Il caso del virus mutato H5N1 ha riaperto il dibattito sul pericolo che un agente biologico possa essere adoperato come arma di distruzione di massa. Se qualcuno però ritiene che il bioterrorismo sia solo una conseguenza dello sviluppo che le scienze biologiche e mediche hanno avuto nell’ultimo secolo e in particolare negli ultimi decenni, compie un grave errore. L’utilizzo di patogeni in attività belliche è documentato sin dall’età classica: (parte dal 480 a.C. e si conclude nel 323 a.C. (V-IV secolo a.C.). La prima testimonianza dell’uso di agenti biologici in guerra risale al tempo dei greci. Erodoto: (Re di Giudea in carica 37 a.C.- 4 a.C.), descrive l’impiego da parte degli arcieri sciti di frecce avvelenate, presumibilmente col batterio Clostridrium botulinum che induce il tetano. Nel 1346 (foto sopra) i Tartari, durante l’assedio della colonia genovese di Caffa, catapultarono oltre le mura di cinta della città, cadaveri di soldati tartari morti per peste. L’epidemia si diffuse all’interno della città. Trasportata poi dalle navi dei genovesi in fuga, la Morte Nera sbarcò in Europa dove sterminò in appena tre anni 20 milioni di persone. Virus che percorrono la storia dell’uomo e alcune volte la cambiano. La conquista del Nuovo Mondo da parte dei conquistadores europei è stata facilitata dalla diffusione di malattie come il vaiolo. Francisco Pizarro González (Trujillo, 1475 circa – Lima, 26 giugno 1541) è stato un condottiero spagnolo, conquistatore dell’Impero inca e fondatore della città di Lima, capitale del Perù. Pizzarro offrì ai nativi sudamericani coperte usate da persone infettate dal vaiolo. Probabilmente il generale inglese Jeffrey Amherst, tenne a mente la vicenda di Pizzarro, facendo donare come “atto di amicizia” agli indiani fedeli ai francesi coperte e indumenti contaminati dal virus del vaiolo ottenuti da vittime della malattia. Per vendicarsi i francesi fecero la stessa cosa con gli indiani fedeli agli inglesi.
Gli episodi descritti sono tutte vicende dove la guerra biologica è colpo sinistro del destino, alla base non c’era nessuna conoscenza scientifica. Col passare dei decenni però il progresso e la ricerca hanno dato la possibilità a molti paesi di sviluppare progetti bellici basati sull’uso di questi tipi di agenti. Il Giappone, a partire dal 1932 diede inizio a un ambizioso programma di guerra biologica, allestendo una base in Manciuria denominata “Unità 731” (foto sopra), un’unità segreta di ricerca e sviluppo di armi chimico-biologiche dell’Esercito imperiale giapponese, attiva durante gli anni della II guerra sino-giapponese, guidata dal medico militare Shiro Ishii (foto sopra). In questa base vennero condotti esperimenti non su animali ma su prigionieri di guerra. Il principale metodo sperimentale era rappresentato dall’infezione. Fra i principali patogeni saggiati in tal modo sono da includere Bacillus anthracis, Neisseria meningitidis, Vibrio cholerae. Si stima che siano morte almeno 3000 persone tra prigionieri cinesi. Dopo numerosi test i giapponesi sparsero con gli aerei in Manciuria quantità enormi di grano insieme a pulci veicolanti il germe della peste. L’intento, in parte riuscito, era quello di attirare col grano i ratti fuori dalla tane per facilitare il loro contatto con questi insetti. I roditori si trasformarono così in serbatoi di malattia e amplificarono il processo di diffusione dell’epidemia tra la popolazione civile. Un programma simile a quello giapponese fu adottato dagli USA, a partire dal 1941 iniziarono la produzione in scala di numerosi patogeni. Ma nel 1969 dopo la pubblicazione da parte dell’OMS di un rapporto in cui veniva segnalata l’imprevedibilità delle armi biologiche e i rischi per la loro incontrollabilità, il presidente Nixon si impegnò pubblicamente alla rinuncia allo sviluppo e all’uso di armi biologiche. La rinuncia agli armanti arrivò finalmente con un trattato siglato nel 1972, dove 143 Paesi tra cui tutti gli stati dell’Unione Europea, gli Usa, l’Australia ed il Giappone, ma non Israele si impegnavano a fermare la sperimentazione, la produzione, l’acquisizione e lo stoccaggio di armi biologiche. Al trattato aderirà anche l’Unione Sovietica ma ciò non impedirà il lancio del Biopreparat, il più grande programma di ricerca militare che la storia ricordi, con circa 60.000 persone impiegate. Viene prodotto un arsenale di agenti eziologici imbarazzante, sviluppate tecniche per la coltivazione, la selezione di ceppi più virulenti e la loro essiccazione per consentire la conservazione a temperatura ambiente. Fortunatamente nei primi anni ‘90, dopo l’avvento di Gorbačëv, la struttura viene ufficialmente smantellata e l’Occidente ne verrà a conoscenza solo quando un alto dirigente del Biopreparat scapperà nel Regno Unito. Al tempo della I guerra del Golfo (foto sotto), i servizi segreti occidentali sospettavano che il governo di Saddam Hussein avesse in corso un consistente programma di guerra biologica. Poi le armi biologiche sviluppate da Saddam non furono mai trovate, ma furono la scusa per scatenare un tremendo conflitto dove vennero colpiti indistintamente militari e civili.
La paura di una guerra biologica è sempre dietro l’angolo, c’è un grande vantaggio nella produzione di armi biologiche: il costo. Secondo un rapporto dell’ONU infatti si stima che un’operazione su larga scala contro la popolazione civile di un Paese costerebbe 2000 dollari per km2 con armi convenzionali, 800 con il nucleare, 600 con i gas nervini, ma solo un dollaro con agenti biologici. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 l’emergenza antrace, innescata da una serie di lettere inviate a uffici federali, televisioni e giornali, sembra dar corpo a questo scenario. Ma forse il nuovo pericolo non è rappresentato solo dai cosiddetti stati “canaglia”, ma anche dalla disinvoltura con la quale in molti laboratori si “gioca” con agenti biologici, un incidente in uno di questi potrebbe scatenare una pandemia. Un esempio è dato dal un lavoro del 2002, pubblicato su PNAS, in cui viene comparata la risposta immunitaria nei confronti di Variola major, il virus responsabile del vaiolo eradicato ormai da decenni, e Vaccinia, un virus attenuato che è stato utilizzato per immunizzare la popolazione umana nei confronti di questa malattia. Non avendo a disposizione il virus selvatico, per confrontare i geni che codificano un inibitore chiave della risposta immunitaria i ricercatori ne ricostruiscono il gene utilizzando tecniche di sintesi. In sostanza, per ricostruire il gene di Variola sostituiscono nel corrispondente di Vaccinia 13 oligonucleotidi. Per alcuni, il risultato ottenuto in questo studio è di grande importanza perché se il vaiolo ricomparisse nella popolazione umana, si potrebbe tentare di ridurre la risposta del gene in questione, ma per altri esiste il pericolo che ingegnerizzando il Vaccinia con lo stesso gene si potrebbe aumentarne la virulenza e quindi riportare in vita il virus del vaiolo. Lo stesso tipo di dibattito avvenuto nel 2002 , avviene oggi all’indomani delle ricerche di Kawaoka e Fouchier (foto sotto).
Il 4/1/2018 i mass media scrivono che sono state trovate alcune delle ‘armi’ che permettono alle scimmie cercocebo di convivere col virus dell’Aids senza ammalarsi e morire, come invece avviene per l’uomo e i macachi. Le hanno scoperte i ricercatori della Emory University, guidati dall’italiano Guido Silvestri (foto sotto), che sono riusciti a sequenziare il genoma delle scimmie che convivono con l’Hiv con un dettaglio senza precedenti. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature.
I cercocebi, o mangabey, sono scimmie che vivono in Africa occidentale e sono note da anni per la loro capacità di convivere il virus dell’Aids. “Nel loro organismo il virus è presente in quantità molto alte, superiori addirittura a quelle degli uomini infetti che non fanno terapia antiretrovirale. Una delle loro risorse sta nel rispondere al virus in modo meno aggressivo”. In questo nuovo lavoro i ricercatori, da anni impegnati a studiare il virus da una prospettiva diversa, sono andati più a fondo ancora. “Attraverso il sequenziamento estremamente preciso del genoma di questa scimmia abbiamo trovato 34 geni che presentano differenze rispetto ai macachi. Due geni, ICAM2 e TLR4, sono quelli più dissimili tra loro, con pezzi di proteine mancanti”, continua. Si tratta di geni con funzioni immunitarie. “Ciò non significa che sia tutta colpa loro, ma senz’altro sono coinvolti. Possiamo dire di aver rotto il muro e di essere entrati nella ‘stanza dei bottoni’. Il risultato ci aiuterà a capire se ad essere ‘anomali’ sono i geni del cercocebo, o invece quelli del macaco e dell’uomo”, prosegue. Per trovare la risposta i ricercatori continueranno ad analizzare le altre differenze viste nei geni, anche quelle meno vistose, e a lavorare con esperimenti in vivo sui macachi, per vedere cosa succede se i due geni in questione vengono silenziati.
“Non esiste articolo scientifico che dimostri l’isolamento e la purificazione del presunto retrovirus hiv dal sangue di un essere umano tramite ultracentrifugazione per gradiente di saccarosio e fotografie al microscopio elettronico (protocollo standard in microbiologia). Ha almeno letto gli articoli di Gallo e Montagnier [foto sopra] sulla presunta scoperta dell’hiv? Uno studente di biologia del primo anno capirebbe che in essi non solo non c’è uno straccio di prova della scoperta di un nuovo patogeno ma che la sua eventuale trasmissibilità non è nemmeno stata dimostrata alla lontana. Le ricordo inoltre, che Gallo ha falsificato le bozze del suo articolo su Science in cui il suo collega dr. Gonda diceva chiaramente ‘Malgrado intensi sforzi nella ricerca, l’agente causale dell’Aids non è ancora stato identificato’. Gallo ha cancellato tale frase è ha fatto pubblicare gli articoli. E’ stato processato e condannato per frode scientifica e sbattuto fuori del NIH. Le culture cellulari usate da Gallo nel 1983, a cui seguì la pubblicazione su Science dell’articolo-annuncio della scoperta del virus HIV, erano mescolate a linfociti provenienti dal sangue di cordone ombelicale, tessuto riconosciuto da tempo per la sua ricchezza in retrovirus umani. Tale articolo comprende dunque gravi errori metodologici”. 15 anni più tardi vennero effettuati controlli sperimentali in laboratori francesi e statunitensi che pubblicarono un articolo nella rivista Virology (1997), in cui si dimostravano i risultati dei loro studi al microscopio elettronico sui gradienti ottenuti a partire da culture cellulari che si ritenevano infette da HIV. In entrambi gli studi, gli autori hanno riscontrato un’abbondanza di residui cellulari senza alcuna evidenza accettabile di particelle retro virali. Quasi nello stesso momento Luc Montagnier venne intervistato da Djamel Tahi e finì per ammettere che in effetti il virus HIV non era mai stato isolato nel suo laboratorio. Questo tentativo di verificare l’esistenza dell’hiv, pubblicato come già detto su Virology è un prestigioso studio condotto in maniera congiunta da gruppi di ricerca in USA, Francia e Germania, e rappresenta il primo e unico tentativo di isolamento e purificazione del presunto retrovirus HIV, dalla sua presunta scoperta nel 1984: non stupisce che gli autori stessi ammettano di aver purificato solo delle vescicole cellulari. I due gruppi di ricerca, inoltre, hanno isolato particelle di dimensioni diverse non solo l’uno dall’altro, ma anche e soprattutto molto più grandi rispetto alle presunte particelle virali isolate da Gallo e Montagnier negli anni ‘80. La morfologia è un criterio diagnostico in virologia. Se la dimensione e la forma non sono quelle attese, l’agente patogeno o non esiste o è quello sbagliato. Non fu possibile isolare e purificare alcun virus, dunque.
Questo è stato confermato anche direttamente in una video intervista da Charles Dauguet, microscopista elettronico di Luc Montagnier: “Non abbiamo mai visto particelle retrovirali al microscopio, ma solo frammenti cellulari”. Inoltre, non esiste articolo scientifico che dimostri la tanto pubblicizzata trasmissibilità sessuale o tramite siringhe infette del presunto retrovirus hiv, ma esistono articoli prestigiosi che dimostrano il contrario: Il più importante studio epidemiologico condotto sulla trasmissibilità dell’hiv, condotto in California dalla dr. Nancy Padian (foto sopra), ha esaminato 175 coppie eterosessuali sessualmente attive, in cui un partner era sieropositivo e l’altro sieronegativo; le coppie sono state monitorate per un periodo di oltre 6 anni per valutare eventuali casi di siero conversione. 1/4 delle coppie ammise di non usare precauzioni durante i rapporti sessuali: non ci fu nemmeno un caso di siero conversione. Non esiste articolo scientifico che dimostri che un calo dei cd4 sia causa necessaria e sufficiente a causare l’Aids. Gli atleti agonisti, i pz depressi e ansiosi hanno i cd4 spesso sotto i 200. E godono di perfetta salute. Se i cd4 fossero così indispensabili perché non vengono regolarmente monitorati negli ematochimici con formula? I test hiv non sono specifici per il semplice fatto che la purificazione dell’hiv non è mai stata effettuata (lo ha ammesso Montagnier nel 1997); e senza purificazione è ovviamente impossibile ottenere gli acidi nucleici e gli enzimi e di conseguenza il substrato per un test anticorpale, antigenico o genetico non può essere specifico. Ecco perchè in ognuno dei fogli illustrativi dei test hiv (Elisa, Western Blot e PCR), che credo lei come tanti non ha mai visto, viene scritto a chiare lettere dai produttori che NON sono test diagnostici per confermare la presenza di infezione da Hiv. Tali fogli illustrativi sono approvati dal Ministero della Sanità. Non le sembra strano? La questione ridicola del vaccino poi, che è costata fino ad oggi circa 60 milioni di euro solo in Italia, si smonta con la logica: lo scopo di un vaccino qual è? creare anticorpi. La diagnosi di hiv, anche a livello legale, con cosa si effettua? con test anticorpali (la PCR non è ammessa come prova di infezione data la sua totale aspecificità, su cui tornerò tra poco e che spiega la presenza della “carica virale” in soggetti stabilmente sieronegativi, cosa riportata in letteratura dal 1995): come distigueremmo dunque un “vero” sieropostivo da un “vaccinato”? La PCR: non è una tecnica di identificazione, bensì di amplificazione.
Il Nobel Kary Mullis (foto sopra) che l’ha inventata è stato il primo a dire che il suo utilizzo per l’hiv era criminale. Le prove e le affermazioni attribuite per puro terrorismo psicologico e demagogia di bassa caratura ai “negazionisti”, sono esattamente quelle della scienza più pura, pubblicata e conosciuta dagli specialisti che tacciono questa menzogna, la peggiore nella storia della scienza. Ma le cose stanno cambiando per fortuna. Basta usare la logica, conoscere la scienza e le sue rigorose metodologie. E dimenticarsi le emozioni patogene create a tavolino dai mass media. Le complicanze neurologiche legate agli esperimenti dei medicinali modificati geneticamente per combattere l’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV), sono frequenti e colpiscono il sistema nervoso centrale e periferico e il muscolo. Possono essere riscontrate a tutti gli stadi della malattia, dalla sieroconversione alla fase della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Le infezioni opportunistiche devono essere sospettate sistematicamente in occasione di un interessamento centrale, particolarmente la toxoplasmosi e la tubercolosi; alcune terapie efficaci specifiche, precocemente prescritte, possono condurre alla guarigione del paziente. Se per l’encefalite HIV osservata allo stadio tardivo, quando i pazienti hanno meno di 100 linfociti T-CD4+/mL, non c’è un reale trattamento specifico, i nuovi trattamenti della malattia HIV con triterapia fanno retrocedere la comparsa dell’encefalite e forse sono anche responsabili di un miglioramento clinico.
Nonostante questi apporti terapeutici, si osservano ancora attualmente encefaliti legate al citomegalovirus (CMV), leucoencefaliti multifocali progressive e linfomi primitivi del sistema nervoso centrale. Se le neuropatie legate al CMV e le neuropatie tardive dolorose sono attualmente meno frequenti, si osservano ancora delle neuropatie infiammatorie o dovute a vasculite. Le neuropatie causate da terapie neurotossiche (dideossicitidina [ddC], dideossinosina [ddI], ecc.) sono più frequenti, da alcuni mesi, nei pazienti con HIV. Se le miopatie legate alla zidovudina (AZT) sono quasi scomparse, alcune miositi infiammatorie sono ancora comuni.
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Ma per capire meglio il problema, e il business dei farmaci modificati geneticamente per curare l’Hiv, vi consigliamo di guardare questo interessante video prodotto da Report (Rai 3) il 22/10/1997: L’AFFARE AIDS
https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Laffare-aids-99f7ab6e-dfbd-42e7-aa75-1fb1466661e3.html
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Questo è un nostro articolo sul potere massomafioso delle multinazionali dei vaccini anticovid:
De Donno: ucciso dallo stato l’inventore della cura antiCovid col plasma
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Dopo averci fatto ammalare con virus creati in laboratorio, dopo averci obbligato ad assumere ‘vaccini’ più dannosi della malattia che dovrebbero prevenire, ci imbottiscono di psicofarmaci fin da bambini, così non ci ribelliamo:
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Noi crediamo chela più gran parte
dei mali che affliggono gli uomini
dipende dalla cattiva organizzazione sociale;
e che gli uomini, volendo e sapendo
possono distruggerli.
Dal “Programma” dell’Unione Anarchica Italiana (1899)
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Solidarietà ai compagni/e ingiustamente arrestati
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Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)