7/2/1945: Eccidio di Porzûs (1° parte)
Guerre geopolitiche per l’egenomia
(militare, economica, politica e finanziaria) del Mediterraneo
Le Brigate Osoppo-Friuli furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine il 24/12/1943 su iniziativa di volontari di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica, gruppi già attivi dopo l’8 settembre nella Carnia e nel Friuli. I fini della Osoppo erano quella di infiltrare le formazioni garibaldine comuniste e contribuire alla lotta antifascista contro le forze occupanti tedesche. Quest’ultime avevano infatti istituito la Operationszone Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto l’intero territorio del Friuli-Venezia Giulia all’autorità della Repubblica Sociale Italiana ed instaurando un rigido regime di repressione e spogliazione, avvalendosi della partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste. A causa della complessa situazione politico-militare presente nel territorio friulano e della Venezia Giulia, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, le formazioni della Osoppo ebbero rapporti spesso conflittuali coi reparti garibaldini comunisti e furono in contrasto con le forze partigiane sloveno-jugoslave.
Sin dal luglio 1944 l’OSS (il servizio segreto USA che poi diventerà l’attuale CIA, relativo alle operazioni all’estero) aveva avviato in Friuli una propria missione di collegamento coi partigiani, denominata Chicago-Texas. Tale missione era guidata da due agenti italiani affiliati al PCI, Alfredo Michelagnoli e Giuseppe Gozzer.
La missione fu organizzata sulla scorta di un più ampio accordo tra OSS e Partito Comunista, che prevedeva l’arruolamento di “uomini esperti” indicati dal partito, in cambio della possibilità, per quest’ultimo, di utilizzare le radio del servizio segreto per comunicare coi propri dirigenti nell’Italia occupata dai nazifascisti.
Gozzer, tuttavia, sebbene alla testa di una missione alleata, divenne presto capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Friuli …
Il cosiddetto “eccidio di Porzûs” ha una storia complicata e diversi punti poco chiari. A pochi chilometri dal confine con la Slovenia, in provincia di Udine, ci sono alcune zone che da molti secoli hanno una forte presenza slava, la cosiddetta “Slavia veneta”. Durante le ultime fasi della II guerra mondiale, nella zona c’erano gruppi armati formati da persone di etnia slovena, in collegamento coi partigiani di Tito, che avevano formato un esercito ben strutturato per la liberazione della futura Jugoslavia. Tito aveva fatto capire chiaramente, e da diversi mesi, di considerare la zona parte della Jugoslavia.
In Friuli, oltre ai partigiani slavi, c’erano poi i gruppi formati dagli italiani: quelli comunisti, che come nel resto del nord Italia facevano parte delle Brigate Garibaldi, e quelli di altri orientamenti politici, in particolare cattolici e liberali politicamente vicini al Partito d’Azione, delle brigate “Osoppo” fondate all’inizio del 1943 da alcuni sacerdoti.
Le Brigate Garibaldi, alla fine del ’44, avevano accettato (dietro esplicito ordine di Togliatti, segretario del PCI) di obbedire agli ordini dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, nell’ottica di consegnare la piccola area della Slavia veneta al confine con la Slovenia al nuovo stato che sarebbe stato formato da Tito dopo la guerra. Le Brigate Osoppo, invece, erano contrarie a un’alleanza simile: la contrapposizione tra cattolici, liberali, monarchici e comunisti era molto decisa e portò rapidamente a una spaccatura insanabile. La sede locale del Comitato di Liberazione Nazionale, a Udine, da cui dipendevano sia la Osoppo che la Garibaldi, provò a mediare senza successo, in un clima che diventava sempre più difficile, con reciproche accuse di delazione e di collaborazionismo coi tedeschi.
In questa atmosfera, il 7/2/’45 un gruppo di partigiani comunisti dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), formato da un centinaio di persone, arrivò ad alcune malghe di montagna in una località che, subito dopo la guerra, venne chiamata Porzûs dal nome del paesino vicino in cui abitava il loro proprietario. Le malghe si trovavano in provincia di Udine, nel comune di Faedis, e il gruppo si era spostato lì per ordine della federazione del Partito comunista di Udine. Il comandante era Mario Toffanin detto “Giacca”, allora 32enne, ex operaio iscritto al PCI dal 1933 e in stretti rapporti coi comunisti jugoslavi.
Subito dopo la Liberazione (25/4/’45) i primi a denunciare data e dinamica dell’eccidio furono i comandanti osovani Candido Grassi “Verdi” (all’epoca socialista, in seguito deputato socialdemocratico) e Alfredo Berzanti “Paolo” (democristiano). Questi accusarono i partigiani comunisti di aver ucciso i propri compagni di lotta «sol perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava.
La vicenda di Porzûs è stata nel dopoguerra trattata in molti giornali e libri a livello nazionale, e nel Friuli-Venezia Giulia non è passato anno senza che fosse ricordata in manifestazioni di varia natura, anzi, in questa regione Porzûs è stato uno dei miti fondanti del ceto politico dominante, in gran parte di origine osovana.
Su Porzûs inoltre si è per la prima volta evidenziata quella convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Non è un caso che il film ‘Porzus’ (1997) sia stato finanziato dall’allora governo di centro-sinistra, cioè dal ministro della cultura Walter Veltroni, ma apprezzato anche a destra.
In sostanza la tesi che passò (la stessa delle forze dominanti in tutti questi 60 anni, ma con la differenza che veniva fatta propria anche dagli eredi del PCI) era quella della responsabilità dei comunisti friulani, e del PCI più in generale, presentati come asserviti agli interessi jugoslavi, mentre gli osovani risultarono i patriottici difensori dei confini dalle mire jugoslave.
Ma andiamo ad analizzare l’elenco dei nomi che si trovano sulla lapide a Porzûs, un elenco di 20 nomi, alcuni dei quali, come vedremo, sicuramente non centrano con questi fatti:
Comandante Bolla, Francesco De Gregori: insignito di medaglia d’oro al valor militare. Era stato un ufficiale dell’esercito, volontario in Spagna (coi fascisti), combattente nei Balcani, monarchico. Aderì all’”Osoppo” nella primavera del ’44. Era il comandante del Gruppo Brigate “Osoppo dell’Est”, ma proprio nel giorno dell’eccidio si stava trasferendo in pianura per assumere l’incarico di capo di stato maggiore del gruppo divisioni “Osoppo-Friuli”, ma anche per incontrarsi col federale fascista di Udine, Mario Cabai. Il suo posto al gruppo di Brigate dell’Est doveva essere preso da Centina, Aldo Bricco (scampato all’eccidio fuggendo e curato dalle ferite in un ospedaletto sloveno).
Bolla viene sempre indicato come comandante della I Brigata, ma in realtà non lo era più dall’estate del ’44, quando era diventato vicecomandante della divisione unificata “Osoppo-Garibaldi” e poi, allo scioglimento di questo comando, era diventato comandante appunto del gruppo brigate “Osoppo dell’Est”. Dal momento che la I Brigata ha avuto altri comandanti, non si capisce perché questi siano stati oscurati, se non ipotizzando che per la ricostruzione di questa vicenda fosse meglio che i loro nomi non venissero ricordati. Avranno infatti tutti un ruolo importante nelle organizzazioni clandestine anticomuniste sorte in Friuli già prima della fine della guerra e confluite poi in Gladio. Il comandante della I brigata al momento dei fatti di Porzûs era Marino Silvestri, futuro membro di Gladio/Stay Behind, che non fu mai chiamato a testimoniare, sebbene fosse stato fra gli artefici di un accordo coi repubblichini e i nazisti in funzione antigaribaldina noto come il Presidio di Ravosa, di cui si parlò molto al processo di Lucca. Poi c’era il delegato Politico Enea, Gastone Valente: era del Partito d’Azione. Nel dopoguerra, in una sua intervista, Giacca avrebbe dichiarato che l’unica cosa di cui si dispiaceva riguardo all’azione che aveva comandato, era la morte di Enea. Era uno dei non numerosi azionisti rimasti nella “Osoppo” dopo il cosiddetto golpe di Pielungo del luglio del ’44, quando la componente militare e democristiana della Osoppo con una sorta di putsch aveva allontanato i dirigenti azionisti, troppo inclini al comando unitario coi garibaldini. Tuttavia, secondo la testimonianza al processo di Maria Pasquinelli, agente al servizio della X Mas, a casa di Enea sarebbero avvenuti i primi contatti fra “Osoppo” e X Mas per costituire un fronte unitario antislavocomunista. Ma probabilmente la Pasquinelli si era fatta accogliere in casa con un ricatto. Anche Enea viene di solito indicato con un ruolo sbagliato, come delegato politico della I Brigata Osoppo, mentre lo era della VI, oppure si dice anche che stava per prendere il posto di Alfredo Berzanti come delegato politico del gruppo Brigate dell’Est, cosa che non risulta dai documenti. È stato insignito della medaglia d’argento al valor militare. Non si capisce il perché di questa discriminazione rispetto a Bolla, medaglia d’oro, dal momento che sono morti nelle stesse circostanze e la storia partigiana di Enea era anche più intensa di quella di Bolla.
Sulla lapide poi ci sono i nomi di battaglia degli uccisi in ordine alfabetico; di questo elenco, si può rilevare:
– il corpo di Egidio Vazzaz, “Ado”, non è mai stato trovato, né ci sono altre prove valide perché sia stato inserito fra gli uccisi;
– “Rinato”, “Mache” e “Vandalo” sono morti in altre circostanze che già al processo di Lucca, nel 1951, erano emerse e non centrano con Porzûs;
– “Flavio”, Erasmo Sparacino, risulta dai documenti presso l’anagrafe di Cividale fucilato dai nazisti il 12/02/’45; anche il suo nome continua a essere citato fra le vittime di Giacca;
– “Gruaro”, Comin Giovanni, non era osovano, ma garibaldino e il suo nome da partigiano era “Tigre”; non si capisce come mai i dirigenti osovani lo abbiano indicato sia nella lapide sia nel processo con questo nome di battaglia del tutto inventato;
– Di fronte a tanti nomi sbagliati o che non dovrebbero esserci, nella lapide manca invece quello di Elda Turchetti, che pure nei giorni precedenti all’eccidio era stata arruolata nelle file osovane, con un numero di matricola, 1755, e nome di battaglia, “Livia”. Ciò risulta dallo stesso diario di Bolla e da documenti presenti nell’Archivio “Osoppo”.
L’eccidio di Porzûs fu presentato come l’esecuzione di un ordine degli sloveni; per sostenere questo venne presentato al processo dall’accusa un breve documento a firma di Ultra, Alfio Tambosso, il responsabile organizzativo della Federazione clandestina del PCI di Udine. In tale documento indirizzato in modo generico a “cari compagni” e datato 27/1/’45, si chiedeva di mandare in montagna circa 100-150 persone “da porre alle dipendenze della Divisione ‘Garibaldi Natisone’, operante agli ordini del Maresciallo Tito”. Come risulta dall’analisi del documento, questo non può essere affatto l’ordine dell’azione di Porzûs, ma i giudici non andarono troppo per il sottile e ancora una volta accettarono le tesi osovane. È importante ricordare un altro fatto: i dirigenti osovani si procurarono questo documento con un furto nella sede dell’ANPI, come l’autore del furto (Giorgio Brusin, futuro membro di Gladio/Stay Behind) avrebbe ammesso anche nel corso del processo. Nello stesso furto si procurarono anche l’altro documento d’accusa fondamentale, e cioè quella che sarebbe la relazione dell’azione, inviata dal triumvirato gappista Marino, Marco e Valerio alla Federazione del PCI e al Comando della “Natisone”. Che fosse procurata con un furto all’ANPI da parte di alcuni osovani non turbò i giudici. Ma val la pena di ricordare ciò che disse Mario Fantini – Sasso, l’eroico comandante della divisione “Garibaldi-Natisone”, da dietro le sbarre della gabbia in cui gli imputati erano rinchiusi: “Come hanno rubato i documenti, possono aver rubato anche i timbri”, intendendo che potevano aver falsificato i documenti.
Tornando al contesto generale dell’autunno del ’44, bisogna ricordare ancora che in ottobre c’era stata la liberazione di Belgrado e gli Jugoslavi rivendicavano i territori italiani abitati anche da sloveni e croati, in sostanza la Benecija nell’attuale provincia di Udine, e tutta la Venezia Giulia. In quello stesso autunno si sviluppano i contatti di vari esponenti della Repubblica di Salò, primo fra tutti Junio Valerio Borghese, con esponenti della Resistenza non comunista, per la costituzione di un fronte anticomunista e antislavo. Di questi contatti si ha ampia attestazione, e i documenti relativi si trovano anche agli atti del processo di Lucca. Contatti si ebbero dai massimi vertici della Osoppo sia coi nazisti (e non soltanto per scambio di prigionieri, come affermò don Moretti) sia e soprattutto coi fascisti. Questi contatti si infittiscono nel gennaio del ’45, poco prima dell’eccidio di Porzûs, ci fu un’incontro con Candido Grassi, il massimo esponente militare della Osoppo e il capitano Morelli della X Mas, delegato da Junio Valerio Borghese.
Anche il delegato politico di Bolla, Alfredo Berzanti, fu pesantemente coinvolto in trame coi nazifascisti, in particolare per la costituzione del presidio di Ravosa, formato da osovani e repubblichini, ufficialmente in funzione anticosacca (i cosacchi erano alleati dei repubblichini!) ma in realtà in funzione antigaribaldina. Lo stesso Bolla era coinvolto in questi contatti, ed infatti proprio il giorno dell’eccidio avrebbe dovuto incontrarsi col federale fascista di Udine, Mario Cabai. Da quanto risulta dallo stesso diario di Bolla, nel gennaio del ’45 egli stava mettendo in piedi una formazione di Arditi in funzione antislovena e antigaribaldina.
Tutti questi contatti non sfuggivano ai garibaldini, i quali ne erano grandemente preoccupati. Anche a livello di base c’erano molti sintomi, che si esplicitavano per esempio nel diverso trattamento di tedeschi e fascisti nei confronti dei prigionieri osovani o garibaldini.
In queste regione friulane c’era la presenza di molti apparati militari: inglesi, americane e del governo del sud. Il capo di una di queste, il maggiore inglese Nicholson era al corrente dei contatti fra “Osoppo” e X Mas, e un suo agente, Cino Boccazzi, ne fu il principale mediatore. Dai documenti di queste missioni emergono anche contrasti fra inglesi e americani, che si stavano giocando il controllo dell’area che si sapeva già strategicamente importante nel dopoguerra, come confine non solo con la Jugoslavia, ma anche coi paesi dell’est.
Le missioni del governo del Sud tramavano per un accordo fra resistenza non comunista e repubblichini in funzione antislava, e proprio nei giorni in cui si svolgeva la vicenda di Porzûs operarono per provocare una reazione armata congiunta osovano-repubblichina antislava e antigaribaldina.
Per avere un quadro abbastanza completo della situazione precedente all’eccidio, nei rapporti fra garibaldini e osovani, bisogna ricordare ancora che nel gennaio del ’45 i garibaldini avevano raccolto alcune testimonianze di tradimenti da parte degli osovani. In particolare proprio i gappisti di Giacca avevano raccolto la confessione di un certo “Brontolo”, Marcon Guido, ex osovano, arrestato dai tedeschi e poi infiltratosi fra i gappisti, ai quali aveva raccontato, facendo anche i nomi fra cui quello di Bolla, non solo dei contatti di questi coi fascisti, ma di uccisioni di garibaldini commesse dagli osovani. Marcon Guido fu poi fucilato come spia.
In quegli anni in Friuli crebbero le grandi organizzazioni clandestine anticomuniste, il III Corpo Volontari della Libertà, l’organizzazione “O” (da “Osoppo”) del generale Olivieri, i cui aderenti sarebbero poi confluiti in Gladio/Stay Behind, costituita nel 1956 con un accordo anticostituzionale fra servizi segreti americani e italiani. Tali organizzazioni avrebbero letteralmente avvelenato il clima politico e sociale della regione, in stretta alleanza con la Chiesa udinese dell’arcivescovo Giuseppe Nogara, prima entusiasta del fascismo, poi collaborazionista dei nazisti e poi organico alla guerra fredda alleata. Gli uomini di queste organizzazioni erano in gran parte osovani, ma anche ex repubblichini riciclati in massa negli ultimi giorni di guerra, come i rastrellatori antipartigiani del Reggimento alpini “Tagliamento” (repubblichini di Salò), entrati in massa nella “Osoppo” nell’ultimo giorno di guerra…..
UN BRINDISI TRA PRESIDENTE E GLADIATORI
dai media del 07 febbraio 1992
UDINE – “Sabato 8 febbraio, ore 20: impegno privato in prefettura. Ore 20,30: pranzo”. C’è un “buco” di mezz’ora nel programma ufficiale della visita del presidente Cossiga in Friuli. Nulla dice il programma su quell’ “impegno privato”. Ma le indiscrezioni filtrate in questi giorni hanno svelato il piccolo mistero: Cossiga incontrerà i gladiatori. Anzi, solo una rappresentanza, visto che il numero dei friuliani che comparivano negli elenchi di Gladio è a due zeri. La delegazione sarà con ogni probabilità guidata dal senatore friulano della Dc, Claudio Beorchia, unico parlamentare in carica che figurava nell’organigramma di Stay behind e in questa occasione accompagnatore ufficiale del capo di stato in rappresentanza di Palazzo Madama. Il Quirinale “non conferma e non smentisce” e in ogni caso si fa notare che se anche così fosse “si tratterebbe di un incontro privato”. Dell’aperitivo coi gladiatori pare non sia stata informata la prefettura di Udine, anche se è proprio il palazzo del governo del capoluogo friuliano la sede scelta per l’incontro. Al di là dell’appuntamento coi gladiatori, l’ attenzione per la visita di Cossiga in Friuli (il presidente arriverà oggi alle 17,20 all’ aeroporto di Ronchi dei Legionari e ripartirà nel primo pomeriggio di domenica) è concentrata soprattutto sull’appuntamento fissato per domenica mattina alla malga di Porzus, 30 chilometri da Udine, che nel febbraio del 1944 fu teatro di un eccidio che vide morire 17 partigiani bianchi della brigata “Osoppo” per mano dei “garibaldini”. Quell’eccidio è una ferita ancora aperta nella storia friulana e la vigilia del 47° anniversario di Porzus è accompagnato dallo scambio di reciproche accuse tra i protagonisti della Resistenza e dall’apparire di documenti “sospetti”. Nei giorni scorsi, infatti, l’ Associazione partigiani Osoppo (la brigata “Osoppo” fu il terreno su cui sorse l’ organizzazione “O” a sua volta considerata madre di Gladio) ha diffuso un documento datato 6/4/’45 in cui la federazione del Pci di Udine invitava i friulani a “comprendere il diritto dei nostri fratelli sloveni a raggiungere il sacro confine del Tagliamento”. Ma secondo il presidente provinciale dell’ Anpi e molti protagonisti della Resistenza si tratta palesemente di un falso storico a scopo di propaganda. Cossiga ha anche un altro viaggio in programma: ancora non è ufficiale, ma tra un mese dovrebbe tornare nella sua Sardegna. E tra le visite previste dal programma, ce n’ è anche una a Ghilarza, alla casa di Antonio Gramsci. Nella sua ultima invettiva il presidente della Repubblica aveva accusato i comunisti di aver abbandonato Gramsci (“e speriamo che non sia peggio”) per il dissenso con Stalin.
Fra il 2001 e il 2003 vi furono due tentativi di riconciliazione: il primo fu il già citato incontro fra “Vanni” e il sacerdote osovano don Redento Bello “Candido” (23/8/2001); il secondo, sempre organizzato da “Vanni” e “Candido”, coinvolse anche i vertici dell’Associazione Partigiani Osoppo e una serie di politici locali e nazionali (9/2/2003), ma i rapporti fra reduci osovani e garibaldini non si rasserenarono completamente…..
Il paradosso è che queste merdacce cattofasciste esistono ancora!!!
http://www.stay-behind.it/New/News06/Segnal_MV%203%20lug%202006.htm
Strategia della tensione: Gladio l’esercito segreto della Nato
https://www.youtube.com/watch?v=l3iUqAVS9_E
Rsp (individualità Anarchiche)