in parte in risposta all’annessione russa della Crimea nel 2014. Ma “Air Defender 23” aveva anche lo scopo di lanciare un messaggio, in particolare alla Russia, aveva da parte sua spiegato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, Amy Gutmann.

All’esercitazione hanno partecipato più di 150 aerei militari per la sesta edizione della Arctic Challenge Exercise, l’esercitazione militare organizzata tra Finlandia, Norvegia e Svezia in scena con cadenza biennale dal 2013 e quest’anno coordinata dalla Finlandia. L’esercitazione, tra le più grandi di sempre complici i venti di guerra che soffiano dall’Ucraina e in altre 40 regioni del mondo, ha coinvolto velivoli provenienti anche da Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Svizzera e Italia, in prima linea con i caccia F35 del VI Stormo di Ghedi (Brescia).

Gli F35 italiani hanno sorvolato i cieli di Orland, in Norvegia, a fianco degli stessi aerei dei padroni di casa, americani e olandesi, e ancora gli F16 del Belgio, i JAS39 della Repubblica Ceca, i KC135 degli Stati Uniti. Altri luoghi della maxi-esercitazione firmata Nato anche a Lulea, Svezia, dove hanno volato i JAS39 svedesi, gli F16 danesi e olandesi, gli F18 svizzeri, i britannici Eurofighter, Voyager e DA20, e in due località della Finlandia: Rovaniemi (in volo gli F18 finlandesi, i francesi E3F, Rafale e Mirage, i tedeschi Eurofighter e Learjet) e Pirkkala, dove si sono levati in cielo gli F18 e i C295M finlandesi, i JAS39 svedesi, gli F15 americani e i CC150TT canadesi. Pochi giorni fa, a giochi fatti, anche l’aeronautica militare italiana ha annunciato la partecipazione dei velivoli nostrani all’esercitazione, con aerei F35 sia del XXXII Stormo di Amendola, Foggia, che del VI Stormo di Ghedi (Brescia).

La più grande esercitazione aerea della Nato, è ufficialmente cominciata  martedì 12 giugno in Germania. Le manovre vedono la partecipazione di 25 differenti Paesi dell’Alleanza Atlantica e partner con la presenza di circa 10mila effettivi e 250 velivoli (di cui un centinaio appartenenti alla U.S. Air National Guard) di 23 tipi diversi. L’esercitazione, che termina oggi, simula l’attivazione dell’articolo 5 del trattato dell’Alleanza ma per la natura stessa delle manovre, che vedono uno scenario in cui un Paese ostile invade un Paese amico, le forze aeree vengono suddivise in attaccanti e difendenti, pertanto sono previste più di 200 missioni individuali e tre operazioni aeree combinate al giorno. Queste operazioni aeree sono condotte da una combinazione di diversi tipi di aeromobili con capacità differenti, come aerei da ricognizione, cacciabombardieri, bombardieri e aerocisterne. Le forze attaccanti, quindi, sono dotate di elementi aggiuntivi per la protezione, nella fattispecie aerei da caccia specializzati negli scontri aria-aria. Inoltre è previsto che negli scenari di attacco/difesa si faccia largo uso dei mezzi per la guerra elettronica e per la ricognizione, per aumentare il livello di verosimiglianza. Il fattore decisivo, tuttavia, rimane l’interazione coordinata di diversi velivoli. Un coordinamento che è estremamente impegnativo, come dimostrano i numeri di velivoli impiegati nelle manovre (tra i 23 e gli 80 aerei: COMAO – combined air operations). Essendo uno scenario in cui è prevista una forza attaccante, l’attenzione sarà data anche alle operazioni di soppressione/distruzione delle difese aeree avversarie (in gergo Sead/Dead). Quindi si simuleranno operazioni di combattimento aereo con e senza il supporto dei centri di controllo radar prevedendo scenari “oltre il raggio visivo” (beyond visual range o Bvr) ma anche combattimenti aerei ravvicinati. Nell’esercitazione è coinvolta anche la Multinational Aircrew Electronic Warfare Tactics Facility, nota anche come Polygone. Questa struttura trinazionale si trova in Francia e in Germania ed è comunemente gestita dall’aeronautica tedesca, dall’Armée de l’Air francese e dall’aeronautica degli Stati Uniti. Essa addestra gli equipaggi all’uso delle loro attrezzature per la guerra elettronica, in particolare per situazioni di minaccia causate da missili terra-aria. I velivoli che hanno partecipato ad Air Defender 23 includono un’ampia gamma di tipi statunitensi, inclusi F-35A, F-15C e F-16; il celeberrimo A-10C cacciacarri, le aerocisterne KC-135 e KC-46A per le operazioni di rifornimento; e gli aerei da trasporto C-17A e C-130J, almeno un drone MQ-9 Reaper (foto sotto), caccia F/A-18 della Marina degli Stati Uniti, Eurofighter “Typhoon” e Tornado tedeschi, F-16C turchi, greci e polacchi, Gripen ungheresi, F/A-18 finlandesi, ancora “Typhoon” spagnoli, Awacs E-3 della Nato (basati a Geilenkirchen), e a quanto pare hanno fatto la loro comparsa anche un paio di bombardieri strategici B-1B “Lancer” che il 13 giugno sono atterrati alla base aerea rumena di Mihail Kogalniceanu, vicino a Constanza, per effettuare un rifornimento “hot pit” che consente agli aerei di atterrare e fare il pieno di carburante senza spegnere i motori, quindi con tempi di ripartenza più rapidi.

FILE FOTO: Un drone MQ-9 Reaper della US Air Force si trova in un hangar alla base aerea di Amari

Sebbene Air Defender 23 non miri a provare ufficialmente scenari che coinvolgono avversari specifici, la pianificazione iniziale è stata apparentemente influenzata dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. La decisione di iniziare a pianificare Air defender 23 è stata presa nel 2018 e in realtà non ha nulla a che fare con la guerra Russia-Ucraina. A tal proposito, oltre al coinvolgimento della Romania con missioni saltuarie, anche la Lituania sta vedendo lo schieramento temporaneo di velivoli della Nato. Presso la base aerea di Siauliai sono stati rischierati 14 velivoli a dimostrazione della capacità di dispiegamento rapido in difesa dei membri dell’Alleanza, mandando così un segnale inequivocabile a Mosca. I velivoli in questione, come riporta Rid, sono due Tornado ECR e 2 Typhoon tedeschi, quattro F-15C, due F-16CG e due C-130 dell’U.S. Air Force infine due F-16C polacchi.

«Non ci sarà nessuna riduzione della presenza militare in Sardegna». Così ha dichiarato ai mass media il ministro della Difesa Guido Crosetto, in questi giorni in visita ufficiale a Washington (foto sopra), rispondendo a un’interrogazione di Francesca Ghirra (deputata cagliaritana di Alleanza Verdi e Sinistra) sulla ridefinizione delle servitù militari per ridurre l’impatto ambientale delle esercitazioni sull’isola. Il governo, dunque, non arretra ed esclude categoricamente di mettere mano a una riduzione dei poligoni e delle basi militari che pullulano sul territorio sardo. Il tutto accade pochi giorni dopo il rinvio a giudizio di 5 generali per il disastro colposo che sarebbe stato causato in Sardegna nelle aree dei poligoni interforze e l’ondata di proteste che ha visto scendere in piazza la cittadinanza sarda per dire no alla militarizzazione dell’isola. Crosetto ha riferito in aula: “ devo far presente che l’attività addestrativa delle forze armate nei poligoni di Quirra e di Teulada e nella base di Decimomannu non può essere ridotta. La Sardegna è un territorio chiave per la Difesa”. Il ministro ha risposto alle proteste avanzate dalla cittadinanza locale sostenendo che «negli ultimi anni sono state accolte molte istanze dei territori, per esempio con la sospensione delle esercitazioni dal 1° al 30 settembre e durante le festività pasquali e natalizie, ma anche con l’apertura estiva al pubblico delle spiagge situate in prossimità dei poligoni e con la cessione al comune di Teulada della spiaggia di Porto Tramatzu». La settimana scorsa 5 generali, tutti ex capi di stato maggiore, sono stati rinviati a giudizio dal Gup di Cagliari con l’accusa di disastro colposo per gli effetti di anni di esercitazioni militari (Nato e italiane) nel poligono militare di Teulada. Il dibattimento si aprirà ufficialmente il 25/1/2024 davanti al II collegio penale del tribunale di Cagliari. Le indagini hanno accertato lo stato di devastazione dell’area della Penisola Delta, dove tra il 2008 e il 2016 sono stati sparati 860mila colpi di addestramento, con 11.875 missili, pari a 556 tonnellate di materiale bellico. Per tutto il mese di maggio, in Sardegna si sono succedute ben tre esercitazioni militari condotte dalla Nato e dai suoi partner: Mare Aperto, Noble Jump e Joint Stars. Le ultime operazioni si sono concluse il 26 maggio scorso.

Francesca Ghirra deputata dell’alleanza verdi e sinistra dichiara ai mass media: “sull’isola, si trovano il 65% delle servitù militari italiane e paga da decenni un prezzo altissimo per via dell’asservimento a fini militari di ampie zone di territorio». Ghirra ha inoltre affermato che «tutti i dati confermano che le compensazioni attuali sono insufficienti a risarcire comunità e territori per l’impossibilità di utilizzarli per scopi economici e ricreativi» e che «ci sono stati molti rischi ambientali e per la salute, insieme alla dipendenza dall’economia militare».

Leonardo e Airbus in corsa per la nuova flotta di elicotteri in Vietnam

Ma non è finita qua: il 21 giugno, Airbus e Leonardo hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) per la promozione congiunta di sistemi di addestramento integrato e lo sviluppo di risposte alle future sfide della Air Dominance. Nell’ambito di questa collaborazione, le due società affronteranno e perseguiranno insieme le opportunità di business nei sistemi di addestramento avanzato basate sul consolidato programma M-346, velivolo che ha all’attivo oltre 100mila ore di volo in tutto il mondo. Airbus e Leonardo valuteranno, inoltre, il rafforzamento dei legami e della cooperazione industriale nei futuri domini dell’addestramento dei piloti militari. A partire da sinergie su piattaforme e programmi specifici, l’accordo punta anche ad una più ampia collaborazione in ambito europeo e internazionale. “Un’industria della difesa forte, innovativa e competitiva è il prerequisito per il rafforzamento della difesa europea e per perseguire l’auspicata ‘autonomia strategica’”, ha affermato Jean-Brice Dumont, Head of Military Air System Airbus. “Leonardo è riconosciuta a livello mondiale come un player di primo piano nel settore dell’addestramento dei piloti militari e siamo convinti che le sinergie fra le due aziende possano fornire efficaci risposte alle esigenze dei nostri clienti. Con questo accordo Leonardo ed Airbus mettono a fattor comune le proprie esperienze e capacità distintive per fornire ai clienti europei e internazionali le soluzioni di addestramento integrato più avanzate ed efficaci”, ha dichiarato Marco Zoff, Managing Director della Divisione Velivoli di Leonardo. “Grazie ad una comune roadmap di sviluppo tecnologico basata sull’M-346 e il suo sistema integrato di addestramento, le due società svilupperanno anche soluzioni avanzate intercettando le future esigenze del potere aereo, così da offrire un addestramento efficace ai piloti dei velivoli da combattimento di nuova generazione e prontezza operativa nei più complessi scenari”. Il processo di rinnovamento della Difesa Aerea e i trend emergenti richiedono il pieno impiego delle soluzioni più avanzate, insieme ad un più rapido sviluppo di nuove capacità e tecnologie per garantire l’efficacia della formazione dei piloti, incluso l’addestramento degli equipaggi di volo e di terra, un elemento chiave per assicurare l’idoneità grazie alla verifica dei livelli di capacità e prontezza operativa. Nel mercato europeo dei velivoli da addestramento avanzato si prevede la consegna di più di 400 nuovi aerei nei prossimi 20 anni, cui si aggiungono 12 miliardi di euro di investimenti nei servizi di formazione dei piloti. Raytheon Missiles and Defense, la divisione missilistica di Raytheon Technologies (RTX), si è aggiudicata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti un contratto del valore di 1,15 miliardi di dollari per i missili AIM-120 D-3 e C-8 AMRAAM.

Questo è il più grande contratto missilistico AMRAAM fino ad oggi assegnato ed ha oggetto il 5° lotto di produzione dei missili altamente avanzati sviluppati nell’ambito dello standard Form, Fit, Function Refresh, noto anche come F3R, che prevede l’aggiornamento del hardware del missile e del software Agile. Oltre a fornire missili sia alla US Air Force che alla US Navy, il contratto prevede la consegna di AMRAAM e/o ricambi nonché supporto tecnico anche a 18 Paesi, tra cui l’Italia, estendendo la linea di produzione sia per gli Stati Uniti che per i partner alleati. I missili di questo lotto di produzione saranno consegnati anche all’Ucraina. Gli altri Paesi che beneficiano di questa fornitura sono Canada, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Ungheria, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Corea del Sud, Giappone e Singapore. La commessa per i Paesi stranieri rappresenta circa il 39% del totale del contratto. I lavori relativi questa commessa saranno eseguiti a Tucson, in Arizona, e dovrebbero essere completati entro il 31/1/2027. Nell’ambito del programma F3R, Raytheon ha fatto ricorso ad iniziative di ingegneria dei sistemi basate su modelli ed altre tecnologie digitali per aggiornare più schede di circuito ed altro hardware nella sezione di guida del missile e per installare il software legacy nell’AIM-120 D-3 e nell’AIM- 120 C-8 AMRAAM.

task force pentagono

War on the Rocks ricorda che “la fragilità della catena di approvvigionamento del Dipartimento della Difesa non è un problema nuovo. Oltre 5 anni fa, un rapporto del Government Accountability Office ha evidenziato che mancavano le informazioni necessarie per gestire efficacemente i rischi della catena di approvvigionamento nel settore della difesa” e si è reso palese il processo di grande dipendenza di Washington da materiali critici e metalli rari di vario tipo. In quest’ottica, “la maggior parte dell’attenzione sulla gestione della supply chain e sulla gestione del rischio della supply chain avviene oggigiorno attraverso la lente della logistica”. Il Pentagono (foto sopra), in altre parole, delega alle aziende e ai loro subappaltanti la verifica dei procedimenti di controllo qualità dei componenti e della sicurezza “geopolitica” insita. Questo porta a esiti paradossali come la presenza di componenti cinesi formalmente vietati in ogni caccia F-35 americano o l’assenza, fino a pochi mesi fa, di una strategia della difesa Usa sul decisivo settore dei chip. Il tema è diventato di grande attinenza politica dopo che a gennaio il “falco” repubblicano Mike Gallagher, presidente del Comitato della Camera dei Rappresentanti sul Partito Comunista Cinese, ha posto in evidenza la sfida che la crisi degli approvvigionamenti può comportare alla sicurezza della deterrenza Usa verso Paesi come la Cina. Agli USA serve una strategia integrata per potenziare il controllo del Pentagono sulla sfida degli approvvigionamenti, per evitare che una qualsiasi crisi in un punto della catena del valore possa mettere a rischio la struttura stessa di programmi decisivi per gli armamenti americani. A ciò si aggiunge la complessa sfida delle forniture all’Ucraina. Boeing, Rayethon, Lockheed Martin, Northrop Grumman e General Dynamics, i primi 5 appaltatori del Pentagono, sono stati chiamati in campo per commissionare la produzione di Javelin, Himars e tutto il resto dell’armamentario a stelle e strisce destinato a Kiev. Il risultato? Una deviazione di risorse dai programmi già avviati, in passato già condizionati dal Covid, e uno stress alle catene produttive. Dovendo fornire all’Ucraina armi pronte a essere utilizzate e a ciclo continuo, nota il Financial Times, le aziende “hanno adottato un sistema snello di produzione (una strategia di consegna just-in-time favorita dall’industria automobilistica basata sul non avere molti pezzi di ricambio in inventario), al fine di risparmiare denaro in un sistema di produzione ad alta intensità di capitale e accelerare la strutturazione dei programmi in sinergia con i subappaltatori”. Processi che, chiaramente, vanno poco di pari passo con la dedica delle catene di produzione alla priorità ucraina, fonte di ulteriore destrutturazione. Il sistema è dunque complesso e parcellizzato. E nelle forze armate Usa emerge il pensiero che Washington potrebbe non essere in grado di sostenere un alleato, come Taiwan, in caso di guerra aperta in un contesto di crisi ucraina ancora aperta. E la percezione della vulnerabilità di un sistema tanto ipertrofico, alimentato dalla spesa militare più vasto del mondo, da essere ingovernabile. Le forze armate Usa si ripropongono di poter vincere ogni guerra, a ogni latitudine, per mare, terra e cielo. Sapranno vincere anche quella contro loro stesse e anni di scarsa organizzazione del procurement? La risposta a questa domanda sarà cruciale per la primazia geopolitica americana.

Ma cosa fu la “strategia della tensione” in Italia organizzata dalla Nato?

Per “strategia della tensione” si intende un fenomeno che risale agli anni ‘60 e che precede e avvia i cosiddetti “anni di piombo”. In sostanza, il termine descrive un esteso ed eterogeneo insieme di iniziative e interventi attuati da vari settori dello stato con modalità nascoste e ambigue, per alimentare il clima di paura e incertezza dovuto alle stragi fasciste. In particolare, è un’espressione che può sottolineare la connivenza di quei settori dello stato coi terroristi neri i cui attentati erano, secondo questa tesi, funzionali al progetto di uno stato più autoritario.

L’espressione è quindi riferita al contesto italiano, ma fu usata per la prima volta dal settimanale inglese Observer il giorno dopo la strage di Piazza Fontana a Milano, nel dicembre del 1969 (compiuta da gruppi neofascisti con estese e confermate protezioni e depistaggi nei servizi di sicurezza e nelle autorità di polizia), ispirandosi ad altre due categorie usate all’epoca: la “strategia dell’attenzione” usata da Aldo Moro (centro destra e centro sinistra assieme – Dc – Pci) per dialogare coi comunisti in Italia, che aveva aderito al Patto Atlantico anticomunista nel 1949 e la “politica della distensione” (détente) tra Stati Uniti e Unione Sovietica, avviata all’inizio degli anni ‘70.

Generalmente, viene utilizzata per descrivere l’obiettivo di queste stragi di stato: creare un clima di terrore e tensione (e suggerire responsabilità provenienti dai movimenti di sinistra) tale da giustificare l’introduzione di leggi autoritarie, il consolidamento del potere del centrodestra e (come obiettivo estremo), un rovesciamento del sistema democratico in Italia. Per questo motivo, il periodo a cui si riconduce la strategia della tensione va dal 1969, anno della strage di Piazza Fontana, al 1980, anno della bomba alla stazione di Bologna. Ma è una periodizzazione convenzionale e su cui non c’è concordanza tra gli storici, anche perché la violenza politica di estrema destra e le relazioni con responsabili delle istituzioni erano cominciate prima di quel periodo, e continuarono anche dopo (Dondi per esempio, lega la strategia della tensione a un periodo diverso, che va dal 1965 al 1974: l’Italia repubblicana esisteva da appena vent’anni, preceduta dal regime fascista).

Inoltre, il significato del termine non si riferisce tanto all’attività autonoma dei gruppi terroristi, ma indica anche quella di alcuni settori “deviati” (ma le deviazioni furono frequenti) dello Stato che coi terroristi condividevano (parzialmente e non sempre consapevolmente) gli obiettivi, in particolare scongiurare uno spostamento a sinistra del sistema politico e dell’elettorato del paese, che in quegli anni stava vivendo durissimi conflitti sociali. I decenni in questione furono il periodo più drammatico della storia dell’Italia repubblicana. Dopo gli anni ’50, caratterizzati dal “centrismo” politico, durante i quali la Democrazia Cristiana (partito cattolico di grande consenso che comprendeva molte “anime”, ma in cui prevaleva un orientamento conservatore), governò praticamente da sola, all’inizio degli anni ‘60 si cercò di avviare un dialogo col Partito Socialista e si crearono le premesse per governi quindi detti di centrosinistra. L’iniziativa però preoccupò molto l’intelligence americana (erano gli anni della Guerra Fredda e del contenimento del comunismo a ogni costo e in Italia c’era il partito comunista più forte dell’Europa occidentale) e le parti più conservatrici della società italiana, dalla politica agli industriali, alle forze dell’ordine e ai servizi segreti. È in questo periodo che si verificarono alcuni progetti o minacce di colpi di Stato in Italia: nel 1964 ci fu il “Piano Solo”, fatto solo dai carabinieri, i cui contorni non furono mai del tutto chiariti e che fu organizzato dal generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo; nel 1970 ci fu il golpe Borghese, fallito poco prima di iniziare e organizzato da Junio Valerio Borghese, ex membro della X Flottiglia MAS fascista ed ex presidente del Movimento Sociale Italiano, partito che aggregava gran parte dei sostenitori del disciolto regime fascista. Nel 1969 ci fu il cosiddetto “Autunno caldo”, un periodo di forti rivendicazioni sindacali da parte degli operai e dei lavoratori, con scioperi generali e nazionali frequenti e molto partecipati, che alla fine ottennero l’obiettivo dell’entrata in vigore di uno Statuto dei lavoratori.

Il movimento dei lavoratori si unì a quello studentesco nato col movimento del Sessantotto (dall’anno in cui iniziarono le proteste giovanili e operaie, che ebbero in Italia maggiore forza nel 1969), creando una situazione sociale particolarmente instabile. Le proteste di studenti e lavoratori spesso ebbero tratti violenti e ancora più spesso furono represse con maggiore violenza. Da una parte le rivendicazioni di lavoratori, sindacati e movimenti di sinistra e dall’altra le resistenze di industriali, politici conservatori e movimenti di destra portarono a un clima polarizzato ed estremamente conflittuale. La strategia della tensione si formò in questo contesto. Le numerose indagini da parte della magistratura e della politica hanno individuato sia un ruolo di alcuni settori dello stato, sia una parziale coincidenza di interessi e obiettivi tra questi e i gruppi terroristi.

La strategia della tensionehttps://www.youtube.com/watch?v=nhJOiS8wvKA

QUANDO LA RUSSIA VOLEVA ENTRARE NELLA NATO. STORIA DI UN’OCCASIONE PERDUTA.https://www.youtube.com/watch?v=7_qCWbEhAhY

 

Ne’ dio

Ne’ stato ne’ servi

Ne’ padroni.

Fuori la Nato dai coglioni!

Basta armi, basta guerre!

Solidarietà ai compagni/e anarchici/he detenuti/e al 41bis

 

La democrazia è menzogna, è oppressione,

è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi

a beneficio di una classe privilegiata,

ma possiamo combatterla noi in nome

della libertà e dell’uguaglianza e non già

coloro che vi han sostituito o vogliono

sostituirvi qualcosa di peggio.

Errico Malatesta

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)