Servizi segreti: dittatura militare con poteri occulti sovranazionali…
Basta armi, basta guerre, basta soprusi!
18 gennaio 2016
È stato completamente scagionato l’alto funzionario delle Nazioni Unite Anders Kompass, accusato di aver passato documenti riservati dell’Onu alle autorità di Parigi sugli abusi sessuali compiuti dai militari francesi sui bambini della Repubblica Centrafricana. Una Ong della capitale Bangui, nel 2014, aveva denunciato le violenze sessuali nelle aree dove era presente la missione dell’Onu. Nell’indagine che ne era scaturita erano coinvolti soldati del Ciad, della Guinea Equatoriale e della Francia, quest’ultima presente con truppe fuori della missione Onu. In luglio il rapporto era arrivato anche a Ginevra, sul tavolo di Kompass che si era accorto però che a nulla serviva il documento. Non vennero presi provvedimenti per mettere fine agli abusi. Tutto restò così com’era.
Kompass decide allora di agire di propria iniziativa, contatta l’ambasciata di Francia a Ginevra e nel giro di poco tempo il governo transalpino gli chiede il rapporto, promettendogli di non rivelare la fonte. A questo punto parte l’indagine francese e con essa uno scandalo che mette in cattiva luce il palazzo di vetro. E’ caccia all’uomo, ma dura poco perché Kompass non si tira indietro. Anzi, rivendica il suo gesto. Questo gli costa una pesante indagine interna disciplinare e la sospensione dal servizio.
L’assoluzione di Kompass arriva a poche settimane da un rapporto di una commissione indipendente (voluta dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, sugli abusi sessuali sui bambini della Repubblica Centrafricana) che ha stabilito che Kompass non aveva fatto niente di sbagliato passando alla Francia un documento riservato che conteneva le interviste con le vittime e le descrizioni degli autori degli abusi. La commissione ha condannato “l’enorme fallimento delle Nazioni Unite” nella sua inerzia nel combattere gli abusi sessuali nella Repubblica Centrafricana.
Dittatura e strapotere militare
16 gennaio 2016
ROMA – La Corte di appello di Lisbona concede l’estradizione in Italia dell’ex agente della Cia Sabrina De Sousa, condannata in via definitiva a 7 anni di reclusione per il sequestro dell’imam egiziano Hassan Mustafa Osama Nasr, alias Abu Omar, (uno dei più noti casi di extraordinary rendition, consumato a Milano il 17/2/2003 con la decisiva collaborazione del Sismi, servizio segreto militare, di Nicolò Pollari) e la decisione riapre il pasticciato sulla vicenda tra Roma e Washington alla vigilia della visita che vedrà in febbraio negli Stati Uniti il presidente della rep. Sergio Mattarella.
La De Sousa, 60 anni, doppia cittadinanza (statunitense e portoghese), era stata arrestata dalla polizia portoghese lo scorso ottobre all’aeroporto di Lisbona in forza di un mandato di arresto europeo datato agosto 2006 (quando la donna, insieme ad altri 24 agenti della Cia era ricercata dalla Procura di Milano), mentre stava per imbarcarsi su un volo per l’India, dove avrebbe dovuto raggiungere la madre. E da quel momento la sua vicenda ha rimesso in discussione l’accordo (mai reso pubblico, ma di fatto documentato dalle decisioni assunte nel tempo dalla presidenza della rep. e dal ministero della giustizia italiani) con cui il nostro Paese ha sin qui garantito che né la Sousa, né gli altri 25 cittadini americani (24 agenti della Cia e un ufficiale dell’aviazione) condannati in via definitiva per il sequestro Abu Omar, abbiano scontato o sconteranno un solo giorno di carcere. La decisione della Corte di Appello di Lisbona, per quel che ha annunciato il legale della Sousa, Manuel de Magalhaes e Silva, verrà impugnata dinanzi alla Corte Suprema portoghese e, ha aggiunto l’avvocato, «sottoposta se necessario alla Corte Costituzionale». Dunque, la sua efficacia resta per il momento congelata. Ma questo, evidentemente, non sposta la sostanza e i termini della questione per quanto riguarda l’opacissima quanto fragilissima soluzione che al caso hanno deciso di dare Roma e Washington. E di cui è utile ricordare i termini e i modi.
Per sei anni, a partire dall’estate del 2006, quando la vicenda esplode con la richiesta di arresto della magistratura milanese dei 26 agenti della Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar (e la conseguente emissioni di altrettanti mandati di arresto europei), 5 diversi ministri della giustizia che si succedono a Largo Arenula, a dispetto delle maggioranze di appartenenza, si rifiutano di dare corso alla richiesta di cattura internazionale a fini di estradizione avanzata dall’allora procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro.
Rimangono infatti inerti Roberto Castelli, quindi Luigi Scotti (Governo Prodi), Angelino Alfano (Governo Berlusconi), Nitto Palma (Governo Berlusconi) e Paola Severino (Governo Monti). Almeno fino al 21 dicembre del 2012, quando la Cassazione rende definitive le condanne per 25 agenti della Cia e un ex ufficiale dell’aviazione Usa. Con pene che, in un caso, arrivano a 9 anni di reclusione (Bob Lady, ex capocentro di Langley a Milano) e in tutti gli altri a 7 anni. A quel punto, proprio il ministro Severino interviene con una circolare in cui si prova a soddisfare la richiesta di Washington di non dare corso all’esecuzione delle condanne. L’allora ministro della Giustizia stabilisce infatti, in nome di «un criterio di ragionevolezza della procedura» e «richiamando un decreto ministeriale del 2000», che, nel caso Abu Omar, le ricerche internazionali ai fini di estradizione per una pena che è diventata nel frattempo definitiva debbano valere per il solo Bob Lady e non per gli altri 25 condannati. E questo perché, alleggerite dall’indulto di 3 anni approvato nel frattempo dal Parlamento, le pene non supererebbero la soglia dei 4 anni. Limite entro il quale il nostro governo ritiene che sia appunto “irragionevole” chiedere l’estradizione per l’esecuzione della pena.
E’ una gabola che è un eufemismo definire discutibile (non fosse altro per la gravità del reato e perché sconfessa la risoluzione con cui, nel febbraio 2007, il Parlamento Europeo aveva “deplorato” la passività del governo italiano nella vicenda Abu Omar), che trova tuttavia disattenta l’opinione pubblica e, di fatto, complice anche il tempo che è trascorso, passa sotto silenzio. Ed è comunque una gabola che garantisce la promessa di sostanziale impunità fatta agli Stati Uniti e a cui si adeguano, di lì in avanti, anche il ministro Annamaria Cancellieri e l’attuale guardasigilli Andrea Orlando. Anche perché, nel frattempo, si muove di conserva anche la presidenza della rep. Nell’aprile del 2013, Giorgio Napolitano concede infatti la grazia a Joseph Romano (l’ufficiale dell’aviazione statunitense condannato con gli agenti della Cia). Quindi, nel dicembre scorso, il presidente Sergio Mattarella, osservando che «con l’amministrazione Obama si è interrotta la pratica delle extraordinary renditions» e «al fine di riequilibrare le pene inflitte dai giudici», firma (con il parere favorevole del ministro della giustizia e quello contrario della Procura generale di Milano) due nuovi decreti di “grazia” parziale per altrettanti ex agenti Cia. Il primo nei confronti di Betnie Medero per la pena ancora da espiare (tre anni di reclusione), estesa anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il secondo, a beneficio di Robert Seldon Lady, condannato a 9 anni di reclusione. La grazia parziale, in questo caso, è di 2 anni che, sommati ai 3 di indulto, lo portano alla soglia dei 4 anni per i quali, come si è visto, il nostro ministero della giustizia ha deciso dal 2012 di non impegnarsi a chiedere la cattura internazionale a fini di estradizione.
Insomma, la faccenda sembra definitivamente chiusa. Fino, appunto, all’arresto della Sousa. Un “imprevisto” figlio di quel primo, “dimenticato” mandato di arresto europeo, strumento che sfugge alla volontà politica degli stati membri dell’Unione, e che riapre la questione. Non fosse altro perché, in assenza di un nuovo provvedimento di grazia, qualora l’estradizione venisse alla fine confermata dalle corti superiori portoghesi, la donna dovrebbe scontare 4 anni di carcere in Italia. La Sousa, continua a protestarsi innocente (sostenendo che il giorno della abduction di Abu Omar a Milano era a sciare a Madonna di Campiglio) e, nei mesi scorsi, ha concesso una lunga intervista all’americano ‘Vice’ evocando “accordi tra stati” intervenuti nel caso Abu Omar. Parole che sollecitano Armando Spataro (oggi procuratore capo di Torino) ad «augurarsi che, in caso di conferma dell’estradizione, la Sousa si decida finalmente a raccontare ai giudici italiani quello che sa sulla vicenda Abu Omar e che, sin qui, ha ritenuto di dover riferire solo alla stampa americana».
Bambini disabili: repressione, violenze disumane e torture
18 gennaio 2016
LICATA (AGRIGENTO). C’era chi veniva incatenato al letto per ore ed ore. Chi, dopo essere stato scoperto a mangiare una merendina, veniva legato mani e piedi con lo scotch ad una sedia e veniva coperto con un lenzuolo mentre alcuni operatori lo prendevano a schiaffi. Chi, ancora, veniva rinchiuso in una piccola stanza per intere giornate senza cibo e chi veniva costretto a mangiare i propri escrementi. Otto indagati, un arresto, tre divieti di dimora e un provvedimento di interdizione. L’operazione “Catene spezzate”, ha fatto luce su quella che sarebbe dovuta essere una comunità per minori disabili, ma che in realtà era un vero e proprio lager dove gli ospiti erano costretti a subire continue violenze e a mangiare talvolta cibi scaduti e mal conservati.
Una delle ragazzine ospiti di quel centro, sentita dagli inquirenti, la chiamava proprio “la casa degli orrori”. Le indagini sono partite grazie alle insegnanti della scuola che frequentavano i ragazzi disabili: durante alcuni compiti di artistica, infatti, una ragazzina ha realizzato un disegno che ha immediatamente insospettito gli insegnanti. Streghe, bambini legati ai letti, persone che picchiavano bambini. Tutti elementi che hanno convinto i professori a chiamare immediatamente i carabinieri dopo aver registrato con uno smartphone i racconti delle vittime e dopo aver fotografato le ferite che alcuni di loro avevano sui polsi.
In manette è finita Caterina Federico, trentaduenne di Licata, assistente sociale e responsabile della casa per minori di Licata. Tra gli indagati anche Salvatore Lupo, presidente del consiglio comunale di Favara (Agrigento),
L’indagine è stata coordinata dal procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, dall’aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Alessandro Macaluso, che hanno consentito di intercettare anche alcune telefonate tra gli operatori del centro che hanno lasciato pochi dubbi. Parlavano tra di loro come “calmare” gli animi dei ragazzi e si confrontavano su come poter agire.
In uno dei casi scoperti dagli inquirenti, una ragazza è stata costretta a mangiare i propri escrementi come “punizione”. Un altro, invece, è stato legato con catene e lucchetti alla struttura metallica del proprio letto. Fatti che, grazie ai racconti e ai disegni realizzati a scuola da una delle vittime. All’interno della struttura veniva utilizzata acqua contaminata da batteri coliformi.
Nel video di qualche mese fa, sempre a Licata, un’altra denuncia di abusi ai minori:
Rsp (individualità Anarchiche)