Mori, generale P2ista dei cc indagato per associazione mafiosa con finalità di terrorismo [parte 2]

Il generale Mario Mori indagato per le stragi di mafia

In questi giorni i mass media scrivono che la Cassazione un anno fa aveva scritto la parola fine alla Trattativa Stato-mafia (inchiesta della Procura di Palermo) assolvendo l’ex comandante del Ros, il gen. Mario Mori (foto sopra), per non aver commesso il fatto dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato. Ora invece il generale P2 viene convocato dalla Procura di Firenze, nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti delle stragi mafiose del 1993, il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci (Falcone). Il difensore di Mori ha chiesto un rinvio. Secondo l’accusa Mori non avrebbe impedito «mediante doverose segnalazioni o denunce, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative o preventive, gli eventi stragisti di Firenze, Roma e Milano di cui aveva avuto plurime anticipazioni». Mario Mori di nuovo sotto indagine, di nuovo per mafia. Assolto 5 volte dall’accusa di aver tramato con le cosche (per forza, lui ha sempre usato e comperato la mafia per i suoi traffici e piani militari sporchi …), ora viene accusato di non aver fatto nulla per evitare le stragi di Stato.

Ma la cosa più assurda è che la sentenza di appello, pur confermando la gravità della trattativa Stato mafia, ha assolto gli ufficiali del Ros perché non era stato dimostrato il dolo!

Borsellino aveva capito che dietro la strage di Capaci, e tra chi lo voleva morto invece, non c’era solamente la mafia ma pezzi deviati delle istituzioni. Nel novembre del 2015 durante il processo “Trattativa Stato-mafia”, il mafioso Luigi Ilardo (foto sotto) dichiarò che le stragi del 1993 erano attentati che rientravano in quella strategia mafiosa di Riina, Bagarella e Brusca per ristabilire quel contatto con le istituzioni, per tornare a condizionarle come nel passato. Tutta questa “raffinata” strategia non era solo di Cosa nostra e per capirla si doveva andare ad analizzare il gradino superiore e il potere della massoneria (massomafia li aveva definiti Falcone). Secondo il mafioso Luigi Ilardo questi attentati sono applicati con lo stesso fine e lo stesso metodo dallo stesso ambiente, che cambiano gli attori ma che queste stragi sono state fatte su input di questi settori deviati e non voluti direttamente dai vertici mafiosi. Perché le parole di Ilardo (ucciso il 10/5/1996 a Catania) avevano fatto tremare una grossa fetta dell’apparato istituzionale italiano?

Blog mafie - Luigi Ilardo, un delitto di mafia e di stato

Ripartiamo dall’inizio: Col termine “Strategia della tensione”, coniato dal settimanale britannico “The Observer”, indichiamo quell’opera eversiva, circoscrivibile agli anni ‘70 del secolo scorso, condotta da un variegato universo, composto da attori istituzionali italiani e internazionali (tra i quali la CIA e i vertici massonici dei servizi segreti civili e militari della penisola), logge massoniche, organizzazioni paramilitari clandestine e lobbies affaristiche, che si concretizzò negli attentati eseguiti dai gruppi neofascisti organizzati per la lotta armata contro lo Stato, come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Essa fu posta in essere con una finalità specifica: “destabilizzare per stabilizzare”, creare un crescendo di tensioni sociali per mezzo di stragi e violenze talmente inaudite da instillare insicurezza, paura e terrore nella popolazione, così da rendere auspicabile agli occhi dell’opinione pubblica un intervento statale di stampo autoritario (dittatura militare).

La finalità sottesa a tale disegno, a cui a livello mediatico concorsero innumerevoli agenzie e testate giornalistiche di stampo fascista che sposarono la strategia della “guerra psicologica”, era ovviamente quella di scaricare la responsabilità politica del terrore sugli ambienti della sinistra, al fine di disinnescare le ambizioni governative del Partito Comunista Italiano e la svolta della Democrazia Cristiana verso un dialogo coi comunisti. In questo quadro rientrano, per citare solo le più famose, le stragi di Piazza Fontana (’69), di Peteano (’72), di via Fatebenefratelli a Milano (’73), di Piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus (’74), fino ad arrivare alla strage di Bologna (’80). Tutti questi episodi hanno un denominatore comune: i depistaggi ad opera di settori deviati dello Stato (servizi segreti, P2). Sono proprio i depistaggi ad accomunare le stragi terroristiche di matrice neofascista degli anni di piombo a quelle di mafia del 1992-1993. Giovanni Falcone venne ucciso il 23 Maggio 1992 e, sebbene nei mesi precedenti la mafia avesse potuto colpire il giudice con un commando armato che seguiva i suoi spostamenti nella città di Roma (dove ricopriva il ruolo di Direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia), l’attentato di Capaci fu studiato scientemente affinché la sua resa fosse tragicamente scenografica e dunque ancor più destabilizzante. Infatti, nel Febbraio 1992, Riina fece arrivare ai suoi uomini “in trasferta” il contrordine: bisognava organizzare un “attentatuni” di proporzioni macroscopiche e farlo in Sicilia. Dopo la morte del giudice, qualcuno ebbe accesso alla sua agenda elettronica Casio e manomise alcuni file, tra cui quelli che contenevano le schede di Gladio, struttura paramilitare clandestina operante in Italia su cui il giudice stava concentrando le sue indagini. Elaborata dai membri permanenti dell’alleanza atlantica con finalità resistenziale rispetto al pericolo comunista, l’organizzazione era coordinata dal Gladio Committee, organismo bilaterale composto dalla CIA e dal servizio segreto militare italiano (SIFAR). Interessante è inoltre notare come Pietro Rampulla, il mafioso noto come “l’artificiere”, identificato per avere avuto un ruolo fondamentale nella strage che uccise il giudice Falcone e gli uomini della sua scorta (confezionò l’ordigno che venne posto sotto l’autostrada) e che fu per questo condannato all’ergastolo con sentenza definitiva, fosse militante di Ordine Nuovo e molto vicino a Rosario Pio Cattafi (foto sotto), mediatore tra gli ambienti di Cosa Nostra, dei servizi e della massoneria deviata.

Rosario Pio Cattafi - Giornale di Sicilia

Anche la strage di Via d’Amelio (Borsellino) è caratterizzata dalle stesse ombre. Il primo aspetto saliente è l’improvvisa accelerazione del delitto decretata da Totò Riina. Paradossalmente, ciò avvenne nel momento meno favorevole per Cosa Nostra, dal momento che il Parlamento stava lasciando decadere il Decreto che, dopo la morte di Falcone, aveva introdotto il regime di carcere duro 41-bis: sull’onda dell’indignazione popolare, esso fu convertito in legge subito dopo la morte di Borsellino. Dalle testimonianze dei pentiti ascoltati da Borsellino e dei familiari del giudice sappiamo che, proprio nel corso delle settimane precedenti alla sua morte, egli aveva scoperto i legami con Cosa Nostra del numero tre del SISDE Bruno Contrada e che un uomo gli aveva riferito che il generale Subranni (capo del raggruppamento che stava portando avanti la cosiddetta “Trattativa Stato-mafia”, ovvero il ROS dei Carabinieri) fosse “punciuto”, ovvero affiliato alla mafia. Il mafioso Luigi Ilardo durante il processo di cassasione parlò anche delle collusioni con la mafia di Antonio Subranni e di Bruno Contrada, definendo quest’ultimo «l’anello di congiunzione tra mafia e istituzioni, l’uomo dei misteri». Sappiamo poi che Gaspare Spatuzza, il mafioso che materialmente eseguì la strage (organizzata dai fratelli Graviano, i boss di Brancaccio), incontrò all’interno del garage in cui venne imbottita di tritolo l’autobomba che provocò la morte del giudice, un membro esterno a Cosa Nostra, da lui inizialmente indicato come somigliante a un appartenente dei servizi segreti. “L’attività svolta per il servizio” da Mario Mori nei rapporti coi fratelli Gianfranco e Giancarlo Ghiron “era clandestina, cioé non è registrata in alcun atto”.

Il mio ricordo di bambino del giorno in cui morì Salvo Lima” - Linkiesta.it

Ma per capire meglio il problema dell’intreccio tra Stato e mafia partiamo ad analizzare quel periodo storico e sociale: il 12 marzo 1992 viene ucciso il parlamentare europeo ed ex sindaco di Palermo Salvo Lima (nella foto con Andreotti). Il 23 maggio invece avviene l’attentato di Capaci, in cui muoiono il giudice Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo. Due mesi dopo il 19 luglio, è la volta in via d’Amelio del giudice Paolo Borsellino. Poi invece il 5 novembre, trovano nel giardino di Boboli a Firenze un proiettile di artiglieria confezionato in un sacchetto per rifiuti: l’ordigno era collocato vicino alla statua del Magistrato Cautius, inventore della cauzione, e l’episodio fu poi definito dagli inquirenti come l’anticamera delle stragi del 1993. La prima è del 14 maggio 1992: un’autobomba esplode a Roma in via Fauro ai Parioli, poco dopo il passaggio della vettura del giornalista Maurizio Costanzo che rimane illeso. I feriti sono 24. Il 27 maggio tocca a Firenze: un furgone imbottito di esplosivo viene fatto saltare in aria sotto la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Muoiono in cinque, quarantotto i feriti. La torre de’ Pulci viene quasi completamente distrutta e la stessa Galleria degli Uffizi subisce notevoli danni: 7 opere d’arte furono perdute per sempre e 173 dipinti danneggiati, insieme a 42 busti e 16 statue anch’essi rovinati. Il 27 luglio, quasi in contemporanea, altre 2 bombe esplodono davanti alla Basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano, dove muoiono un vigile urbano, due vigili del fuoco e un cittadino marocchino che passava sul lato opposto.  Dodici i feriti. Il giorno dopo, il 28 luglio, un’altra vettura esplode davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, sempre a Roma. Una ventina, anche in questo caso, i feriti.  Ci sono anche due attentati falliti. Il 23 gennaio 1994 non esplode una Lancia Thema imbottita con oltre 120 chili di esplosivo, parcheggiata nelle vicinanze dello Stadio Olimpico a Roma. A Formello, paese della provincia romana, il 14 aprile viene invece ritrovato dell’esplosivo sotto il ciglio di una strada dove solitamente passa il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno. ll pool di magistrati fiorentini che lavorò alle inchieste sulle stragi del 1993 era composto da Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, sotto la guida dell’allora procuratore capo della Rep. Pier Luigi Vigna (foto sotto), coadiuvato dal procuratore aggiunto Francesco Fleury.

Diffamazione a Vigna. Malatesta, indagini chiuse: "Offesa la memoria del  magistrato"

I responsabili materiali della strage vengono individuati velocemente. Resta ancora aperta la ricerca degli eventuali mandanti “occulti”, che Chelazzi aveva avviato e per cui l’associazione “Tra i familiari delle vittime” chiedono la riapertura delle indagini. Il processo sulla strage dei Georgofili si apre il 12/11/1996.  La sentenza di primo grado arriva il 6/6/1998, con 14 ergastoli e varie condanne.  Nel 2000 c’è la sentenza stralcio relativa a Riina, Graviano e altri, con due ergastoli. Nel 2002 la Cassazione conferma  15 ergastoli. Tra i condannati c’è Bernardo Provenzano (all’epoca latitante, fu arrestato nel 2006) e Matteo Messina Denaro (considerato, dopo l’arresto di Provenzano, il capo di Cosa nostra). Nel 2009 nuovi elementi d’accusa inducono la procura della Rep. di Firenze, guidata da Giuseppe Quattrocchi, a chiedere la riapertura della vecchia inchiesta, archiviata, sui mandanti “occulti”delle stragi del 1993 e che vede imputato Francesco Tagliavia (foto sotto), accusato di essere uno dei responsabili degli attentati del ‘92/’93. I pm Quattrocchi, Nicolosi e Crini hanno motivato la richiesta di riapertura dell’inchiesta con l’esigenza di nuove indagini che prendono spunto dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, uno dei quali, Spatuzza, direttamente coinvolto nell’esecuzione dell’attentato di via dei Georgofili.

tagliavia francesco eff

Il 5 ottobre 2011 il boss mafioso Francesco Tagliavia viene condannato all’ergastolo per tutte le stragi del ’93 di Roma, Firenze e Milano. La sentenza è la prima che riconosce la piena attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex reggente del mandamento di Brancaccio. Un nuovo processo si apre il 27 maggio 2013 per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Il 20/4/2018 la Corte di Assise di Palermo condanna il boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di reclusione, il boss mafioso Antonino Cinà a 12 anni, l’ex senatore Marcello Dell’Utri (a sinistra nella foto) e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni e Mario Mori a 12 anni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno a 8 anni.

Marcello Dell'Utri, storia dell'amico fraterno di Silvio Berlusconi. I casi  e i processi del co-fondatore di Forza Italia

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G8 Genova 2001-2011 – Assalti Frontali “Rotta Indipendente” e Casa del vento “Canzone di Carlo”https://www.youtube.com/watch?v=_P1_fDLlrBM

Assalti Frontali – Strade Perse (La Habana Session)https://www.youtube.com/watch?v=jEqp3Z_rIaI

Montelupo dal vivo a Roma 09/09/2023 (concerto integrale)https://www.youtube.com/watch?v=yvQV0VPnNHI

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“Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi.”

Giovanni Falcone

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Più l’uomo è religioso, più crede,

più egli crede, meno sa;

meno egli sa, più è stupido;

più è stupido, meglio può essere governato.

J. Most

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Solidarietà a tutti i compagni e compagne incarcerati, sotto processo o sotto sgombero.

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)