Roma 9 maggio 1978: ritrovato il corpo di Moro vicino a via delle Botteghe Oscure, sede del PCI e piazza del Gesù, sede della DC anticomunista (parte 1)

Il Presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro era stato sequestrato il 16 marzo 1978 in via Mario Fani (foto sotto), da un commando delle Brigate rosse. In meno di due minuti furono esplosi oltre 90 colpi di armi automatiche. Più di 40 andarono a segno, uccidendo i 5 uomini della scorta. Aldo Moro fu trascinato fuori della propria auto e caricato su un’altra vettura. I brigatisti riuscirono a scappare. Alle 10.15 la telefonata agli organi di stampa di Roma, Milano, Torino, Genova: «Questa mattina abbiamo rapito il Presidente della Democrazia cristiana ed eliminato la sua scorta, le “teste di cuoio” di Cossiga», allora Ministro dell’Interno. La strage e il sequestro furono compiuti emblematicamente nel giorno in cui il parlamento era chiamato a dibattere e votare la fiducia a un governo di solidarietà nazionale appoggiato, per la prima volta dal 1947, dal Partito comunista italiano, per la costituzione del quale il presidente della DC si era fortemente impegnato. Nel Comunicato n. 2 le BR sottolinearono che, così facendo, il PCI e i sindacati «collaborazionisti» assumevano il compito di funzionare da apparato poliziesco antioperaio, da delatori, da spie del regime.         

Il corso del sequestro Moro fu scandito dalla diffusione di comunicati delle BR, accompagnati da drammatiche lettere e appelli del Presidente della DC e  dalla richiesta delle BR di scarcerare «militanti detenuti» quale prezzo della liberazione del sequestrato. Col Comunicato n. 9 invece, le BR dopo aver “registrato” «il chiaro rifiuto della DC, del governo e dei complici che lo sostengono» allo «scambio di prigionieri politici», annunciarono: «Concludiamo finita oggi 9 maggio la battaglia iniziata il 16 marzo con il rapimento, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato». Poi venne ucciso e, solo successivamente, fu fatto ritrovare in una strada del ghetto ebraico, a pochi passi dalla sede del Partito comunista e da quella della Democrazia cristiana. Un luogo simbolico? A giudicare dal momento storico in cui avvenne parrebbe proprio di sì. Dopo decenni di indagini, 5 processi, e 3 commissioni di inchiesta, il “caso Moro” è ancora oggi uno dei più controversi della nostra storia recente e secondo alcuni studiosi il mistero della sua fine non ha permesso di capire fino in fondo la sua figura. Moro fu parlamentare per 7 legislature, 5 volte presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, dell’Istruzione e della Giustizia, oltre che segretario e presidente del suo partito.

Nel 1960 il governo del democristiano Fernando Tambroni (foto sopra), un ex fascista finito nella Dc, ottenne la fiducia con l’appoggio dei missini (membri del partito neofascista Movimento sociale italiano, Msi). Contestatissimo e osteggiato dalle sinistre, il governo vacillò in seguito a quelli che sono ricordati come “i fatti di Genova del 30 giugno”. Una manifestazione, indetta dalla Camera del lavoro nel capoluogo ligure per protestare contro l’annunciato congresso dell’Msi in città, finì in scontri aperti con la polizia. Subito dopo manifestazioni e disordini scoppiarono in molte altre città (con gravi conseguenze a Reggio Emilia, dove la polizia uccise 5 operai). Così, dopo l’inevitabile caduta del governo Tambroni (a luglio) e il crescente malcontento nel Paese, Moro si convinse che fosse necessario un nuovo corso politico: era il momento di dare più spazio alla sinistra, ai socialisti. Nonostante i malumori nel partito, al congresso di Napoli del 1962 passò la linea di Moro. Il nuovo corso politico si concretizzò nel 1963 con un governo guidato proprio da Moro, che prevedeva la presenza del Partito socialista (Psi) e dei socialdemocratici (Psdi). Al segretario socialista Pietro Nenni (a sinistra nella foto), fu affidata la vicepresidenza. La formula del governo di centro-sinistra dette buoni frutti, sia coi tre governi Moro sia coi successivi. Nel 1973, il neosegretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer (a destra foto sotto), propose una collaborazione ai democristiani, trovando un alleato in Moro e nella sua corrente, i “morotei”, considerata la sinistra del partito.

Assolutamente contrari erano invece i “dorotei” sostenuti da Giulio Andreotti. Vari motivi tuttavia spinsero la politica verso quello che è passato alla Storia come “compromesso storico” tra Pci e Dc: il timore di una deriva golpista, dopo il colpo di stato in Cile del 1973 (Allende fu deposto dal generale Augusto Pinochet); la paura di perdere voti a causa della cosiddetta “strategia della tensione” iniziata nel 1969 con la strage di stato di piazza Fontana a Milano e proseguita poi nel 1974 con quella di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus a Bologna; le agitazioni di piazza e le amministrative del ’75, quando Pci (33%) e Dc (35%) si trovarono a poca distanza. Il 20/3/1978 prese vita un esecutivo di “compromesso” guidato da Giulio Andreotti e appoggiato dal Pci. Ma 4 giorni prima era successo qualcosa di drammatico: il presidente della Dc era stato rapito dalle Br. Gli anni che seguirono furono politicamente e socialmente complicati, l’esecutivo del 20 marzo finì dopo un anno e con esso ogni forma di collaborazione tra democristiani e comunisti.

L’uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti e Francesco Cossiga (foto). Moretti, l’infame borghese ambizioso, uccidendo Moro ha fatto il gioco sporco dei servizi segreti Atlantici anticomunisti della Nato! Moretti infatti, è l’uomo che nel 1993 ha ammesso di essere stato l’autore materiale dell’omicidio Moro ed è stato condannato a 6 ergastoli. Vive a Brescia e dal 1997 gode del regime di semi-libertà. Ha ottenuto innumerevoli benefici grazie agli sconti di pena e alla buona condotta. Oggi, Mario Moretti (foto sotto) ha 78 anni e opera in una Rsa a titolo volontario, così come fece in passato a Milano.

Le inchieste sulla morte di Moro passano attraverso mille ricostruzioni giudiziarie, parlamentari, storiche e giornalistiche. Inchieste che dai vertici della massoneria ci portano a strutture paramilitari come Stay Behind e Gladio. Tutto sarebbe stato ideato, studiato ed eseguito da una commistione internazionale tra Br, parti ‘deviate’ dello stato, servizi segreti, in testa Cia e KGB, mafia siculo-americana, criminalità organizzata italiana e poteri occulti del Vaticano. Pezzo per pezzo fu smontata dalla Commissione Stragi la cosiddetta “verità dei brigatisti”, quella del memoriale Morucci-Faranda. Secondo i dati raccolti, è impossibile che Moro sia stato ucciso nel cofano della Renault, parcheggiata in via Caetani, così come non è vero che è morto sul colpo. Grazie agli esami del Ris sappiamo che contro di lui sono stati sparati 11 colpi da due armi, 2 silenziati e 9 normali, che hanno sparato da una posizione frontale e che l’agonia è durata minimo un quarto d’ora. Ma non è finita qua: sullo sfondo emerge anche un’inquietante presenza in via Fani come quella del boss della ‘Ndrangheta Antonio Nirta. Perché si trovava lì? Che ruolo ha giocato la criminalità organizzata in questa partita?

Domande che ancora non hanno trovato risposta anche se collaboratori di giustizia raccontano di coinvolgimenti sia prima che dopo il sequestro del politico Dc. E’ sempre più evidente che ‘pezzi deviati’ delle Istituzioni lavoravano per impedire che Moro venisse salvato! Alberto Franceschini (foto sopra), scomparso l’11/4/2025, membro delle Br, ha sostenuto che senza la copertura della CIA, del KGB, del Mossad, loro non avrebbero potuto né rapire né tenere nascosto Moro a Roma per 55 giorni. Sempre Franceschini, con Renato Curcio (altro fondatore delle Br), sostiene che Mario Moretti sia una spia dei servizi segreti. E cosa si dovrebbe dire di Alessio Casimirri, che partì per il Nicaragua dalla Francia con un passaporto secondo molti fornito dai servizi segreti? Sconcertante è poi la scoperta di un nuovo covo dei brigatisti in via Massimi, in una palazzina di proprietà del Vaticano, amministrata dal figlio del segretario del cardinale Marcinkus (Ior). Questa era collegata a via Licinio Calvo, vicinissimi a via Fani, e potrebbe essere stata la prima prigione di Moro. Proprio sul ruolo del Vaticano e di don Antonello Mennini, il “postino” di alcune lettere di Moro sospettato di essere stato un “canale di ritorno”, restano pesanti interrogativi. Come le pressioni su papa Paolo VI (foto sotto) per evitare ogni apertura nella lettera agli “uomini delle Brigate rosse”.

L’Italia del 1944 presentava un quadro politico che non era quello che avrebbero desiderato gli anglo-americani e soprattutto gli inglesi: la gestione condivisa della resistenza aveva creato le condizioni politiche a che le forze di ispirazione cattolica, marxista e liberale, benché differenziate da matrici ideologiche, trovassero un’intesa politico-governativa per la gestione unitaria di quel poco spazio che era loro concesso nell’interesse dell’Italia ed in attesa che, con la fine della guerra, si definissero stabilmente le caratteristiche dei quadri politici realizzabili in Italia. In tale contesto avviene con James Jesus Angleton (foto sotto) il recupero, in funzione anticomunista degli appartenenti dei servizi segreti nazifascisti, facenti parte della “Rete Invasione e Ovra” a cui, nel 1947, verrà data garanzia di impunità con l’art. 16 del trattato di pace che garantirà l’impunità per coloro che tra il 10/6/1940 e la data di entrata in vigore del trattato di pace avessero commesso azioni o crimini a favore delle Potenze Alleate e Associate, penalmente punibili. Già si prospettava la proposta di referendum per decidere se l’Italia dovesse rimanere Monarchia o divenire Repubblica ed in funzione di tale scelta cominciavano ad attivarsi operazioni sotterranee per favorire la scelta monarchica anche da parte degli anglo-americani oltre che dei nostalgici del vecchio regime.                                     

In tale contesto va inquadrato l’attentato al governo provvisorio italiano, non andato a buon fine in quanto scoperto. L’attentato: “Doveva compiersi tutto la mattina del 20/10/1944. Ma la notizia trapelò: 60 chili di tritolo erano stati piazzati in un armadio del Viminale, proprio nella sala in cui di lì a pochi minuti si sarebbe riunito il governo esapartito di unità nazionale (democristiani, comunisti, socialisti, azionisti, liberali e democratici del lavoro) presieduto da Ivanoe Bonomi. Se l’esplosivo non fosse stato scoperto in tempo, ci sarebbe stata una strage di ministri, tra i quali il democristiano Alcide De Gasperi e il comunista Palmiro Togliatti”. La motivazione anticomunista fa la sua apparizione già sin dal 1943 e caratterizzerà la strategia, inizialmente alleata e successivamente NATO. Possiamo retrodatare ufficialmente la strategia USA e NATO mirata a contrastare l’espansione del comunismo in Italia, nell’Europa Occidentale e nel mondo intero al piano redatto nel 1950, denominato Demagnetize. Così come l’invio di William Colby in Italia a dirigere una stazione CIA nel 1953 testimonia la volontà USA ad attivare una più incisiva attività anticomunista. Abbiamo la possibilità di mettere in relazione la cosiddetta ‘Strategia Della Tensione’ agli specifici piani elaborati dai servizi segreti della cabina di regia segreta della NATO in seguito al “casuale?” ritrovamento di alcuni documenti provenienti dall’archivio di Licio Gelli (foto sotto).

Nel suo libro intitolato “Dietro tutte le trame”, Giovanni Tamburino riporta una notizia ufficiale: “Il 4 luglio 1981[la data potrebbe non essere stata casuale] a Fiumicino viene fermata la figlia di Licio Gelli, Maria Grazia. I finanzieri scoprono nel suo bagaglio un doppio fondo zeppo di documenti che diventeranno famosi. […] Tra cui il notissimo ‘Piano di Rinascita Democratica’ sequestrato nella busta 2 […] nonché copia del Field Manual 30-31 con ‘Supplemento B’ sequestrato nella busta 3 […] Si tratta del famoso manuale militare firmato dal generale americano W. C. Westmoreland […].” Nell’annesso ‘Supplemento B’[la cui autenticità è stata contestata], viene indicato “[…] l’utilizzo della ‘Strategia della tensione’ e del terrorismo, anche di sinistra, per il conseguimento degli obiettivi strategici statunitensi.” Non si può non tener conto del ruolo di collegamento coi servizi segreti NATO di Roberto Dotti, che alla Terrazza Martini di Milano reclutava i brigatisti rossi dopo aver fatto compilare loro un questionario: né possiamo sottacere o minimizzare il ruolo di Corrado Simioni (a sin. nella foto), specialmente dopo la morte di Roberto Dotti nel 1981, che viene indicato quale capo del cosiddetto Superclan [superclandestini come li chiamava Moretti] delle Br e in seguito fondatore della misteriosa scuola parigina dell’Hyperion.

Ma chi era Roberto Dotti? Era rientrato in Italia dopo un periodo di latitanza e sviluppò rapporti organici con Edgardo Sogno e con Luigi Cavallo, partigiani bianchi legati ai servizi segreti inglesi, sin dal 1958. Al suo rientro in Italia: “Dotti entra nella redazione di ‘Comunità’, la rivista dell’omonimo movimento politico di un altro collaboratore del Soe (servizio segreto inglese). Il quale, dopo qualche tempo, gli trova un posto come direttore della Terrazza Martini di Milano, il salotto mondano di Milano, dell’intellighenzia cittadina. E’ qui che lo riabbraccia Sogno, al suo rientro dalla Birmania. Una storia che riserva ulteriori sorprese. Già, perché fra la Terrazza Martini e i Comitati di resistenza democratica degli anni 1970-’71, Dotti svolge una terza attività: seleziona, diciamo così, il ’personale’ per le neonate Brigate rosse. Padre Felix Andrew Morlion (foto sotto), secondo Giovanni Fasanella, era l’agente dei servizi anglo-americani durante il 2° conflitto mondiale (per conto loro curò in Italia i contatti clandestini con le formazioni terroristiche neofasciste tra il 1944 e il 1947) e poi, durante la guerra fredda, capo della Pro Deo, l’università internazionale di studi sociali dietro la cui facciata si celava il servizio segreto vaticano usato dalla Gran Bretagna per spiare i paesi comunisti.

Ma da chi e da dove era arrivata l’indicazione di sequestrare Aldo Moro? Gli indizi sembrerebbero indicare Corrado Simioni come il soggetto responsabile e l’Hyperion la sede in cui tale decisione sarebbe stata presa. Secondo diversi magistrati, tra cui Carlo Mastelloni e Pietro Calogero, sempre all’Hyperion di Parigi vengono decisi i sequestri in Germania di Peter Lorenz e di Martin Schleyer e in Italia di Moro e di Pirelli, quest’ultimo abortito. Alla luce di quanto oggi sappiamo, sarebbe improprio ritenere che le Br sono state solamente il braccio armato di chi ha deciso l’eliminazione di Aldo Moro? Per tentare di rispondere a questa domanda dobbiamo prendere in esame anche la funzione di tutela anticomunista esercitata dal comitato di sicurezza NATO composto dai rappresentanti di Gran Bretagna, USA, Germania e Francia, riunitosi segretamente nel palazzo presidenziale francese nel luglio del 1976 per discutere la questione italiana. In quella riunione i rappresentanti di USA e Germania proposero soluzioni politiche di sostegno ai partiti alternativi al PCI, mentre i rappresentanti di Gran Bretagna e Francia proposero azioni sovversive. Le conseguenze del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, riportando le parole di Giovanni Fasanella: “Il sequestro di Aldo Moro e il suo assassinio, dopo 55 giorni di detenzione nelle prigioni del popolo, ebbe due effetti rilevanti per la storia del nostro paese. Il primo, nel breve tempo: provocò la fine dei governi di solidarietà nazionale e bloccò il compromesso storico, ritardando il compimento dell’evoluzione comunista. Il secondo, conseguenza del primo, nel tempo più lungo: innescò una crisi delle classi dirigenti italiane, un deterioramento progressivo, l’incapacità del sistema di autoriformarsi nella fase di passaggio dal regime bloccato della guerra fredda al regime dell’alternanza del post guerra fredda, la rottura del patto costituzionale, lo smantellamento dell’industria pubblica, la caduta di prestigio e la perdita di ruolo internazionale dell’Italia. Tutto ciò che era stato così faticosamente costruito nel dopoguerra andò in frantumi.”.

A distanza di anni possono essere rilette anche le parole di Steve Pieczenik (foto sopra), il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia, nel 2006, giornalista Emmanuel Amara, nel libro “Nous avons tué Aldo Moro” (Abbiamo ucciso Aldo Moro). “La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa”. Non solo. Pochi anni prima, nel 2001, lo stesso Pieczenik, in una dichiarazione rilasciata a Italy Daily disse di aver agito per conto del governo di Washington e che il suo compito era “di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse al comunismo. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato? Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia”. Dichiarazioni, mai state smentite né da Cossiga né da Andreotti, che si inseriscono in un contesto politico definito. Usando le parole dello stesso onorevole Grassi appare evidente, dunque, che sull’affare Moro venne messa in piedi una trattativa non per salvare il politico della Dc ma per accelerare la sua uccisione. E’ evidente che il caso Moro non fosse solo una questione di ritorsione, ma di un “Compromesso storico” (Nasce la Dc: cattofascisti e cattocomunisti assieme per la prima volta per gestire il potere).

La paura degli americani e della Nato era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare con gli ambigui doppiogiochisti delle Br di Moretti e Simioni.

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BRIGATE ROSSE: I misteri di Mario Morettihttps://www.youtube.com/watch?v=KFFfBSglJRA

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Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza.

Dal “Manifesto Internazionale Anarchico contro la guerra” (1915)

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Solidarietà alle compagne e ai compagni ingiustamente arrestati

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

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