Il 23 maggio 1992, a Capaci una carica di esplosivo uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Tra le macerie viene ritrovato un bigliettino che riporta il numero di telefono del numero 2 del SISDE, Lorenzo Narracci (il traditore), che in seguito dirà di averlo perso durante un sopralluogo. Nel frattempo, i computer e le memorie elettroniche contenenti i diari di Falcone e i suoi appunti investigativi vengono rubati.
Falcone fu ucciso perchè stava indagando sui soldi della mafia e le sue alte convergenze. Fu Falcone poi a creare la parola massomafia come concetto gerarchico al dissopra della mafia contadina (gabellotti).
Il 5 aprile 2019 i mass media scrivono che il mercenario dei servizi segreti Bruno Contrada è stato sentito come testimone assistito dal Procuratore di Caltanissetta capo della polizia Vincenzo Parisi per il processo sul depistaggio delle indagini sulla strage Borsellino. Alla sbarra finirono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, che facevano parte del gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’. Sono tutti imputati per calunnia aggravata in concorso.
Nell’agosto 2010 i mass media invece scrivevano che Gaetano Scotto (foto sopra)il boss dell’Arenella era in galera dal 2001 per traffico di droga, un grosso business costruito sull’asse Stati Uniti – clan dei Vernengo, che dalla Sicilia lo smerciavano in nord Italia (piano militare MK ultra per annientare i movimenti degli anni ’60 ’70). Scotto fu arrestato a Chiavari per il tentato omicidio di un anziano in cambio di 250 milioni di lire. Una storia di raggiri ai danni di ricchi anziani, convinti a firmare testamenti a favore di una banda di magliari. Gaetano Scotto, boss dell’Arenella è tra i condannati per la morte anche di Paolo Borsellino e della sua scorta. La Procura di Caltanissetta ha descritto ciò che accadde nelle stragi del ’92, in una trama molto complessa: parte dal lontano fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone nel 1989. L’intreccio è fitto di ombre di servizi segreti – mercenari. Gaetano Scotto curava gli interessi di Cosa Nostra in Emilia Romagna. A dargli un ruolo preciso per la prima volta è il pentito Vito Lo Forte: lo ricorda nel riciclaggio alla fine degli anni ’80 nella Svizzera degli introiti della coca. Dice che Scotto ripuliva il denaro di Gaetano Fidanzati, il ras della droga in Lombardia che aveva portato Cosa Nostra a Milano, allestendo riunioni nei bar del quartiere Lorenteggio con un nutrito gruppo di pezzi da novanta: da Pietro Vernengo a Totuccio Contorno, dai fratelli Grado a Vittorio Mangano. Fiumane di denaro sporco, che passava il confine per essere lavato e reinvestito. Avevano scoperto un giro talmente grande che, (racconta lo stesso Lo Forte), fu proprio per fermare le indagini sul riciclaggio in Svizzera che venne organizzato l’attentato all’Addaura, dove Giovanni Falcone aveva affittato casa, dove sarebbero dovuti morire anche i due magistrati elvetici che indagavano, Claudio Lehmann e Carla Dal Ponte, ospiti quel giorno del giudice. Luca Tescaroli è stato pubblico ministero per la strage di Capaci ed è convinto, come lo era Falcone, che dietro all’attentato ci fossero “menti raffinatissime“.. Un attentato che doveva di fatto impedire la cooperazione investigativa tra Falcone e i magistrati svizzeri sul riciclaggio dei soldi della droga in Italia e in America, e sull’ipotesi di alcune collusioni con particolari elementi dello Stato. Pochi mesi dopo il fallito attentato, mentre si trova nel carcere di massima sicurezza di Full Sutton (Inghilterra) il boss Francesco Di Carlo riceve la visita, per due volte, di alcuni esponenti di servizi segreti di diversi Paesi stranieri che gli chiedono un appoggio per ammazzare Falcone. Lui indica Antonino Gioè, all’epoca ignoto boss di Cosa Nostra, che in effetti sarà tra gli esecutori materiali di Capaci. Poco prima della strage, Gioè è protagonista di una curiosa trattativa dei carabinieri con Cosa nostra, attraverso l’intermediazione dell’estremista di destra Paolo Bellini, per il recupero di opere d‘arte rubate. I magistrati volevano interrogare Gioè, che però non può dire nulla perché muore impiccato in carcere poco dopo l’arresto, lasciando un bigliettino in cui scrive che Bellini era un infiltrato dello Stato. Secondo l’allora consulente della Procura di Caltanissetta Gioacchino Genchi scrive che per tenere i contatti per la strage di Capaci Gioè adoperò dei telefoni clonati Nec P300 usando numeri ufficialmente inesistenti eppure attivati in una stranissima filiale Sip, dietro cui, c’era una base coperta dei servizi segreti. Siamo nel luglio del 1992. Paolo Borsellino appunta le dichiarazioni esplosive del boss Gaspare Mutolo sulle collusioni istituzionali. Segna tutto su un’agenda rossa. Vede il boss l’ultima volta il giorno 17. Due giorni più tardi, una Fiat 126 imbottita di Semtex lo uccide in via D’Amelio, sotto casa della sorella. L’agenda rossa sparisce. Passano due ore. E arriva sul luogo della strage il commissario capo Gioacchino Genchi. Si sta già occupando dell’agenda elettronica e dei pc di Falcone: ha scoperto che la prima è stata cancellata e che i secondi sono stati manomessi. E si guarda intorno chiedendosi da dove i mafiosi possano aver attivato il telecomando per la strage, poi salta in macchina e sale sul Monte Pellegrino, punto in cui la visuale è perfetta. Lì sopra c’è il castello Utveggio. E all’interno, c’è ufficialmente un centro studi per manager, il Cerisdi. Genchi scopre che dentro non ci sono solo futuri dirigenti. In alcuni uffici si alternano infatti ex persone dell‘Alto Commissariato e ufficiali dei carabinieri recuperati nell’amministrazione civile, e c’é pure un centro massonico o paramassonico (spiegherà poi in aula) guidato da un funzionario della Regione Sicilia. Infine c’é un telefono perennemente collegato alla base coperta Gus, servizi segreti di Roma. Dai tabulati che Genchi analizza risulta abbiano chiamato il Cerisdi pure due mammasantissima di rango, difficilmente interessati a corsi scolastici: uno é Giovanni Scaduto, killer di Ignazio Salvo. E l’altro è proprio Gaetano Scotto, il boss che lavava i soldi della droga in Svizzera, l’uomo che pedinava il poliziotto dell’Addaura Nino Agostino. Ancora bisogna capire come abbiano fatto i mafiosi a sapere dell’arrivo di Borsellino a casa della sorella, per prendere la madre. E scava scava, Genchi trova altri due elementi di grande interesse: il primo è un altro telefono clonato, i cui tracciati hanno seguito quel giorno, passo passo dall’albergo di Villa Igea, il percorso di Borsellino fino in via D’Amelio. Si tratta di un telefono clonato i cui contatti appartengono allo stesso circuito del suicida Gioè. ll secondo elemento è invece un uomo, un uomo il cui nome dà da pensare. E’ un operatore telefonico della ditta Sielte. L’operatore della Sielte dichiarerà alla Dia di Caltanissetta nel 2003, che si sorprese quando il suo superiore Arnaldo La Barbera, a capo del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino sulle stragi, convoca il direttore del Cerisdi (il prefetto Verga) e gli comunica delle indagini fatte sul castello. I servizi smentiranno sempre di esserci stati. Passa poco.
La notte tra il 4 e il 5 maggio del ‘93 Genchi litiga furiosamente con La Barbera (foto sopra) che gli chiede almeno di non arrestare il telefonista della Sielte. La Barbera, dirà Genchi, scoppia a quel punto a piangere, gli spiega che diventerà questore e che per lui é prevista una promozione per meriti sul campo. Ma il commissario capo non ci sta, sbatte la porta e lascia per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. Genchi va via. E l’operaio della Sielte viene così arrestato: si chiama Pietro Scotto, ed è il fratello del boss Gaetano Scotto. Pietro Scotto é uno che (disse Genchi) sarebbe stato in grado di avvertire i mafiosi quando questi finivano intercettati. Con l’uscita di Genchi le indagini su via D’Amelio prendono un’altra strada, seguono le indidicazioni del pentito Vincenzo Scarantino, l’uomo che ammette di essere stato il ladro della 126 che poi fu imbottita di esplosivo. E’ grazie alle sue parole che viene consentito l’arresto immediato di Pietro Scotto. Scarantino confessa e poi ritratta, accusando esplicitamente di pressioni l’ex capo della mobile ora al vertice del gruppo Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera. Alla fine Pietro Scotto viene assolto. Gaetano no, viene condannato, ma solo in appello, quando ormai ha fatto perdere le tracce che verranno riprese a Chiavari. Passano 17 anni e scoppia il caso del killer Gaspare Spatuzza, uomo dei Graviano. Si autoaccusa del furto della 126, smentendo così in toto la ricostruzione di Scarantino. L’uomo che coordinò le indagini sulle stragi, Arnaldo La Barbera, era un agente (massomafia) dei servizi segreti occulti, nome in codice: Catullo. Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso dice che “la mafia non era la sola ad avere interesse ad eliminare Giovanni Falcone” o che gli attentati del 1993 hanno aperto la strada ad una “nuova entità politica”. Ci hanno sempre detto che gli autori delle stragi del 1989/’93 erano i mafiosi corleonesi, e solo loro e gli hanno catturati e condannati. Ma, da poco, affiora una nuova verità: la mafia siciliana di Riina sarebbe stata il braccio armato di un altro potere, strumentalizzata per fare il lavoro sporco. Vito Ciancimino spiega alla commissione antimafia che erano agenti delle forze dell’ordine che hanno trattato con lui. Per esempio il “signor Franco”, l’uomo che, per tre anni, avrebbe avuto contatti stretti con lui, gli avrebbe consegnato alcuni passaporti falsi e il papello (la lista di richieste di Totò Rina allo Stato per fermare i massacri). Quello che emerge da tutta questa faccenda losca, è che una parte dello Stato trattava con Cosa Nostra e che un’altra parte ha partecipato materialmente ai massacri. Quando succedevano le stragi di stato era sempre al potere la Democrazia cristiana (DC) … La DC di Andreotti (destra cattolica) aveva rapporti con la mafia. Infatti, queste bombe esplodono in un momento di vuoto e di ricomposizione politica: la DC crolla, spazzata via dall’operazione anticorruzione Mani pulite, e nasce un nuovo partito, quello di Berlusconi: Forza Italia. Spatuzza affermava, nel 1994, che la mafia aveva “il paese in mano” grazie a Silvio Berlusconi, e al suo braccio destro, il senatore Marcello Dell’Utri, il quale è stato condannato in appello, il 29 giugno, a 7 anni di prigione per concorso esterno in associazione mafiosa. Una pena molto importante per un uomo da sempre in rapporti di affari con Berlusconi ex presidente del Consiglio…. Il procuratore di Reggio Calabria aveva dichiarato guerra alla “borghesia mafiosa”, la mafia col colletto bianco. Il procuratore di Caltanissetta, che indagava sui massacri in Sicilia ricevette un proiettile per posta, con la stessa impronta digitale di Contrada. Uomini appartenenti ai servizi segreti, sono stati indicati da molti testimoni come affiliati a Cosa nostra, tra i killer più spietati c’è Giovanni Aiello noto come “Faccia da mostro” per via delle cicatrici rimaste sul suo volto in seguito ad una esplosione. Aiello ex agente di polizia congedato dal 1977, era coinvolto in vicende criminali che hanno segnato il corso della storia d’Italia. Aiello era stato indagato da 4 procure per fatti gravissimi. Negli anni ’90 la Procura di Reggio Calabria indaga sul coinvolgimento della ‘ndrangheta nella stagione stragista (Capaci, via D’Amelio, via Fauro a Roma, via dei Georgofili a Firenze e altre ancora), insieme alla Falange armata e ai servizi segreti. Nella ricostruzione dell’inchiesta, emerge la partecipazione di Faccia da mostro; le vicende che lo riguardano, sono state messe a verbale alla Procura Nazionale Antimafia. Ma la storia di Faccia da mostro è solo uno scorcio nel panorama ambiguo dei servizi segreti implicati in gravi fatti di sangue.
Bruno Contrada (foto sopra), ha ricoperto incarichi di rilievo all’interno del SISDE (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) ex poliziotto, capo della Mobile di Palermo e capo della Criminalpol siciliana. La storia ci ha consegnato un quadro inquietante di questo agente segreto che, nel 2007, è stato condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo Gaspare Mutolo, fu il mafioso Stefano Bontate ad ottenere per primo i favori (collaborazione) da Contrada. Il Magistrato Gian Carlo Caselli, che ne dispose l’arresto, si esprime così sulla figura di Contrada: “Tutte le sentenze di condanna a suo carico concludono dicendo che l’imputato ha dato il contributo sistematico e consapevole sia alla conservazione sia al rafforzamento di Cosa Nostra. Ci sono state “soffiate” per consentire la fuga di latitanti in occasioni di imminenti operazioni di polizia. Tre volte in favore di Totò Riina e di altri due latitanti mafiosi nel 1981. Risulta che l’imputato si sia mosso con la Questura per far avere la patente a Stefano Bontate e a Michele Greco detto Il Papa.” Pensate in quante direzioni si estende il grado di favoreggiamento e all’entità dell’abuso di potere che da esso si sviluppa. Una rete di rapporti sovversivi ad oggi incontrollabili. Ricordiamoci anche di Lorenzo Narracci (funzionario AISI, Agenzia informazioni e sicurezza interna). Gaspare Spatuzza testimonia la presenza di Narracci nel garage in cui veniva imbottita di tritolo la FIAT 126 che uccise Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Di lui parla anche il testimone di punta del processo trattativa Stato-Mafia Massimo Ciancimino, il quale racconta le frequentazioni di personaggi loschi altolocati (la mafia borghese dei colletti bianchi e graduati delle forze dell’ordine, Ps – CC) nella casa del padre, Vito. Anche l’orrore di certe vicende che non dimenticheremo mai, come le stragi avvenute in Italia negli anni ’60-’90, non si possono dimenticare (Piazza Fontana – inizio della strategia della tensione – bombe di stato) sono legate alla mano oscura che muove i servizi segreti. Anche per la strage di Bologna sono stati indagati i vertici dei servizi segreti (che hanno addestrato e usato la destra per eseguirli) come il generale Giuseppe Santovito a capo del SISMI e iscritto alla P2 di Licio Gelli. E chi non si ricorda di Enrico Mattei? Un imprenditore ambizioso, divenuto dirigente dell’AGIP, che fece accordi coi Paesi produttori di petrolio e i loro capi di stato, accordi diversi da quelli fatti nel ’56 dai Paesi Nato. Mattei viene ucciso facendo precipitare il suo aereo nel vuoto mentre faceva ritorno dalla Sicilia. Dopo l’uccisione di Mattei viene ucciso dai servizi segreti massomafiosi anche il giornalista Mauro De Mauro che stava indagando sulla vita di Mattei e raccogliendo molto materiale, fino a dedurre e ipotizzare che la morte di Mattei non fu accidentale. Anche Pier Paolo Pasolini fu ucciso perché dava fastidio ai servizi segreti deviati, con l’analisi del suo libro (mai concluso) “Petrolio”, che analizzava proprio le vicende di Mattei e gli accordi fatti coi Paesi produttori di Petrolio.
L’ennesimo omicidio coperto da silenzi inquietanti e rivelazioni tardive, il tutto diretto dalla solita mano oscura che muove i servizi segreti. Chi aveva maggiore vantaggio per la morte di Mattei è infatti un uomo molto potente proveniente dal SIM Servizio Informazioni Militari:Eugenio Cefis. A questa pista investigativa si avvicinarono Boris Giuliano e Carlo Alberto Dalla Chiesa anch’essi assassinati… La sentenza emessa a Bologna nel 2017 per il processo “Black Monkey”, dichiara che “la nuova mafia è dentro lo Stato e attacca la Costituzione. La sua esistenza e affermazione comporta anche la collaborazione con funzionari pubblici, apparati dello Stato e politici”. Lo 007 Mario Mori si scoprì che era il pupillo di Giorgio Napolitano e di Silvio Berlusconi e tra i vari incarichi (puntualmente falliti), viene ingaggiato da Formigoni e Sala perchè impedisca le nfiltrazioni mafiose durante i lavori EXPO (!!!). I giudici milanesi che indagano sulle speculazioni expo dichiarano: “Gli uomini della ’ndrangheta hanno realizzato buona parte dei lavori del sito espositivo Expo 2015 ivi compresi i padiglioni dell’Italia, della Cina, dell’Ecuador, le rampe di accesso e tutta la rete fognaria”. Nel dicembre 2018 i mass media scrivono che i servizi segreti massomafiosi ebbero un ruolo nel depistaggio dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta il 19 luglio 1992. La relazione presentata dalla Commissione antimafia regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava dichiara: «È certo il ruolo che il Sisde (Sid – Sisde, l’allora servizio segreto civile, quello coinvolto nelle stragi di stato degli anni ’60/’70) ebbe nell’immediata manomissione del luogo dell’esplosione e nell’altrettanto immediata incursione nelle indagini della Procura di Caltanissetta». La Commissione antimafia siciliana fu Istituita nel 1991 ed era composta da 15 membri dell’Ars, l’assemblea regionale, e presieduta nel 2018 da Claudio Fava, figlio di Giuseppe, ucciso dalla mafia nel 1984. Nella relazione viene attaccata anche una parte della magistratura dichiarando ai mass media: «non pochi soggetti tra i ranghi della magistratura, delle forze di polizia e delle istituzioni nelle loro funzioni apicali hanno depistato le indagini della commissione mafia e della commissione stragi». Stragi e depistaggi, orchestrati nell’ombra da «menti raffinatissime» che «si affiancarono alla manovalanza di Cosa Nostra sia nell’organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio». La Commissione esamina anche l’interesse dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano per l’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada condannato definitivamente nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, condanna poi ritenuta «ineseguibile perché quando il fatto è stato commesso non era ancora reato» (l’ipocrisia borghese non conosce vergogna). Nel 2007, l’allora presidente del tribunale di Sorveglianza di Napoli Angelica Di Giovanni, doveva pronunciarsi sull’istanza di differimento pena che aveva presentato Contrada, al tempo in carcere. Secondo quanto la Di Giovanni racconta alla Commissione antimafia siciliana, il magistrato il 24 dicembre riceve una nota dall’allora consigliere giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio: «Angelica, ti scrivo su incarico del Presidente della Repubblica se puoi anticipare l’udienza», viene richiamata il 31 dicembre da Carlo Visconti, al tempo segretario del Csm, presieduto da Nicola Mancino per sollecitarla … Del ruolo degli 007 in via D’Amelio ne parla anche nella sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, attraverso varie testimonianze. Il pentito Antonino Giuffrè spiega: «La forza della mafia derivava dai suoi rapporti, imperniati su interessi comuni, con ambienti della politica, dell’economia, delle professioni, della magistratura e dei servizi segreti». E la sentenza conclude: «Già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai servizi segreti». Il tenente dei Carabinieri Carmelo Canale, (uno dei più stretti collaboratori di Borsellino), racconta che nel gennaio 1992 Falcone con «gli occhi di fuori» spiegava all’amico magistrato che il responsabile del fallito attentato dell’Addaura nel 1989 (al quale Falcone sopravvisse probabilmente per un malfunzionamento del detonatore) era proprio Contrada. Canale continua: «Vidi Borsellino bianco, Falcone agitatissimo che diceva che se fosse riuscito a diventare superprocuratore nazionale lo avrebbe arrestato (non fece in tempo). Le due testimonianze di Canale non hanno avuto conseguenze penali. Il 22 aprile 2018 i mass media scrivono che la Corte d’assise di Palermo, dopo 5 anni di processo ha emesso la sentenza sulla trattativa Stato-mafia: sono stati condannati a 12 anni gli ex generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex colonnello Giuseppe De Donno e 28 anni per il boss Leoluca Bagarella.
Dopo aver appreso il problema attuale, cerchiamo ora di tornare indietro nella Storia per analizzare e meglio comprendere il problema.
A partire dagli anni ’50 lo stato e Cosa Nostra sono coesistiti in Sicilia e successivamente anche al nord Italia in una situazione di pacifico rispetto degli spazi, se non di simbiosi. E’ solo all’inizio degli anni ’80 in Sicilia che nacque la cosiddetta “anomalia Palermitana,” un filone di magistrati che, accreditandosi con una parte della politica, svilupparono dei metodi e degli strumenti innovativi per condurre un efficace contrasto alla criminalità organizzata. I loro sforzi diedero vita al maxiprocesso di Palermo, il cui esito rivoluzionario scardinò improvvisamente gli accordi tra i boss di Cosa Nostra e i vertici collusi delle istituzioni. A quel punto entrambe le parti iniziarono a intavolare un lungo e violento dialogo sotterraneo (la cosiddetta “trattativa”), una partita a scacchi giocata a colpi di stragi e di arresti eccellenti allo scopo di stabilire le condizioni sotto le quali stato e mafia sarebbero potuti tornare ad una situazione di pacifica convivenza. Il 30 gennaio 1992 a Palermo la corte di cassazione conferma le condanne del maxiprocesso: 19 ergastoli e un totale di 2665 anni di carcere per boss e altri membri di Cosa Nostra. Il 4/3/’92 l’ex-agente segreto Elio Ciolini (uomo vicino ad ambienti di estrema destra e già condannato per falsa testimonianza sulla strage di Bologna), riferisce ai magistrati di una riunione segreta avvenuta in Jugoslavia e di esponenti eversivi della destra europea che avrebbero deciso di sovvertire il potere politico in Italia attraverso una strategia della tensione da attuarsi tramite attentati dinamitardi e sequestri o uccisioni di personaggi di spicco della politica. Il 12 marzo due sicari di Cosa Nostra uccidono l’europarlamentare Salvo Lima (DC). Tra aprile e maggio, il mafioso Mannino inizia a incontrare in veste informale il capo della polizia Parisi, il n°3 del SISDE Bruno Contrada e il capo dei carabinieri del ROS Mario Mori… Il 21 maggio Paolo Borsellino concede un’intervista esclusiva a Canal Plus in cui ammette che la mafia sta cercando di avvicinare gli imprenditori italiani di spicco, tra i quali Silvio Berlusconi. Borsellino cerca fin da subito di far luce sulla strage di Capaci e per questo vuole proseguire le indagini iniziate da Falcone. In particolare, si interessa del rapporto “mafia e appalti”. Il ministro Scotti candida Paolo Borsellino a sua insaputa a capo della super-procura antimafia ideata da Falcone. Il prestigio di quella carica è elevatissimo e il magistrato si sente sovraesposto al rischio di un attentato: “Hanno messo l’osso davanti ai cani”, dirà Borsellino al tenente Carmelo Canale, uno dei suoi collaboratori più stretti. Borsellino rimane sconvolto quando viene a sapere dal ministro della difesa Salvo Andò (PSI) che un’informativa del ROS segnala di un attentato dinamitario che doveva uccidere lui e il PM di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Borsellino è furioso e amareggiato, perché a lui quel documento non è mai arrivato, mentre Andò l’ha ricevuto dal procuratore capo del tribunale di Palermo, Pietro Giammanco. Forse è per questo motivo che, un giorno di fine luglio, Borsellino si porta le mani al volto e scoppia a piangere in presenza dei magistrati Alessandra Camassa e Massimo Russo. “Un amico mi ha tradito”, singhiozza il giudice, ma i due racconteranno questo episodio solo nel 2009. Il primo di luglio Borsellino sta interrogando il pentito Gaspare Mutolo a Roma, quando viene interrotto da una telefonata dal Viminale che lo invita ad incontrare il nuovo ministro dell’Interno, Mancino. Al ritorno, Borsellino è talmente scosso che fuma due sigarette per volta, senza neanche accorgersene. Nell’anticamera del ministero si è imbattuto in Bruno Contrada, che ha fatto una battuta sul pentimento di Mutolo, ma quell’informazione al momento doveva essere segreta. Il giorno dopo allora si reca a Roma, dal capo della polizia Parisi, e gli chiede un rafforzamento della scorta, che però non avverrà mai… Borsellino passa in procura e si ferma a salutare e abbracciare affettuosamente tutti i colleghi, cosa mai accaduta prima: ormai ha capito che sta per essere assassinato. Mentre viene accompagnato all’aeroporto per tornare a Palermo, telefona a due magistrati, Giovanni Tinebra e Pier Luigi Vigna, e ad uno di loro dice: “Adesso noi abbiamo finito, adesso la palla passa a voi.”. Mutolo ha fatto i nomi di personaggi insospettabili che sono in realtà al servizio della mafia, tra di loro ci sarebbe addirittura il comandante del ROS Antonio Subranni, indicato come punciutu, ossia affiliato a Cosa Nostra con rito del sangue. La stagione del terrorismo mafioso ricomincia con le bombe che scoppiano il 14 maggio a Roma in Via Fauro, il 27 maggio a Firenze in via dei Georgofili, il 27 luglio a Milano in via Palestro e il 28 luglio a Roma davanti alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro, l’obiettivo della mafia è colpire il patrimonio artistico dello stato e diffondere il terrore tra la popolazione. Il 31 ottobre fallisce il micidiale attentato allo stadio olimpico di Roma, il 1993 si chiude con 21 morti e 117 feriti. Negli ultimi due anni sono deceduti tre uomini che sapevano tutto della trattativa: Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Giovanni Aiello l’uomo dei misteri che ebbe un ruolo di collegamento tra la criminalità organizzata (in particolare la ‘ndrangheta), i servizi segreti occulti e la Gladio. Col tempo gli apparati occulti massomafiosi però si sono comperati anche alcuni elementi dell’antimafia, come Antonello Montate, ex presidente di Sicindustria, consigliere per Banca d’Italia e membro dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati e faceva parte dell’antimafia. Il giudice di Caltanissetta lo ha mandato agli arresti domiciliari (i pm avevano chiesto la custodia in carcere) con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione, violenza privata, violazione di segreto d’ufficio, accesso abusivo a sistemi informatici. Reati che, secondo l’accusa, nascondono un’attività di spionaggio e dossieraggio messa in atto per coprire le “disponibilità economiche occulte impiegate per foraggiare esponenti di rilievo della scena politica siciliana”, nonché i “qualificati rapporti” coi mafiosi della sua terra d’origine. Nell’inchiesta della procura di Caltanissetta c’è anche il nome dell’ex governatore della Regione Sicilia: quel Rosario Crocetta anche lui ariete delle lotte contro la mafia, oggi indagato per finanziamento illecito dei partiti e concorso esterno in associazione a delinquere finalizzato alla corruzione.
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Intrighi politici, economici, finanziari e militari della massomafia
https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2015/10/
Addestramento militare, fake newse, reazione di massa
https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/page/2/
Io penso che sia indegno di un uomo fare
ai propri simili tutto il male che il capitalista
gli ordina di fare, credendo di potersi giustificare
con questa sciocca scusa: io non sono che uno
strumento del capitalismo.
M. Nettlau
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)