Marino e Alemanno nel caso “stipendi d’oro”
15 gennaio 2016
Gli ex sindaci di Roma Gianni Alemanno e Ignazio Marino nonché l’ex segretario generale Liborio Iudicello e 53 tra ex assessori e funzionari sono indagati dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio. A loro si contesta di avere in chiamata diretta nominato a dirigenti persone esterne all’amministrazione capitolina e non aver valutato dipendenti interni.
L’indagine è affidata al pm Francesco Dall’Olio e prevede già per la prossima settimana gli interrogatori degli indagati. Le iscrizioni nel registro sono avvenute la scorsa estate dopo un’informativa della finanza con riferimento alle nomine fatte a cominciare dal 2008.
Gli inquirenti prendono in esame nomine fatte dal 2008 in poi poiché eventuali irregolarità avvenute in precedenza sono coperte da prescrizione.
“Dell’inchiesta ho personalmente notizia solo attraverso l’elezione in domicilio che ho depositato nel dicembre scorso alla Guardia di finanza (dichiara l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno). In realtà tutte le procedure di nomina di dirigenti esterni al Comune hanno seguito, per quello che mi risulta, le stesse identiche procedure non solo della giunta Marino, coinvolta anch’essa nell’inchiesta, ma anche delle giunte di Veltroni e Rutelli. Si tratta di procedure da sempre seguite in base alle norme vigente e secondo un’interpretazione unanimemente data fino ad oggi, predisposte dagli uffici e validate dal segretario generale (ha continuato) Non vedo, quindi, in ogni caso come possa essere coinvolta la mia giunta comunale che ha approvato atti predisposti e validati in sede tecnica.”(vedi: sistema massomafioso…).
Pomezia, l’appalto dei rifiuti del sindaco grillino alla coop di Buzzi
15 gennaio 2016
A Pomezia potrebbe scoppiare una nuova grana per il M5s. Il movimento di Beppe Grillo, già alle prese con la travagliata vicenda del comune campano di Quarto e l’ombra della camorra sui voti alla maggioranza grillina, ora potrebbe dover fare i conti coi rapporti tra mafia capitale e il sindaco del comune laziale a guida 5 stelle sull’appalto per la gestione dei rifiuti a un nome ingombrante, quello di Salvatore Buzzi e la sua Cooperativa 29 giugno.
Secondo l’Huffington post, quando il sindaco M5s Fabio Fucci si è insediato a giugno del 2013, ha prorogato l’appalto per la gestione dei rifiuti e la pulizia urbana tra il comune di Pomezia e il Consorzio nazionale servizi e la sua affiliata Formula ambiente. Formula ambiente è una società “partecipata” della Coop 29 giugno di Salvatore Buzzi, prima per il 49%, poi per il 29%. E nel suo consiglio di amministrazione sedeva Alessandra Garrone, compagna di Buzzi. Il quale era nel consiglio di sorveglianza del Consorzio nazionale servizi. Un ruolo cruciale nel sistema di Mafia capitale, come si legge nelle carte dell’inchiesta.
Fucci affida la sua difesa a una nota: “La cooperativa legata a Buzzi è stata estromessa dal consorzio Formula Ambiente, a cui il comune di Pomezia ha appaltato il servizio di gestione rifiuti e pulizia urbana, il 15 dicembre 2014, immediatamente dopo i primi arresti. L’iter per l’estromissione è stato avviato il giorno stesso. Il sintomo primo della strumentalizzazione della notizia è nel fatto che non è certo il sindaco ad assegnare un appalto. In ogni caso (chiude) è stato tutto fatto con la prefettura, che non ha rilevato problemi sulla certificazione antimafia”….
La massomafia non condanna se stessa:
Why not, tutti assolti i politici coinvolti nell’inchiesta aperta da De Magistris
13 gennaio 2016
CATANZARO – Sono stati tutti assolti per non aver commesso il fatto, i politici calabresi Nicola Adamo, Franco Morelli, Dionisio Gallo ed Ennio Morrone, imputati nell’ambito del processo per associazione a delinquere scaturito dalla maxi inchiesta Why not, sui presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici in Calabria aperta nel 2006 dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli. Lo ha stabilito la sentenza di primo grado del tribunale collegiale di Catanzaro. Unico condannato a due anni e sei mesi di reclusione è Giancarlo Franzé, coordinatore del consorzio Brutium.
Roma, chiesti in appello 200 anni di carcere per i clan di Ostia Triassi e Fasciani
13 gennaio 2016
Quindici condanne per più di 200 anni di carcere. Si è conclusa con queste richieste la requisitoria del procuratore generale Giancarlo Amato nel processo d’appello che vede alla sbarra 18 persone, tra cui componenti delle famiglie Fasciani e Triassi, accusate di aver dominato in modo capillare e con modalità mafiose le attività illecite a Ostia. La pena più alta, 27 anni e 9 mesi di reclusione per associazione mafiosa, è stata chiesta al boss, don Carmine Fasciani; quindici anni ciascuno sono stati chiesti per Vito e Vincenzo Triassi, in primo grado entrambi assolti, sotto processo per associazione mafiosa, accusati di aver fatto parte di ‘Cosa Nostra’ ricoprendo funzioni direttive nel territorio di Ostia per la cosca Caruana-Cuntrera.
Il pg Amato, oltre che di Carmine Fasciani e di Vito e Vincenzo Triassi, ha chiesto anche la condanna di Terenzio Fasciani (8 anni e mezzo), Sabrina Fasciani (25 anni e 10 mesi), Azzurra Fasciani (11 anni), Alessandro Fasciani (11 anni), Silvia Franca Bartoli (16 anni e 9 mesi), Riccardo Sibio (25 anni e 3 mesi), John Gilberto Colabella (13 anni), Luciano Bitti (12 anni e 9 mesi), Gilberto Inno (5 anni e mezzo, ma era stato assolto in primo grado), Mirko Mazzoni (10 anni), Danilo Anselmi (7 anni) ed Eugenio Ferramo (7 anni). Il rappresentante dell’accusa ha poi chiesto la conferma dell’assoluzione per Nazzareno Fasciani e Fabio Guarino, nonché il non doversi procedure per prescrizione della contestazione nei confronti di Ennio Ciolli, indicato nella sentenza di primo grado come uno dei prestanome dei Fasciani attraverso il ristorante “Al Contadino non far sapere”. “Se non fossero arrivati i termini della prescrizioni avrei comunque chiesto l’assoluzione”, ha detto in aula il pg, contrariamente a quanto proposto in appello dal pm Ilaria Calò, titolare dell’inchiesta Nuova Alba. Per molti degli imputati il Pg ha chiesto l’assoluzione per singoli capi d’imputazione.
E se è vero, come risulta inequivocabilmente dagli atti, che tutta un’area grigia di funzionari comunali e bancari era prona al suo cospetto, è vero anche che quel mondo occulto, di cultura liberale massomafiosa, riservato a politici, imprenditori, generali e vescovi, usa le mafie (braccio armato della massoneria fin dal medioevo) per incutere timori e paure a chi osa ribellarsi agli abusi di potere (occulto…).
E ancora: se un curatore giudiziario, quello nominato dal tribunale dopo il sequestro del Village, riaffida lo stabilimento balneare a persone vicine ai Fasciani, l’impronta arrogante e sfrontata, per chi la vuole osservare, è sempre quella del potere occulto massomafioso, mantenuto nei secoli col terrore…
La mafia di Ostia, si è strutturata negli anni secondo l’elenco delle sentenze e degli episodi criminali che il procuratore generale racconta in aula a partire dal 1998.
Tre le associazioni di cui si occuperanno i giudici della II Corte d’appello romana (a fine mese la sentenza): la prima, di tipo mafioso, contestata ai due Triassi; la seconda, di tipo mafioso, contestata al ‘gruppo’ Fasciani e finalizzata alla commissione di delitti di usura, estorsione, controllo di attività economiche, concessioni, appalti, intestazione fittizia di beni, e altro; la terza, associazione armata, quella contestata per l’importazione dalla Spagna e la successiva distribuzione e cessione a Roma e Ostia di sostanze stupefacenti. Le indagini alla base dell’accusa partirono nel luglio 2012 (l’anno dopo ci furono 51 arresti), dopo il posizionamento di un ordigno esplosivo presso uno stabilimento balneare di Ostia; di qui le successive investigazioni collegarono una serie di attentati precedenti a un’unica ‘mano’; stessa cosa per altri episodi di tentata estorsione. Al termine dell’udienza hanno preso la parola gli avvocati delle parti civili ammesse al processo: Libera, con Giulio Vasaturo, Sos Impresa, l’associazione Caponnetto, la Regione Lazio e il Comune di Roma. Il prossimo venerdì si ripartirà proprio da loro che, dato l’orario, non hanno completato l’esposizione delle loro richieste nei confronti delle due associazioni mafiose.
Camorra Roma, sequestro di 2,3 milioni a esponente clan Mariano
14 gennaio 2016
Quote e patrimonio aziendale di una società srl con sede a Roma; 6 fabbricati ubicati nella capitale; 5 auto; quote di una società in provincia di Napoli; conti correnti bancari e postali; azioni. E’ un “tesoro” da oltre 2,3 milioni di euro quello sequestrato dai finanzieri del Comando provinciale di Roma a Giuseppe Criscuolo, 65 anni, pregiudicato napoletano appartenente al clan di camorra Mariano, residente nella capitale e, da tempo, in contatto con esponenti di spicco della criminalità campana attivi su Roma. Di particolare spicco, tra tutti i beni, è la società capitolina proprietaria di un avviato “Bed & Breakfast” vicino all’Università di “Tor Vergata”. Il complesso, di recente realizzazione e costituito da due unità con annessa piscina, sarà da oggi gestito dagli amministratori giudiziari nominati dal Tribunale.
Criscuolo, condannato per una vasta serie di reati, tra cui associazione di stampo mafioso, risulta avere precedenti per usura, omicidio volontario tentato, sequestro di persona, rapina e traffico di sostanze stupefacenti.
Le fiamme gialle hanno accertato come l’uomo (già in passato destinatario di misure di prevenzione) avesse “accumulato, nel corso del tempo ed in maniera occulta, un significativo patrimonio mobiliare ed immobiliare, del tutto incongruente rispetto alla propria capacità contributiva ed a quella dei suoi familiari conviventi”.
“Siamo noi i padroni di Torino” ndrangheta, 20 arresti
14 gennaio 2016
Venti arresti tra Torino e Reggio Calabria per un’operazione contro la ‘ndrangheta a Torino e in Calabria. giro d’affari del gruppo criminale era di oltre 100mila euro al mese…
Gli indagati sono considerati i responsabili di un clan criminale che si occupava del traffico di droga e della gestione di bische clandestine, ma praticava anche estorsioni e usura. Proprio in questi ambiti gli ‘ndranghetisti mostravano il loro volto più violento arrivando a far recapitare a casa di una delle vittime dei loro ricatti una testa di maiale mozzata, con l’avviso che se non avesse pagato “la prossima sarebbe stata la sua”. Un’altra vittima del racket si era vista arrivare a casa una lettera minatoria con proiettile e la promessa che lo avrebbero usato contro di lui.
Tutto ruota attorno alle attività criminali dei fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea. Entrambi sono considerati esponenti della criminalità organizzata reggina nel capoluogo piemontese. Il loro grado è quello di “padrino”…
I due erano stati arrestati nel giugno del 2011 nel quadro dell’operazione ‘Minotauro’.
Aldo Cosimo è tornato libero nel febbraio del 2014, Adolfo nel giugno del 2015. Ma già nelle settimane precedenti, nel carcere di Voghera in cui erano rinchiusi, avevano cominciato a riorganizzarsi, riuscendo ad aggregare al sodalizio vecchi pregiudicati, parenti e giovani emergenti nell’ambiente criminale torinese.
CINISI – Nel paese di Peppino Impastato, i 100 anni del capomafia più anziano del mondo sono stati festeggiati coi fuochi d’artificio
12 gennaio 2016
Procopio Di Maggio, l’unico padrino della Cupola di Totò Riina rimasto in libertà, ha stretto mani e dispensato sorrisi per tutto il giorno, il 6 gennaio. Davvero in tanti lo hanno ossequiato davanti alla sua palazzina di piazza Martin Teresa, a due passi dal Municipio. E lui non si è tirato indietro, arzillo e determinato come sempre, nonostante 16 anni fa gli abbiano ucciso un figlio e un altro sia richiuso all’ergastolo. Don Procopio ha 7 vite, dicono a Cinisi. È scampato a due attentati, nel 1983 e nel 1991. Anche questo festeggiava. E il giorno dei suoi 100 anni ha voluto organizzare una sontuosa cena per amici e parenti, alcuni arrivati dagli Stati Uniti (…); appuntamento per tutti in una delle sale ricevimento più eleganti del paese.
Eppure, le sentenze spiegano che la famiglia Di Maggio non rappresenta solo il passato, ma anche il presente di Cosa nostra. Il patriarca del clan è ritenuto un fedelissimo di Riina e Provenzano. Un patto di fedeltà nato su un tradimento. Perché un tempo Procopio Di Maggio era uno dei picciotti di don Tano Badalamenti, il capomafia di Cinisi che ordinò la morte di Peppino Impastato. Poi, nel 1979, Badalamenti iniziò ad essere scalzato dai nuovi signori di Cosa nostra. Di Maggio capì che il vento era cambiato. E finì per tradire don Tano, gettandosi fra le braccia di Riina e Provenzano. Fu premiato con lo scettro del comando a Cinisi. Dopo don Procopio, negli ultimi vent’anni, sono arrivati i suoi figli: Peppone e Gaspare, il primo inghiottito dalla lupara bianca, il secondo ha fatto parte a pieno titolo nel nuovo stato maggiore dell’organizzazione…
L’ignoranza, l’arretratezza culturale e l’integralismo cattolico mafioso
16 gennaio 2016
Dal libro ”Zero, Zero, Zero” di Roberto Saviano trovato nel covo di El Chapo, alle ”Confessioni” di Sant’Agostino trovate nel rifugio di Aglieri, al crocefisso e il poster con auto di Formula1 di Zagaria. Tutto quello che si scopre nei covi dei boss…
https://www.youtube.com/watch?v=QQbcu-5IcNM
Rsp (individualità Anarchiche)