Falcone ucciso perché scoprì intrecci sporchi tra Dc cattosinistroide, Gladio, P2, mafia e servizi segreti (massomafia). parte 1

Il 23 maggio 2025 è l’anniversario dell’assassinio del magistrato Falcone che faceva parte del Pool antimafia, morto a Palermo il 23 maggio 1992.

La storia giudiziaria dell’Italia, grazie alle indagini e ai processi fatti da una commissione stragi che è riuscita a togliere dopo 50 anni il segreto militare  Nato – Top Secret, verificando che dietro molti delitti e stragi di stato che hanno destabilizzato il Paese, vi era la presenza di servizi segreti italiani ed esteri. I mass media pubblicarono nel 2023 un’intervista all’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato (foto sopra): “Dalle ultime indagini sulla strage di Brescia è emerso il coinvolgimento di esponenti dei servizi segreti dell’esercito Nato – americano, nel corso della strategia della tensione. Sapevano benissimo quello che sarebbe avvenuto. È stato condannato come responsabile della strage di Piazza Fontana, Carlo Digilio (foto sotto), esponente italiano collegato alla Cia, altri sono stati identificati. I servizi segreti della Nato hanno usato e finanziato l’estremismo di destra e la mafia perché ritenute due carte vincenti contro la possibile ascesa delle forze di sinistra nell’area di governo.

Ancora oggi ci domandiamo: ma chi erano gli ignoti che si sono introdotti nella stanza di Falcone al Ministero e hanno acceso il computer per visionare soltanto i file che riguardavano i delitti dell’omicidio Mattarella e Gladio? È vero quello che dichiarò il politico Arlacchi quando disse che Falcone gli rivelò che l’omicidio Mattarella era stato il ‘Moro bis’ eseguito dagli uomini di Gladio oltre che dagli estremisti di destra? Il diario di Falcone, che termina il 6/2/1991, non critica la gestione di “mafia-appalti” (l’informativa fu depositata solo il 16/2/1991) e si concentra invece sui contrasti con Giammanco riguardo alle indagini sui delitti politico-mafiosi (es. omicidi di Mattarella, La Torre, Reina), legati a Gladio e P2. Falcone minacciò le dimissioni per le resistenze del magistrato Giammanco su queste indagini, come testimoniato dall’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato al CSM nel 1992.                                                             

Il magistrato Nino Di Matteo (foto sopra, pm di punta del processo Stato-Mafia che ha rappresentato l’accusa insieme ai colleghi Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia), assieme al giornalista e scrittore Saverio Lodato, si oppone al sostanziale oblio che in molti vorrebbero apporre sul tema della Trattativa Stato-mafia. Lo fanno con un libro-intervista (“Il colpo di spugna”).            

Il 27/4/2023 sono stati assolti in cassazione gli ufficiali P2 del Ros dei carabinieri: Mario Mori (foto sopra), Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, quando invece in primo grado, nel 2018, la corte d’assise di Palermo li condannò tutti, compreso l’ex senatore Marcello Dell’Utri (foto sotto, condannato invece in primo grado), così come i boss mafiosi, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, (condannati nei precedenti gradi di giudizio e “salvati” dalla prescrizione, dopo che i Supremi giudici hanno riformulato il reato in “tentata minaccia a corpo politico dello stato”); da una parte è tornato il silenzio, dall’altra è stata avviata una campagna di denigrazione contro magistrati e giudici che si sono occupati del processo. E tutto ciò avviene mentre in molti vorrebbero stringere i bavagli al giornalismo d’inchiesta e rendere la magistratura sempre meno indipendente e sempre più “servente” del potere politico. Coraggiosamente il magistrato Nino Di Matteo prende la parola per ripercorrere e commentare ciò che è avvenuto in questi anni, evidenziando come la motivazione della sentenza di Cassazione (di appena 91 pagine) non possa cancellare ciò che è consacrato in quasi diecimila pagine di motivazioni delle sentenze dei giudici di primo e secondo grado.“Poche pagine pretendono di smontare la valenza probatoria di dati processuali emersi in anni e anni di lavoro [dice Di Matteo], con valorosi ed esperti giudici di merito che avevano accertato fatti molto gravi”. La sentenza della Suprema corte “sembra invece risentire di un antico vizio che troppe volte in passato aveva caratterizzato l’approccio giudiziario alle più complesse vicende di Mafia”.         

Non si possono cancellare le testimonianze che si sono sviluppate nel corso del processo che hanno fatto emergere un quadro inquietante degli anni delle Stragi di stato e della Strategia della tensione (piano militare che prevede una serie di attentati terroristici e depistaggi giudiziari, verificati principalmente tra il 1969 e il 1980). La strategia mirava a creare un clima di paura e a destabilizzare il governo, con l’obiettivo di favorire un’evoluzione in senso autoritario e di ostacolare l’ascesa delle forze politiche di sinistra. Nelle parole di Di Matteo traspare l’orgoglio di chi non ha fatto altro che il proprio lavoro fino in fondo, senza se e senza ma. “Non mi sento sconfitto, ho cercato solo di fare il mio dovere, mettendo da parte ogni calcolo opportunistico e ogni ambizione di facile carriera. Per questo ancora oggi ho la serenità di chi, con tutti i limiti e i possibili errori, è consapevole di avere contribuito, con altri valorosi colleghi, a far emergere fatti gravi e importanti, a cercare di portare un po’ di luce nei labirinti più oscuri della nostra storia recente”.

Ma per capire meglio il problema delle Stragi di stato che sono proseguite anche dopo gli anni ‘90, non si può tralasciare la storia della trattativa Stato-mafia che si consumò in quel periodo storico. La trattativa Stato-mafia è stata una negoziazione svolta a più riprese tra esponenti delle istituzioni italiane e rappresentanti dell’associazione mafiosa Cosa nostra durante le stragi del 1992-‘93  con l’intenzione di porre fine alle stragi in cambio di favori concessi all’associazione mafiosa da parte delle istituzioni. L’inizio della trattativa sarebbe riconducibile all’omicidio di Salvo Lima (a sin. nella foto), il più potente politico siciliano, leader della Democrazia cristiana, era un referente politico di Cosa nostra, assassinato il 12/3/1992 dall’organizzazione per non averne difeso gli interessi nel corso del maxiprocesso di Palermo, conclusosi il 30/1/’92 con la condanna definitiva di centinaia di mafiosi. In seguito alle testimonianze raccolte dai numerosi collaboratori di giustizia, fu istruito il processo sulla trattativa Stato-mafia che con la sentenza di primo grado del 2018, ha confermato gli avvenimenti condannando non solo gli esponenti mafiosi, ma anche quelli istituzionali. Secondo la sentenza definitiva della Cassazione, la trattativa Stato-mafia è storicamente accertata ma non è stata considerata penalmente rilevante in sede giudiziaria, perché mancava l’intenzione dolosa e la prova che gli ufficiali del ROS corrotti, fossero coinvolti nella trattativa stato Mafia e volessero davvero favorire il ricatto mafioso. Questa sentenza ha suscitato molte controversie. Tra i critici più autorevoli vi è il già citato Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia e membro del pool che ha condotto le indagini, il quale ha parlato di un “colpo di spugna per cancellare verità troppo scabrose per il Paese”.

La volontà del magistrato Giovanni Falcone di sostituire il giudice Carnevale nell’ambito del maxiprocesso sugli accordi avvenuti tra lo stato e la mafia, iniziarono a destare serie preoccupazioni all’interno dell’organizzazione criminale. Il 23/5/1992 a circa 6 mesi dalla riunione in cui Salvatore Riina dichiarava alla commissione provinciale l’inizio della guerra contro lo Stato, avvenne la strage di Capaci. In seguito alla strage di Capaci il Consiglio dei ministri nella seduta dell’8/6/1992 approvò il decreto-legge “Scotti-Martelli” (detto anche “decreto Falcone”), che introdusse l’articolo 41-bis, cioè il carcere duro riservato ai detenuti di mafia. Nelle prime settimane del giugno 1992, poco dopo la strage di Capaci e l’introduzione dell’articolo 41-bis, il capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno (foto sopra), propose a Massimo Ciancimino di organizzare degli incontri con suo padre in modo da ottenere informazioni rilevanti dal punto di vista investigativo relative al fenomeno di tangentopoli e alla nuova strategia mafiosa.

Il padre di Massimo era Vito Ciancimino (foto sopra), definito come “il più mafioso dei politici ed il più politico dei mafiosi”, era un politico della DC appartenente al clan dei corleonesi di Salvatore Riina, eletto sindaco di Palermo e assessore ai lavori pubblici durante la sindacatura di Salvo Lima. La richiesta e la successiva organizzazione e conferma di un incontro fu possibile grazie al rapporto di familiarità che intercorreva tra il carabiniere Giuseppe De Donno e Massimo Ciancimino, i due infatti entrarono in contatto per la prima volta negli anni ‘80 durante il processo di primo grado che coinvolse Vito Ciancimino che pagava già allora per farsi difendere da quel corrotto del colonnello De Donno. Si tennero in tutto altri due o tre incontri che avvennero sempre nella casa di Roma in cui il mafioso risiedeva. De Donno comunicò quindi l’iniziativa al suo superiore, il colonnello dei carabinieri (massomafioso P2)Mario Mori, all’epoca capo reparto “criminalità organizzata” del ROS. Il colonnello Mori quindi informò il generale (P2) Subranni; a sua volta Ciancimino e il figlio Massimo contattarono Salvatore Riina attraverso Antonino Cinà (medico e mafioso di San Lorenzo). Alla fine del giugno 1992 il capitano De Donno incontrò a Roma la dottoressa Liliana Ferraro, vice direttore degli Affari Penali presso il Ministero della giustizia, alla quale chiese copertura politica al rapporto di collaborazione con Ciancimino; la dottoressa Ferraro, inoltre, lo invitò a riferire al giudice Paolo Borsellino. Il 25 giugno il colonnello Mori e il capitano De Donno incontrarono il giudice Borsellino: secondo quello che viene riferito da Mori e De Donno, durante questo incontro Borsellino discusse coi due ufficiali sulle indagini dell’inchiesta “mafia e appalti”. In quel periodo, Salvatore Riina mostrò a Salvatore Cancemi un elenco di richieste dicendo che c’era una trattativa con lo stato che riguardava pentiti e carcere; sempre in quel periodo, Riina disse anche a Giovanni Brusca tramite  un “papello”, di richieste in cambio della conclusione della stagione delle stragi. Il 20/7/1992, il giorno dopo la strage di via d’Amelio, la Procura di Palermo deposita l’istanza di archiviazione dell’indagine definita “Mafia e Appalti”, a cui aveva lavorato con grande interesse Giovanni Falcone. Il decreto di archiviazione fu emesso il 14/8/1992.

Il 22 luglio il colonnello Mori incontrò l’avvocato Fernanda Contri (segretario generale a Palazzo Chigi) affinché riferisse al presidente del consiglio Giuliano Amato dei contatti intrapresi con Ciancimino (mafioso e politico italiano appartenente alla DC e condannato in via definitiva per associazione mafiosa). In quel periodo, il generale dei cc Francesco Delfino (foto sopra), nel quadro delle conseguenti indagini, viene tratto in arresto assieme all’imprenditore Giordano Alghisi. Viene inoltre indagato il capitano dei cc Arnaldo Acerbi, allora comandante del nucleo operativo dei cc di Brescia, al quale viene contestato di aver occultato all’autorità giudiziaria le confidenze da lui raccolte da Carlo Soffiantini sul ruolo svolto da Delfino nella vicenda per la quale quest’ultimo veniva tratto in arresto.

Il 15/1/1993, a Palermo, Salvatore Riina viene arrestato: non faceva più comodo a nessuno la sua ignoranza! Nè allo stato e nemmeno ai servizi segreti che gli commissionavano da sempre militarmente i lavori sporchi (uccisioni, genocidi e piani militari! Come il  Piano ‘Blue Moon’, dove usavano la mafia per divulgare in tutta italia l’eroina allo scopo di eliminare i gruppi giovanili che si  stavano ribellando al contesto sociale repressivo, culminato nelle stragi di stato (dittatura di stato).

Riina, il capo di Cosa Nostra, viene arrestato dai carabinieri del ROS (P2 – loggia massonica formata da alti gradi delle forze dell’ordine), uomini del colonnello Mori e del generale Delfino, che utilizzarono il neo-collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio (foto sopra), per incastrarlo. Era latitante da 23 anni. In seguito all’arresto di Riina, si creò un gruppo mafioso favorevole alla continuazione degli attentati contro lo stato (Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro). Nel 1993 il ministro della giustizia, Claudio Martelli, fu costretto a dimettersi a seguito dello scandalo di Tangentopoli. La sua dimissione avvenne il 10/2/1993, ed fu sostituito da Giovanni Conso. Lo scandalo coinvolse numerosi politici di varie e svariate colorazioni, e uomini d’affari; portò alla luce un sistema di corruzione diffuso in Italia, con la richiesta e il pagamento di tangenti per ottenere favoritismi nelle commesse pubbliche e nelle procedure di appalto (ancora oggi in auge). Il 22 ottobre 1993 il colonnello Mori (P2) incontrò nuovamente il suo collaboratore di giustizia Di Maggio, l’ex autista di Totò Riina, che che tradì e consegnò ai carabinieri Riina il 15/1/1993, iniziando a collaborare con lo stato. Nello stesso periodo, l’imprenditore Tullio Cannella (uomo di fiducia di Leoluca Bagarella e dei fratelli Graviano), fondò il movimento separatista “Sicilia Libera, che si radunò insieme ad altri movimenti simili nella formazione della “Lega Meridionale”.

Nell’ottobre 1993, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, incontrò il boss Giuseppe Graviano (foto sopra), in quell’occasione Graviano gli confidò che stavano ottenendo tutto quello che volevano grazie ai contatti con Marcello Dell’Utri e, tramite lui, con Silvio Berlusconi. In quel periodo, secondo Tullio Cannella (divenuto un collaboratore di giustizia), Bernardo Provenzano e i fratelli Graviano abbandonarono il progetto separatista di “Sicilia Libera” per fornire appoggio elettorale al nuovo movimento politico “Forza Italia” fondato da Silvio Berlusconi. Il 27/1/1994 a Milano vennero arrestati i fratelli Graviano, che si erano occupati dell’organizzazione di tutti gli attentati: da quel momento, la strategia stragista di Cosa Nostra si fermò? Il giornalista Marco Travaglio ha parlato di leggi che sono state proposte e approvate da parte di governi sia di centrodestra che di centrosinistra nel corso degli ultimi 15 anni, che potrebbero aver favorito Cosa Nostra e che rispettavano la trattativa stato – mafia, le richieste del Papello per l’alleggerimento del 41 bis.

Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno iniziato a promuovere e pubblicizzare l’astensione ai referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno. Anche nelle ultime ore, vari esponenti dei partiti di destra che sostengono il governo Meloni hanno invitato gli elettori a non partecipare ai quesiti. Per approfondire vi consigliamo questo breve video:

Referendum 8 e 9 giugno, per cosa si vota: i fac simile delle schede e la spiegazione dei 5 quesiti:https://www.youtube.com/watch?v=-F_9XlY95qY

Documenti ESCLUSIVI – Trattativa STATO MAFIA – Reporthttps://www.youtube.com/watch?v=8rBaLaaBjaw&t=680s

Gli Anarchici (Versione Italiana di: Les Anarchistes) – Léo Ferréhttps://www.youtube.com/watch?v=GzpzBOkXvpI&list=RDGzpzBOkXvpI&start_radio=1

Storia dell’ANARCHISMOhttps://www.youtube.com/watch?v=eh5IPq0tZvc&t=29s

CRIMINI FINANZIARI del VATICANO: i segreti dello IORhttps://www.youtube.com/watch?v=aZ3-ROOcDB4

Come il Vaticano riciclava i soldi di Cosa Nostra e della P2https://www.youtube.com/watch?v=bQ3VEguTQSE&t=188s

La P2 di Licio Gelli: la Loggia Massonica che manovrava l’Italiahttps://www.youtube.com/watch?v=V1W1H4m2qhI

Il passato che ritornahttps://www.raiplay.it/video/2025/05/Il-passato-che-ritorna—Report-18052025-beae237b-e683-49cd-b2a3-e5daa7653f4d.html

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Il popolo è sempre il mostro a cui mettere

la museruola, da curare mediante la

colonizzazione e la guerra da ricacciare

il più possibile fuori dal diritto e dalla politica.

P.J. Proudhon

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

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