Allarme: il sindaco di Trino Vercellese vuole fare il deposito nucleare! (I parte)

Elezioni 2023: a Trino rinconfermato sindaco, con larghissimo consenso, Daniele  Pane - TG Vercelli

In questi giorni i mass media scrivono che Daniele Pane (foto sopra), è l’unico sindaco che vuole candidare Trino Vercellese (in Piemonte) a ospitare un nuovo grande deposito per stoccare tutti i rifiuti radioattivi italiani.  Nonostante in Italia non ci siano centrali attive per via dell’orientamento (no al nucleare) seguito da tutti i governi dopo il referendum del 1987, molte attività continuano a produrre rifiuti radioattivi che vengono stoccati in 20 depositi sparsi in diverse regioni italiane. Questi rifiuti sono in parte vecchi, cioè recuperati dalle vecchie centrali spente, in parte scarti di attività come la medicina nucleare, settore in cui vengono utilizzate sostanze radioattive a scopo diagnostico, terapeutico e di ricerca. Le scorie nucleari sono prodotte anche da alcune particolari lavorazioni industriali.

Lo smantellamento delle vecchie centrali, il cosiddetto decommissioning, è stato affidato a Sogin, un’azienda statale commissariata durante il governo del massone – banchiere Draghi. La procedura di selezione è stata molto lunga perché i tecnici di Sogin hanno scelto le aree idonee per esclusione, incrociando dati morfologici per escludere luoghi in cui potrebbero esserci situazioni critiche come l’alta densità abitativa, il rischio sismico e idrogeologico, la presenza di siti UNESCO o aree protette. Tra i criteri sono stati considerati l’altitudine, che deve essere inferiore a 700 metri sul livello del mare, e l’esclusione di tutte le aree caratterizzate da versanti con pendenza superiore al 10%. Tra le 67 aree totali classificate come “potenzialmente idonee” ce ne sono 12 con condizioni migliori: sono in provincia di Torino (Rondissone-Mazze-Caluso, Carmagnola), Alessandria (Castelletto Monferrato, Quargnento, Fubine, Oviglio, Bosco Marengo, Frugarolo, Novi Ligure) e Viterbo (due aree a Montalto di Castro, Canino, Corchiano, Vignanello,). Tutte le altre aree (in Toscana, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna) sono ritenute idonee, ma con una valutazione inferiore rispetto alle prime 12. Nelle mappe della Sogin non c’è Trino Vercellese, dove vengono stoccate scorie nucleari nei depositi della vecchia centrale nucleare Enrico Fermi costruita tra il 1961 e il ‘64, l’anno in cui entrò in funzione. Lo smantellamento della centrale è in corso da anni e secondo i piani dovrebbe concludersi nel 2030, dove oggi c’è la centrale nucleare, dovrebbe tornare a esserci un prato, dopo70 anni di inquinamento e tumori.

La centrale nucleare di Trino Vercellese

Trino Vercellese (foto sopra), non è stato compreso tra le aree idonee perché la vecchia centrale si trova molto vicino al corso del fiume Po: il rischio di esondazioni è uno dei criteri considerati dai tecnici di Sogin nella scelta dei luoghi adatti, è da 30 anni che si parla del deposito nazionale e non si è nemmeno riusciti a trovare un’area dove costruirlo. “Ma intanto qui a Trino ci sono i depositi temporanei, che sono precari e insicuri» ha detto ai mass media Daniele Pane, che era della Lega. «Se nessun territorio darà la sua disponibilità, credo si debbano rivalutare le aree come la nostra che già oggi ospitano la quasi totalità dei rifiuti radioattivi». Il progetto prevede che il nuovo deposito custodirà 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di cui 17mila metri cubi “a media e alta attività” e 78mila metri cubi “a molto bassa e bassa attività”. Circa 50mila metri cubi derivano dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, 28mila metri cubi dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. I rifiuti radioattivi saranno depositati con tre livelli di protezione. Il primo è un contenitore metallico cilindrico o a forma di parallelepipedo che conterrà i rifiuti in forma solida, poi questi contenitori verranno custoditi all’interno di celle di cemento armato grandi 27 metri per 15 e alte 10 metri, le quali a loro volta saranno messe all’interno del deposito vero e proprio dove si potranno stoccare fino a 90 celle. Infine l’ultimo livello di protezione sarà una collina artificiale composta da strati di diversi materiali. La collina sarà alta qualche metro e avrà il compito di impedire l’ingresso dell’acqua. L’investimento complessivo è di circa 900 milioni di euro. ​Insieme al deposito inoltre, verrà realizzato anche un parco tecnologico con un centro di ricerca per studiare nuove tecniche di smantellamento delle centrali nucleari, gestione dei rifiuti radioattivi e salvaguardia ambientale. Daniele Pane è l’unico sindaco in tutta Italia ad avere dato la disponibilità per ospitare il deposito nazionale di scorie nucleari. Il governo ha infatti dato la possibilità ai comuni di autocandidarsi, una decisione che sconfessa il lungo lavoro di selezione delle aree idonee fatto finora dalla Sogin, l’azienda creata dallo Stato proprio per gestire lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari.

Rifiuti nucleari, perché serve un deposito definitivo: quelli temporanei  sono vecchi e saturi. Ecco i costi e come funziona all'estero - Il Fatto  Quotidiano

L’obiettivo è risolvere l’attuale stallo causato dal fatto che tutti i comuni individuati finora si oppongono alla costruzione del deposito. Tranne Pane appunto, sindaco cattofascista al secondo mandato, eletto nelle fila di Fratelli di Italia. Ma finora, dei 67 siti individuati da Sogin, non si è fatto avanti nessuno. Il sindaco Pane chiede di “rivalutare le aree come la nostra che già oggi ospitano la quasi totalità dei rifiuti radioattivi”. In Italia ci sono 33mila metri cubi di rifiuti radioattivi che vanno custoditi in sicurezza almeno per i prossimi 300 anni, il tempo necessario a far calare la radioattività fino a valori trascurabili (così dicono…). Altri 45mila metri cubi saranno prodotti nei prossimi anni, non da centrali nucleari che in Italia sono in dismissione dopo il referendum del 1987, ma da settori come la medicina, l’industria e la ricerca. Per trovare le aree idonee ad ospitare il nuovo deposito nazionale si è proceduto per esclusione. Sono stati incrociati i dati morfologici di tutta Italia (come dicevamo), per escludere i luoghi dove potrebbero esserci rischi come l’alta densità abitativa, il rischio sismico e idrogeologico, ma anche la presenza di siti Unesco o aree protette. Altri due criteri importanti sono l’altitudine, che deve essere sotto i 700 metri sul livello del mare, e l’esclusione di tutte le aree caratterizzate da versanti con pendenza superiore al 10%. A differenza di altri paesi europei, quindi, in Italia non ci potrà mai essere un’ampia scelta di luoghi adatti e sicuri. Dei 17mila metri cubi di rifiuti a media e alta attività, una parte (400 metri cubi) è costituita dal riprocessamento del combustibile effettuato all’estero, grazie a una serie di accordi che risalgono ai primi anni del programma nucleare italiano e che sono stati rinnovati nel 2004. Il riprocessamento è la serie di processi chimici che hanno il compito di separare tutte i componenti del combustibile nucleare, quindi soprattutto uranio e plutonio: viene fatto all’estero perché in Francia e nel Regno unito ci sono impianti all’avanguardia che consentono di trattare i rifiuti in sicurezza. Gestire e stoccare questo tipo di materiale non è semplice. Al momento in Italia i centri che producono o custodiscono rifiuti radioattivi sono ex centrali nucleari (4 centrali e 4 impianti del ciclo del combustibile), centri di ricerca nucleare e centri di gestione di rifiuti industriali. Le ex centrali nucleari, attive fino alla fine degli anni ‘80, sono a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Ci sono poi un impianto di “Fabbricazioni Nucleari” a Bosco Marengo (Alessandria) e tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera). Sogin cura anche lo smantellamento del reattore ISPRA-1 nel complesso del Centro Comune di Ricerca (CCR) della Commissione Europea di Ispra, in provincia di Varese.

L’investimento per costruire il nuovo deposito è di 900 milioni di euro e sarà finanziato con parte della bolletta elettrica che già oggi copre i costi dello smantellamento delle ex centrali nucleari. Secondo un report della CGIL, dal 2001 ad oggi sono stati pagati in bolletta 3,7 miliardi di euro, ma solo 700 milioni sono stati utilizzati per lo smantellamento dei vecchi impianti: 1,8 miliardi di euro sono stati spesi per la manutenzione degli attuali depositi temporanei e 1,2 miliardi per il trattamento del combustibile radioattivo in Francia e nel Regno Unito. Ogni anno quindi, lo stato spende 60 milioni di euro per stoccare parte dei rifiuti nucleari all’estero. Lo stato garantisce fondi compensativi per la settantina di comuni dove attualmente si trovano i depositi provvisori. A Trino Vercellese, c’è una delle quattro centrali nucleari dismesse, la Enrico Fermi. Ma a causa della vicinanza del fiume Po, l’area non è stata inserita nella mappa dei siti potenzialmente idonei. «Io non conosco le valutazioni tecniche all’origine dell’esclusione», ha detto il sindaco, Daniele Pane, in un’intervista . «Dico solo una cosa: se in passato si pensò a questo sito per l’installazione della centrale, magari potrebbe andare bene anche per il deposito. Già oggi noi facciamo da deposito nazionale. Quasi l’80% dei rifiuti radioattivi italiani sono stoccati tra Trino e Saluggia. Piuttosto che rimanere in questo stato di provvisorietà, preferirei ospitare il deposito definitivo con tutti gli standard di sicurezza».

In Italia sono state in esercizio, fino alla fine degli anni ’80, otto siti nucleari. Queste installazioni, insieme al reattore ISPRA-1 situato nel complesso del Centro Comune di Ricerca (CCR) della Commissione Europea di Ispra (Varese), sul lago Maggiore (foto sopra), sono state affidate a Sogin che ne cura il decommissioning (smantellamento).  Sogin gestisce circa 16.000 metri cubi di rifiuti radioattivi.  Nucleco è l’operatore nazionale qualificato per la raccolta, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti e delle sorgenti radioattive provenienti dalle attività di medicina nucleare e di ricerca scientifica e tecnologica. Nei depositi temporanei di Casaccia (Roma) sono presenti e gestiti da Nucleco circa 7.994 metri cubi di rifiuti radioattivi. Saluggia invece, ospita da anni il 96% delle scorie nucleari italiane, in un’area a forte rischio. Saluggia queste scorie non le ha prodotte, perché non ha mai ospitato una centrale nucleare (l’unica della zona è quella di Trino Vercellese, a circa 20 chilometri di distanza). A Saluggia c’era solo il reattore Avogadro, il primo reattore nucleare sperimentale mai costruito in Italia e spento nel 1971. Oggi è utilizzato come deposito per conservare il materiale radioattivo, destinato a essere spedito in Francia per il riprocessamento. Nel 1970 però viene aperto l’impianto di riprocessamento Eurex, acronimo che sta per Enriched URanium Extraction, destinato a riprocessare il combustibile nucleare utilizzato nelle altre centrali per ricavarne materiali utili. “Qui si faceva il lavoro più contaminante, il riprocessamento: consiste nel tagliare a fette le barre per estrarre il plutonio, che può essere utilizzato anche per applicazioni militari,” spiega a VICE News Giampiero Godio, di Legambiente Vercelli. E così che a Saluggia arrivano sia le barre dalle 4 centrali italiane già citate, che materiali radioattivi provenienti da altri paesi (come le lamine della centrale olandese di Petten ora spedite negli USA) o le barre canadesi provenienti dalla centrale nucleare di Pickering, sul lago Ontario. Le attività di Eurex si fermano nel 1984, qualche anno prima del referendum che doveva sancire l’addio al nucleare italiano. L’impianto chiude ma le scorie rimangono: ad oggi la struttura di Saluggia ospita circa 2.886 metri cubi di rifiuti radioattivi, da quelli di prima categoria  (la cui radioattività decade in qualche anno) fino a quelli di terza (i rifiuti liquidi risultato del riprocessamento, la cui radioattività decade solo dopo centinaia di migliaia di anni).

Per trovare queste scorie bisogna uscire dal paese e recarsi in aperta campagna (foto sopra), in un’area chiamata “La Suta” (in dialetto piemontese “di sotto”) nella golena della Dora Baltea, cioè l’area fra il fiume e il suo argine. I depositi nucleari sono infatti circondati da ben tre corsi d’acqua: la Dora Baltea e i canali Cavour e Farini, che rendono la zona un’isola di forma triangolare e uno dei posti più pericolosi d’Italia, in caso d’inondazione. Come spiega Giampiero Godio: “Siamo a 30 metri dalla Dora Baltea e poco più in là c’è il Po, un eventuale rilascio di radioattività avvelenerebbe tutta la Pianura Padana e l’Adriatico”. Senza contare che in quest’area passa anche la falda acquifera più importante del Piemonte, che a un chilometro e mezzo dal deposito viene captata nei pozzi dell’acquedotto del Monferrato, il più grande del Piemonte, che serve circa 150 comuni. ” Che Saluggia abbia un grosso problema con le sue scorie nucleari non lo dice solo Legambiente. La zona è a forte rischio idrogeologico, e negli ultimi vent’anni ha subito tre esondazioni durante forti alluvioni. L’ultima nel 2000 è stata così grave che il premio Nobel Carlo Rubbia, allora presidente di ENEA (Energia Nucleare e Alternativa, l’ente che ha gestito gli impianti nucleari italiani fino al 2003) ha parlato di “catastrofe sfiorata”, spiegando che “se il livello del fiume fosse salito ancora di pochi centimetri avremmo inquinato la Dora, il Po e l’Adriatico, con un disastro di proporzioni assai maggiori rispetto a Chernobyl”. Nel giugno del 2004 sono state individuate fessurazioni nella piscina dell’impianto Eurex, che hanno contaminato la falda acquifera superficiale, e nel 2012 c’è stata una perdita di acqua radioattiva dalla vasca WP 719, che raccoglie le acque contaminate. In entrambi i casi si è trattato di fatti di lieve entità, con contaminazioni al di sotto dei limiti. Secondo Giampiero Godio la scelta di mettere un impianto nucleare vicino a un fiume è dettata solo da esigenze di segretezza.

Solving si è aggiudicata il contratto per il deposito ONKALO® di Posiva -  Solving

L’unico paese ad aver ideato un deposito per le scorie ad alta radioattività è la Finlandia che, ad Onkalo (foto sopra), ha creato una struttura a 450 metri di profondità dove ospitare i rifiuti nucleari per i prossimi centomila anni mentre esistono depositi nazionali per scorie a bassa e media attività in diversi paesi europei.

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Solidarietà a Cospito e a tutti i compagni/e arrestati per i nostri ideali di rispetto per la natura, di antimilitarismo, di libertà e giustizia sociale.

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La crisi ecologica che attraversiamo

è una crisi sociale, ha le sue radici prima

e soprattutto nella dominazione dell’uomo

da parte dell’uomo, della donna da parte

dell’uomo, dei giovani da parte dei vecchi

e della società da parte dello Stato.

M. Bakunin

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)