No al nucleare!! Con la scusa del deposito nucleare nazionale ci vogliono re-imporre le centrali nucleari!

L’8 aprile i mass media scrivono che i rifiuti radioattivi italiani sono aumentati dell’8,79%, mentre stanno definendo il sito per un Deposito Nazionale. Proprio per la loro natura estremamente pericolosa, i rifiuti nucleari devono essere gestiti con grande attenzione, così da evitare rischi per la salute pubblica e per l’ambiente. In Italia, nonostante la chiusura delle centrali nucleari avvenuta negli anni ’90, i rifiuti radioattivi continuano a essere prodotti. Questo accade soprattutto per via delle attività mediche, industriali e di ricerca, ma anche a causa dello smantellamento delle vecchie installazioni nucleari.  Attualmente in Italia ci sono 62 depositi temporanei dove vengono custoditi i rifiuti radioattivi. Il 6 maggio prossimo, a Roma si terrà un convegno nazionale promosso dall’ISIN dal titolo: “Dall’esperienza pregressa ai nuovi scenari per garantire efficienza e sicurezza”. Sarà un’occasione per fare il punto sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia, ma anche per discutere di scenari futuri, come un possibile ritorno al nucleare per la produzione di energia. A vigilare sulla sicurezza dei siti temporanei c’è l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), l’ente pubblico istituito per garantire il controllo e la gestione corretta dei rifiuti radioattivi in Italia.

La Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), pubblicata due anni fa, ha individuato 51 possibili siti in 6 regioni: Lazio, Basilicata, Puglia, Piemonte, Sicilia e Sardegna. Il Ministero dell’Ambiente ha avviato, nel novembre 2023, la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) per valutare l’impatto della scelta. Secondo il cronoprogramma, il Deposito potrebbe ottenere l’autorizzazione entro il 2029, ed entrare in funzione attorno al 2039.

Le centrali nucleari a fissione, anche se aggiornate e meno grandi, sono vecchie e in declino perché molto costose e perché generano rifiuti altamente pericolosi e radioattivi per molte migliaia di anni! È possibile, più ecologico ed economicamente conveniente decarbonizzare l’elettricità puntando solo sulle rinnovabili, come sta facendo la maggioranza dei Paesi europei. Il Ministro è ben felice di dare il contentino al Presidente di Confindustria (foto sotto), dimenticando la volontà dei cittadini italiani che si sono pronunciati contro l’energia nucleare in due referendum, nel 1987 e nel 2011.

Questo ennesimo tentativo di “ritorno” al nucleare è una presa in giro agli italiani, che serve soltanto a ritardare le scelte necessarie sullo sviluppo delle fonti rinnovabili già oggi più sicure, più efficaci e più economiche dell’energia nucleare.

Il 13/12/2024 il Consiglio regionale del Veneto ha respinto alla unanimità la proposta di costruire un reattore nucleare a Marghera.

Quella pagliaccia cattofascista della Meloni propone un DDL che, oltre a varie boiate, avvia la normativa per tornare a costruire in Italia centrali nucleari a fissione. L’operazione di greenwashing con la quale si cerca di far passare come innovativa e sostenibile, solo per la dimensione degli impianti e qualche aggiustamento costruttivo, una tecnologia nucleare obsoleta che resta basata sulla fissione dell’uranio, non reggerà se sarà consentito, come non sta accadendo, un confronto tecnico competente e informato. Così la coalizione 100% Rinnovabili Network (formato da esponenti di decine di Università e Centri di ricerca, di esponenti del mondo delle imprese, del sindacato e del terzo settore e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente e WWF), commenta il Ddl approvato in Consiglio dei ministri dal governo Meloni. “Il governo Meloni rilancia il nucleare: il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il disegno di legge delega secondo cui i primi reattori saranno messi a punto verso il 2030”.

L’Italia tra l’altro, entro il 2025 dovrà riprendere i rifiuti radioattivi stoccati in Francia e Regno Unito, ma il Governo Meloni propone un DDL che avvia la normativa per tornare a costruire in Italia centrali nucleari a fissione nonostante 25 milioni di persone nel 2011 votarono per la seconda volta (la prima nel 1987), contro il ritorno al nucleare. Le centrali nucleari a fissione, bocciate da ben due referendum, generano elettricità che, secondo l’Agenzia Internazionale per l’energia, costa più del triplo di quella prodotta col solare e l’eolico, producono rilevanti quantità di rifiuti altamente radioattivi e pericolosi come il plutonio, la cui radioattività si dimezza dopo 24 mila anni ed hanno causato incidenti devastanti a Chernobyl e a Fukushima e, in quanto a tumori ne stiamo pagando ancora le conseguenze. Una decarbonizzazione (processo di riduzione delle emissioni di gas serra e di abbandono del carbonio, con  l’obiettivo di arrivare a un’economia che non utilizzi più combustibili fossili) della produzione di energia elettrica, raggiunta con un mix di fonti energetiche rinnovabili è non solo possibile, ma programmata e praticata dalla maggior parte dei Paesi europei. Il sole e il vento sono gratis, mentre il nucleare a fissione consuma un costoso combustibile nucleare, da importare visto che non disponiamo né di uranio, né di impianti di arricchimento.

L’ultima versione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) guarda al futuro energetico attraverso un piano che si adopera per ridurre le emissioni di CO2 delle industrie e degli edifici, puntando sulle energie rinnovabili entro il 2030. Inoltre, l’approccio realistico e tecnologicamente neutro dell’aggiornamento, prevede di puntare non solo su fonti rinnovabili, ma anche su altre tecnologie, come per esempio la cattura e lo stoccaggio della CO2 e la produzione di combustibili rinnovabili. L’area con le maggiori prestazioni è senza dubbio quella delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER). L’Italia dovrà raggiungere entro il 2030, una potenza derivata da fonti rinnovabili di almeno 131GW di cui circa il 60% deriverà dal sole, il 21% dall’eolico, il 15% dall’idrico , il 3% dalle bioenergie e il restante da fonti geotermiche (forma di energia ottenibile dal calore proveniente da fonti geologiche presenti nel sottosuolo).

Tra i rifiuti che dovrebbero finire nel deposito nazionale (quando sarà costruito), ci sono anche quelli prodotti negli ospedali, da attività di medicina nucleare, dall’industria e dalla ricerca. Circa un migliaio di metri cubi all’anno raccolti in vari depositi provvisori sparsi lungo la penisola e in parte smaltiti, dopo un adeguato tempo di decadimento, come rifiuti convenzionali. Il resto (qualche centinaio di metri cubi all’anno), arriva nei depositi temporanei di Casaccia, vicino a Roma (foto sotto), gestiti da Nucleco. “Vengono trattati, messi in sicurezza, depositati. I rifiuti condizionati passano da qualche centinaio di metri cubi a poche decine perché ridotti di volume . I rifiuti sono di proprietà dell’ENEA, responsabile per il trasporto al deposito nazionale”.  Nonostante in Italia abbiamo detto no al nucleari col referendum del 2011, il 12 Febbraio scorso, Sogin ha partecipato a Bormio al workshop biennale “Topical Workshops on Modern Aspects of Nuclear Structure”, organizzato dall’Università degli Studi di Milano e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).       

Secondo il Il progetto della Sogin per il  Deposito Nazionale sarà un’infrastruttura dove saranno messi in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia (??). Ma il paradosso è che insieme al Deposito Nazionale secondo il progetto della Sogin, sorgerà un Parco Tecnologico, nel quale saranno avviate attività di ricerca  sulle nuove metodologie di gestione dei rifiuti radioattivi e su tecnologie di interesse per il territorio che ospiterà il Deposito Nazionale che  sarà costruito all’interno di un’area di circa 150 ettari, di cui 40 dedicati al Parco Tecnologico (marketing – logica di mercato). Per il deposito nucleare si stima un investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro per la realizzazione. Ma c’è un grosso problema per il Belpaese: circa il 70% del territorio italiano viene escluso dal possibile insediamento per via della sismicità o per i rischi idrogeologici. Rimane disponibile solo una porzione di territorio molto modesta in cui il Piemonte sembra essere la regione con maggiori potenzialità di insediamento. Il Piemonte è la regione italiana con maggiore concentrazione di  centri che producono o detengono rifiuti radioattivi con la centrale in dismissione di Trino Vercellese, gli impianti per il trattamento dei rifiuti radioattivi di Saluggia e Bosco Marengo, il centro di Servizio Integrato di Campoverde, i centri di ricerca del Deposito Avogadro e il Sorin Site Management. Il Piemonte ha un basso rischio sismico, ma molti degli impianti esistenti contenenti rifiuti radioattivi sono vicini alla falda acquifera e a grossi bacini di acqua come le risaie, fiumi e canali della pianura Padana!! Il Piemonte rischia di diventare la pattumiera delle scorie nucleari italiane? O forse lo è già, dato che attualmente ospita oltre il 90% di tutti i materiali radioattivi esistenti in Italia. 

“Il Piemonte è già da cinquant’anni il deposito nazionale che il nostro Paese ha deciso di darsi, in modo del tutto improprio e a massimo rischio”. Queste le parole inquietanti che ci riferisce Gian Piero Godio, presidente di Legambiente Vercelli.  C’è stato un secco no (al deposito nazionale nucleare), anche dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano: “Apprendiamo a cose fatte e a distanza di anni, dell’inclusione di alcuni comuni pugliesi e lucani tra i siti in cui stoccare residui radioattivi.  E’ ferma e netta la contrarietà della Regione Puglia a questa opzione. I nostri sforzi verso un modello di sviluppo improntato sulla tutela dell’ambiente e della salute sono noti a livello internazionale. Non si può imporre, ancora una volta, scelte che rimandano al passato più buio, quello dell’assenza della partecipazione, dell’umiliazione delle comunità, dell’oblio della storia e delle opportunità”. Nervosismo e contrarietà anche dalla Toscana. “Si tratta di una proposta irricevibile e non negoziabile e che riteniamo di non poter prendere nemmeno in considerazione in un territorio come il nostro patrimonio mondiale dell’umanità Unesco e ad alta vocazione turistica.  Anche il 97% dei sardi ha già detto no al deposito nazionale delle scorie radioattive nell’isola.

Secondo la Sogin il deposito nazionale avrà una struttura a matrioska. All’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, chiamate celle, verranno collocati dei grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che a loro volta racchiuderanno i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati. In totale, saranno “circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività” a essere ospitati all’ex reattore “Avogadro” (foto sotto), utilizzato come deposito di materiale radioattivo, nell’area industriale di Saluggia (Vercelli).

I costi aumentano (la famosa “eredità nucleare” è questa): spese enormi a carico della collettività ed enormi problemi ambientali e di sicurezza. Ora si pone con urgenza il problema del rientro del materiale radioattivo italiano inviato in altri Paesi europei. Gran parte degli elementi di combustibile irraggiato utilizzato nei reattori nucleari italiani è stato in passato inviato all’estero (all’impianto inglese di Sellafield e a quello francese di La Hague, ma prima anche alla belga Eurochemic) per il “ritrattamento” o “riprocessamento”, operazione che separa la parte eventualmente riutilizzabile (anche per usi militari) dai rifiuti radioattivi; questi ultimi, secondo i contratti stipulati, devono rientrare in Italia già da quest’anno, 2025. Rifiuti che costituiscono il 99% della radioattività prodotta dalle centrali nucleari italiane.  Nel 2024 la Sogin dichiarava ai mass media: I rifiuti nucleari verranno stoccati temporaneamente presso il sito del Deposito Avogadro appositamente ristrutturato. Ma perchè con tutti i siti nucleari che Sogin gestisce in Italia, va a sceglierne uno che non è suo: il Deposito Avogadro, infatti, è di proprietà della società Deposito Avogadro spa, che ha sede a Torino, che fa parte del gruppo Stellantis (ex Fiat) e alla quale ogni anno Sogin paga un cospicuo “affitto” affinché tenga all’interno dell’ex reattore il materiale radioattivo conferito.

E’ un impianto costruito negli anni ‘50, diventato deposito “temporaneo” negli anni ‘70; si trova a 700 metri dal corso della Dora Baltea e a 1400 metri a monte dei pozzi dell’Acquedotto del Monferrato, il più esteso del Piemonte, che fornisce acqua potabile a più di 100 Comuni. Il Piano Regolatore del Comune di Saluggia prevede «la completa denuclearizzazione del sito Avogadro, la bonifica e la riqualificazione delle aree e l’eventuale riconversione a uso industriale degli immobili o la loro demolizione», mentre Isin (l’autorità di controllo sul nucleare) nel suo inventario scrive, a proposito di Avogadro, che «resta ferma la necessità di procedere al programmato allontanamento del combustibile considerata la vetustà della struttura stessa». Ora, dopo oltre mezzo secolo, Sogin intende stoccarvi (dopo una “apposita ristrutturazione” a spese di chi? e pagando quanto a Stellantis per ogni anno di “temporaneità”?), i rifiuti radioattivi rientranti dall’estero: 17 cask alti più di 6 metri con un diametro di 2 metri e mezzo, ciascuno con una radioattività di oltre 100 milioni di miliardi di Becquerel; 4 provenienti da Sellafield e 13 da La Hague.

A Viterbo il 3 Aprile, la rete dei Comitati è ricorsa alla Corte Europea di Giustizia per dire no al Deposito Nazionale scorie nucleari. Il geologo Antonio Menghini (2° da sinistra foto sopra), attivo all’interno della rete dei Comitati per il “No” alle scorie, rilascia dichiarazioni sui mass media per capire meglio che rischi ci sono. Dall’intervista è fuoriuscita la notizia che la rete dei Comitati era pronta a rivolgersi anche alla Corte Europea di Giustizia per impedire la realizzazione dell’impianto nel Viterbese.           

Per trovare l’area dove costruire il deposito nazionale per le scorie nucleari, è stato dato l’incarico alla Sogin, (ad di Sogin Artizzu, foto sopra), società statale che ha il compito di gestire i rifiuti radioattivi. Sogin doveva seguire le norme tecniche predisposte dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Queste prevedevano una serie di criteri di esclusione, in base ai quali dovevano essere scartate tutte le aree italiane a rischio vulcanico, sismico, di frana, alluvionamento, quelle poste vicino a centri abitati e a importanti vie di comunicazione, dentro aree naturali protette e che presentavano risorse minerarie, energetiche o idriche del sottosuolo. A questo punto conoscendo l’Italiano medio da oratorio e i politici italiani doppiogiochisti senza scrupoli e assetati di soldi, ci viene un dubbio: ma sono stati veramente rispettati i parametri di analisi del sottosuolo  per evitare un disastro ecologico e un danno sanitario ed economico, o ci hanno mangiato tutti per insabbiare la verità (aumm aumm)? Quei criminali sono ancora lì che mangiano indisturbati!!

 .

La rivoluzione sociale, non bisogna mai dimenticare,

non consiste nel trasformare una forma di

asservimento in un’altra, ma nell’eliminare tutto

quello che può rendere schiavi ed opprimere.

A. Berkman

.

Solidarietà alle compagne e ai compagni anarchici arrestati, in particolare a Cospito che tanto ha fatto contro la repressione sbirresca e il nucleare.

.

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Lascia un commento