Fu una strage di impronta terroristico-mafiosa, che distrusse la vita di donne e uomini inermi mentre raggiungevano i parenti per le festività di fine anno. Ci furono anche tre bambini fra le vittime di tanta disumanità. Si allungava la catena dei criminali attentati ai treni, in continuità con le stragi compiute dall’eversione nera (P2 – Gladio – nuclei clandestini dello stato, ecc.). Una strategia di intimidazione e destabilizzazione che la mafia avrebbe replicato contro la Repubblica anche negli anni 90’, culminando con l’uccisione di Falcone e Borsellino, i magistrati che scoprirono gli intrecci e coniarono la parola massomafia.
Fu ribattezzata ‘la strage di Natale’, molte persone dal Sud avevano preso quel treno per raggiungere i loro parenti al Nord per trascorrere insieme le festività. L’attentato dinamitardo avvenne sul Rapido 904, partito dalla stazione di Napoli e diretto a Milano. Mentre percorreva la Grande galleria degli Appennini, la carrozza 9 del convoglio, accertarono le indagini, fu squarciata da una bomba radiocomandata, collocata su una griglia portabagagli e all’interno di due valigie con pentrite e T4 (provenienza Nato). L’esplosione avvenne a cavallo tra la Toscana e l’Emilia-Romagna, nel tratto tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro, già teatro della strage dell’Italicus, il treno Espresso 1486, colpito dall’esplosione di un ordigno di matrice terroristica il 4/8/1974, all’uscita dalla “galleria degli Appennini”, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, vicino Bologna, diretto a Monaco di Baviera. Per l’attentato al treno 904, sono stati condannati in via definitiva il boss di ‘Cosa Nostra’ Giuseppe ‘Pippo’ Calò, i suoi complici Guido Cercola e Franco Di Agostino e l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn. Secondo la procura di Firenze, Totò Riina (foto sotto) fu “mandante, determinatore e istigatore della strage“. Durante il processo, svoltosi nel 2015, il pentito Leonardo Messina ha descritto l’attentato come “un segnale agli amici politici, e un segnale all’interno della mafia”. La strage doveva servire ai vertici di Cosa Nostra, secondo le ricostruzioni, per allentare la morsa a cui erano sottoposti dopo le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia che avevano portato a centinaia di provvedimenti restrittivi. I processi che si sono succeduti dal 1985 a oggi hanno confermato la matrice terroristico mafiosa della strage, rivelando l’intreccio tra organizzazioni criminali, estrema destra, massoneria (massomafia) e servizi deviati, con molti insabbiamenti e depistaggi. La Procura di Firenze ha riaperto le indagini per far luce su eventuali nuovi responsabili. Sono stati acquisiti documenti declassificati dai servizi segreti e altri materiali giudiziari, con l’obiettivo di individuare ulteriori mandanti ed esecutori. La giustizia ha condannato Cosa nostra e accertato le responsabilità di altri “poteri forti“, le cui identità sono ancora senza nome. Oggi della strage non rimane che un flebile ricordo. Non esiste nessun pezzo di lamiera accartocciato custodito in una teca di vetro da mostrare alla gente, e neppure un orologio fermo alle 19.15, il momento in cui la deflagrazione cancellò l’intera carrozza numero nove di seconda classe. L’attentato avviene quando, per convenzione, si ritiene conclusa la Strategia della tensione (l’ultimo episodio è la bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980) e anticipa lo stragismo mafioso degli anni ‘90. Questa indeterminatezza, insieme a una certa volontà di rimuovere l’accaduto e occultare l’identità di responsabili rimasti anonimi, fanno sì che la Storia sia rimasta sospesa nel tempo. E questo quarant’anni dopo, provoca ancora dolore.
Ma partiamo dall’inizio per capire il problema: nel 1984 il contesto sociale e politico era molto vivace, teneva banco il confronto sulla scala mobile (il meccanismo di adeguamento automatico del potere d’acquisto dei salari) e dopo la morte di Enrico Berlinguer, alle elezioni europee, per la prima e unica volta in una tornata elettorale su base nazionale, il Pci si era affermato come primo partito in Italia, allarmando l’esercito anticomunista della Nato. Il boss mafioso Tommaso Buscetta (foto sopra), era stato estradato e le sue rivelazioni a Giovanni Falcone porteranno al maxiprocesso di Palermo, mentre il giudice Felice Casson indagava sull’organizzazione paramilitare Gladio e si avviava a concludere il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, presieduta da Tina Anselmi. In altre parole, stava emergendo quello che Francesco Biscione definisce ‘il sommerso della Repubblica’ (massomafia) e questo nuovo clima metteva in allarme non soltanto Cosa nostra ma anche entità più o meno oscure, la zona grigia fatta di intrecci e rapporti (a dir poco) inquietanti.
Ma la cosa più assurda è che nei processi per la strage del Rapido 904 sono state condannate soltanto due persone: il boss mafioso Pippo Calò (foto sopra) e il suo braccio destro a Roma Guido Cercola, che nel 2005 si è impiccato nel carcere di Sulmona. “Il ruolo di Calò è fondamentale [osserva Hobel], perché era il collante tra Cosa nostra e gli altri poteri. Di sicuro, non avrebbe potuto dare il via all’attentato senza l’avallo di quei settori deviati dei servizi segreti, di quel sommerso a cui era legato”. Fra l’altro, l’attentato avvenne nello stesso luogo dove, nella notte tra il 3 e 4/8/1974, fu fatto esplodere il treno Italicus. “Il segnale doveva raggiungere più destinatari, ha più significati e sensi [aggiunge Hobel ]. Non possiamo accontentarci della verità giudiziaria, è un dovere capire chi vi fosse oltre a Calò e Cercola”.
C’è poi l’assurda vicenda dell’artificiere tedesco Friedrich Schaudinno (morto nel gennaio 2014), in rapporti con Cercola, incaricato di produrre i congegni utilizzati nell’attentato. Arrestato dopo le indagini sulla strage, nel 1988, prima che si aprisse il processo di primo grado, riuscì a fuggire dai domiciliari e grazie all’aiuto dei servizi segreti italiani a espatriare in Germania, come confessò lui stesso nel 1993 durante una trasmissione condotta da Michele Santoro. “Schaudinn è una figura di alto livello[spiega Hobel ], apparteneva a un network internazionale e questo elemento deve far riflettere, perché se la mafia avesse agito da sola si sarebbe certamente rivolta ai suoi uomini”.
La strage del Rapido 904 è stata sottovalutata e ha ricevuto una scarsa attenzione. “Anche la costruzione nazionale di una memoria ha stentato a decollare [fa notare lo storico], basti pensare che alle commemorazioni non ha mai partecipato nessuna alta carica dello Stato”.
Rosaria Manzo, figlia di un macchinista sopravvissuto all’attentato e da qualche anno presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage sul treno Rapido 904 (foto sopra), non nasconde il suo stupore. “L’abbiamo saputo dai giornali, ora l’auspicio è che dopo quarant’anni qualcuno si decida a fare i nomi di chi organizzò la strage: sembra che tutti li conoscano ma nessuno abbia il coraggio di pronunciarli. Molti familiari non ci sono più e la vita dei superstiti è stata stravolta, credo sia giunta l’ora di mettere la parola fine a questa storia. Oltre al 23 dicembre, ogni anno i nomi delle vittime del Rapido 904 vengono letti il 21 marzo, durante la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, e il 9 maggio (morte di Moro), Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. Per la cerimonia del 23 dicembre, se fino a due anni fa il Comune pagava le spese per montare il palco all’interno della stazione, adesso anche quelle sono a carico nostro. A parte la fondazione Polis, nessuno offre un contributo, non penso serva aggiungere altro”.
Tra la strage di piazza Fontana e quella del Rapido 904 passano 15 anni. È in questo arco di tempo che gli storici inquadrano la cosiddetta «Strategia della tensione», un percorso di sangue e dinamite cominciato col «centrosinistra organico» del doroteo Mariano Rumor e finito con Bettino Craxi alla guida del pentapartito, per dire quanto, nel mentre, sono cambiati i connotati della Rep. Per i fatti del 12 dicembre 1969 (17 morti per lo scoppio di un ordigno nella sede milanese della Banca dell’agricoltura), una verità giudiziaria esiste, anche se contorta, ed è contenuta in una sentenza di Cassazione del giugno 2005: la responsabilità è del nucleo padovano di Ordine Nuovo guidato da Franco Freda e Giovanni Ventura (foto sopra), non perseguibili però perché in precedenza già assolti per gli stessi fatti. Il resto, come sempre nella storia delle stragi, resta sfumato, anche se gli storici hanno ormai pochi dubbi (anzi nessuno) nel citare frange dei servizi segreti come complici e mandanti (P2: Loggia massonica formata da alti gradi delle forze militari) . E non si parla solo di italiani. Era il primo luglio del 1997 quando la Commissione stragi ascoltò il senatore a vita Paolo Emilio Taviani (che nel 1969 era ministro del governo Rumor) dire una frase di estrema chiarezza: «Che agenti della Cia si siano immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e successivi è possibile, anzi sembra ormai certo: erano di principio anti-centrosinistra. Che agenti della Cia fossero fornitori di materiali e fra i depistatori sembra pure certo». Sui MATERIALI (gli esplosivi), c’è una pista ancora aperta: l’ha seguita negli ultimi anni la procura di Brescia e attualmente è al vaglio processuale nell’ennesimo (e forse ultimo) capitolo giudiziario di un’altra strage, quella di piazza Loggia del 1974. La tesi investigativa, suffragata da diversi riscontri, è che i ‘materiali’ facessero parte di un fitto giro di scambi di varia natura tra Ordine Nuovo e la base Nato di Verona. Anche sui depistaggi ci sono pochi dubbi: la colpa della strage venne inizialmente attribuita agli anarchici. Pino Pinelli volò giù da una finestra della questura dopo due giorni di interrogatorio e di torture, Pietro Valpreda venne dipinto come un mostro, incarcerato e sottoposto a una lunga trafila di processi. Solo nel 1987 una sentenza decreterà in via definitiva la sua innocenza (e l’estraneità ai fatti di Pinelli ).
Sedici le vittime per la strage di Natale e una responsabilità giudiziaria che, ad oggi, è attribuita in via esclusiva a Cosa nostra, con la complicità di un artificiere tedesco, Friedrich Schaudinn. Poi ci sarebbe la posizione dell’ex parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo (foto sopra con Delle Chiaie), stralciato dal processo dopo essere stato eletto alla Camera, poi assolto dal reato di strage ma condannato a 6 anni per aver consegnato l’esplosivo a un altro assolto per la strage, il camorrista Giuseppe Misso. Secondo il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna, la strage del Rapido 904 è da considerarsi come una sorta di diversivo escogitato da Cosa Nostra per distogliere l’attenzione dalle indagini di Falcone e Borsellino in Sicilia. Siamo quasi alla vigilia del maxi processo di Palermo, il pool antimafia è in piena attività e Tommaso Buscetta ha appena cominciato a parlare. Tutti questi elementi insiemi avrebbero convinto Totò Riina a organizzare un massacro nell’Italia del nord, lontano dai suoi affari. Esisteva un accordo larghissimo che coinvolgeva neofascisti, Cosa nostra, servizi segreti e politica. In questo contesto, la fine della strategia della tensione sarebbe poi sfociata all’inizio degli anni ’90 (come abbiamo già accennato), nella stagione delle stragi di mafia. Il collegamento è ardito e sullo sfondo si vedono chiaramente gli intrecci e i teoremi del ‘romanzone’ sulla trattativa stato-mafia, smentita dalla Cassazione ma ancora viva in un gran numero di fascicoli aperti tra Palermo, Caltanissetta (dove ancora si indaga su via D’Amelio) e Firenze. In assenza di prove, tutto si regge su alcune dichiarazioni del pentito di Cosa Nostra Giovanni Brusca, che ha tirato in ballo per la strage di natale, il boss palermitano Antonino Madonia (foto sotto), vicino sia ai corleonesi sia agli ambienti dell’eversione nera.
Nell’escalation degli attentati che nel 1969 portarono alla strage in piazza Fontana, un posto di rilievo ebbe la collocazione, tra l’8 e il 9 agosto 1969, su 10 treni di altrettanti pacchi esplosivi. Due fecero cilecca ma 8 scoppiarono. Dodici furono i feriti, tutti in modo lieve. Per questi episodi Franco Freda e Giovanni Ventura di Ordine nuovo, l’organizzazione fondata da Rauti, furono condannati con sentenza definitiva. La prima strage riuscita su un treno fu quella del 22/7/1970, quando il direttissimo Palermo-Torino (la ‘Freccia del Sud’), fu fatto deragliare nei pressi della stazione di Gioia Tauro. Alla fine si contarono 6 morti, di cui 5 donne, e 72 feriti. Da 8 giorni era in corso la rivolta di Reggio Calabria, scoppiata il 14 luglio. La verità emerse solo 23 anni dopo, quando alcuni pentiti confessarono che la strage fu eseguita su mandato del «Comitato d’azione per Reggio capoluogo» e che a portarla a termine fu un commando neofascista. Poche settimane dopo, il 28/8/1970, fu rinvenuta nella sala passeggeri della stazione ferroviaria di Verona una valigia abbandonata da cui proveniva un ticchettio di orologio. Notata da un sottufficiale della Polfer, fu portata in un luogo isolato dove esplose un’ora dopo.
In concomitanza con la preannunciata visita del maresciallo Tito in Italia, un grave attentato fu, invece, organizzato, il 28/3/1971, per colpire il treno diretto a Venezia, all’altezza di Grumolo delle Abbadesse. Settantadue centimetri di binario furono tranciati da un ordigno. Il convoglio rischiò di deragliare, salvandosi solo grazie alla sua velocità.
Tra il 1973 e il ‘74 gli attentati sui treni furono ben 14, questi gli episodi principali: il 7/4/’73, sulla linea Genova-Roma, col tentativo di Nico Azzi (foto sopra), di Ordine nuovo, di innescare una carica esplosiva in un bagno del treno. Azzi rimase ferito dallo scoppio del detonatore e poi arrestato. Il 29/1/’74 a Silvi Marina, in provincia di Teramo, con l’inatteso passaggio del locomotore di un treno merci che tagliò la miccia dell’ordigno posto sui binari. Il 21/4/’74 a Vaiano, in provincia di Firenze, quando la strage fu, invece, evitata grazie al blocco automatico dei treni in caso di interruzione dei binari. La carica esplosiva aveva infatti, divelto oltre mezzo metro di rotaie. Tra il 1975 e il ‘78, si continuò ancora a colpire treni e linee ferroviarie negli anni successivi. Il 6/1/’75 a Terontola, quando 55 centimetri di rotaia furono divelti da una carica di polvere da mina. Il 12/4/’75, all’altezza di Incisa Val D’Arno, quando un ordigno fece, invece, sollevare 40 cm di rotaia. Il 6/2/’77, in compenso, la polizia disinnescò alla stazione Tiburtina di Roma 7 candelotti di dinamite sull’espresso Napoli-Milano. Il 5/9/78, infine, 5 chili di esplosivo, tra le stazioni di Vaiano e Vernio, avrebbero dovuto scoppiare sotto la motrice dell’espresso ‘Conca d’oro’, che viaggiava da Milano a Palermo. Rimasero feriti i macchinisti di un treno che passò al momento dell’esplosione.
Quella del 2/8/1980 alla stazione di Bologna fu la strage non solo più importante sulle linee ferroviarie, ma la più grave e sanguinosa nella storia della Rep. Alle 10.25 la terribile esplosione. Crollava un’intera ala della stazione, affollatissima per le grandi partenze estive che, a seguito della potenza micidiale dell’ordigno, prima si sollevava e poi ricadeva su se stessa. Il treno Ancona-Basilea, in sosta sul primo binario, veniva investito in pieno dall’onda d’urto. Tra le lamiere fuse e contorte venivano estratti i corpi di decine e decine di persone. 75 le vittime subito recuperate. Altre 10 moriranno nei giorni successivi. Alla fine si conteranno 85 morti, 74 italiani e 11 stranieri, e 200 feriti.
È in corso dal 21/3/2018 un nuovo processo nei confronti di Gilberto Cavallini (foto sopra a destra), ex Nuclei armati rivoluzionari (Nar), accusato di concorso per aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro (foto sopra a sinistra) e Luigi Ciavardini (foto sotto), condannati in via definitiva per la strage, i primi due all’ergastolo e il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni.
Ma non finì ancora. Il 12/2/1981, otto mesi dopo, ben 5 kg di esplosivo furono rinvenuti sulla linea ferroviaria di Venezia, allo snodo di Porto Marghera. L’innesco non aveva funzionato. Mentre il 9 settembre 1983, il treno 571 Milano-Palermo, mille passeggeri a bordo, in transito sul viadotto alto 50 metri del fiume Bisenzio, venne investito da un’esplosione, mentre incrociava un altro treno. Se l’atto terroristico avesse avuto pieno successo, i morti si sarebbero contati a centinaia.
Complessivamente sul solo tratto Arezzo-Bologna di 120 chilometri, ben 8 furono i tentativi falliti e tre le stragi riuscite: il 4/8/1974 sul treno «Italicus», il 2/8/1980 alla stazione di Bologna e il 23/12/1984 appunto, sul «Rapido 904»: fu l’ultima. Con essa si apriva un’altra stagione con l’avvio da parte di Cosa nostra di un’azione offensiva nei confronti di una parte dello stato, che porterà alle stragi di Capaci, via D’Amelio e alle bombe del ‘93. La continuità era data dall’impiego di uomini e mezzi provenienti dall’eversione nera. Ne fa fede la condanna nel processo stralcio per la strage del «Rapido 904» del parlamentare missino Massimo Abbatangelo. Non fu condannato per la strage ma per aver detenuto e fornito esplosivi ai clan camorristici. Dalle indagini risultò anche che l’esplosivo usato per la strage di via D’Amelio fosse dello stesso tipo di quello del 23/12/1984, mai utilizzato in precedenza da Cosa nostra.
Quattro condanne, carcere a vita al capo camorra Pippo Calò, 22 anni al tecnico tedesco che fece esplodere il rapido; polemici i familiari delle vittime: sulle relazioni tra la mafia e il terrorismo si ignora il ruolo della P2. Si conclude la vicenda giudiziaria cominciata nel 1984: dopo 6 processi, la Cassazione conferma i legami tra Cosa Nostra e l’ eversione nera. Per la prima volta in Italia sono stati condannati definitivamente i responsabili di una strage. La Cassazione ha confermato la sentenza per gli imputati del processo per l’ attentato sul rapido “904”. Il cosiddetto “cassiere della mafia” Pippo Calo’ e il suo braccio destro Guido Cercola (foto sopra), dovranno scontare l’ ergastolo (Calò era l’ unico boss della Cupola di Cosa nostra ad avere evitato il carcere a vita al maxiprocesso di Palermo), 24 anni per Franco d’ Agostino e a 22 anni Friedrich Schaudinn. Schaudinn, figura enigmatica a mezza strada tra il mondo dei servizi segreti e quello dei mafiosi, che però è uccel di bosco e secondo notizie recenti sarebbe al centro di un grosso traffico d’ armi coi Paesi belligeranti della ex Jugoslavia . La decisione della Cassazione è importante anche per un altro motivo. Come ha sottolineato l’ Unione dei familiari delle vittime, “per la prima volta appare in una sentenza passata in giudicato non soltanto il rapporto tra la mafia e la politica, ma più precisamente fra la mafia ed un certo modo di fare politica, vale a dire il terrorismo”. La condanna riguarda infatti il vertice della propaggine romana di Cosa Nostra, coordinata da Calò , in affari con la Banda della Magliana e col mondo dell’eversione di destra. La verità giudiziaria comunque, viene definita “parziale” nel comunicato dei familiari: “Siamo partiti con la richiesta di 9 condanne per strage e il procedimento penale termina con 4 condanne”. Ma soprattutto, dicono i familiari, la motivazione “secondo cui la mafia volle la strage per distrarre l’ attenzione delle forze dell’ordine dalla Sicilia appare riduttiva, incompleta”. C’erano ben altre forze e, tra esse l’Associazione suggerisce anche ambienti della disciolta P2, ad avere interesse a compiere un gesto clamoroso e di pressione sull’opinione pubblica e sul mondo politico. Inoltre le “responsabilità appiattite su Calò, anche se provate in modo specifico, sono in contrasto con quanto accertato in altri processi e con le rivelazioni di Buscetta, cioè con la collegialità del vertice mafioso”. Pierluigi Vigna, oggi capo della Procura distrettuale antimafia di Firenze, il magistrato che con tenacia ha raccolto le prove contro gli imputati, è soddisfatto. “E’ la prima volta che dietro una strage sono stati individuati dei volti e dei nomi. C’è voluto del tempo, avremmo fatto prima senza il precedente annullamento della Cassazione”. Vigna è anche orgoglioso del fatto che “tutto il processo si è poggiato su fatti precisi, concreti, e sui ritrovamenti, nella villa di Poggio San Lorenzo (vicino Rieti) acquistata da Calò , dell’esplosivo e dei congegni elettronici utilizzati anche nella strage.
Come ha detto efficacemente un avvocato degli imputati, in questo caso lamentandosene, nel processo non c’ era neppure un pentito”. Resta il fatto che non è stato possibile individuare gli autori materiali dell’ attentato. Anche perché questa vicenda è costellata da una serie impressionante di intimidazioni di testimoni, sparizioni di documenti (tra cui l’ agenda autografa di Calò) e da una macabra catena di morti misteriose. Come quella del ragazzo napoletano che alcuni testimoni avevano visto salire sul treno con una borsa, abbandonata sul rapido alla stazione fiorentina di Santa Maria Novella. Il giovane fu ucciso da due killer, a loro volta, assassinati da ignoti. Secondo l’accusa, il mandante di quegli omicidi sarebbe stato il boss camorrista, Giuseppe Misso (foto sopra). Ma il mandato di cattura contro di lui venne annullato. Nel marzo ’91 la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, cancellò anche le condanne per strage. Il pg Antonino Scopelliti era contrario e mise in guardia i giudici dal far prevalere l’ impunità del crimine. Intanto è stato versato altro sangue. Scopelliti è stato assassinato nell’agosto seguente. E il 14/3/’92 in un agguato sull’autostrada, i napoletani furono decimati. Rimasero uccisi la moglie di Misso e Alfonso Galeota, feriti Giulio Pirozzi e sua moglie. Un “avvertimento” a Misso (detenuto per altri reati) perché tenesse la bocca chiusa sulla strage di Natale.
.
La morale borghese è per me l’immoralità
contro la quale si deve lottare: la morale
fondata sulle nostre ingiuste istituzioni sociali,
quali la religione, la patria, la famiglia,
la cultura, insomma, quelli che si usa
chiamare i “pilastri della società”.
L. Bunuel
.
Solidarietà a Cospito e a tutti i compagni e le compagne arrestati.
.
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)