Chi di taser ferisce (e spesso uccide)…
Il 14 settembre i mass media scrivono le dichiarazioni rilasciate da Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia e capo della polizia ferrarese, a proposito della morte del giovane 19 enne Federico Aldrovandi, ucciso nel 2005 durante un controllo di polizia: “Reggio Emilia è una delle città scelte per la sperimentazione del taser, la pistola elettrica. “Se ci fosse stato il taser, Federico Aldrovandi sarebbe ancora vivo”. Ricordiamoci che per l’uccisione di Federico Aldrovandi sono stati condannati quattro sbirri per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi…. Patrizia Moretti, madre di Federico, amareggiata per le parole dell’ex questore di Ferrara risponde anche lei attraverso i mass media dichiarando: “Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto. Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento pericolosissimo come il taser con questo paragone che non ha senso”. La donna contesta anche l’affermazione secondo cui i poliziotti, quella sera del 2005, dovettero usare i manganelli “per fermare un giovane agitatissimo di un metro e 90”. “Federico era alto un metro e 75 e pesava 60 chili, evidentemente l’ex questore di Ferrara non si è informato bene, poteva almeno leggere le carte”. Su Facebook il padre di Federico, Lino Aldrovandi, posta una sua intervista a Repubblica: “Il taser non sarebbe stato da usare su Federico, ma su chi lo stava uccidendo ‘senza una ragione’”….
Il vecchio vizio delle forze del disordine: c’è Stato un altro abuso di potere da parte delle forze dell’ ordine in Germania.
Il 20 settembre i mass media scrivono che è da 6 giorni che nella foresta di Hambach c’è una repressione massiccia della polizia per evacuare gli ambientalisti che stanno cercando di evitare l’estensione di una miniera di carbone. Mercoledì, 19 settembre un giovane attivista è “fatalmente” caduto da una capanna (ucciso come Pinelli?). Il suo nome era Steffen. Vicino alla comunità ambientalista tedesca, ha vissuto per diversi mesi la vita della Zad di Hambach. Gli attivisti si oppongono alla distruzione della foresta millenaria di Hambach, nella parte occidentale della Germania, guidata dalla società elettrica RWE per estendere a cielo aperto una gigantesca miniera di carbone.
Steffen il giovane fotoreporter di 27 anni era da 7 giorni che filmava la violenta repressione da parte delle forze del disordine e il taglio degli alberi per evacuarli. In quei giorni c’erano 150 attivisti e 3.500 poliziotti con cannoni ad acqua, cavalli ed elicotteri che volevano distruggere le loro 51 capanne fatte sugli alberi. Poco prima delle 16 Steffen è precipitato da un ponte tra due capanne, a 14 metri di altezza. Gravemente ferito, è stato portato d’urgenza in ospedale a Colonia, ma non poteva essere rianimato ed è morto. In una conferenza stampa il portavoce della polizia regionale Paolo Kemen cerca di distorcere i fatti dichiarando ai mass media che: “nessuna operazione era allora in corso nella zona in cui si è verificato l’incidente”. Secondo lui, un poliziotto era ai piedi dell’albero per dare il signor Steffen una scheda di memoria della fotocamera. Il giornalista sarebbe caduto cercando di passare attraverso un sistema di cavi e pulegge. Ma il collettivo “zadiste”, Hambi bleibt, dà un’altra versione dei fatti. «Il SEK (un’unità di élite della polizia tedesca) stava per arrestare un attivista nei pressi del ponte sospeso. Il nostro amico stava cercando di filmare l’arresto quando è caduto», scrivono i militanti sul loro sito web. Le operazioni di evacuazione della Zad sono state immediatamente sospese. Gli zadisti chiedono la cessazione definitiva dell’evacuazione. «Chiediamo alla polizia e RWE di lasciare immediatamente la foresta e fermare questa operazione pericolosa. Nessun’altra vita umana deve essere in pericolo.
La foresta di Hambach è diventata negli ultimi anni il simbolo della lotta contro il carbone in Germania. Occupata da 6 anni da attivisti ambientali, è minacciata di distruzione dal suo proprietario, la compagnia energetica RWE, che vuole utilizzare il sottosuolo ricco di lignite. Dei 4.100 ettari della foresta originaria, ne restano oggi solo 200. A seguito del via libera dalla giustizia tedesca, RWE intende radere la metà dal 1 ° ottobre. Il governo regionale del Nord Reno-Westfalia ha la settimana scorsa l’evacuazione di Zad, ufficialmente per “elevato rischio di incendio.” (??!).
Era dal 2012, che la foresta era occupata dagli attivisti per prevenire la distruzione della foresta. Decine di attivisti ambientalisti avevano occupato il bosco, costruendo case sugli alberi e dando vita a un variopinto villaggio sospeso. La compagnia energetica ha però deciso che è arrivato il momento di abbattere gli alberi, il taglio è previsto per ottobre, e per farlo devono essere rimossi gli attivisti. Lo scorso 24 agosto è iniziato lo sgombero dell’area da parte della polizia tedesca, tra scontri e arresti…
Le testimonianze delle centinaia di attivisti presenti, provenienti da varie parti del mondo, riferiscono di uno sgombero brutale e violento. Attivisti che hanno cercato di opporsi alla distruzione di un bene comune, dalla cui distruzione trarrebbe giovamento solo la lobby del carbone. Sotto la foresta di Hambach, esiste un ecosistema che ospita una grande varietà di fauna e flora, si trova un grande giacimento di lignite, un combustibile fossile solido contenente notevoli quantità di carbonio. La Rwe vanta diritti di estrazione per la miniera di Hambach fino al 2040, gli oppositori dell’ampliamento della miniera hanno accusato alla compagnia di mettere i profitti al di sopra delle persone e dell’ambiente. Gli ambientalisti tedeschi, che chiedono la fine dello sfruttamento del carbone e la totale transizione verso le rinnovabili, hanno presentato una petizione rivolta al premier statale della Renania Settentrionale-Vestfalia, Armin Laschet, per chiedere al governo di intervenire e salvare la foresta.
La Germania sembra aver puntato con decisione sulle energie rinnovabili, tanto che nei primi sei mesi del 2018 hanno soddisfatto il 36,3% del fabbisogno nazionale. Eppure l’impiego di carbone è ancora massiccio, per questo a giugno il governo ha istituito un’apposita commissione, nota come la commissione del carbone, per gestire l’abbandono definitivo da questo combustibile senza causare gravi sconvolgimenti economici nelle regioni colpite. Secondo Kai Niebert, responsabile del gruppo ambientalista Deutscher Naturschutzring, e membro della commissione del carbone, l’espansione della miniera impedirà quasi certamente alla Germania di rispettare gli impegni previsti dall’Accordo di Parigi del 2015. Nel frattempo il governo federale non è ancora intervenuto….
Clive Spash, economista specializzato in tematiche ambientali, ha dichiarato ai mass media : “Hanno sottolineato il fatto che stanno passando alle rinnovabili ma in realtà stanno aumentando l’estrazione della lignite perché sanno che con l’accordo di Parigi, non saranno in grado di farlo in futuro, per questo stanno cercando di estrarla il più velocemente possibile”.
9 settembre i mass media pubblicano le dichiarazioni di Luca Iacoboni, responsabile della Campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia: “Settimane fa abbiamo denunciato che Generali, il più grande gruppo assicurativo italiano, in consorzio con altre compagnie come Allianz, fornisce copertura assicurativa a centrali e miniere di carbone tra le più inquinanti d’Europa… Oggi questo paradosso si completa con la scoperta che Generali però non assicura i cittadini dagli impatti più disastrosi dei cambiamenti climatici che essa stessa, con le sue polizze ed i suoi investimenti sulla fonte fossile più inquinante, contribuisce ad alimentare”. Riteniamo questa una contraddizione inaccettabile – dichiara Iacoboni -. Generali deve immediatamente abbandonare il carbone, senza alcuna eccezione, e schierarsi dalla parte dei cittadini”. Il Leone di Trieste secondo Greenpeace ha di recente approvato una “strategia sul cambiamento climatico”, ritenuta però incompleta dalla ong, dal momento che non prevede di cessare la copertura assicurativa e finanziaria relativa ad alcuni inquinanti impianti a carbone in Polonia e in Est Europa. Per chiedere ad Assicurazioni Generali di fermare le coperture finanziarie ed assicurative per tutte le centrali a carbone, Greenpeace ha lanciato una campagna che ha già raccolto oltre 30 mila firme.
Ormai sappiamo che l’estrazione del carbone, si porta dietro una serie di effetti a catena sull’ambiente: dalla deforestazione al rilascio di una quantità di materiali tossici e metalli pesanti sul suolo e nell’acqua. Il processo lascia segni che restano per decenni anche dopo che lo sfruttamento è terminato. Il carbone, se non si seguono procedure di massima sicurezza, si può anche incendiare. I roghi di origine antropica possono bruciare per secoli, rilasciando cenere e fumo carico di gas serra e sostanze chimiche tossiche. L’estrazione provoca inoltre fuoriuscite di metano, 20 volte più climalterante della CO2. Senza contare gli effetti diretti sulla salute: a causa dell’inalazione di polveri di carbone, dilaga nei minatori e nelle comunità limitrofe l’antracosi, detta anche malattia del polmone nero. I minatori muoiono a migliaia anche per i tanti incidenti in miniera. La situazione nei Paesi in via di sviluppo è nettamente più grave. Tassi più alti del normale, presso le miniere, sono stati riscontrati anche per quanto riguarda malattie cardiopolmonari, ostruzioni croniche dei polmoni, ipertensione e malattie renali.
Esistono due modi di estrarre carbone: da miniere a cielo aperto o nel sottosuolo. Il primo metodo prevede di raschiare la superficie di ampie aree collinari o montane, per liberare il carbone sepolto pochi metri sotto terra. In alcuni casi, la punta delle montagne viene letteralmente fatta sparire, lasciando cicatrici permanenti sul territorio. Il 40% circa delle miniere di carbone nel mondo vengono scavate con questa tecnica, che richiede meno lavoro e produce più materia prima rispetto a quelle sotterranee.
Il metodo invece dell’estrazione del carbone nelle miniere sotterranee comporta: durante gli scavi, spesso vengono lasciati pilastri di carbone o strutture di supporto a sostenere il suolo sopra la testa dei minatori e delle macchine operatrici. Quando il processo si conclude, le colonne vengono abbattute e la miniera lasciata collassare. Questo effetto provoca depressioni del terreno, dando vita al fenomeno della subsidenza, che coinvolge gli edifici. Ma gli effetti non si fermano qui, e comprendono morte di migliaia di persone ogni anno, che rimangono sepolte dal crollo, produzione di enormi quantità di materiali (terra e rocce) da smaltire in superficie, che diventano tossici quando entrano in contatto con aria e acqua, mutamento dei flussi idrici sotterranei e dei corsi d’acqua, con conseguente inquinamento e impossibilità di riutilizzare la risorsa per irrigazione o distribuzione alle comunità, generazione di gas serra durante il processo, in particolare di metano. La maggior parte del metano emesso dalle attività di estrazione del carbone è imputabile alle miniere sotterranee. Quello dei roghi di carbone è un problema diffuso in diversi Paesi, tra cui Cina, Russia, Stati Uniti, Indonesia, Australia e Sud Africa. Spesso divampano per cause antropiche: in Indonesia, ad esempio, gli stessi fuochi che vengono utilizzati per distruggere ampi tratti di foresta pluviale hanno dato avvio ad oltre 300 roghi di carbone dal 1980. Questi fuochi sotterranei possono ardere per secoli, riempiendo l’atmosfera di fumo carico di monossido di carbonio (CO), biossido di carbonio (CO2), metano (CH4), biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx) e di altri gas, così come spargere nell’aria ceneri nocive che filtrano dalle aperture nel terreno.
Dalla rivoluzione industriale a oggi il carbone non è mai stato abbandonato ed è stato utilizzato specialmente nella generazione termoelettrica e nella produzione dell’acciaio. Quasi la metà della richiesta mondiale di carbone, tra i paesi cosiddetti sviluppati, arriva dagli Stati Uniti: dopo aver prosciugato i giacimenti di gas non convenzionale la domanda è tornata ad aumentare. Anche in Europa, per via degli aumenti sul costo del gas, la domanda non si è ridotta. Quindi in generale il carbone gode di un buon momento soprattutto grazie alla spinta proveniente dai paesi in via di sviluppo, come India e Cina. La Cina è il primo produttore seguito da Stati Uniti, India, Australia e Russia. Ma il carbone si produce anche in Indonesia, Sudafrica, Colombia, Kazakistan, Polonia. Poi ci sono grandi importatori, come di nuovo la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, che non hanno giacimenti propri e che quindi aumentano l’impatto del carbone sull’ambiente per via del trasporto. Senza parlare del controllo dei giacimenti come concausa di guerre e conflitti devastanti.
Ma vale la pena causare tutta questa distruzione ambientale? Il costo di un chilowattora (kWh) generato dal carbone (circa 9 centesimi di euro) costa meno di un kWh prodotto grazie al fotovoltaico (circa 11 centesimi di euro) perché, se sommassimo i danni che la combustione di carbone arreca ad ambiente e salute umana, tale costo aumenterebbe vertiginosamente…
Il paradosso: La più antica miniera è la Tower Colliery al margine settentrionale delle vallate del Galles meridionale. Questa miniera di carbone fu aperta nel 1805 e fu rilevata alla fine del XX secolo dai suoi stessi minatori piuttosto che permettere che venisse chiusa…
Ricordiamoci anche degli sbirri infami del G8 e dei loro abusi di potere: il 12 settembre i giudici della sezione giurisdizionale della Liguria hanno condannato a un risarcimento di oltre 20 mila euro quattro poliziotti ritenuti responsabili di aver arrestato ingiustamente, durante i fatti del G8 di Genova del 2001, due giovani spagnoli. I fatti contestati dalla procura contabile sono quelli di piazza Manin del 20 luglio 2001, quando i quattro poliziotti arrestarono incolpandoli di resistenza aggravata, possesso e utilizzo di ordigni incendiari, due manifestanti spagnoli, risultati poi totalmente estranei ai fatti loro contestati….
Noi, che paghiamo un caro prezzo per ogni soffio
di aria pura e fresca, dobbiamo stare in guardia
contro la tendenza a incatenare il futuro.
(E. Goldman)
Solidarietà ai compagni che, con coraggio e determinazione, proseguono in Germania la lotta contro la prepotenza delle multinazionali del carbone.
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)