Nel dicembre del ’74 il giudice istruttore di Padova, Giovanni Tamburino (ex capo del Dap), che stava indagando sulla Rosa dei venti (con tanto di richiesta d’arresto per l’ex capo del Sid Vito Miceli), manda al Sid una richiesta urgente con la quale chiede che sia trasmessa dall’Autorità Giudiziaria di Padova un’immagine fotografica di Mario Mori (foto sopra). Tamburino chiede quindi la fototessera di Mori nel ’74. Per quale motivo? Non bisogna scordare che nell’ottobre di quello stesso anno il giudice Tamburino aveva fatto arrestare per l’indagine sulla Rosa dei venti Vito Miceli capo del Sid. Successivamente era stato arrestato anche Amos Spiazzi. Il 4/1/’75 l’ex generale Gianadelio Maletti (ex n°2 del Sid rimasto al Servizio in seguito all’arresto di Miceli) scrive di suo pugno un appunto in cui chiede al direttore del Servizio facente funzioni, l’ammiraglio Mario Casardi (che poi diventerà direttore a tutti gli effetti), di allontanare Mario Mori dal Servizio “nel più breve tempo possibile”. Il 9 gennaio Casardi emette un provvedimento formale in cui dispone l’allontanamento di Mario Mori dal Servizio con effetto immediato aggiungendo alla richiesta di Maletti un’ulteriore direttiva. Non soltanto Mori deve essere cacciato via dal Servizio, ma deve essere urgentemente allontanato dal territorio della città di Roma. Perché mai Mori viene mandato via da Roma in quel modo? Il giudice Tamburino che stava conducendo l’indagine sulla Rosa dei venti a un certo punto si vede richiesti gli atti dalla procura di Roma. La tesi dei magistrati romani è molto semplice: siccome stiamo indagando sul Golpe Borghese, anche se non sono gli stessi soggetti, si tratta sempre di un colpo di Stato organizzato dai militari e quindi c’è connessione. Guarda caso il pm che indagava sul Golpe Borghese era un uomo fedelissimo di Giulio Andreotti: Claudio Vitalone (foto sotto). Di fatto Tamburino resiste fino al dicembre del ’74, poi però la procura di Roma si appella alla Cassazione e vince. Tutta l’indagine sulla Rosa dei venti viene quindi tolta a Tamburino per essere mandata a Roma così da essere unificata a quella sul Golpe Borghese. E’ un dato di fatto che nel giro di un paio di mesi la triade Miceli, Marzollo e Mori viene cacciata dai Servizi. I magistrati del pool stanno lavorando per comprendere in special modo i motivi dell’allontanamento di Mori. Incrociando i dati e analizzando le carte si cercheranno i possibili collegamenti tra Mori, Rosa dei venti e processo sul Golpe Borghese, fino ad arrivare al biennio stragista ‘92/’93 (Morte di Falcone e Borsellino).
A chi gli chiede perché Moro doveva morire, Imposimato replica: ”Perché il suo progetto politico era in contrasto con la strategia dell’America e dell’Unione Sovietica. Gli americani non potevano accettare un governo con i comunisti, né i sovietici consentire il dialogo comunisti-cattolici, perché questo avrebbe scardinato il ‘modello’ dell’Est”. Ma dalle carte emerge un conflitto di cui mai in Italia si era sospettato potesse esistere, tra Usa e Gran Bretagna. Le loro visioni del problema italiano, del problema comunista, erano il più delle volte in contrasto tra di loro, a cominciare dallo status da attribuire al nostro Paese dopo la fine della II guerra mondiale. Per gli americani, l’Italia era un paese cobelligerante, cioè un paese che attraverso la Resistenza, attraverso il fronte delle forze antifasciste, si era liberato della dittatura e aveva sconfitto il nazismo, combattendo a fianco degli eserciti alleati. Per gli inglesi invece, eravamo il Paese sconfitto, quindi soggetto al dominio delle potenze vincitrici”.
La mattina del 15/3/1972, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione alla periferia di Milano, viene trovato il corpo carbonizzato di un uomo sulla 40ntina. Era Giangiacomo Feltrinelli, saltato in aria assieme all’esplosivo col quale voleva far saltare i tralicci della luce: un incidente? Una perizia ignorata dalla magistratura a firma dei medici legali Gilberto Marrubini e Antonio Fornari, rileva che “alcune delle lesioni riscontrate sul cadavere, non possono e non devono essere ascritte ad esplosione”. Si tratta di ferite “sfalsate nel tempo”, che i due riconducono, in maniera neanche troppo indiretta, all’ipotesi di un pestaggio. Inge Schönthal, la terza moglie dell’editore, qualche mese prima di morire, nel 2018, dichiara: “La morte di mio marito fu un omicidio politico: Giangiacomo sapeva di Gladio. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria”. Alberto Franceschini(foto sotto), dice che i rapporti internazionali delle Br primordiali erano dati in gestione a Giangiacomo Feltrinelli, il quale aveva più di un legame con Cuba e coi servizi segreti dei paesi comunisti. Ma il suo posto non resta vuoto, dice ancora Franceschini, viene occupato da Corrado Simioni. Questo Simioni parla coi compagni in latino, studia per anni filosofia e teologia, in tedesco, ed ha la fissazione di dominare le BR dall’esterno, da dietro le quinte, e ci riesce, facendo fuori Franceschini e Curcio e mettendo al loro posto Moretti.
Il rapimento di Moro, dunque, viene pianificato e realizzato per il tramite del braccio Moretti, mentre la mente Simioni risiede a Parigi, prestando la sua attività all’Hyperion. Fausto Carotenuto, già collaboratore di Pecorelli e poi analista geopolitico per l’intelligence Nato, afferma: «A Moro faceva capo un nucleo segretissimo di uomini fidati. Tutti legati dalla stessa missione, che doveva restare nascosta: vigilare sulla sovranità italiana, tenendo il paese al sicuro». Antonio Varisco, tenente colonnello dei cc è stato assassinato nel 1979 in un agguato molto opaco, attribuito alle Br in modo non credibile. Poco prima del sequestro Moro era morto il generale dei cc Enrico Mino, precipitato col suo elicottero in uno strano incidente nel 1977. Altro personaggio collegato ai primi due: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fatto poi uccidere a Palermo dalla mafia nel 1982. «Queste persone – rivela Fausto Carotenuto – facevano parte di un super-gruppo rimasto segreto. Nel gruppo spiccavano altre due figure: Aldo Moro e Mino Pecorelli, assassinato nel 1979, un anno dopo Moro. La funzione di questo nucleo invisibile: proteggere l’Italia dai poteri occulti anglosassoni che, attraverso entità come la Loggia P2, cospiravano per privatizzare il Paese, controllarlo, svenderlo e sottometterlo». Erano forse quei nomi, che Moro rivelò ai brigatisti? Tutto il percorso evolutivo delle Br è caratterizzato, a cominciare dai suoi albori, dalla presenza di infiltrati di varia natura. E’ da considerare che già nell’estate 1967 la CIA aveva promosso la “Chaos Operation” per contrastare il movimento non violento e pacifista americano che si batteva per i diritti civili e contro la guerra del Vietnam. Quindi aveva deciso di estenderla su scala internazionale, in particolare in Europa, per contrastare anche il movimento studentesco-giovanile del vecchio continente, inquinandone gli assunti anti-autoritari e non violenti. L’operazione consisteva anche nell’infiltrazione, a scopo di provocazione, nei gruppi di estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, trotzkisti, marxisti-leninisti, operaisti, maoisti, castristi) in Italia, Francia, Germania Occidentale con l’obbiettivo di accrescerne la pericolosità inducendo ad esasperare le tensioni politico-sociali con azioni aggressive, così da determinare un rifiuto dell’ideologia comunista e favorire spostamenti “a destra” (secondo la logica di “destabilizzare per stabilizzare”).
Della sua prima cattura, Renato Curcio dice che Mario Moretti, che doveva avvertirlo del pericolo che correva, “non ritiene necessario agire subito perché sa che io e Franceschini stiamo lavorando a un certo libricino in una casa di Parma e che da quel posto non mi sarei mosso fino a sabato notte o domenica mattina”. Alla domanda di Scialoja ” Di che libricino si trattava?”, Curcio rispose: “Avevamo compiuto un’incursione negli uffici milanesi di Edgardo Sogno [foto sopra] impadronendoci di centinaia di lettere e elenchi di nomi di politici, diplomatici, militari, magistrati, ufficiali di polizia e dei carabinieri [tutta la rete delle adesioni al cosiddetto “Golpe bianco” preparato dall’ex partigiano liberale con l’appoggio degli americani]. Giudicavamo quel materiale esplosivo e lo volevamo raccogliere in un documento da rendere pubblico. Purtroppo avevamo tutto il malloppo con noi al momento dell’arresto e così anche quella documentazione preziosa finì in mano ai carabinieri”. Corrado Guerzoni, braccio destro dell’on. Moro, ha affermato che con ogni probabilità quelle borse contenevano anche la prova che il coinvolgimento del presidente DC nello scandalo Lockheed era stato frutto di una “imboccata” fatta dal segretario di stato americano, Kissinger (foto sotto). Questo delle borse scomparse, è un punto sul quale l’alone di mistero tarda a scomparire, tant’è che nella relazione del presidente della Commissione stragi del Luglio ’99, il senatore Pellegrino continua ad indicarlo come di cruciale importanza. Chi era veramente presente quella mattina in via Fani? Le Commissioni parlamentari hanno ormai confermato, tanto per riportare alcuni nomi alquanto “particolari”, che quella mattina alle 9, in via Stresa, a 200 metri da via Fani, c’era un colonnello del SISMI, il colonnello Guglielmi, il quale faceva parte della VII divisione (cioè di quella divisione del Sismi che controllava Gladio…). Nel 1993 si è arrivati alla vera identità del così detto “quarto uomo”, Germano Maccari, che sembra proprio essere quell’ing. Altobelli a cui erano intestate le utenze di luce e gas, come lui stesso ammette nel 1996. Stranamente l’individuazione di Maccari avvenne proprio lo stesso giorno in cui trapelarono dalla stampa le dichiarazioni di Saverio Morabito secondo il quale Antonio Nirta, killer della mafia calabrese e confidente del generale dei cc Francesco Delfino, era stato “uno degli esecutori materiali del sequestro dell’on. Aldo Moro“.
La “Prigione del Popolo” era situata proprio nel quartiere romano della Magliana, una zona notoriamente controllata in modo capillare da quel particolare tipo di malavita collegato, come poi si è saputo con certezza, a settori dei servizi segreti, alla P2 e all’eversione nera. Due avvenimenti accaduti il 18 aprile segnarono gli sviluppi successivi del rapimento proprio in questa direzione: la misteriosa scoperta del covo di via Gradoli ed il quasi contemporaneo ritrovamento del falso comunicato n°7. Appare comunque quantomeno bizzarra anche la scelta (effettuata da Moretti nel 1975) di Via Gradoli come luogo adatto a stabilirvi un covo delle Br, e non un covo qualsiasi, ma il primo e principale punto di riferimento dei brigatisti a Roma, abitato nell’ordine da Franco Bonisoli, Carla Brioschi, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Mario Moretti e Barbara Balzerani ma noto anche ad altri brigatisti. La bizzarria risiede nel fatto che via Gradoli era una strada stretta e circolare, lunga 600 metri e con un solo accesso-uscita sulla via cassia; dopo un breve tratto rettilineo di appena 10 metri la strada disegnava un circuito di mezzo chilometro e ritornava al breve tratto “obbligatorio”, dal quale si poteva agevolmente controllare gli spostamenti di tutti gli abitanti della via, l’esatto opposto, dunque, delle normali cautele adottate normalmente dai brigatisti. Caso vuole poi che al n° 89 di via Gradoli, nell’edificio dalla parte opposta della strada, il civico 96, col covo delle Br, abitava il sottufficiale dei cc Arcangelo Montani, agente del SISMI. Ma i servizi segreti non si limitavano solamente a controllare la via, avevano addirittura stabilito un proprio ufficio; di questo un ex militante di Potere operaio aveva avvisato le Br, ma esse, una volta localizzato con precisione quell’ufficio, decisero incredibilmente di mantenere ugualmente il covo in quella strada. Nella casa di campagna di Alberto Clò a Zappolino, alle porte di Bologna, si riunì un gruppo di professori universitari con tanto di mogli e bambini. Erano presenti l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi con la moglie Flavia, Alberto, Adriana, Carlo e Licia Clò, Mario Baldassarri e la moglie Gabriella, Francesco Bernardi, Emilia Fanciulli. Secondo i racconti, per allentare la noia di una giornata di pioggia, a qualcuno dei partecipanti venne la bizzarra idea di tenere una seduta spiritica. I partecipanti avrebbero quindi evocato gli spiriti di don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira chiedendo loro dove si trovasse la prigione di Aldo Moro. Gli spiriti formarono le parole Bolsena-Viterbo-Gradoli e indicarono anche il numero 96. Il 10 maggio i giornali furono completamente occupati dalla notizia dell’avvenuta uccisione di Moro, verificatasi il 9, e quindi la serie di rivelazioni si interruppe.
Assolutamente incredibile (anche a detta della Commissione Moro), fu anche il ritardo col quale venne studiato il materiale ritrovato all’interno del covo di Via Gradoli: un’analisi attenta avrebbe infatti permesso alle forze di polizia di arrivare facilmente alla tipografia Triaca di Via Foà, ove le Br stampavano tutto il loro materiale e dove lo stesso Moretti spesso passava. Toni Chichiarelli (foto sopra), fece trovare un borsello su un taxi, all’interno di questo borsello erano contenuti alcuni oggetti che facevano capire che lui conosceva dal di dentro la vicenda Moro. Fece trovare infatti 9 proiettili calibro 7,65 Nato, una pistola Beretta calibro 9 (e si sa che Moro è stato ucciso da undici colpi, dieci di calibro 7,65 e uno di calibro 9); fece trovare dei fazzoletti di carta marca Paloma, gli stessi che furono trovati sul cadavere di Moro per tamponare le ferite; fece trovare quindi una serie di messaggi in codice, e una serie di indirizzi romani sottolineati; fece trovare dei medicinali e anche un pacchetto di sigarette, quelle che normalmente fumava l’onorevole Moro; inoltre un messaggio con le copie di schede di cui farà ritrovare poi l’originale in un secondo episodio. Vi è un secondo aspetto. Dopo la rapina della Securmark, ad opera della banda della Magliana con Toni Chichiarelli come mente direttiva, quest’ultimo fa trovare (lo scrive il giudice Monastero) una busta contenente un altro messaggio con gli originali di 4 schede riguardanti l’on. Ingrao ed altri personaggi: si tratta di schede relative ad azioni che erano state programmate e previste; fa trovare però anche un volantino falso di rivendicazione delle Br. Il giudice poi scrive: “Si rinveniva una foto Polaroid dell’on. Moro apparentemente scattata durante il sequestro”. Viene eseguita una perizia di questa foto, e si rileva che non si tratta di un fotomontaggio; è quindi una foto originale di Moro in prigione che Chichiarelli, dopo l’episodio del borsello, fa ritrovare in questo secondo messaggio, con le schede originali che riguardano Pietro Ingrao, Gallucci, il giornalista Mino Pecorelli, che sarà in seguito ucciso, e l’avvocato Prisco “. Il documento di Arconte è compatibile con l’epoca dei documenti di raffronto, quindi dimostra che ambienti dei sevizi segreti erano al corrente del sequestro Moro prima che avvenisse, e anziché dare l’allarme si predisponevano a iniziative legate allo scenario del dopo-sequestro.
Il 29/10/2009 è morto Corrado Simioni (foto sopra). Alberto Franceschini ha detto ripetutamente di ritenere Simioni un infiltrato, un agente della Cia. Corrado Simioni, il misterioso e controverso personaggio veneziano che molti, negli anni ’70 e ’80, ravvisarono nelle allusioni di Bettino Craxi ad un “grande vecchio” del terrorismo italiano, è morto nel sud della Francia e a scoprirlo è stato il giornalista Giovanni Fasanella, che lo ha annunciato in una nota pubblicata sul suo profilo di Facebook. «Quando si parla del ‘grande vecchio” – disse Bettino Craxi nel 1980 – bisognerebbe riandare indietro con la memoria, pensare a quei personaggi che avevano cominciato a far politica con noi… e che poi, improvvisamente sono scomparsi». E molti ravvisarono nel personaggio descritto da Craxi il ritratto di Corrado Simioni, ex militante socialista e poi fondatore a Parigi della discussa scuola di lingue «Hyperion» (1976) e considerata un punto di collegamento tra gruppi del terrorismo internazionale e legata a servizi segreti. Simioni, con Duccio Berio e Vanni Mulinaris era stato il fondatore del Superclan, una struttura col mito della segretezza, staccatasi dal nucleo originario delle Br. Di esso avevano fatto parte Moretti e Gallinari, due dei protagonisti del caso Moro. L’Hyperion era presieduto da Francoise Tuscher, nipote dell’Abbé Pierre (foto sopra) e sposata con Innocente Salvoni, coinvolto nelle prime fasi delle indagini sulla strage di via Fani. E subito l’Abbé Pierre interviene in favore di Salvoni. La scuola di lingue parigina, che aveva ampie disponibilità finanziarie, aveva tra l’altro aperto due sedi a Roma poco prima del rapimento di Aldo Moro e le aveva poi chiuse poco dopo la conclusione di quella vicenda. Fasanella racconta su Facebook: «Simioni si era rifugiato nella campagna di Truinas, nella Drome, Sud-Est francese, dove gestiva un B&B insieme alla sua compagna Giulia Archer». Fasanella aveva telefonato diverse volte. «Un giorno gli chiesi di vederlo. Era sospettoso, sembrava quasi che avesse paura di parlarmi, mi disse che aveva avuto un infarto e lasciò tutto nel vago». Corrado Simioni, intellettuale, esperto di Pirandello, era nato a Venezia nel 1934. Si era poi trasferito a Milano dove aveva svolto attività politica nella federazione giovanile del Psi. Nel 1963 però viene espulso per una imprecisata «indegnità morale». Nella sua storia ci sono poi un lavoro per l’Usis (servizi segreti Usa), lo studio della teologia a Monaco di Baviera, il ritorno in Italia e il tentativo, fallito in un primo tempo, di egemonizzare il nascente terrorismo di sinistra italiano.
Negli anni ‘60 Simioni, dopo la breve militanza socialista, passò qualche anno a Monaco di Baviera per approfondire gli studi di latino e di teologia, per rientrare a Milano nel 1968. Lavorò alla Mondadori e partecipò ad altri incontri dei gruppi che propugnavano la lotta armata rivoluzionaria, ma si interruppe la sua relazione con Curcio e Franceschini. Fu redattore, all’inizio degli anni ’70, della rivista ‘Sinistra proletaria’ (con Vanni Mulinaris e Curcio) per scomparire poi nella clandestinità. Nel 1976 fondò a Parigi la scuola di lingue Hyperion. Molti dei componenti del Superclan provengono dalla formazione capeggiata da Simioni delle cosiddette “Zie Rosse”, formazione che sembrerebbe aver operato per un breve periodo parallelamente alla nascita della formazione della Sinistra Proletaria. Gli stessi componenti del Superclan sarebbero tra i nuclei direttivi ed operativi di Hyperion (centro di coordinamento e di influenza di gruppi terroristici di sinistra europei e medio-orientali per conto dei servizi segreti occidentali).
Lei ha conosciuto Roberto Dotti (foto sopra), direttore della Terrazza Martini a Milano, che sarebbe stato in contatto sia con Simioni sia con Edgardo Sogno? Franceschini, a pagina 74 del volumeintervista con Giovanni Fasanella intitolato Che cosa sono le BR, pubblicato nel 2004, afferma: «Duccio Berio diceva tranquillamente che suo padre collaborava coi servizi segreti di Israele». Hypérion operava come rete di alloggio per latitanti ed era una sede di contatto tra organizzazioni terroristiche europee (IRA, ETA, RAF) e quelle di altri ambiti geografici, come l’OLP. L’abbé Pierre, che era lo zio della moglie di Salvoni, venne a Roma poco dopo il rapimento di Aldo Moro per perorare la causa di Salvoni, la cui fotografia era stata diffusa tra quelle dei terroristi sospettati di aver partecipato a Via Fani. Quando il 4/4/1981 viene arrestato Mario Moretti, il suo posto è preso da Giovanni Senzani, un’altra figura ambigua nel panorama eversivo italiano di quegli anni. Senzani è strettamente in contatto con Luciano Bellucci, agente del Sismi, e con Francesco Pazienza, anche lui agente del Sismi (Pazienza è il mediatore con le BR nel sequestro dell’assessore campano Ciro Cirillo). La storia di Hyperion è dunque disseminata da ambigui personaggi e strane coincidenze che riportano alla strategia della tensione realizzata in Italia.
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Chi dice “Stato” dice necessariamente “Guerra”.
La lotta per la preponderanza, che è la base
dell’organizzazione economica borghese
è anche la base dell’organizzazione politica.
P. Kropotkin
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Solidarietà ai compagni e alle compagne arrestati o sgomberati ingiustamente
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Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)