Il giudice concludeva affermando che, sebbene “l’ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”, gli inquirenti non avevano “potuto trovare (nel termine massimo di durata delle indagini preliminari) la conferma delle chiamate del relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità”. Anche a Caltanissetta, dal ’98 al 2001, su quegli stessi personaggi avevano indagato il pm Luca Tescaroli e Nino Di Matteo. Ma anche in quel caso l’indagine fu poi archiviata.
Oggi l’indagine nei confronti del fu premier, santo Silvio Berlusconi e dell’ex Senatore Marcello Dell’Utri (foto sopra), è stata riaperta dai magistrati fiorentini (col coordinamento del procuratore aggiunto Luca Tescaroli e il pm Turco) dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni dei colloqui in cui il capomafia Giuseppe Graviano (foto sotto), considerato lo stratega militare degli attentati compiuti in quell’anno a Firenze, Roma e Milano e condannato all’ergastolo per le stragi del ’92 e del ’93, raccontava al compagno di detenzione nel carcere di Ascoli Piceno il coinvolgimento di Berlusconi nella strategia delle bombe. Mettendo in fila i pezzi si evince che Paolo Borsellino non solo era stato messo al corrente dalla Ferraro del dialogo, già grave, tra i carabinieri e Vito Ciancimino, ma con ogni probabilità aveva intuito anche altro. Forse proprio quell’ascesa che portò poi alla discesa in campo e al “ventennio” Berlusconiano nella storia politica di questo nostro strano Paese.
Di Berlusconi e Dell’Utri parlò Totò Cancemi: “Quando c’erano le preparazioni per le stragi di Falcone, del dottor Falcone, io ero in macchina con Raffaele Ganci. Stavamo andando là e Ganci Raffaele mi disse, con pochissime parole: U zu’ Totuccio si incontrò con persone importanti”.
Anche l’ex boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, che raccontò del papello e dello stop ricevuto per compiere l’omicidio Mannino, riferì di aver parlato con Riina nel marzo 1992, dopo la morte di Lima, e che il boss corleonese gli disse delle nuove opzioni politiche (Vito Ciancimino, “mi portarono pure sto Bossi, addirittura Marcello Dell’Utri”). E poi ancora Filippo Malvagna, Maurizio Avola, Pino Lipari, ed Ezio Cartotto. Quest’ultimo, dipendente di Publitalia, racconta che Dell’Utri, subito dopo l’omicidio Lima, gli avrebbe dato un primo incarico ancora occulto, di creare comitati politici che raggruppassero persone provenienti da più partiti, per creare un partito alternativo. Tracce. Elementi che non possono essere ignorati e che oggi vengono ripresi, rispolverati dagli organi inquirenti per ricostruire quella stagione di sangue e delitti che, accanto all’inchiesta Tangengopoli, hanno portato al crollo della Prima Repubblica dando vita alla Seconda. Paolo Borsellino aveva intuito. Ed è altamente probabile che le sue considerazioni le avesse scritte in quell’agenda rossa sparita. Ecco perché c’è la necessità di fare presto. Ecco l’accelerazione improvvisa rispetto alle scadenze prestabilite per cui Riina (a sinistra nella foto), decide di “fare il fatto di Borsellino”. Nella fase cruciale dell’esecuzione non ci sarà nemmeno il bisogno di provare e riprovare il piano come era stato per Falcone. Perché sul posto, a fianco dei mafiosi, ci saranno professionisti non appartenenti a Cosa nostra, ma agenti dello Stato deviato (Doppio Sid: servizi segreti). Gente abituata a operazioni rapide e pulite. E’ un dato di fatto, inoltre, che non furono uomini di Cosa nostra a trafugare l’agenda rossa del giudice Borsellino dalla sua auto. Una sparizione ancora avvolta nel mistero, nonostante gli elementi fin qui emersi. Su tutti la foto del colonnello dei cc Giovanni Arcangioli, in passato finito sotto indagine per il furto dell’agenda rossa del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, poi assolto per “non aver commesso il fatto”, nonostante le famose immagini in cui viene ritratto con in mano la borsa del giudice e le continue testimonianze costellate più di dubbi che di certezze.
La trattativa continua anche dopo la morte di Paolo Borsellino, con Cosa nostra che alza il tiro colpendo (su input di chi?) il patrimonio artistico a Firenze, Roma e Milano.
Secondo quanto Vito Ciancimino ha raccontato al figlio Massimo, è Dell’Utri il traghettatore, il mediatore, il burattinaio, assieme a Provenzano (a destra nella foto), del rinnovato patto tra stato e mafia.
In questo senso abbiamo ricordato le testimonianze di Salvatore Cancemi, ma vanno sicuramente aggiunte quelle dell’ex boss di Caccamo Antonino Giuffré (foto sotto), uno dei bracci destri di Bernardo Provenzano.
Quest’ultimo riferì che il nuovo capo di Cosa Nostra, appunto Provenzano, contravvenendo al suo abituale e cautelativo riserbo, non aveva temuto di esporsi personalmente nell’indicare a tutti gli uomini d’onore il nuovo partito di riferimento: Forza Italia. Il partito fondato da un uomo della mafia. Non Binnu Provenzano che regnerà indisturbato fino all’aprile 2006, accuratamente protetto da qualsiasi tentativo di cattura.
E’ sempre Giuffré ad aver spiegato il tradimento di Riina, concepibile soltanto però per un fine più grande: la Cosa Nuova, inabissata e silente. Quasi Invisibile. Per quante e plausibili trattative si siano accavallate tra il gennaio del 1992 e quello del ’94, è evidente che rientrano tutte in un unico progetto di “gioco grande” in cui Cosa Nostra ha prestato il suo know-how della violenza, come già dal 1943 in poi, affinché si instaurasse in Italia un regime in linea col ‘nuovo ordine globale’.
Quel testimone della trattativa è passato di mano in mano mentre segreti e misteri si sono confermati nel tempo. Da una parte c’era l’ultimo padrino latitante, depositario dei segreti di Riina, Matteo Messina Denaro, affiancato dai fratelli Graviano, che sono in carcere al 41 bis assieme a Leoluca Bagarella e i fratelli Madonia di Palermo (nella foto Salvatore). Dall’altra quella parte di stato che nel suo silenzio-assenso non parla mai di lotta alla mafia e sistemi criminali. Come nulla fosse.
La ricerca della verità sulle stragi passa da più livelli e nel 2021 c’è ancora molto da fare perché non è stato scoperto tutto. Ma al contempo non si deve far passare l’idea che sia stato tutto marcio. Nell’intervista a La Repubblica Fiammetta Borsellino, senza fare alcun distinguo afferma: è assurdo che per un processo definito il più grande errore giudiziario della storia italiana, non sia stata individuata alcuna responsabilità di coloro che quel processo hanno gestito. Non ci sono stati neanche provvedimenti disciplinari. Anzi, chi ha sbagliato, oggi svolge ruoli apicali all’interno dell’ordine giudiziario”. Un’affermazione che sottintende alcuni magistrati. Basti pensare che sulla strage non è noto il nome della persona che premette il telecomando che fece saltare in aria l’autobomba in via d’Amelio il 19/7/’92. In questa guerra costante che ha visto così tanti caduti spesso, purtroppo, è la stessa Cosa nostra a dare prova di quelli che sono i bersagli da colpire in quanto nemici del ‘Sistema criminale’. Trent’anni dopo, la lotta continua grazie all’impegno di più Procure e di magistrati come Nino Di Matteo, oggi consigliere togato al Csm ma reintegrato a pieno titolo dal Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho nel pool che indaga sulle stragi ed i mandanti esterni, o ancora pm come Giuseppe Lombardo, Luca Tescaroli, Roberto Scarpinato, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri ed altri nelle varie procure antimafia. Sono loro quei magistrati dalla schiena dritta che rappresentano quella parte di stato che vuole arrivare alla verità indicibile, svelando i nomi di quei mandanti esterni che non sono fantasmi. Alcuni di loro sono morti. Altri sono ancora ai vertici della Nazione e rappresentano quei soggetti che vogliono vedere uccisi quei magistrati che cercano di dare loro un volto.
Torna ”Il Patto Sporco”, un libro contro bavagli e silenzi. Dopo la sentenza d’appello del processo trattativa Stato-Mafia, il pm Nino Di Matteo e Saverio Lodato tornano a confrontarsi; di Giorgio Bongiovanni. Un libro che molti avrebbero preferito fosse finito nel dimenticatoio. Un libro irritante, scomodo, fastidioso per tutti coloro i quali in Italia (e purtroppo non sono pochi), non hanno la coscienza pulita rispetto a quanto accadde negli anni delle stragi. Un libro che tiene aperto quello scenario che non potrà mai vedere l’esclusione dell’opinione pubblica col suo legittimo diritto di sapere e conoscere. Un libro contro i muri di gomma del silenzio. Contro il nascondimento dei fatti. Contro chi vorrebbe l’oblio e la cancellazione della memoria. Nella nuova edizione aggiornata de “Il Patto sporco e il silenzio”, edito da Chiarelettere, si parla di un argomento scomodo e scabroso per il Potere: la trattativa Stato-Mafia. Rispetto all’edizione precedente c’è una nuova e ampia introduzione di Saverio Lodato che analizza gli elementi di novità scaturiti dalla sentenza d’appello.
Nel settembre 2021, è stata emessa la sentenza che ha condannato i mafiosi (Leoluca Bagarella e Antonino Cinà) ed ha assolto, in maniera incondivisibile e vergognosa, gli ufficiali dell’arma, Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno (foto sotto), “perché il fatto non costituisce reato”, così come ha assolto l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (“per non aver commesso il fatto”).
Ad agosto, mentre gli italiani erano in vacanza e si udivano in sottofondo i primi rumori della campagna elettorale, furono depositate le motivazioni di quella sentenza, scritta dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Palermo (Presidente Angelo Pellino e a latere Vittorio Anania) in cui si evidenzia, pur non riconoscendo il reato, che “la trattativa ci fu” e che fu un’azione “improvvida” per il “bene” dello stato.
E così, come era accaduto nel 2018, anche in questo caso, salvo poche eccezioni, i grandi organi di informazione e i rappresentanti dei partiti hanno evitato di mettere a conoscenza dell’opinione pubblica i gravi fatti emersi durante i dibattimenti. Fatti che sono stati analizzati scrupolosamente nelle motivazioni della sentenza di I grado (cinquemila pagine) e di II (tremila pagine) che, nonostante le assoluzioni, raccontano di pesanti responsabilità degli organi istituzionali che furono protagonisti in quegli anni di bombe, stragi e delitti. E’ ormai certo che durante gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, quando lo stato si ritrovò in ginocchio, c’era chi, proprio in nome di quello stato, “dialogava” e interagiva col ‘nemico’. Nel libro ”Il Patto Sporco”, viene ignorato quel bavaglio messo ai pm, inserito tra le pieghe della riforma di legge Cartabia. Leggendo quelle pagine, si comprende perché Nino Di Matteo sia “perseguitato” non solo dalla mafia, ma anche da ‘pezzi deviati’ dello stato.
Il processo sulla trattativa Stato-mafia è un processo penale iniziato il 27/5/2013 relativo alla vicenda della trattativa avvenuta tra le istituzioni e ‘cosa nostra’ durante le bombe del 1992-‘93. Il processo, in seguito alle condanne di primo grado e alle assoluzioni in appello, si è concluso il 27/4/2023 con la conferma in Cassazione dell’assoluzione degli imputati. Quindi la Corte di Cassazione mette fine a uno dei processi più importanti della storia recente del nostro assurdo ‘Belpaese’. Gli ermellini, come abbiamo detto, hanno assolto in via definitiva dal reato di “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”: l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (che ha scontato una pena a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, comminatagli in un processo parallelo) e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno per “non aver commesso il fatto”. Prescritti, invece, i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà (foto sotto), a causa della riqualificazione del reato nella forma “tentata”. La sentenza è stata accolta con giubilo da molti dei giornali mainstream e da grossi personaggi della politica italiana, che continuano a ripetere in coro che la trattativa Stato-mafia non sarebbe mai esistita. Cioè una gigantesca menzogna. Tecnicamente la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo il 23/9/2021, in cui i mafiosi erano stati condannati e gli uomini dello stato assolti. In primo grado, nel 2018, sia gli statali che i mafiosi erano invece stati raggiunti da condanne pesantissime.
La Corte Suprema ha diramato un comunicato in cui ha sinteticamente spiegato le ragioni del verdetto. “La sentenza ha confermato la decisione della Corte di assise di appello di Palermo nella parte in cui ha riconosciuto che negli anni 1992-‘94 i vertici di Cosa Nostra cercarono di condizionare con minacce i Governi della Repubblica italiana (Governi Amato, Ciampi e Berlusconi), prospettando la prosecuzione dell’attività stragista se non fossero intervenute modifiche nel trattamento penitenziario per i condannati per reati di mafia ed altre misure in favore dell’associazione criminosa”. I giudici proseguono scrivendo che, nei confronti di Leoluca Bagarella (foto sotto) e Antonino Cinà, in relazione alle minacce ai danni dei Governi Ciampi e Amato, la prescrizione è intervenuta “essendo decorsi oltre 22 anni dalla consumazione del reato tentato”. Inoltre, la Corte “ha escluso ogni responsabilità degli ufficiali del Ros, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno (peraltro già assolti in appello sotto il profilo della mancanza di dolo), negando ogni ipotesi di concorso nel reato tentato di minaccia a corpo politico”, mentre in merito alla minaccia nei confronti del Governo Berlusconi, di cui erano accusati Marcello Dell’Utri e Bagarella, “la sentenza ha confermato quanto deciso dalla Corte d’Assise di appello di Palermo, che ha riconosciuto l’estraneità del primo e che ha dichiarato la prescrizione del reato nei confronti di Bagarella”.
Come era ampiamente prevedibile, l’importantissimo verdetto è stato ripreso dalle principali testate e tg nazionali a suon di fake news. La più evidente è l’asserzione secondo cui la trattativa Stato-mafia sia un’invenzione dei pm e che, in realtà, non sia mai esistita. Lo hanno scritto con titoloni a caratteri cubitali, tra i tantissimi organi di informazione, Libero, Il Messaggero, Il Riformista, Il Giornale, Il Dubbio, l’Huffington Post e Tempi. «Secondo la sentenza della Cassazione, la trattativa a questo punto proprio non c’è stata», ha detto testualmente Enrico Mentana su La7 nel corso del suo telegiornale della sera. In realtà, è tutto falso, poiché l’esistenza della “trattativa” è stata pienamente confermata da diverse sentenze passate in giudicato. Già nel lontano 1998, i giudici della Corte d’Assise di Firenze, che si esprimevano sulla strage di via dei Georgofili del 1993, avevano sostenuto che “l’iniziativa dei Ros (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una ‘trattativa‘”, che peraltro partorì conseguenze incredibilmente nefaste, poiché “l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.
Più recentemente, la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze il 24 febbraio 2016 (che per tale attentato ha punito con l’ergastolo il mafioso Francesco Tagliavia ed è divenuta irrevocabile nel 2017) considera “provato che dopo la prima fase della cd. trattativa avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l’attentato di via D’Amelio, la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura e l’obiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quell’interruzione”. Già nel 2012, in primo grado, i giudici avevano sancito che “una trattativa indubbiamente vi fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un ‘do ut des‘. L’iniziativa fu assunta dai rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Al processo “Trattativa Stato-mafia”, infatti, i giudici erano chiamati a stabilire se gli imputati avessero effettivamente trasmesso la minaccia di Cosa Nostra al cuore delle istituzioni e se tale condotta potesse eventualmente avere rilievo penale, e non se la trattativa fosse o meno esistita (dato, appunto, già “storicizzato”).
«Arrivi vigore a tutti da questa sentenza che dà la convinzione e anche la speranza che la giustizia, se sbaglia, può tornare indietro. Io non ho il dono della dimenticanza e per me chi sbaglia deve pagare. Magistrati onorevoli hanno finalmente restituito la dignità non a mio padre, non ai ‘combattenti’ che mai l’hanno perduta, ma alla giustizia stessa di cui predicano il verbo», ha commentato trionfante Danila Subranni (nella foto con Angelino Alfano), figlia di uno degli imputati più importanti coinvolti nel processo (Antonio Subranni, il capo del Ros all’epoca dei fatti in esame) e, accidentalmente, anche portavoce del gruppo di Forza Italia. Contemporaneamente, a esultare è stato anche quel venduto scautino di ‘Italia Viva’ Matteo Renzi, che ha voluto mandare «un abbraccio di solidarietà ai servitori dello stato oggi assolti». Dall’altra parte della barricata, si è invece espresso Antonio Ingroia, l’ex magistrato che sostenne l’accusa in primo grado: «Il fatto c’è, c’è stata anche la minaccia che costituisce la premessa della trattativa, una minaccia che però ora i giudici di Cassazione dicono che non è una minaccia compiuta, ma una minaccia tentata. Così rimane senza conseguenze penali per nessuno. Anche i mafiosi, per i quali il reato viene dichiarato prescritto». Ingroia ha definito la sentenza «contraddittoria», mentre «la sentenza di appello aveva una sua logica, seppure discutibile». Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ha invece così commentato la decisione: «Siamo stati degli illusi credere che lo Stato potesse processare se stesso perché “il fatto” c’è stato, ci sono state le stragi, c’è stato il furto dell’Agenda Rossa, ci sono stati i depistaggi ma non ci sono i colpevoli». O meglio, «i colpevoli ci sono, ma sono dentro alle stesse strutture di questo Stato assassino e depistatore e quindi sono intoccabili».
Anche la loggia massonica P2 è stata al centro dell’attenzione per il processo sulla trattativa Stato Mafia: in particolare, si indaga sui rapporti tra l’ex generale dei carabinieri Mario Mori e Licio Gelli (foto sotto) e i contatti dell’ex ufficiale dei cc, per anni al SID (Servizi segreti formati da banchieri e alte forze dell’ordine), col terrorismo nero, che portava avanti il piano militare anticomunista della strategia della tensione fatta di stragi di Stato e colpi di Stato negli anni ‘60/’70. Un ex ufficiale del SID, Mauro Venturi, che negli anni ‘70 lavorò con Mori, racconta che quest’ultimo gli propose di entrare nella P2. Silvio Berlusconi, tessera n° 1816.
Ora vi consigliamo di vedere questo video di Report per capire meglio il potere e le perverse problematiche sociali, militari, economiche dei servizi segreti e i loro piani militari per destabilizzare l’Italia soprattutto a livello internazionale ( 1956: Strategia della Tensione bombe e Colpi di Stato- piano militare Nato anticomunista) soprattutto negli anni ‘60/’70/’80/’90!!
Il 4 gennaio 2001 La trasmissione di Report dedica una puntata speciale alla trattativa Stato-mafia, alle stragi del 1992 e quelle del ‘93. Nel video ci sono testimonianze inedite e documenti militari esclusivi, verrà ricostruito per la prima volta in televisione il ruolo ricoperto da alcuni settori delle istituzioni nelle stragi del 1992 e in quelle degli anni precedenti. Un filo nero collegherebbe infatti l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 alle bombe di Capaci e via D’Amelio. Mafia, massoneria, terroristi di destra e servizi segreti deviati (Doppio Sid, Nuclei clandestini dello Stato, Gladio!), avrebbero contribuito per anni ad organizzare e ad alimentare una strategia stragista che puntava alla destabilizzazione della democrazia nel nostro paese. Lo raccontano a Report magistrati, collaboratori di giustizia e protagonisti dei piani eversivi. Report farà luce sul ruolo inconfessabile ricoperto dagli statali nella pianificazione e nell’esecuzione delle stragi. Una verità a cui era arrivato Paolo Borsellino. Quando viene ucciso in via D’Amelio, sparisce l’agenda rossa che portava sempre con sé, dove conservava tutti gli appunti sulle indagini da lui svolte in prima persona sulla strage di Capaci. Che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino?
https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/La-trattativa-524a3627-4535-4239-bf4d-548190747f7d.html
Ora vi consigliamo anche questo video:
La vera storia della trattativa e delle stragi dello Stato-Mafia
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/95560-giovanni-falcone-la-vera-storia-della-trattativa-e-delle-stragi-dello-stato-mafia.html
La massoneria è un’associazione iniziatica, di fratellanza, diffusa in molti angoli del mondo, le cui origini sono da rintracciarsi in epoca moderna in Europa, in Inghilterra, precisamente a Londra il 24/6/1717 come unione di associazioni basate su di un ordinamento democratico, dette “logge”:https://www.youtube.com/watch?v=V1W1H4m2qhI&t=610s
La P2 di Licio Gelli: la Loggia Massonica che manovrava l’Italiahttps://www.youtube.com/watch?v=V1W1H4m2qhI&t=610s
Come il Vaticano riciclava i soldi di Cosa Nostra e della P2https://www.youtube.com/watch?v=bQ3VEguTQSE&t=604s
L’alleanza tra CIA, Mafia ed Estrema Destra per manipolare l’Italia:https://www.youtube.com/watch?v=Rtd7TeT2U0Q&t=397s
Curcio, Moretti e Balzerani dichiarano conclusa la lotta armata BRIGATE ROSSEhttps://www.youtube.com/watch?v=6qMuaDf2llM
.
Questi assassini, questi ladri, si fanno un nome.
raggiungono i gradi più alti, diventano senatori,
vengono coperti di decorazioni,
e qualcuno arriva perfino ad avere un
monumento. Sono eroi della guerra.
Senza la guerra non salirebbero. Senza la guerra
rimarrebbero ignoti. Se uccidessero e rubassero
fuori dal mondo guerresco sarebbero ritenuti
assassini feroci e ladri volgari.
C. Berneri
.
Esprimiamo la nostra vicinanza al popolo palestinese massacrato dall’esercito israeliano.
Solidarietà al compagno Anarchico Cospito che deve uscire subito dal 41bis. Dentro al lager del 41bis, ci mettano i servizi segreti stragisti e i politici corrotti.
Anarchia: l’unica via!!!!
.
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)