Massomafia: consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa

In questi giorni i mass media scrivono che i consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa dal 1991 (dopo la legge 221 del 22/7/’91) sono 268 (dato aggiornato ad aprile 2021). Sì, Cosa Nostra rimane una mafia storica viva e ben organizzata e presente in Italia, seppur meno potente della ‘Ndrangheta, con attività che si estendono anche negli Stati Uniti (USA), dove le famiglie mafiose continuano a controllare importanti aree e ad eseguire (pagati) feroci piani militari, o chiamati ad altre attività criminali. Dal 1991 ad oggi, in 34 anni sono stati 402 gli scioglimenti da Nord a Sud di enti locali, in media uno al mese. Sono 11 le regioni interessate dai provvedimenti. L’89% degli scioglimenti è avvenuto in Calabria, Campania e Sicilia, Puglia, Lazio, Piemonte, Liguria, Basilicata e Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta. Oltre a 288 Comuni, sono state sciolte 6 aziende sanitarie provinciali. “Tra i tanti dati del dossier (rileva il Ministero dell’interno), colpisce il fatto che in 374 comuni tornati al voto dopo lo scioglimento, 31 sindaci rimossi siano stati nuovamente eletti e altri siano comunque rientrati in Consiglio comunale o in giunta.

La statistica della  sentenza, specifica il persistere dell’esistenza di complicità e connivenze tra mondo criminale, politico e amministrativo, rendendo chiaro come le mafie continuino a ritagliarsi un posto in prima fila, per esempio nella corsa agli appalti (al ribasso), dividendo il bottino coi servi dello stato. Oggi le mafie tendono sempre di più ad abbandonare il metodo della violenza e dell’intimidazione e a privilegiare la strada della collusione, della corruzione. Specialmente al centro nord.

Viaggiano sotto traccia e non usano più il metodo degli attentati (‘92/’83), delle bombe e delle minacce, ma si comperano (con regali costosi) i politici e gli alti gradi delle forze dell’ordine – disordine, comperandosi anche le lauree che servono per  entrare nel potere della politica.

Ma per capire meglio il problema della massomafia, facciamo un po’ di analisi storica, politica, economica e sociale: Il “Patto Stato-Mafia”, o Trattativa Stato-Mafia, nasce nel 1992 con contatti e patti segreti tra istituzioni italiane e Cosa Nostra, in un periodo di forte tensione segnato dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Nonostante l’esistenza della trattativa sia stata riconosciuta in diverse sentenze, la Corte di Cassazione ha definitivamente assolto tutti gli imputati (tra cui ufficiali dei cc e Marcello Dell’Utri, (foto sopra), con la motivazione che il fatto non costituiva reato o che il reato era prescritto, assolvendo anche i boss mafiosi. L’inizio della trattativa (patto – papello), sarebbe riconducibile all’omicidio di Salvo Lima (a sin. nella foto sotto), un politico italiano democristiano, alle elezioni politiche del 1968, venne eletto alla Camera dei deputati, per la corrente fanfaniana, passando poi a quella andreottiana (cattofascista). Nel 1972, Lima venne nominato sottosegretario alle finanze nel governo Andreotti II e riconfermato durante i governi Rumor IV e V, mentre nel 1974 venne nominato sottosegretario al bilancio e alla programmazione economica, durante il governo Moro IV.

In breve, Lima riuscì anche a piazzare – raccomandare i suoi fedelissimi in tutte le principali amministrazioni isolane: il fratello Giuseppe fu direttore sanitario dell’Ospedale Civico di Palermo dal ‘74 al 1988, Mario D’Acquisto fu presidente della Regione Siciliana dal 1980 al 1982, Salvatore Mantione e Nello Martellucci furono sindaci di Palermo, rispettivamente, dal ‘78 al 1980 e il secondo per due mandati dal 1980 al 1983 e poi nel 1984, mentre l’ex assessore regionale alla sanità Sebastiano Purpura fu presidente della U.S.L. 58, la più importante della Regione. Il 12 marzo 1992, dopo essere uscito dalla sua villa a Mondello per recarsi all’hotel Palace a organizzare un convegno in cui era atteso Giulio Andreotti (a destra nella foto sopra) fu ucciso. La relazione della Commissione parlamentare antimafia sui rapporti tra mafia e politica, redatta dall’onorevole Luciano Violante ed approvata dal Parlamento il 6 aprile 1993, arrivò alle seguenti conclusioni: “Risultano certi alla Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di cosa nostra”. Egli era il massimo esponente, in Sicilia, della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Nel maggio 1993 il nome di Lima fu nuovamente al centro della cronaca a seguito delle indagini sulla Tangentopoli siciliana: l’europarlamentare sarebbe stato uno dei politici cui erano destinate le tangenti per aggiudicarsi gli appalti della SIRAP (società controllata dall’ESPI per lo sviluppo delle aree industriali ed artigiane). Dal processo Cusani (il più importante dell’inchiesta Mani pulite), emerse che Lima avrebbe ricevuto, attraverso Paolo Cirino Pomicino (foto sotto), una parte della famosa tangente Enimont per finanziare la campagna elettorale per le politiche del 1992.

Lima era il referente politico di Cosa nostra, fu assassinato dalla mafia per non averne difeso gli interessi nel corso del maxiprocesso di Palermo, conclusosi il 30/1/1992 con la condanna definitiva di centinaia di mafiosi. In seguito alle testimonianze raccolte dai numerosi collaboratori di giustizia fu istruito il processo sulla trattativa Stato-mafia che con la sentenza di primo grado del 2018 ha confermato gli avvenimenti condannando oltre agli esponenti mafiosi anche quelli istituzionali. Nel 2021, la Corte d’Appello di Palermo si è fatta comperare dalla massomafia politica democristiana: ha assolto gli esponenti istituzionali dalle accuse di “minaccia a Corpo politico dello Stato”, condannando quelli mafiosi per la minaccia perpetrata allo stato. Ma la corte di cassazione nel 2023, ha puntualmente confermato l’assoluzione degli esponenti istituzionali e dichiarato l’avvenuta prescrizione dei boss mafiosi imputati. Questa sentenza ha suscitato molte controversie. Tra i critici più autorevoli vi è Nino Di Matteo (foto sotto), sostituto procuratore nazionale antimafia che ha condotto le indagini, il quale ha parlato di un “colpo di spugna per cancellare verità e intrecci troppo scabrosi per il Paese italiano”.

Furono i pentiti – boss mafiosi come Salvatore Contorno e Tommaso Buscetta insieme ai magistrati tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che portarono all’istruzione e allo svolgimento del maxiprocesso di Palermo. Il processo di primo grado cominciò il 10 febbraio 1986 nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, il processo fu concluso il 30 gennaio 1992. La sentenza fu molto severa e vide la condanna della maggior parte degli oltre 400 imputati a pesanti pene detentive, mentre i boss furono condannati all’ergastolo. Nel corso del maxiprocesso si ebbe un periodo di “sommersione” dell’attività stragista mafiosa che terminò il 9 agosto 1991 con l’omicidio del magistrato Antonino Scopelliti avvenuto in Calabria per depistare gli inquirenti. Giovanni Falcone (a sinistra nella foto), sostituì il giudice Corrado Carnevale (a destra foto sotto) nell’ambito del maxiprocesso però iniziò a destare serie preoccupazioni all’interno dell’organizzazione massomafiosa (intreccio tra politici e mafia).

Secondo la testimonianza di Filippo Malvagna, nipote del boss catanese Giuseppe Pulvirenti, alla fine del 1991 si tenne nei pressi di Enna una riunione della Commissione regionale in cui fu deciso di dare inizio a una serie di azioni terroristiche contro lo stato e le istituzioni che sarebbero state rivendicate dalla sigla “Falange Armata“, in modo da evitare il diretto collegamento con Cosa nostra. L’omicidio Guazzelli avvenne in coincidenza coi numerosi incontri tenuti tra i generali Antonio Subranni e Giuseppe Tavormina (nella foto con Kossiga) col ministro Calogero Mannino e l’evento aumentò la sensibilità di Subranni riguardo alla sicurezza propria e dei propri collaboratori.

Nel 1992, dopo la strage di Capaci e l’introduzione dell’articolo 41-bis per i reati di mafia, il capitano dei carabinieri (P2) De Donno propose a Massimo Ciancimino di organizzare degli incontri con suo padre Vito, un mafioso e politico italiano appartenente alla Democrazia Cristiana, facente parte del clan dei corleonesi di Salvatore Riina e condannato in via definitiva per associazione mafiosa, fu eletto sindaco di Palermo e assessore ai lavori pubblici durante la sindacatura di Salvo Lima.

Il 15/7/1992 Borsellino confidò alla moglie Agnese che il generale Subranni (foto sopra), era vicino ad ambienti mafiosi mentre qualche giorno prima le aveva detto che c’era un contatto tra mafia e parti deviate dello stato e che presto sarebbe toccato pure a lui di morire. Il 19/7/1992, con un attentato in via D’Amelio, a Palermo, morì anche Paolo Borsellino. Secondo il pubblico ministero Antonino di Matteo, l’assassinio di Borsellino fu eseguito per proteggere la trattativa dal pericolo che Borsellino, venutone a conoscenza, ne rivelasse e denunciasse pubblicamente l’esistenza. Invece il 15/1/1993, viene arrestato a Palermo, Salvatore Riina, capo di Cosa Nostra. Era latitante da ben 23 anni.  Nel ‘93 l’imprenditore Tullio Cannella (uomo di fiducia di Leoluca Bagarella e dei fratelli Graviano), fondò il movimento separatista “Sicilia Libera”, che si radunò insieme ad altri movimenti simili nella formazione della “Lega Meridionale”. Spatuzza e  Graviano confidarono alla commissione, che ottenevano tutto quello che volevano grazie ai contatti con Marcello Dell’Utri e, tramite lui, con Silvio Berlusconi (foto sotto). Nel 1994 invece Tullio Cannella (divenuto un collaboratore di giustizia), Bernardo Provenzano e i fratelli Graviano abbandonarono il progetto separatista di “Sicilia Libera” per fornire l’appoggio elettorale (i voti), al nuovo movimento politico “Forza Italia” fondato dal P2ista  Silvio Berlusconi (N. di tessere 1816). Anche altri collaboratori di giustizia parlarono dell’appoggio fornito da Cosa nostra a Forza Italia alle elezioni del 1994. Il giornalista Marco Travaglio ha parlato di leggi che sono state proposte e a volte anche approvate da parte di governi sia di centrodestra che di centrosinistra, che potrebbero aver favorito Cosa nostra in politica.

Il 27/5/2013 è iniziato il processo relativo alla vicenda della ‘trattativa stato-mafia’. Il 20/4/2018 viene pronunciata la sentenza di primo grado alle alte gerarchie, con la quale vengono condannati a 12 anni di carcere Mario Mori, Antonio Subranni, Marcello Dell’Utri, Antonino Cinà, ad 8 anni Giuseppe De Donno e Massimo Ciancimino, a 28 anni Leoluca Bagarella; sono prescritte, come richiesto dai pubblici ministeri, le accuse nei confronti della bassa manovalanza che eseguiva come Giovanni Brusca, e viene assolto il massone Nicola Mancino. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise di Palermo presieduta dal dott. Alfredo Montalto, alla presenza dei Pubblici ministeri Antonino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi.

Il ministro Calogero Mannino (foto sopra), coimputato per la trattativa stato mafia, si era comperato anche i magistrati con ricchi regali, e aveva potuto scegliere il rito abbreviato, è stato quindi assolto il 4/11/2015. L’assoluzione è stata confermata in Appello, il 3/2/2020, ed in Cassazione, l’11/12/2020, divenendo definitiva. Il 13/7/2020 veniva prescritta anche a Massimo Ciancimino. Il 27/4/2023 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza: pur riconoscendo che la trattativa vi fu, i giudici hanno escluso la rilevanza penale della condotta, assolvendo gli imputati Mori, Subranni e De Donno. La sentenza ha chiarito che l’azione degli ufficiali fu “improvvida” e “spregiudicata”, ma motivata da fini solidaristici, ovvero dalla volontà di “salvaguardare l’incolumità della collettività nazionale” e “tutelare un interesse generale e fondamentale dello Stato”. In altre parole, gli ufficiali agirono “per ragioni convergenti con quelle della vittima del reato”, cioè lo stato stesso (Corte d’Assise d’Appello di Palermo, pagg. 2074-2075).

In sintesi, la trattativa stato mafia messa in atto da Mori, Subranni e De Donno (foto sotto) con la mafia è storicamente accertata, ma non è stata considerata penalmente rilevante in sede giudiziaria, la prova che gli ufficiali dei ROS volessero favorire e usare la mafia culturalmente ignorante per eseguire i loro occulti sporchi piani militari come, vogliamo citare ad esempio, il piano militare chiamato Operazione Blue Moon, un’operazione sotto copertura fatta dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale Nato all’inizio degli anni ‘70 fino ai nostri giorni per eliminare le masse di giovani che anche in Italia, si stavano organizzando per ribellarsi al sistema dittatoriale ipocrita e massomafioso dello stato P2ista.

Il magistrato Nino Di Matteo, uno dei principali pubblici ministeri del Processo stato mafia, e sostituto procuratore della procura nazionale Antimafia, ha definito la sentenza un “colpo di spugna” che cancella verità scomode per il Paese e l’alleanza militare Atlantica (accordi coi servizi segreti).

Ora vi consigliamo di leggere il libro principale sulla “massomafia” dell’esperto Andrea Leccese, sui rapporti tra mafia e massoneria deviata, che affronta direttamente il tema dei legami tra criminalità organizzata e logge massoniche deviate, un argomento cruciale per capire le collusioni tra politica, poteri occulti e affari illeciti.

Poi vi consigliamo anche quello di Piero Messina pubblicato nel 2014 dal titolo: Onorate società –  Mafia e massoneria, dallo sbarco alleato al crimine globale, cento anni di trame oscure.

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Chi dice “STATO” dice necessariamente “GUERRA”.

La lotta per la preponderanza, che è la base

dell’organizzazione economica borghese,

è anche la base dell’organizzazione politica.

P. Kropotkin

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Questa analisi la dedichiamo a tutte e tutti gli Anarchici ingiustamente incarcerati dallo stato stragista massomafioso.

Nè con lo stato, nè con la mafia.

Anarchia: l’unica coerente, l’unica via!

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

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