In Italia dopo il tentativo del governo Berlusconi di creare un deposito nazionale a Scanzano Jonico nel 2003 (che ha portato a 10 giorni ininterrotti di proteste e al frettoloso ritiro del decreto legge), non è stato individuato nessun altro sito. Così la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), la società pubblica che si occupa dello smantellamento dei siti nucleari, sceglie di consolidare la sua presenza a Saluggia, costruendo nuovi depositi temporanei, sempre nell’area de “La suta” e potenziando le misure di sicurezza con un muro anti-alluvione di 5 metri d’altezza.
L’idea di nuovi depositi però non è mai piaciuta ai locali, che già nel 2005 sono scesi in piazza per protestare contro il nuovo deposito D2, destinato alle scorie solide. La costruzione però viene approvata lo stesso, grazie a un ordinanza del commissario straordinario al nucleare, l’allora presidente Sogin Carlo Jean (foto sotto), un militare di lungo corso già consigliere militare di Francesco Cossiga. Nonostante la partenza dei lavori ritardi per ben 3 anni, il comune di Saluggia concede una proroga; a firmare l’ordinanza è l’assessore all’Urbanistica Ravetto, che secondo diverse fonti avrebbe lavorato anche con Sogin. Eppure, nonostante le accuse contro un potenziale conflitto di interessi fra controllati e controllori, e un tentativo di bloccare le betoniere, oggi i lavori del deposito D2 sono terminati. Al deposito D2 sarà poi affiancato l”impianto Cemex, dove cementare e condizionare i circa 260 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi, i cui lavori procedono però a rilento, secondo alcuni anche perché intorno all’appalto è stato scoperto un giro di tangenti da parte della cosiddetta “cricca dell’Expo.” I rifiuti cementificati saranno poi ospitati al deposito D3, ancora da costruire. Un ulteriore business della “massomafia”, come l’aveva definita Falcone prima di morire: “il problema più grosso è la massomafia non la mafia analfabeta che ha imparato a comprarsi anche la laurea”.
Puntualizziamo che la maggior parte delle decisioni della Sogin sono state avvallate dalle amministrazioni comunali di Saluggia nella più assoluta legalità. La parola chiave per evitare problemi è stata, secondo alcuni: “compensazioni”, ovvero, i tanti soldi che lo stato offre ai comuni che ospitano impianti nucleari (e a quelli limitrofi). Saluggia riceve circa 1 milione di euro all’anno. Una cifra importante per un piccolo comune di soli quattromila abitanti, i soldi infatti non sono dati in relazione al numero di abitanti ma alla quota di radioattività presente e, dato che Saluggia ha quasi la totalità delle scorie radioattive italiane ha diritto a una grossa quantità di denaro. Quando Sogin decide di costruire un nuovo deposito, non si troverà mai un comune che fa ricorso al Tar per negarglielo. Nessun sindaco dice ‘li lasciamo stare qui perché ci danno soldi’, ma di fatto è così. Stretto fra le compensazioni e i rischi portati dalle scorie nucleari, il comune di Saluggia ha scelto una terza via: ignorare il problema.
Nonostante sia una zona a rischio, il sindaco Firmino Barberis (foto sopra), non ha divulgato ai suoi cittadini il piano di emergenza da attuare in caso di contaminazione nucleare. “Le leggi europee, nazionali e persino regionali dicono che deve essere comunicato preventivamente alla popolazione che rischia di essere interessata da una eventuale emergenza”, spiega Godio di Legambiente. “Però lo conosce solo il sindaco che non lo fa vedere a nessuno, e ritiene che sia doveroso non farlo vedere come la prefettura gli ha consigliato”. Avere il deposito sul proprio territorio comunale è uno svantaggio di immagine da cui però non ci si può liberare, quindi meglio cercare di far finta di nulla: “il sindaco dice: siamo il paese dei fagioli, dobbiamo esaltare questo e tacere sul resto, perché a forza di dire che siamo anche il paese dei depositi nucleari rischiamo di danneggiare il nostro prodotto agricolo. La storia del nucleare di Saluggia è un insieme di omissioni, di scarsa sicurezza e di incidenti tenuti nascosti. Ma è anche una storia di scelte obbligate dettate dall’inerzia della politica massonica, che ha quasi sempre scelto d’ignorare il problema e incassare i tanti soldi che lo stato da per custodire i depositi nucleari.
Ma facciamo un po’ di storia, perché solo analizzando la storia si capiscono bene i problemi attuali:
L’8 e il 9 novembre 1987 il popolo italiano si recò alle urne per votare 5 referendum abrogativi. Tre di essi riguardavano la situazione del nucleare in Italia. Al momento del referendum, in Italia si contavano 4 centrali elettronucleari. Un’altra spinta verso il nucleare si ebbe a inizio anni ’70. A causarla fu il repentino aumento dei prezzi di importazione dei prodotti petroliferi, dovuti alla questione arabo-israeliana. Il primo Piano Energetico Nazionale (PEN), stilato nel 1975, “prevedeva la realizzazione di ulteriori otto unità nucleari su quattro nuovi siti”.
A segnare l’inizio del declino del nucleare in Italia furono due eventi. Il 28 marzo 1979 avvenne l’incidente di Three Miles Island (foto sopra). Si verificò la fusione parziale del nocciolo dell’omonima centrale nucleare, in Pennsylvania. Il numero di vittime e feriti fu zero, ma piccole quantità di gas radioattivo furono rilasciate nell’ambiente. Tanto bastò per incrinare l’immagine del nucleare in molte nazioni. In Italia invece, la popolazione locale già stava protestando contro la costruzione della futura centrale di Montalto (che sarebbe iniziata nel 1982). Appena due mesi dopo l’incidente, le proteste sfociarono in una manifestazione a Roma, cui presero parte circa 20.000 persone. Il 26 aprile 1986 si verificò il disastro di Chernobyl, l’effetto negativo sull’opinione verso il nucleare fu esponenzialmente maggiore rispetto a quello che ebbe l’incidente di Three Miles Island. Il mese successivo, 200.000 persone si radunarono a Roma per manifestare. Il partito Radicale promosse i referendum, e coi movimenti antinucleari raccolse un milione di firme in meno di 4 mesi. Sempre nello stesso anno, a novembre, i movimenti ambientalisti si concretizzano in un soggetto politico, la Federazione delle liste Verdi. Il simbolo da loro adottato, il sole che ride, deriva non a caso dal movimento antinucleare danese.
Per comprendere perché il referendum non si svolse prima della fine del 1987, bisogna inquadrare gli eventi alla luce della situazione politica. Nello stesso anno si stava verificando una crisi di governo interna al Pentapartito. Le divergenze tra la DC guidata da Ciriaco De Mita e il PSI di Bettino Craxi culminarono, il 28/2/1987, nelle dimissioni del secondo da capo di governo. Gli antinuclearisti temevano un intervento legislativo che bloccasse definitivamente il referendum, e ne chiedevano lo svolgimento prima delle elezioni anticipate. Alla fine, la data del referendum fu fissata per novembre, mentre le elezioni si tennero a giugno. La DC continuò a detenere la maggioranza, con l’insediamento del governo Goria. Tuttavia, anche il PSI e i Verdi videro i propri numeri salire. I fattori che portarono alla vittoria schiacciante del sì furono diversi. Il sentimento popolare antinucleare aveva continuato a crescere, ma è stato importante anche il dibattito sul ruolo avuto dai media sul clima di preoccupazione che pervase la società dopo l’incidente di Chernobyl. Inoltre, dopo le elezioni, la DC e il PCI assunsero posizioni a favore del sì, temendo un calo di consensi. Sebbene non fosse esplicitamente richiesta, la dismissione delle centrali nucleari fu la conseguenza naturale che seguì il referendum. Tra il 1987 e il ‘90 le centrali rimaste attive furono fermate definitivamente. I lavori avviati per la centrale di Montalto vennero invece riconvertiti per la realizzazione della centrale a policombustibile Alessandro Volta.
Ma il problema del nucleare non è ancora finito: Il 3 dicembre scorso (2023), i mass media scrivono che c’è stato un Blackout a Zaporizhzhia, Energoatom (foto sopra). Si è rischiato un incidente nucleare. La centrale ucraina più grande d’Europa ha rischiato un incidente radioattivo che ha portato alla perdita di alimentazione delle pompe del liquido di raffreddamento del reattore. Uno scenario che ha lasciato l’Europa senza informazione, col fiato sospeso per diverse ore. Il problema della connessione col sistema elettrico ucraino è stata ripristinata solo alle 7 del mattino. Ma per gli ucraini, la più grande minaccia alla sicurezza è rappresentata dall’unità 4 dell’impianto, che viene mantenuta in uno stato caldo, contrariamente alle norme e ai regolamenti sulla sicurezza nucleare e radioattiva, facendo funzionare l’impianto del reattore e il complesso impianto energetico in un modo in cui non è stato progettato.
.
Siamo Anarchici perché vogliamo la giustizia;
rivoluzionari perché vediamo l’ingiustizia
regnare ovunque intorno a noi.
E. Reclus
.
Alla vigilia della strage di piazza Fontana, ricordiamo il compagno Anarchico Pino Pinelli, ucciso e torturato in questura per incolparlo ingiustamente della strage di Stato.
Pinelli è sempre, per noi, un esempio di coerenza, di tenacia e di coraggio, anche davanti alle difficoltà. Perciò lo ricordiamo nelle lotte di classe.
.
Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)