OPERAZIONE CONDOR

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Operazione Condor: Coordinamento segreto tra i servizi di intelligence delle dittature militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay per combattere il terrorismo e le forze eversive di sinistra in America Latina. Fu stabilito nel novembre del 1975 su proposta del capo della polizia politica cilena, il colonnello M. Contreras, ma in realtà formalizzò precedenti episodi, fino ad allora solo clandestini, di collaborazione tra questi Paesi. Estese ben presto i propri obiettivi da movimenti come i tupamaros o il MIR a dissidenti ed esponenti democratici in esilio, che divennero vittime di omicidi, attentati e rapimenti. L’assassinio più efferato fu quello di Orlando Letelier, un autorevole oppositore del regime di A. Pinochet ed ex membro del governo di S. Allende, ucciso dall’esplosione della sua auto a Washington il 21/9/1976. Nel manifestarsi come un vero e proprio terrorismo di Stato in ambito internazionale, l’O.C. si avvalse della complicità o della connivenza della CIA e dell’FBI in quanto le sue finalità erano compatibili con la politica anticomunista USA.
1/1/2015 è apparso sui massmedia un articolo interessante che si ricollega allo stato di polizia che volevano instaurare anche da noi in Italia, negli anni ’70, attraverso le stragi di stato (strategia della tensione), fatte per incolpare come terroristi gli anarchici e la sinistra antagonista.

Via libera del governo: si farà il processo italiano contro l’Operazione Condor
ROMA – La chiamarono “Operazione Condor”: un nome che simboleggia il grande uccello rapace padrone dei cieli che svettano sulla Cordigliera delle Ande. Non era un nome scelto a caso: racchiudeva l’area geografica sulla quale 7 paesi latinoamericani avrebbero agito in perfetta sintonia. Secondo precise modalità, fuori da ogni legittimazione costituzionale, come una vera banda terroristica armata.
Anche l’Italia, dopo l’Argentina, potrà finalmente affrontare questa spaventosa pianificazione criminale e dare giustizia a una trentina di uomini e donne, di origine italiana, inghiottiti nel buco nero dei sequestri, delle torture, delle esecuzioni sommarie spesso portate a termine con voli segreti sull’Oceano Atlantico da dove venivano lanciati nel vuoto i prigionieri, inebetiti dai sedativi.
Il ministro ha di fatto deciso di processare quelle persone per lo stesso reato con cui erano finite alla sbarra nei loro paesi di origine. Circostanza esclusa dal nostro ordinamento. Con alcune eccezioni e quel margine di discrezionalità che la giurisdizione italiana attribuisce al Guardasigilli e fatta propria, appunto, dal ministro Orlando. “Numerose persone – ha motivato il ministro nella sua decisione – anche per il semplice fatto di essere sospettate di militare nel Partido por la victoria del pueblo o di avere con i militanti un rapporto di parentela o amicizia, venivano arrestate, senza alcun provvedimento che provenisse da una legittima Autorità, sottoposte a detenzione illegale e tortura e poi uccise nei modi più atroci”.
L’idea della O.C. fu di un ufficiale americano, durante una riunione a Santiago del Cile. Ma venne ufficializzata il 3/9/1973, nel corso della Decima Conferenza degli eserciti americani. Se ne fece promotore il generale brasiliano Breno Borges Fortes. “E’ ora – annunciò l’alto ufficiale – che si crei una grande alleanza tra i vari servizi segreti al fine di combattere il comunismo e ogni proposito sovversivo”. Fu l’inizio della fine. Delle giovani democrazie appena sdoganate dalle guerre di liberazione dagli imperi coloniali, di ogni timida forma di dissenso, delle prime rivendicazioni sindacali, delle poche libertà appena conquistate.
Ossessionati dal pericolo comunista, sostenuti e sovvenzionati da un’America dominata dai venti “maccartisti” che vedevano ovunque bolscevichi, Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Paraguay, Perù e Uruguay decisero di lanciare una vasta offensiva contro chiunque potesse avere simpatie, amici o parenti, per movimenti o organizzazioni di sinistra e portarono a termine il più spaventoso massacro del secolo scorso. Si calcola che dal 1973 al 1980 sono scomparse quasi 30mila persone, altre 50mila sono state uccise e 400 mila arrestate.
Un’intera generazione, all’epoca ventenne, nel nome della lotta alla sovversione rossa, fu cancellata. Intellettuali, sindacalisti, professori, architetti, medici, operai, scrittori, poeti, artisti, cantanti, studenti. I loro figli strappati alle madri e adottati dai carnefici. Le nonne perseguitate e ridotte al silenzio. I parenti minacciati, costretti all’esilio, lasciati vagare alla ricerca dei propri congiunti in un’odissea scandita da dolore, suppliche, false indicazioni, promesse disattese, menzogne, crudeltà. E questo grazie al contributo determinante degli Usa, attraverso finanziamenti cospicui, addestramenti sulle tecniche di arresto, di interrogatorio e di tortura.
Il terreno, del resto, era favorevole. Tutti e sette i paesi coinvolti nel “Piano Condor” erano guidati da giunte militari arrivate al potere con un golpe. Con la scusa dell’emergenza, promulgarono leggi speciali, imposero il coprifuoco, annullarono i partiti, schierarono l’esercito per le strade. Pianificarono arresti di massa, detenzioni di migliaia di persone negli stadi trasformati in campi di concentramento. Allestirono gruppi speciali di intervento, raffinarono i servizi di intelligence, si servirono degli eserciti privati creati dagli esponenti della borghesia nera e conservatrice per creare veri squadroni della morte che agivano con totale impunità. Trovarono la silenziosa alleanza della parte più conservatrice del clero e non si fecero scrupoli nel perseguitare i preti che ebbero la forza di denunciare quanto accadeva.
Ci vollero oltre dieci anni per chiudere questa mattanza. Solo quando le organizzazioni umanitarie riuscirono a fare sentire la loro voce e decine di migliaia di denunce arrivarono alle Nazioni unite, il mondo decise che era arrivato il momento di chiudere questo orribile capitolo. Le giunte militari mollarono il potere, avviarono timide aperture, concessero di nuovo delle elezioni. A una tacita condizione: su tutto imposero il silenzio. Nessuno si assunse la responsabilità di questa spaventosa mattanza. Quello che era accaduto faceva parte di una guerra, decisa e portata a termine per salvare il Paese. Da parte di uomini che avevano obbedito a ordini impartiti secondo la linea di comando e sulla base di principi e valori supremi. Etici, quasi avvolti da un’aurea religiosa.
Il silenzio e le lunghe omissioni ebbero il sugello di due leggi, Punto finale e Obbedienza, e l’avallo di due indulti presidenziali in Argentina: nel 1989 e nel 1990. I principali artefici della strage furono protetti e resi immuni a qualsiasi procedimento penale. Ma il fronte compatto del “Condor” iniziò a scricchiolare. I tempi erano cambiati, le verità cominciavano a emergere. Il colpo di grazia arrivò da un giudice paraguaiano, José Augustín Fernández. Durante un’indagine in una stazione della polizia di Asunción scoprì un archivio che descriveva la sorte di decine di migliaia di vittime: rapite, torturate e uccise dalle forze armate dei sette paesi coinvolti nel “Condor”. Un archivio del terrore. Altre indagini di giornalisti e avvocati trovarono nuove prove e il fango arrivò a galla.
Più si leggevano quelle carte più si scoprivano gli orrori a cui si erano abbandonati gli assassini. I fantasmi iniziarono a ossessionare anche i carnefici e di fronte al rischio di pagare per tutti alcuni ufficiali decisero di parlare.
Tra minacce e mezze ammissioni ma anche molte menzogne, Adolfo Scilingo, capitano di corvetta ed ex membro dell’apparato repressivo che governò l’Argentina del terrore tra il 1976 e il 1983 si confessa al giornalista Horacio Verbitsky e svela tutte le responsabilità nei vertici della Giunta. Lo fa con documenti ufficiali che aveva conservato e che dimostravano come gli ordini di certe pratiche di tortura e di scomparsa degli arrestati erano arrivate direttamente dall’alto. Grazie al libro “El vuelo”, tradotto in Italia da Fandango, emerse in tutto il suo orrore il culmine di quel vero genocidio che stava cancellando la nuova generazione argentina. Dall’Esma, la scuola meccanica dell’esercito, trasformata nel centro di tortura della giunta militare golpista del generale Jorge Rafael Videla, decollavano decine di aerei con a bordo centinaia di prigionieri.
Sedati con un narcotico, spacciato per un normale vaccino, uomini e donne vennero scaraventati nel vuoto. I loro corpi, ridotti a manichini informi per l’impatto al suolo, iniziarono poi ad apparire sulle spiagge e gli anfratti rocciosi della costa a sud di Buenos Aires e in quelle a nord dell’Uruguay. Solo alcuni furono recuperati e, grazie a lunghi confronti con il dna, identificati.
Sarà interessante sentire le versioni, e le giustificazioni, dei veri protagonisti di quel decennio. Capi di Stato maggiore, alti ufficiali, capi di Stato, ministri degli Interni e della Sicurezza. Molti tra questi sono nel frattempo deceduti. Altri sono stati giudicati in tre processi che l’Italia è riuscita a celebrare negli anni scorsi. Ma quello che si aprirà nel prossimo febbraio davanti alla Corte d’Assise di Roma avrà il valore di un giudizio anche storico; valuterà nel nostro paese, secondo le nostre leggi, le singole responsabilità.
Non sappiamo se questo restituirà un po’ di giustizia a migliaia di giovani incappati in una repressione cieca e brutale. Molti erano di origine italiana, avevano doppio passaporto. Ma questo, anche per il silenzio delle nostre autorità dell’epoca, condizionate dalla Guerra fredda e dallo spettro di una invasione del comunismo nell’Europa Atlantica, non li ha sottratti alla furia di cinici assassini. Rievocare i loro nomi e inchiodare alla sbarra i loro carnefici servirà a non dimenticare. Per evitare che accada di nuovo.

Rsp (individualità Anarchiche)