7/2/1945: Eccidio di Porzûs (2° parte)
La Brigata Osoppo
Formazione partigiana bianca, foraggiata dagli alleati, che all’inizio agisce principalmente in Friuli, e nella quale verranno arruolati diversi fascisti che abbandonano la RSI. Nel Febbraio del ’45, la Brigata Osoppo partecipa ad un accordo con l’Organizzazione Franchi (rete spionistica collegata all’Intelligence Service e diretta da Edgardo Sogno), e la X MAS (il corpo speciale della RSI, comandato dal “principe nero” Junio Valerio Borghese), per contrastare le brigate partigiane jugoslave dopo la sconfitta dell’esercito d’occupazione nazista. Dalla Osoppo nasceranno nel maggio ’45 le formazioni armate anticomuniste: II Corpo Volontari delle Libertà, Volontari per la Difesa dei Confini, Gruppi Tricoloristi. Le radici della cosiddetta destra bianca eversiva, com’è accaduto e accade per quasi tutte le cose peggiori in Italia, affondano in un complesso sistema di ingerenze esterne (in prevalenza da parte delle superpotenze vincitrici del 2° conflitto mondiale: vaticano, Usa e Urss) nella vita politica, militare, economica e civile del nostro Paese. Nel 1948 esistevano nuclei armati di irriducibili di Salò, i quali confluirono nella brigata Osoppo, e che non volevano accettare la nuova situazione nazionale.
Ma questi non erano in grado di progettare freddamente ed analiticamente una strategia di lotta anticomunista, allo scopo di operare quello che, in uno dei vari contributi offerti dalla disciolta Commissione Stragi, viene definito “un cordone sanitario” nei riguardi della sinistra italiana. I reduci irriducibili di Salò erano pochi, emarginati e ridotti alla fame. All’immediata vigilia di quel crocevia di ogni futura spinta rivoluzionaria che fu la scadenza elettorale dell’aprile 1948, così si esprimeva il National security council americano a proposito dell’impegno anticomunista in Italia: “La dimostrazione di una ferma opposizione degli Usa al comunismo e la garanzia di un effettivo sostegno americano, potrebbe incoraggiare gli elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo, anche a costo di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi di un controllo comunista”.
La conclusione fu la proposta di fornire a tali elementi, concreti appoggi finanziari e militari. Come si vede, nel nostro paese, più o meno nello stesso momento, le 2 superpotenze affilavano le armi e raffinavano le strategie di penetrazione nell’economia e nella finanza, sulla testa degli italiani, che eran solo un dettaglio collaterale nel grande schema della Guerra fredda: questo è lo scenario in cui nacque la guerra civile permanente, da cui si crearono le condizioni, in momenti di particolare tensione, per una drammatica ripresa delle ostilità. Ma non più con le armi convenzionali, ma attraverso i princìpi e le regole dei conflitti a bassa intensità. Prima fra tutte con l’applicazione della dottrina della guerra psicologica. Come è noto, nelle elezioni del ’48 stravinse la Dc, atlantista e filoamericana. Ma gli Usa, dopo lo scampato pericolo, ritennero di non dovere ripetere il rischio e si diedero da fare per creare una fedele struttura clandestina permanente, che vigilasse in silenzio, sotto l’egida delle neonate istituzioni democratiche, in vista di un’eventuale invasione militare da Est: così nacque l’organizzazione “O” (dove “O” sta per Osoppo), come la formazione partigiana che, 6 mesi dopo la fine della guerra, fu ricostituita per sorvegliare i confini con la Jugoslavia, e che diede molti uomini alla neonata struttura, cambiando presto la sua denominazione in Volontari Difesa Confini Italiani.
La Vdci, immediata antesignana della rete Stay Behind, assunse ben presto la funzione di difesa e protezione degli obiettivi sensibili, in momenti di grave perturbazione pubblica, riassumendo, nel 1950, il suo nome originario, per diventare, alla fine del 1956, la “Stella Alpina”, che sarebbe diventata una delle 5 articolazioni di Gladio: non si trattava di una struttura da poco se, nel ’50, poteva contare su circa 6.500 uomini mercenari tra ufficiali, sottufficiali e truppa. Nel ’47, inoltre, fu affidato al col. Ettore Musco (che nel ’52 divenne comandante del Sifar), il comando dell’Armata italiana della libertà (Ail), organizzazione fascista finanziata dalla Cia. Il capo era Sorice già min. della guerra Badoglio. Nel suo comitato centrale si contano 4 ammiragli, 10 generali e 4 colonnelli), che lui stesso aveva fondato.
È in questo contesto che si colloca, intorno alla metà degli anni ’50, anche l’attività del movimento anticomunista Pace e libertà, fondato dalla medaglia d’oro al valor militare Sogno, che appare legato da relazioni semiufficiali con i ministri Scelba e Moro, (Moro lo raccontò ai suoi carcerieri nel ’78) in chiave di difesa-protezione civile con forte impostazione antisovietica. Sulla strada della creazione di Gladio, si collocano anche 2 piani lanciati su scala europea dagli americani: il 1° è il Demagnetize (in Francia si chiamerà Cloven), che aveva l’obiettivo di arginare ogni attività sovversiva comunista in Italia. Questo vasto ed articolato piano, giunto alla sua fase operativa a metà del 1952, assunse il nome di piano Clydesdale, ed ebbe come principale nemico l’asse Pci-Cgil, individuato come un potere comunista italiano. La strategia del piano era semplice: repressione delle attività comuniste e promozione dello sviluppo sociale ed economico dell’Italia in chiave filoamericana, scollando sempre di più i sindacati dalla sinistra. Protagonista delle relazioni internazionali che favorirono la nascita di questo vasto progetto, fu Alcide de Gasperi, che, tuttavia, fu sempre attentissimo a non far trapelare le sue reali relazioni con gli States, simulando un’assoluta autonomia di scelte, che era invece fittizia. Nei secondi anni ’50, proseguì alacremente questa attività resistenziale segreta, con la creazione del Reparto Guerra Psicologica (’57) e l’allestimento del gruppo d’indagine sui dirigenti comunisti guidato dal questore Domenico De Nozza (’58). Molte di queste strutture si appoggiavano a elementi neofascisti, che pure, spesso, venivano arruolati in modo diretto dai servizi occidentali (come per Carlo Digilio, Marcello Soffiati e Marco Affatigato). Per alcuni pare evidente il legame tra queste attività e quelle che erano state le strutture dell’Ovra, la polizia segreta di Mussolini, da cui vennero spesso uomini e programmi della lotta anticomunista occulta del 2°dopoguerra. Tuttavia, nelle liste degli informatori dell’Ovra vi erano molti elementi “agganciati” nel Partito comunista, nel Partito socialista e in altri movimenti di sinistra.
Celebre, ormai, la figura del mercenario Giorgio Conforto, per decenni il capo della rete di spionaggio del Kgb in Italia, fonte informativa privilegiata dell’Ovra di Guido Leto. Tutto questo fervere di sigle, piani e operazioni portò, inevitabilmente, da una parte, a una spaventosa commistione tra attività istituzionali e attività clandestine e, dall’altra, alla necessità di creare una sovrastruttura che queste attività le comprendesse tutte, nel bene e nel male: è Stay Behind, più nota come Gladio. Un caso a se stante è quello riferito ai Nuclei di difesa dello stato (Nds), in parte svelati dal col. Amos Spiazzi, il quale ha raccontato che questa rete di resistenza clandestina, attiva in prevalenza nel Nord Est del Paese è stata attiva fino al 1973: anno cruciale per tutte le organizzazioni parallele operanti dal dopoguerra: da Stay Behind alla Gladio rossa. Nell’estate del ’73, la rete dei Nuclei di difesa dello stato (poiché scarsamente fedele all’atlantismo made in Usa) venne smantellata. La dirigenza del Pci di quegli anni aveva una totale connivenza col nemico di allora, cioè l’Urss, e che, pertanto, lo stato democratico avesse il diritto-dovere di tutelarsi, in funzione antisovietica e antinvasione.
Lo Stato ha dato vita a delle strutture ampiamente clandestine, alcune delle quali non solo inutili, ma del tutto illegali. Gladio, i Nds, il Gruppo Siegfried (sempre dei Nds) di ex repubblichini, avrebbero dovuto intervenire su piani come il piano Solo. Dal nome Solo perché fatto solo dalla brigata meccanizzata dei carabinieri, nato negli anni ’50, ma rispolverato nel 1964 dal governo dell’epoca e affidato al gen. Giovanni De Lorenzo. Esistevano presso il ministero dell’Interno e le Prefetture piani di emergenza in caso di gravi turbamenti dell’ordine pubblico che prevedevano, con prassi dettagliate e precise, lo stato di fermo per tutta una serie di persone ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. Ufficialmente, Gladio nacque nel novembre 1956, con un accordo tra il Sifar (dipendente dal ministero della Difesa) e la Cia. Dato che, però, l’investitura istituzionale di Gladio è legata all’accordo del 1959 che ammise il Sifar nella struttura Nato del Coordination and Planning Committee, bisogna ritenere che la struttura, almeno tra il ’56 ed il ’59, agisse senza un’adeguata legittimazione istituzionale. Tuttavia, proprio per le esigenze di sicurezza, al fine di tenere il più possibile questa materia lontana dalle curiosità interessate del Pci (legato a doppio filo a Mosca, non solo per la questione dei finanziamenti), le “nostre autorità” centrali decisero che la questione non avrebbe mai e poi mai potuto entrare nel dibattito parlamentare.
L’Italia, sia nelle attività della maggioranza parlamentare che in quelle dell’opposizione, è stata per decenni un Paese a doppio Stato, e quindi a sovranità limitata, con un Parlamento in cui gli uni tenevano all’oscuro gli altri (e viceversa) delle attività clandestine legate alla guerra fredda. Questo clima di guerra civile continua, è forse la principale ragione dell’incapacità oggettiva dell’Italia di fare i conti con la propria storia e di tirare una riga sul proprio passato: finché sarà in vita la generazione impunita che fu protagonista di questa drammatica lotta sotterranea, questi conti resteranno in sospeso. Così come il giudizio su quei personaggi che ne furono, nel male, protagonisti.
Nei mesi che avevano preceduto la caduta di Mussolini, mentre si profilava l’inevitabile sconfitta dell’Asse, la diplomazia Usa aveva sondato orientamenti e desideri della chiesa, l’unica istituzione che in un paese segnato dallo sfacelo bellico mostrava di aver mantenuto la sua compattezza e di essere ancora in grado di tenere in mano le masse. Nell’occasione la Santa Sede si espresse in favore di un sistema monarchico conservatore e spese la sua parola a sostegno di quegli uomini politici appartenenti alla classe dirigente prefascista o che avevano militato nella compagine fascista moderata, mostrando invece la sua diffidenza, se non l’ostilità, nei riguardi delle personalità schierate nel campo dell’antifascismo. Come ha scritto Pietro Scoppola: “L’idea prevalente negli ambienti vaticani era quella di una sorta di continuità di un regime autoritario senza più Mussolini che avrebbe avuto nel mondo cattolico e nelle sue organizzazioni il suo punto di forza”. Indicativa, a questo proposito, la lettera inviata dopo la caduta di Mussolini e datata 11/8/’43 da Luigi Gedda, pres. centrale della Gioventù cattolica, al nuovo capo del Governo Badoglio. Nella missiva si consigliava al I ministro di utilizzare le forze inquadrate nell’Azione cattolica in modo da rafforzare la compagine statale contro il pericolo di sovversione, rappresentato sia dai fuoriusciti sia dall’antifascismo in genere, avanzando contemporaneamente l’idea di una prossima successione dei cattolici alla guida del paese. Di fronte all’ipotesi ormai più che realistica della sconfitta dell’Asse, la chiesa si mostrava più che altro preoccupata per l’avanzata del comunismo e cercava di porvi un argine concedendo il proprio appoggio a quelle forze che apparivano propense a ridisegnare gli assetti politici e sociali senza mettere in discussione ciò che essa conquistò nel corso del ventennio fascista. L’atteggiamento estremamente prudente della chiesa rimase tale anche dopo la fuga della monarchia e la divisione dell’Italia. Un futuro nel quale non erano escluse le istanze di rinnovamento che, comunque, doveva essere contrassegnato da uno sviluppo politico lento e controllato. Queste prese di posizione mostrano la diffidenza che la chiesa nutriva nei riguardi di quei movimenti armati che combattevano non inquadrati in reparti regolari.
Questo scetticismo si dissolse solo nell’estate del 1944 dopo che, prima la svolta di Salerno compiuta dal Pci, poi la liberazione di Roma, infine la creazione di un unico comando militare partigiano riconosciuto dagli alleati, attenuarono molto i timori del vaticano. Ciò nonostante sul piano politico fu proprio la santa sede, coi radiomessaggi natalizi del 1942, ’43 e ’44, ad incentivare la discussione e l’aggregazione dei cattolici. I 3 testi, che affrontarono rispettivamente i temi dell’ordine interno degli stati, della civiltà cristiana e del problema della democrazia, costituirono la grande cornice entro la quale il mondo cattolico poté muoversi alla ricerca di una nuova identità.
I 3 messaggi, che non indicavano una linea politica ben definita, rompevano però decisamente col passato poiché definivano la democrazia non più una fra le tante forme di governo possibili, ma bensì come la scelta tendenzialmente ottimale, affinché fosse garantito il rispetto della stessa chiesa e della coscienza religiosa. Aperture e chiusure convivono a fianco una dell’altra evidenziando come la santa sede si trovò ad agire su più livelli differenti, secondo una linea di comportamento molto spesso ambigua e oscillante che sfociava in direttive le cui norme eran poco applicabili nei casi concreti. Secondo Enrico Mattei partigiano bianco, che prese parola al I congresso della Dc nell’aprile del 1946 sull’argomento della partecipazione alla Resistenza, le forze messe in campo dai cattolici furono nell’ordine di 65.000 uomini distribuiti in 180 brigate o unità corrispondenti destinati a toccare la punta di 80.000 nella fase preinsurrezionale. Mattei per stimarne il loro apporto numerico alla fine della lotta di liberazione dichiara che il totale dei combattenti all’inizio del ’45 era di circa 130.000 uomini destinati a toccare la cifra di 200.000 a metà dell’aprile successivo.
Di creazione democristiana fu la Brigata Osoppo e le brigate del popolo, la cui organizzazione fu avviata nell’estate del ’44 e che mantennero una diffusione prevalentemente cittadina.
Gladio Bianca
Nel 1947 i dirigenti nazionali della Dc prendevano sul serio il pericolo di una insurrezione comunista ed erano convinti che essi, come paventava Giuseppe Dossetti, erano in grado «di massacrare i nostri quadri periferici con pochi uomini». La questione dell’insurrezione armata comunista venne posta in 2 fasi diverse: nel dicembre ’47, quando era imminente il ritiro dall’Italia delle truppe americane; poi nell’estate 1950, dopo lo scoppio della guerra in Corea. Secondo lo storico Piero Caveri, il Pci disponeva di un vasto apparato militare la ‘Gladio Rossa’, pronto ad agire se i russi sceglievano lo scontro con l’occidente. Il movimento dei cattolici-comunisti o partito della sinistra cristiana erano formazioni che operarono nella resistenza antifascista e che ebbero tra i loro esponenti Franco Rodano, Felice Balbo, Adriano Ossicini. Fu Stalin, in quella fase, a bocciare l’ipotesi insurrezionale, raffreddando gli ardori di Pietro Secchia e confortando la linea cauta di Palmiro Togliatti. Ma la Dc non stava a guardare. Nel timore che il ritiro Usa inducesse i russi a tentare un colpo di forza, fu avviata la costituzione di gruppi paramilitari (Gladio bianca) sulla base delle formazioni partigiane moderate che, come quelle ‘rosse’, non avevano consegnato le armi. Si decise allora di coordinare l’iniziativa con il piano anti-insurrezionale predisposto dal min. dell’Interno, Mario Scelba. Prima del voto (aprile 1948), la Dc attuò «una progressiva militarizzazione del partito, aprendosi al sostegno di tutti coloro che ritenevano in pericolo la democrazia, senza alcuna pregiudiziale politica», né verso la destra nostalgica né verso la massoneria. I 2 partiti, dunque, si tenevano entrambi pronti a un conflitto cruento, anche se va sottolineato che, mentre i comunisti avevano al loro interno un’anima rivoluzionaria (frenata da Togliatti e da Mosca), i democristiani, assegnavano ai loro nuclei armati clandestini, sostenuti anche dagli americani, un compito difensivo.
Il fantasma della guerra civile parve materializzarsi nel luglio 1948, quando l’attentato a Togliatti innescò una sanguinosa sollevazione popolare. Il Pci non smobilitò le sue forze paramilitari. E così pure la Dc. Successivamente, mentre in Corea ci si combatteva, il tema tornò al vaglio della direzione democristiana. Qui, il 18/7/1950, si manifestò un dissidio che non era emerso nel ’47. Mentre il ‘falco’ Domenico Ravaioli presentava la questione comunista come ‘un problema che va risolto in termini di forza’, e anche Taviani chiedeva di far in modo che fosse ‘tutto pronto’ per metter eventualmente fuori legge il Pci, il segretario Gonnella, propose una linea più ottimistica e prudente, convinto che la minaccia si potesse fronteggiare in altro modo. Si tratta di notizie che gettano nuova luce sulle organizzazioni segrete che operarono nella Slavia (Porzus) con la motivazione di difendere i confini dalle invasioni jugoslave, la loro funzione era subordinata alla politica nazionalista. Il termine cattocomunismo ha un significato prevalentemente spregiativo, e tende a indicare, in ambito filosofico/politico, quelli di fede cattolica, che optarono per una scelta politica e programmatica in senso comunista, senza aderire totalmente al marxismo. Molto diffuso nella pubblicistica politica a partire dagli anni ’70, è servito a indicare il processo di avvicinamento tra Pci e Dc nell’ambito della strategia berlingueriana del compromesso storico e di quella morotea della terza fase.
Da allora, il termine cattocomunista è usato per definire gli esponenti della sinistra Dc (molti dei quali di derivazione dossettiana), poi confluiti prevalentemente nella Margherita, poi Ds, Pds, Pd, ecc.
Negli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e sul terrorismo per quanto riguardano gli anni 1978/’79 ci indicano una struttura segreta paramilitare con funzione organizzativa antinvasione, ma che aveva poi debordato in azioni illegali, con funzioni di stabilizzazione del quadro interno; struttura che ha origine sin dal periodo della resistenza attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizazioni di altra tendenza. Alcune formazioni comuniste erano state infiltrate durante la resistenza al fine di portarle all’annientamento. Questo gruppo avrebbe poi continuato a funzionare nel dopoguerra e avrebbe costituito la ”tecnostruttura” destinata a muovere anche in seguito le fila sia del terrorismo di destra, sia del terrorismo di sinistra. Una descrizione che assomiglia decisamente al modo in cui Franceschini (fondatore BR), ha descritto l’Hyperium sull’intervista di Sabina Rossa sul libro “Guido Rossa, mio padre” , Spiega che Moretti non era una spia, questa è sempre stata una traduzione giornalista, semplificata, brutalizzata, del suo pensiero. Moretti era un terminale delle relazioni internazionali delle Br, un punto di congiunzione tra l’organizzazione interna e il contesto internazionale. Andava a Parigi per incontrare gli uomini della scuola di lingue chiamata Hyperion, suoi vecchi compagni sin dai tempi del Superclan, che era un livello delle Brigate Rosse ancora piu’ occulto. Da Parigi partivano anche i contatti con le organizzazioni europee e tutti i traffici di armi. Franceschini, preferisce parlare di Moretti non come una spia ma come un infiltrato. Da parte di chi? ”del terzo livello”. Un termine nuovo, per il terrorismo, che vuol dire? ”Il primo livello [spiega Franceschini] era il movimento rivoluzionario e il secondo le Br, che quel movimento infiltrarono al fine di reclutare militanti. Poi c’è stato il terzo livello rappresentato da chi utilizzava anche la lotta armata per garantire gli equilibri del mondo sanciti a Yalta [servizi segreti], nel 1945 quando l’Est e l’Ovest rappresentati da Roosvelt, Churchill e Stalin si spartirono il mondo”. Secondo il parere di Renato Curcio (fondatore Br) nell’intervista di Sabina Rossa spiega che lui l’idea che si è fatto, è che esistessero due livelli delle Br, non comunicanti tra loro, anzi crede che il 2° livello, che aveva rapporti internazionali, in modo particolare con la Francia (Moretti andava spesso a Parigi) agisse in una dimensione ancora più occulta e fosse adirittura ignoto al primo.
Quella tecnostruttura, nata nel dopo guerra, lavorava per indebolire il più possibile la componente comunista della resistenza, non si era mai sciolto ed era ancora attivo negli anni ’70. Sin dai tempi della guerra nel biellese operava segretamente un gruppo di agenti anticomunisti che avevano infiltrato le brigate di Moranino per annientarle. Gli agenti ifiltrati nelle formazioni comuniste erano persone che qualche servizio segreto alleato impiegava per colpire le formazioni di estrema sinistra, comunisti, socialisti. Insomma partigiani che infiltravano altri partigiani per portarli all’annientamento. L’esito della guerra era ormai scontato e si sapeva che sarebbe finita con la vittoria alleata (Stay Behaind – Gladio Bianca) e ci si preparava già per il dopo. Il problema del dopo era stato individuato nella presenza di un forte partito comunista, che già nella guerra di lberazione aveva un’efficiente rete militare; “Gladio Rossa”.
L’ambiguità del brigatista Mario Moretti
La famiglia di Moretti è lontana dalla tradizione della sinistra, alcuni parenti sono fascisti, lui stesso frequenta parrocchie e scuole religiose e, dopo la morte del padre, fa le scuole superiori, professando idee di destra, in un convitto di Fermo (Ascoli Piceno) grazie all’aiuto economico della nobile famiglia milanese dei Casati Stampa di Soncino, quei Camillo e Anna protagonisti nel 1970 di un clamoroso caso di cronaca, quando il marchese Camillo uccise la bellissima moglie e il giovane amante di lei. La loro villa San Martino di Arcore sarà poi acquistata dal giovane imprenditore piduista Silvio Berlusconi. Finiti gli studi, Moretti si trasferisce a Milano, si iscrive all’Università cattolica con una dichiarazione del viceparroco che garantisce che il giovane “professa sane idee religiose e politiche” e, grazie alla raccomandazione dei Casati Stampa, viene assunto alla Sit-Siemens, dove si iscrive alla Cisl (sindacato cattolico). Alla Sit-Siemens avviene la politicizzazione di Moretti, che frequenta il Cpm (Collettivo politico metropolitano) guidato da Renato Curcio e Corrado Simioni. Quando le strade dei due si divaricano, con Curcio che fonda le Brigate rosse e Simioni che segue il proprio progetto di una organizzazione superclandestina (da cui il nome di ‘Superclan’) che infiltri tutte le realtà della sinistra rivoluzionaria, Moretti segue Simioni, ma poi rientra nelle Br (lo stesso farà poco dopo Gallinari) portando avanti una linea che privilegia l’aspetto ‘militarista’ rispetto a quello ‘politico’. Moretti era il braccio destro di Simioni e Senzani (Giovanni Senzani. Criminologo, collaboratore del ministero di Grazia e Giustizia, infine capo spietato delle ultime Brigate rosse, il colpevole della barbara esecuzione di Roberto Peci, “fratello” del pentito Patrizio).
Moretti, negli anni successivi, si recherà numerose volte a Parigi, sfuggendo tranquillamente a tutti i controlli….
Nel settembre 1974, l’ infiltrato ‘Frate Mitra fa arrestare Curcio e Franceschini, che avevano con se’ gli schedari portati via qualche mese prima dalla sede del ‘Comitato di Resistenza Democratica’ di Edgardo Sogno. Una soffiata sulla minaccia arriva a Moretti, che non avverte in tempo i suoi compagni, e resta così il principale leader delle Br, anche perchè, poco dopo, Mara Cagol sarà uccisa e Giorgio Semeria gravemente ferito, entrambi in circostanze ancora poco chiare….
La storia di Moretti si intreccia spesso con quella della ‘strategia della tensione’ e con quella di Edgardo Sogno e dei suoi principali collaboratori, gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, quel Roberto Dotti al quale Simioni aveva raccomandato a Mara Cagol di rivolgersi per qualsiasi emergenza. Sembra quasi che l’obiettivo sia comune: attaccare il Pci e ridurre il suo peso nella società italiana. La fidanzata e i futuri suoceri di Moretti abitavano nello stesso edificio dove c’era la sede di Luigi Cavallo e che, dopo il matrimonio, Moretti e la moglie vanno a vivere in una piccola strada dove abitano anche Roberto Dotti e il capo dell’Ufficio politico della Questura Antonino Allegra. Con la leadership di Moretti, la ‘Primula rossa’ che per 10 anni sfugge a tutte le ricerche, le Br alzano il tiro e passano alla ‘propaganda armata’. Anche nelle Br qualcuno sospetta che Moretti sia una spia, ma l’inchiesta fatta da Bonisoli e Azzolini lo scagiona. Nel 1981 Moretti viene arrestato a Milano. Pochi mesi dopo, nel carcere di Cuneo, Moretti è aggredito e ferito con un coltello da un ergastolano comune, per motivi mai chiariti, ma che sembrano un avvertimento. Cominciano i processi e Moretti si ritrova con sei condanne all’ergastolo. A gennaio 1993, dopo meno di 12 anni di carcere, usufruisce del primo permesso premio. Nell’estate dello stesso anno, Moretti, in una lunga intervista a Carla Mosca e Rossana Rossanda, racconta la sua versione, che diventa un libro pubblicato da un editore ex militante del Superclan…..
Moretti avalla la ricostruzione del caso Moro fornita da Morucci e Faranda e si accolla la responsabilità di aver ucciso Moro, scagionando Gallinari. Passano quattro anni e, nell’estate del 1997, il capo delle Br ottiene la semilibertà. Nel delitto Moro c’è stato il coinvolgimento dei servizi segreti e ‘collusioni atlantiche’.
Nel 1994 Mario Moretti ottiene la libertà condizionata. Ora abita a Milano ed è stato riciclato dal cattolico integralista Roberto Formigoni, come coordinatore del laboratorio di informatica della Regione Lombardia…
Rsp (individualità Anarchiche)