Stazione Bologna 2 agosto 1980: STRAGE DI STATO!

Alle 10 e 25, 23 chili di tritolo esplodono nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria. Le lancette del grande orologio, ancora oggi, segnano quel tempo e quella stagione di morte e misteri. Un boato, sentito in ogni angolo della città, squarcia l’aria. Crolla l’ala sinistra dell’edificio: della sala d’aspetto di seconda classe, del ristorante, degli uffici del primo piano non resta più nulla. Una valanga di macerie si abbatte anche sul treno Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. Pochi interminabili istanti: uomini, donne e bambini restano schiacciati. La polvere e il sangue si mischiano allo stupore, alla disperazione e alla rabbia. Tanta rabbia per quell’attentato così mostruoso e vile che prende di mira turisti, pendolari, ferrovieri. Perché nessuno anche in quei primi istanti ha mai dubitato sulla matrice terroristica della strage: l’odore dell’esplosivo era inconfondibile. Cominciò quel giorno una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana. Un iter che ha portato a 5 gradi di giudizio, alla condanna all’ergastolo degli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, e a quella a trent’anni di Luigi Ciavardini.

Con un corollario di smentite, depistaggi e disinformazione. Resta la verità giudiziaria della pista neofascista e la strategia della tensione ma rimangono senza nomi i mandanti. I responsabili dei depistaggi, invece, come stabilito dai processi, sono Licio Gelli, P2, e gli ex 007 del Sismi Francesco Pazienza, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte.

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Arrivare ai mandanti è possibile. Basta volerlo, occorre che ci sia la volontà di farlo. E questa volontà adesso c’è”. Per il 39° anno Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime, sale sul palco antistante la stazione centrale di Bologna per l’anniversario della strage che il 2 agosto 1980 fece 85 morti e 200 feriti. “Dal 1981 (dice) anno in cui feriti e parenti delle vittime si sono uniti in associazione non abbiamo mai smesso di perseguire giustizia e verità: non ci fermammo allora e non ci fermeremo. Per noi e per tutti”. Ricorda che “dopo anni di ostacoli e difficoltà di ogni tipo la prima vittoria giudiziaria è arrivata con la condanna definitiva dei depistatori, i dirigenti del Sismi il generale Musumeci e il colonnello Belmonte, il faccendiere Pazienza e il gran maestro della loggia P2 Licio Gelli, e degli esecutori materiali, Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. Questi sono solo alcuni dei nomi dei colpevoli. Il quadro non è ancora completo, soprattutto mancano i nomi dei mandanti e degli ispiratori politici e per questo, a 39 anni da quel terribile giorno, andiamo avanti e andremo avanti fino a quando la giustizia non li avrà identificati e condannati”.

Lo scorso 28 maggio è stato revocato il proscioglimento dell’ex primula nera di Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini (foto sotto). La procura generale aveva chiesto la revoca del proscioglimento anche per un fotogramma che compare in un filmato amatoriale Super 8 girato da un turista tedesco in cui si notava una “spiccata somiglianza” fra una persona immortalata quella mattina nei pressi del primo binario poco dopo l’esplosione e Bellini. Ed è anche per questo che i familiari delle vittime hanno rivolto un appello a chiunque possa avere immagini di quel giorno da consegnare a chi non ha smesso di indagare. “C’è un impegno comune del Senato della Repubblica e dalla Camera dei deputati che mira a portare avanti il processo di declassificazione e digitalizzazione dei documenti delle commissioni di inchiesta. Ed è significativo che proprio nella giornata di oggi si tenga sul tema un tavolo tecnico fra le due amministrazioni per individuare i prossimi passi, con l’obiettivo di realizzare un portale unico parlamentare in cui rendere disponibili atti precedentemente classificati o comunque non direttamente accessibili al pubblico” annunciano i presidenti del Senato, Elisabetta Casellati, e della Camera, Roberto Fico.

Ma cosa è stata la strategia della tensione?

La strategia della tensione si basa su una serie preordinata di atti terroristici, volti a diffondere nella popolazione uno stato di tensione e di paura, tali da far giustificare o auspicare svolte politiche di stampo autoritario; può anche essere attuata sotto forma di tattica militare che consiste nel commettere attentati dinamitardi e attribuirne la paternità ad altri.

Questo periodo è stato caratterizzato dalla commistione di un terrorismo neofascista molto violento e da un mai chiarito terrorismo di Stato sostenuto da alcuni settori militari e politici che intendevano attuare un colpo di Stato in funzione anticomunista, specialmente dopo il movimento del Sessantotto e l’autunno caldo.

Il movente principale della strategia della tensione sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione politica italiana. In tale ottica, tra i moventi di tale strategia, soprattutto in Italia e nel quadro della guerra fredda, sarebbe stato quello di influire sul sistema politico democratico, rendendo instabile la democrazia e bloccare il progressivo spostamento dell’asse politico e governativo verso le forze di estrema sinistra, che all’indomani del Sessantotto e dell’Autunno caldo avevano migliorato le loro condizioni e rafforzato il loro ruolo nella società italiana. Vi sono molte ipotesi che portarono a sospettare un ruolo del SID in tale strategia per via di alcuni legami emersi con gruppi neofascisti: infatti, secondo alcuni storici, tali attentati terroristici avevano lo scopo di seminare il terrore tra la popolazione, in modo da legittimare l’instaurazione di un governo di tipo autoritario o addirittura colpi di stato da parte di forze politiche, o comunque organizzate, generalmente gravitanti nell’area dell’estrema destra. Sempre secondo alcuni storici e le risultanze giudiziarie, tale strategia golpistica trae origine ideologica fin dalla metà degli anni sessanta, in particolare dal cosiddetto “Piano Solo” (il fallito colpo di stato del 1964 fatto solo dai carabinieri) e dal Convegno dell’hotel Parco dei Principi organizzato dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio nel maggio 1965 (decisero la strategia stragista atlantica anticomunista) avente come tema la “guerra rivoluzionaria” anticomunista, in cui intervennero personalità del mondo imprenditoriale, alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, politici ed esponenti neofascisti (tra cui Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino).

Stragi organizzate dagli apparati militari dello stato Atlantico anticomunista …

Il 25 aprile 1969 scoppia una bomba al padiglione FIAT della Fiera di Milano, provocando diversi feriti gravi, ma nessun morto, e un’altra bomba viene ritrovata all’Ufficio Cambi della Stazione Centrale. Qualche mese dopo, il 9 agosto vengono fatte scoppiare 8 bombe su diversi treni, che provocano 12 feriti.

Il 12 dicembre 1969 una bomba esplose all’interno della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, provocando 17 vittime e 88 feriti; nello stesso giorno viene trovata una seconda bomba inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala, mentre altre tre bombe esplosero a Roma, una nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio (13 feriti) e altre due nei pressi dell’Altare della Patria (4 feriti).

Il 22 luglio 1970 un treno deraglia sui binari sabotati precedentemente da una bomba nei pressi della stazione di Gioia Tauro, uccidendo sei persone e ferendone una sessantina.

Il 31 maggio 1972, una Fiat 500 imbottita di esplosivo esplose nei pressi di Peteano, frazione di Sagrado, in provincia di Gorizia, uccidendo tre carabinieri e ferendone altri due.

Il 17 maggio 1973, Gianfranco Bertoli lanciò una bomba a mano sulla folla durante una cerimonia davanti la Questura di Milano, provocando 4 vittime e una quarantina di feriti.

Il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale in Piazza della Loggia a Brescia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti uccise 8 persone mentre un centinaio rimasero ferite.

Il 4 agosto 1974 una bomba esplose su una carrozza del treno Italicus all’uscita della Grande galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, provocando 12 vittime e 105 feriti.

Il 2 agosto 1980 una bomba esplose nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, uccidendo 85 persone e provocando circa 200 feriti.

Il 23 dicembre 1984 una bomba esplose su una carrozza del Rapido 904, ancora presso la Grande galleria dell’Appennino a San Benedetto Val di Sambro, in cui 17 persone persero la vita e oltre 260 rimasero ferite.

Talvolta sono stati considerati parte di una strategia della tensione o affini ad essa, anche la strage di Alcamo Marina e l’omicidio di Giorgiana Masi. I giudici Vittorio Occorsio e Mario Amato, che indagavano sui rapporti tra neofascismo e stragismo, vennero invece assassinati da due militanti di estrema destra.

Dopo la strage di piazza Fontana alcuni movimenti radicali, in particolare dell’estrema sinistra, adottarono gli slogan «strage di stato» o «terrorismo di stato» per indicare la loro convinzione che vi fosse la partecipazione nascosta (o il benestare) di settori dello Stato in azioni terroristiche ai danni del ‘proprio popolo’: tale teoria sarebbe consistita nella divisione, manipolazione e controllo dell’opinione pubblica mediante l’uso di paura, propaganda, disinformazione, manovre psicologiche, agenti provocatori e attentati terroristici compiuti mediante l’utilizzo della tecnica del False flag (cioè congegnati in modo tale da farli apparire ideati ed eseguiti da membri di organizzazioni dell’estrema sinistra o gruppi anarchici), nei quali era coinvolto un coacervo di forze e soggetti tra loro differenti (gruppi terroristici della destra neofascista, logge coperte della massoneria, parti deviate dei servizi segreti, nonché strutture e organizzazioni segrete, come ad esempio Rosa dei venti, e, talvolta, formazioni paramilitari, finanziate e addestrate direttamente dalla CIA, come Gladio, un’organizzazione stay behind nata inizialmente per contrastare le azioni di spionaggio ed un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica ai paesi della NATO).

Il 14/11/1974, il Corriere della Sera pubblicò l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, scritto dall’intellettuale e scrittore Pier Paolo Pasolini, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana:

«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».

(Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974.)

Poi rincarò la dose, e fece i nomi di importanti politici, circa due mesi prima il suo omicidio:

Giulio Andreotti, Amintore Fanfani e Mariano Rumor al convegno "La D.C. nella sua storia: le correnti"

«Andreotti, Fanfani, Rumor (foto sopra), e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna. (almeno in quanto colpevole incapacità di colpirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani, responsabilità dell’esplosione “selvaggia” della cultura di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. È chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla.»

(Pier Paolo Pasolini, Processare la Dc.)

l giornalista Roberto Scardova, assieme a Paolo Bolognesi (presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 e deputato del Partito Democratico), ipotizza un’unica strategia anticomunista internazionale, attuata in Grecia con la dittatura dei colonnelli, in Italia con la strategia della tensione, comprendente falsi golpe di avvertimento e reali stragi, di cui Bologna fu il culmine, e in America Latina coi colpi di Stato (Cile, dittatura argentina) dell’operazione Condor, con mandanti originari uomini dei servizi segreti anglo-americani, importanti politici italiani e stranieri. La strategia della tensione sarebbe partita da prima della fine della II guerra mondiale con la costituzione, in ambito fascista, della struttura parastatale denominata Noto servizio o «Anello», il cui capo durante la Repubblica, secondo quanto detto anche da Licio Gelli, sarebbe stato Giulio Andreotti. Lo stragismo avrebbe quindi da sempre usato manovalanza neofascista, neonazista, criminali comuni e mafiosi e avrebbe goduto di finanziamenti esterni provenienti dall’estero (sia dalla NATO, sia dal petrolio della Libia di Gheddafi, in affari segreti coi governi di Andreotti e con l’ENI di Eugenio Cefis) e da faccendieri italiani. Bolognesi e Scardova aggiungono all’elenco dei fatti anche gli omicidi di Pier Paolo Pasolini, Mauro De Mauro ed Enrico Mattei, oltre alla morte di Giangiacomo Feltrinelli, alcuni aspetti del caso Moro e le bombe mafiose del 1992-’93. In particolare, secondo alcuni, Michele Sindona avrebbe finanziato la strategia della tensione dal 1969 al ’74 (il periodo di maggior interesse degli Stati Uniti), mentre tra i successivi finanziatori, tra gli altri, ci sarebbero stati, in un doppio gioco internazionale dell’Italia tra NATO e paesi non allineati, tra CIA e FPLP, lo stesso Mu’ammar Gheddafi (anche azionista di minoranza della FIAT per via del petrolio, e forse coinvolto in un traffico d’armi tra la Libia e la penisola di cui faceva parte anche l’anticomunista Organizzazione Gladio, e la cui ascesa venne favorita di nascosto anche dai servizi segreti italiani) ma anche il citato Licio Gelli.Il raìs libico avrebbe anche, con Gelli, finanziato indirettamente le varie “leghe” indipendentiste e alcuni movimenti di estrema destra dal tono apparentemente anti-imperialista (come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, i principali gruppi coinvolti, coi NAR, nelle bombe stragiste dirette dai servizi deviati), presso cui godeva di grande rispetto, così come aveva fatto anche con l’IRA e Settembre Nero. Alex Boschetti e Anna Ciammitti nel loro libro La strage di Bologna che analizza la strage del 2 agosto 1980 e tutti i riscontri delle indagini, compresi i depistaggi attuati da Licio Gelli, considerano i NAR un punto di snodo nella strategia della tensione insieme con la P2 e la CIA per attuare uno spostamento dell’Italia verso destra con un golpe strisciante aiutato da gran parte dei rappresentanti di governo e servizi segreti (in buona parte iscritti alla loggia coperta P2).

Fu ipotizzato il coinvolgimento della P2 nella Strage dell’Italicus. Alla detta loggia viene inoltre attribuita impronta “atlantica”. Destabilizzare per stabilizzare, quindi una presa violenta del Paese così com’era teorizzato dal manuale trovato nella valigetta di Gelli “Field Manual” di provenienza CIA che forse finanziò e favorì tale situazione con l’operazione CHAOS per non permettere l’accesso al governo dei comunisti in Italia, sarebbe stato cioè un coinvolgimento dei servizi segreti italiani, uno dei cui direttori, Vito Miceli, fu arrestato nel 1974.

Secondo il cosiddetto “Memoriale Moro”, scritto dall’On. Aldo Moro durante la sua prigionia presso le Brigate Rosse:

«La cosiddetta strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ’68 ed il cosiddetto Autunno caldo. Si può presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d’informazioni. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio e lo stesso servizio italiano per avvenimenti venuti poi largamente in luce e per altri precedenti […] può essere considerato uno di quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del Processo di Catanzaro ed in via di accertamento, finalmente serio, a Catanzaro stessa ed a Milano.

Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico.

Tra essi erano anche elettori e simpatizzanti della D.C.[…] non soli, ma certo con altri, lamentavano l’insostenibilità economica dell’autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico.»

(Memoriale Moro)

Gian Adelio Maletti

Gian Adelio Maletti (foto sopra), l’ex capo dell’ufficio D del SID (dal 1971 al ’75), ora cittadino sudafricano e con diverse condanne pendenti in Italia (tra cui quelle relative ai depistaggi dei servizi nelle indagini sulla strage di piazza Fontana) il 4 agosto 2000 rilascia un’intervista al quotidiano La Repubblica in cui parla del coinvolgimento della CIA nelle stragi compiute dai gruppi di destra: secondo Maletti non sarebbe stata determinante nella scelta dei tempi e degli obbiettivi, ma avrebbe fornito ad Ordine Nuovo e ad altri gruppi di destra attrezzature ed esplosivo (tra cui, in base a quanto riferisce Maletti sulle indagini effettuate allora dal SID, anche quello impiegato nella strage di piazza Fontana) con lo scopo di creare un clima favorevole ad un colpo di stato simile a quello avvenuto nel 1967 in Grecia e del fatto che al SID, nonostante questo servizio informasse il governo di quanto scoperto, non fu mai chiesto di intervenire.

Gian Adelio Maletti venne ascoltato il 21/3/2001 dal tribunale di Milano, relativamente ai processi su Piazza Fontana (evento per cui era stato condannato nel 1981 per depistaggio). Sulla forma della sua deposizione vi fu uno scontro tra difesa e accusa. La difesa sosteneva che dovesse deporre come teste, quindi sotto giuramento e quindi obbligato a dire la verità. L’accusa sostenne invece che dovesse deporre come imputato e quindi senza giuramento e senza il conseguente obbligo di dire la verità. La corte sentenziò a favore delle tesi dell’accusa. Il Maletti depose quindi come imputato e quindi senza obbligo di attenersi al vero nella sua deposizione. Maletti dichiarò che esisteva una “regia internazionale” delle stragi relative alla strategia della tensione. Su domanda della difesa dichiarò tuttavia di non avere prove da poter mostrare. In un’intervista concessa dopo la deposizione Maletti confermerà la sua convinzione che gli Stati Uniti avrebbero fatto di tutto per evitare uno spostamento a sinistra dell’Italia e che simili azioni avrebbero potuto essere state attuate anche in altri paesi. La CIA alcuni mesi dopo respingerà esplicitamente le accuse. Franco Freda ha smentito le tesi di Maletti, affermando l’autonomia ideologica ed operativa di Ordine Nuovo. Altri, senza rinnegare queste ricostruzioni, legano la strategia della tensione alle direttive atlantiche dei servizi segreti, che lasciavano agire, entro certi limiti, i gruppi neofascisti per evitare una crescita eccessiva di quelli comunisti (teoria degli opposti estremismi), ma i neofascisti avrebbero pianificato e agito secondo le loro ideologie eversive, scegliendo obiettivi e modi autonomamente, pur godendo di protezioni e talvolta essendo reclutati. L’ideologia dei gruppi eversivi avrebbe dettato la metodologia stragista o comunque la loro lotta armata, ed essa non fu ordinata dai mandanti occulti in maniera esplicita e diretta. Il giudice Guido Salvini che indagò su piazza Fontana, l’attentato che inaugurò la strategia ha dichiarato che:

«Anche nei processi conclusosi con sentenze di assoluzione per i singoli imputati è stato comunque ricostruito il vero movente delle bombe: spingere l’allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l’insediamento di un governo autoritario. […] Erano state seriamente progettate in quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle sinistre, viste come il “pericolo comunista”, ma la risposta popolare rese improponibili quei piani. L’on. Rumor fra l’altro non se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne rimandato di un anno, ma i referenti politico-militari favorevoli alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società civile, scaricarono all’ultimo momento i nazifascisti.  

 

Al minimo segno di ribellione, tutto il peso

del governo, della legge e dell’ordine ti cadrà

sulla testa, a cominciare dal manganello

del poliziotto, dal carcere, dalla prigione,

fino alla forca o alla sedia elettrica.

(A. Berkman)

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)