No Tav: Firenze, le scritte sui muri contro l’ex procuratore Caselli
CASELLI E LA MAFIA DEL TAV.
Nuove scritte di minaccia contro l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli e i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo sono comparse questa notte in via Lombroso.
Le indagini coordinate dal procuratore di Torino, sulle manifestazioni No Tav del 2009, portarono 25 arresti fra i militanti, arresti eseguiti nel 2012. Quello dei Collettivi è un vero atto d’accusa contro l’ex procuratore, e nei giorni che precedono l’incontro si traduce in un comunicato che gli studenti intitolano “Chi è Giancarlo Caselli e perché non lo vogliamo a Novoli”. Un lungo pamphlet che descrive uno dei maggiori protagonisti della giustizia e della lotta alla mafia in Italia come un “tassello importante della macchina repressiva dello stato”, un “torturatore”, un nemico dei “movimenti sociali di operai, studenti e contadini che, nell’Italia degli anni ’60 e ’70, rivendicavano un cambiamento rivoluzionario verso una società più giusta”…..
Quel pezzo di merda di Caselli è stato il braccio destro dei Pm: (massomafiosi appartenenti a mammasantissima) Padalino e Rinaudo. I tre sono stati i paladini della crociata contro i Notav….
Ma ricordiamoci l’analisi fatta dal movimento Notav contro le amicizie mafiose dei due Pm:
Nell’ottobre 2003 un pubblico ministero della procura di Torino, Antonio Malagnino, ricevette un rapporto in cui comparivano telefonate “amichevoli” tra un suo collega in procura, Antonio Rinaudo, e un certo Antonio Esposito detto Tonino, soprannominato negli ambienti malavitosi “O’ Americano”, già accusato di aver pianificato un omicidio negli anni ’80, emissario a Torino del più potente e famoso boss della ‘Ndrangheta in Val Susa: Rocco Lo Presti, le cui attività criminali avevano condotto nel 1995 allo scioglimento per mafia del comune di Bardonecchia (primo caso nel nord Italia). Motivo scatenante dello scioglimento era stata l’inchiesta sul sindaco della piccola città alpina, che aveva concesso proprio a Lo Presti appalti miliardari in qualità di boss di quella “mafia della Val Susa” che connotò negativamente, per decenni, la fama di quei territori, fino alla nascita del movimento No Tav. Oggi Antonio Rinaudo gestisce con furore la battaglia giudiziaria contro quel movimento e difende un cantiere da più parti accusato di essere il nuovo e più grande bancomat per la stessa e sempre più potente organizzazione criminale…..
La scoperta delle relazioni pericolose tra Rinaudo e l’emissario della ’Ndrangheta valsusina non portarono, sorprendentemente, ad alcuna conseguenza di rilievo per il magistrato. Rinaudo continuò, indisturbato, a ricoprire il suo ruolo di pubblico ministero. In quello stesso anno, anzi, gli fu affidata proprio un’inchiesta su attività riconducibili alla ‘Ndrangheta. Si trattava di 65 persone coinvolte in un traffico internazionale tra tre paesi e due continenti. Rinaudo, per loro fortuna, lascerà giacere il fascicolo per ben 10 anni nel suo cassetto, prima di riesumarlo, appena un anno fa, quando per tutti gli indagati è ormai garantito, nei fatti, l’esito della prescrizione…
È il procedimento 6616/02 R.G. G.I.P.: la chiusura indagini è datata 2003, ma la richiesta di rinvio a giudizio di Rinaudo (unico titolare dell’inchiesta) è dell’agosto 2013, dieci anni in ritardo e ad appena 10 giorni dalla firma del magistrato sulle prime accuse di terrorismo per chi si oppone all’alta velocità…..
Prima di arrivare in Val Susa e imbastire la guerra giudiziaria contro il movimento, Rinaudo ha avuto tempo di lasciare altre tracce delle sue relazioni pericolose. Il 26/2/2005, quando Tonino Esposito ormai da anni gestiva l’impero dello strozzinaggio per conto di Lo Presti a Torino, Rinaudo fece al criminale una delle tante telefonate, chiedendogli di passare a prenderlo in macchina per portarlo a cena in un Hotel di lusso, dove lo aspettava Luciano Moggi, da cui il pubblico ministero, riceveva da tempo regalie e favori. Ironia della sorte, il malavitoso si lamentò della richiesta di Rinaudo proprio con Moggi (che definì al telefono il pm “’Na rottura di palle”) e sbottò: “Questi qua so’ tutti la stessa pasta, so’, ‘sti magistrati!” La direzione distrettuale antimafia di Napoli, che indagava, tra l’altro, sugli agganci che Moggi aveva con le forze di polizia e negli ambienti giudiziari, intercetto le telefonate.
Proprio da quelle telefonate emerse la presenza, alla cena tra Moggi, Rinaudo e Tonino Esposito, anche dell’avvocato ed ex deputato del Msi Andrea Galasso. La presenza di Galasso conduce nuovamente, guarda caso, alla Val Susa. Galasso aveva difeso il presunto mandante di Esposito per il vecchio caso di omicidio: era Franco Froio, dirigente supremo dei lavori per l’autostrada del Frejus che ingrassarono a tal punto il clan di Lo Presti da attirare le attenzioni della commissione antimafia. Ora, mentre è a cena con Rinaudo, Galasso assiste il suo amico e sodale politico Ugo Martinat (all’epoca viceministro dei lavori pubblici), mentre suo fratello darà domicilio legale a Vincenzo Procopio, suo portaborse. I due erano sotto inchiesta per gli appalti truccati al previsto cantiere Tav di Venaus: il viceministro, grazie al suo faccendiere, aveva messo in piedi un sistema di incassi in favore di Alleanza Nazionale per tutti gli appalti pubblici del torinese, ma anche una spartizione occulta del denaro stanziato per il Tav (che coinvolse anche l’allora ministro per i lavori pubblici, Pietro Lunardi).
I fili pronti a dipanarsi dalle frequentazioni di Rinaudo, però, sono appena cominciati. Quando Antonio Malagnino scoprì i suoi rapporti con l’uomo di Lo Presti, nel 2003, stava indagando su vicende criminali che avevano il loro fulcro proprio nel rapporto tra Tonino Esposito e Vincenzo Procopio, l’uomo degli appalti a Venaus. Accadde in quell’anno, infatti, che Procopio (membro del comitato direttivo di Torino 2006) ricevesse strane telefonate di minaccia, per poi essere avvicinato da Tonino in persona, che gli disse: “So che hai dei problemi. Conosco persone che possono aiutarti”. Fu a partire da questo avvicinamento mafioso, e dal successivo invio di 5 buste contenenti proiettili calibro 10 a tutti i dirigenti del comitato direttivo, che la procura ordinò l’intercettazione dell’utenza di Esposito e appurò tanto i suoi contatti con Rinaudo quando quelli con Lo Presti, scoprendo le attività usurarie a Torino del boss della ‘Ndrangheta e il tentativo di infiltrazione nei cantieri olimpici…..
Lo Presti ed Esposito furono arrestati alla fine del 2006, pochi giorni prima che uno dei 65 indagati che Rinaudo aveva “dimenticato” nel suo cassetto, Rocco Varacalli (un affiliato di primo piano della ‘Ndrangheta), cominciasse a parlare con (altri) magistrati e raccontasse che tutti gli appalti di Torino 2006 erano stati assegnati dal comitato olimpico a ditte facenti capo alla sua organizzazione, così come i lavori finanziati dalla giunta Chiamparino per il piano regolatore torinese (spina 3) e dal governo per il Tav Torino-Milano (che servì anche a interrare quintali di rifiuti tossici nella pianura padana). E qui la storia inizia a farsi complicata. Varacalli rivelò i nomi dei capi delle “locali”, le strutture territoriali della ‘Ndrangheta torinese; tra essi Bruno Iaria, figlio di Giovanni, vecchio boss del Canavese, con centro di comando a Cuorgné, nell’hinterland settentrionale di Torino. Proprio in quei mesi Bruno Iaria figurava, guarda caso, tra i “dipendenti” dell’azienda di una nota famiglia valsusina, i Lazzaro, che secondo l’ex sindaco di Bardonecchia avevano svolto la funzione di prestanome per Lo Presti durante la costruzione dell’autostrada del Frejus. Lazzaro era stato anche arrestato per appalti truccati nel 2002, e in quell’occasione era emersa la presenza di una “talpa” in procura (mai identificata), che aveva avvisato gli “imprenditori” che era in corso l’intercettazione dei loro telefoni.
Poco tempo dopo, nel 2008, i Lazzaro ottennero appalti sia per lavori pubblici in Val Susa, sia per lavori di manutenzione della Salerno-Reggio Calabria e, attraverso complessi giochi camerali e contabili, si associarono a Giovanni Iaria in modo occulto. Questo, almeno, è ciò che dirà una relazione alla procura di Torino nel 2011, in cui si fece riferimento anche alle visite agli Iaria compiute da un altro “imprenditore” valsusino, Claudio Martina. Eppure, in quello stesso 2011, Ltf firmò un contratto milionario per il cantiere Tav di Chiomonte… con chi? Beh, naturalmente proprio con le ditte Italcoge Spa e Martina Service Srl delle famiglie Martina e Lazzaro (la MARTINA SERVICE srl costituita appositamente solo poche settimane prima con un capitale sociale di appena 10.000 euro e un solo socio: la signora Cattero Emanuela moglie di Claudio Pasquale Martina plurifallito e successivamente condannato a tre anni di reclusione per bancarotta fraudolenta con il gemello Roberto Martina). Questo nonostante pochi giorni dopo, il 9 giugno, Giovanni e Bruno Iaria venissero arrestati con l’accusa di associazione mafiosa. Ma il 17 giugno, dopo altri 8 giorni, Antonio Rinaudo firmò i primi 55 avvisi di indagine per altrettanti oppositori all’installazione del cantiere e ordinò la perquisizione di alcune loro abitazioni, tra cui quella del portavoce Alberto Perino, (che avrebbe di lì a poco ricevuto una lettera con scritto: “Vi diamo tutti in pasto ai maiali e vi sciogliamo nell’acido”), che fu firmata e disposta da Giancarlo Caselli in persona.
Altri 10 giorni e, il 27 giugno, duemila agenti tra poliziotti e carabinieri scortano la pala meccanica dei Lazzaro affinché essa distrugga, tra le proteste e la resistenza dei valligiani, le barricate che delimitavano l’ingresso alla Libera Repubblica della Maddalena, il presidio degli oppositori costruito dove doveva sorgere il contestato cantiere. Antonio Rinaudo fu allora definitivamente delegato a contrastare il movimento No Tav con l’arma degli arresti e dei processi. Il 18/1/2012, intanto, Vincenzo Procopio entrò nel Consorzio Valsusa Imprese per lo Sviluppo (con la srl di famiglia S.T.I. srl società già coinvolta nella Variante di Avigliana, processo nel quale è condannato Vincenzo Procopio con gli amministatori SITAF. Anche il fratello Carlo Natale Procopio entra nella stessa data nel consorzio quale procuratore e socio di minoranza della EDIL GABRIELE srlcon capitale sociale di 10.000 euro), di cui facevano già parte i Lazzaro, e ottenne appalti per il cantiere appena aperto. Milioni di euro dei contribuenti sono quindi tuttora a disposizione, oltre che di chi è indicato dagli investigatori come sodale degli Iaria, e dall’ex sindaco di Bardonecchia quale prestanome di Lo Presti, anche di chi intrigò per spartire i miliardi di Venaus che non furono rubati (in favore del viceministro difeso dall’amico di Rinaudo, Andrea Galasso) soltanto per l’opposizione del movimento No Tav.
Il cerchio delle cene del 2005 e delle telefonate del 2003 si chiude sei giorni dopo l’ingresso di Procopio nel CONSORZIO VALSUSA PIEMONTE. Rinaudo diede il via infatti la maxiretata (firmata dal Gip Bompieri) con 26 arresti 56 avvisi d’indagine contro gli oppositori al cantiere di Chiomonte. Le attività del pm e dei suoi collaboratori contro l’opposizione al Tav hanno successivamente portato, in meno di 4 anni, a quasi mille indagati per reati connessi alla protesta contro la grande opera. Arresti, forzature giudiziarie, lesioni del diritto di difesa, indifferenza smaccata o insabbiamenti per le violenze subite dai No Tav (dalle diffamazioni a mezzo stampa, ai pestaggi, agli incendi di auto e presidi, agli abusi sessuali). Tre ragazzi e una ragazza contrari all’opera sono stati incarcerati su ordine di Rinaudo, con l’accusa di aver danneggiato un compressore del cantiere, e per questo sono accusati da Rinaudo di “attentato con finalità terroristiche”. Due ragazzi scontano due anni e due mesi ai domiciliari per aver supportato un’azione No Tav. Le imputazioni e le intimidazioni del pm e dei suoi più stretti collaboratori non hanno risparmiato gli amministratori locali contrari al Tav, i giornalisti e i blogger critici verso il suo operato o verso quello della polizia, gli scrittori e gli intellettuali contrari all’opera; ma si sono concentrate soprattutto sui valligiani più affezionati alla salute della loro terra e sui giovani più generosi nel difendere un pezzo d’Italia dall’ennesima devastazione tossica da parte delle ecomafie e dei partiti massomafiosi.
Perché proprio Rinaudo? Perché proprio lui? Perché la procura ha affidato a un uomo con tali legami le controversie sociali sulla Torino-Lione, che coinvolgono migliaia di cittadini in contrapposizione a interessi massomafiosi – politici e criminali? E perché i mezzi d’informazione non hanno mai dato conto di tutto questo, almeno da quando Rinaudo è stato destinato a quella Val Susa che anche grazie a lui è diventata, in questi anni, territorio d’emergenza? Sono possibili risposte diverse. Quel che è certo, è che l’abuso giudiziario contro il movimento No Tav rivela, grazie alle informazioni che sono state raccolte, risvolti ancora più inquietanti…
Sembra di ritornare ai giochi sporchi degli anni ’70 dove l’antifascismo repubblicano e monarchico ( partigiani bianchi – gladio bianca) si infiltrava nei movimenti di sinistra per manovrarli e incolparli di terrorismo… Ricordiamoci che i partigiani bianchi nel ’47 furono l’ossatura dell’anticomunismo di stay-behind, quelli per intenderci che addestrarono la destra all’interno della Nato, per destabilizzare e instaurare la strategia della tensione, (stragi di stato), e imporre la dittatura militare, (stato di polizia) come fecero in Cile 1973 e in Argentina ’76.
Fin dalle sue origini lo Stato moderno non ha condotto solo guerre esterne, ma anche una guerra interna permanente contro ogni possibile opposizione.
Nel lontano 1589 l’ex-gesuita Giovanni Botero consigliava ai principi di condurre una guerra dopo l’altra «di tal maniera, che non resti negli animi de’ sudditi luogo nessuno per le rivolte, tanto sono tutti o con l’opera o col pensiero occupati nell’impresa» («Ragion di Stato», III, 3). Un altro gesuita, Juan de Mariana, consigliere del re di Spagna Filippo III, affermava nel 1599 che, per «ottenere la pace sociale», il «primo compito del principe è che la guerra nutra se stessa» («De rege», III, 5). L’invenzione del «nemico» è sempre stata funzionale alla violenza disciplinare dello Stato.
Ogni epoca ha conosciuto diverse forme, tecniche, strategie di violenza statale. Negli anni ’70 era un fenomeno anzitutto di vertici, di continuità istituzionali tra fascismo e repubblica, di bombe nelle piazze, di complotti e segreti nell’ombra. Tra il 1975 e il 1989 la Legge Reale consentì alle forze dell’ordine di sparare «per motivi di ordine pubblico», legittimando 237 omicidi e 352 ferimenti…..
Scriveva allora sul Corriere della Sera (Rizzoli apparteneva alla P2 di Licio Gelli) del 4/5/1975 l’avv. Giovanni Bovio: «il ridare vita ad istituti caratteristici del regime di polizia è il duro prezzo che bisogna pagare per ripristinare l’ordine, per liberarsi dalla paura dei fuorilegge, dai vandalismi degli esaltati, dal terrorismo dei fanatici…». Con la stessa logica, tra il 1981 e il 1983 il Comitato Interministeriale per la Sicurezza promuoveva la tortura sui militanti, secondo i metodi d’interrogatorio delle dittature militari dell’America latina…..
Oggi le forme della «sicurezza» di Stato sono in parte mutate. Nella repressione delle manifestazioni di Genova del 2001 non vi è stato soltanto un sovrappiù di violenza gratuita, brutale, indiscriminata, ma le forze dello stato di polizia, hanno assunto modi da tifoseria fascista: sevizie e pestaggi in carcere contro manifestanti indifesi, senso collettivo di impunità, perdita «stupefacente» di autocontrollo avvallata o promossa dall’omertà istituzionale. Proprio l’assassinio di Carlo Giuliani e la «macelleria messicana» della Scuola Diaz e di Bolzaneto inaugurano questo decennio in cui i modelli di «tolleranza zero», il razzismo di Stato, i rastrellamenti di corpi clandestini da espellere, l’identificazione di nuovi «nemici interni» (il degrado, lo scippo, l’immigrato, la prostituta, il drogato, ecc.) hanno definito una politica sempre più cupa e aggressiva di «salute pubblica», secondo la quale vi sono persone che sono «vuoti a perdere», «gente di nessuno», seviziabili a piacere. E quale sia oggi la «cultura» delle forze dell’ordine, quale miscuglio di cattiveria, povertà culturale, indottrinamento, fanatismo fascistoide, piacere squadrista della violenza ispiri e animi le loro azioni, può mostrarlo anche solo il romanzo inchiesta di Carlo Bonini «ACAB. All cops are bastards» (Torino, Einaudi, 2009).
Così, la militarizzazione dell’ordine pubblico, la proliferazione di leggi razziali, securitarie e proibizioniste, l’internamento in carcere come soluzione al disagio sociale, l’ansia di punire chi non si adegua hanno generato un nuovo sistema della violenza statuale, tra pestaggi, ricatti, psicofarmaci, sevizie, celle di sicurezza, manicomi, prigioni. Basta considerare alcuni dei recenti omicidi di Stato contro persone fermate o arrestate: Marcello Lonzi, ammazzato di botte l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno; Federico Aldovrandi, pestato a morte il 25 settembre 2005 dagli agenti di una volante; Riccardo Rasman, ucciso il 27 ottobre 2006 da 4 agenti intervenuti a immobilizzarlo in casa sua; Aldo Bianzino, deceduto il 14/10/2007 nel carcere di Perugia per «lesioni massive al cervello e alle viscere»; Giuseppe Turrisi, clochard ucciso a botte alla Stazione di Milano il 6 settembre 2008 da due agenti, uno dei quali si è giustificato dicendo: «Mi aveva rotto le palle»; Stefano Brunetti, arrestato ad Anzio e morto per le percosse subìte il 9/9/2008; Manuel Eliantonio, morto il 25/7/2009 nel carcere di Marassi a Genova dopo aver scritto a casa «mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Ora ho solo un occhio nero, mi riempiono di psicofarmaci, quelli che riesco li risputo ma se non li prendo mi ricattano»; Stefano Frapporti, arrestato senza motivo, pestato e spinto al suicidio nel carcere di Rovereto a fine luglio 2009; Francesco Mastrogiovanni, morto in un letto di contenzione il 4 agosto 2009 dopo un TSO abusivo; Stefano Cucchi, arrestato, pestato e morto il 22/10/2009, etc. etc.
Queste storie terribili non sono però che la punta di un fenomeno ben più vasto. Le violenze delle forze del disordine contro persone sottoposte a provvedimenti restrittivi, soggetti deboli, lavoratori migranti «usa e getta», reclusi e recluse nei CIE, costituiscono una prassi ordinaria finora promossa e incentivata attraverso la retorica della sicurezza e della legalità.
E’ di ieri, (11 marzo 2015) la notizia che annuncia, che restano in carcere i tre anarchici milanesi vicini alla lotta No Tav arrestati per l’assalto al cantiere della Torino-Lione del maggio 2013. Il gip di Torino ha respinto l’istanza con cui i legali di Lucio Alberti, Graziano Mazzarelli e Francesco Nicola Sala avevano chiesto l’attenuazione della misura cautelare, anche sulla scia della concessione dei domiciliari ai 4 attivisti che per lo stesso episodio a dicembre sono stati assolti in Assise dalle accuse di terrorismo, ma condannati per danneggiamento e altri reati minori.
I pm massomafiosi appartenenti a mammasantissima Andrea Padalino e Antonio Rinaudo avevano espresso parere negativo all’uscita dal carcere dei 3 compagni Anarchici.
Per i tre il giudizio abbreviato si discuterà il prossimo 23 aprile….
TERRORISTA E STRAGISTA E’ LO STATO.
Terrorista è lo stato che spara nel mucchio (logica militare), uccidendo civili in ogni parte del mondo, per difendere interessi geopolitici, economici, militari; ed è sempre rimasto impunito!!! Terrorista è lo stato che non vuole processare se stesso e i suoi apparati militari, mafiosi e occulti.
Solidarietà ai ribelli Notav, arretati.
LIBERI/E TUTTE/I
Ribellarsi alle ingiustizie sociali è un diritto
Ricordiamoci anche di Sole e Baleno, due giovani compagni anarchici uccisi dallo stato. Arrestati dalle forze del disordine alla fine degli anni ’90 come terroristi e poi assolti, LOTTAVANO INVECE CONTRO LE DEVASTAZIONI AMBIENTALI E LE SPECULAZIONI FATTE GIA’ ALLORA IN VALSUSA, DA POLITICI MASSONI, MAFIOSI, AMBIZIOSI E ARRIVISTI.
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)