IL 5 GENNAIO 2021 I MASS MEDIA SCRIVONO CHE, dopo anni di valutazioni, rimpalli e rinvii, oggi i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico hanno autorizzato la Sogin (la società pubblica che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari), a pubblicare la sua carta dei 67 siti idonei, la Cnapi.
Ecco come verrano stoccati i rifiuti radioattivi in 7 regioni italiane:
PIEMONTE – 8 zone tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo)
TOSCANA-LAZIO – 24 zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo (Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)
BASILICATA-PUGLIA – 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)
SARDEGNA – 14 aree tra le zone in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei)
SICILIA – 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).
Il deposito nazionale e il parco tecnologico saranno costruiti in un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al parco. Il deposito avrà una struttura a matrioska: nel dettaglio, all’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati.
Le aree interessate dalla Cnapi sono il risultato di un complesso processo di selezione su scala nazionale svolto da Sogin in conformità ai criteri di localizzazione stabiliti dall’Isin, che ha permesso di scartare le aree che non soddisfacevano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente. Ai criteri di esclusione sono seguiti quelli di approfondimento, attraverso indagini e valutazioni specifiche sulle aree risultate non escluse.
La pubblicazione della Cnapi, con l’elenco dei 67 luoghi potenzialmente idonei (che, viene precisato, non sono tutti equivalenti tra di essi ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche), di fatto dà l’avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all’esito della quale si terrà, nell’arco dei 4 mesi successivi, il seminario nazionale. Sarà questo l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere.
Le “aree potenzialmente idonee” delineate sulla carta Cnapi sono le aree idonee a ospitare lo spauracchio agitato da tutti i comitati ecologisti di risulta e da gran parte dei governi che si sono alternati dal 2003: è la carta delle zone fra cui sarà scelto il luogo in cui costruire con quasi 900 milioni di preventivo (una stima completa con le infrastrutture e i correlati può far pensare a un impegno complessivo di 1,5 miliardi) il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, rifiuti che oggi sono distribuiti dal Piemonte alla Sicilia in una ventina di depositi locali.
Come sono stati scelti i luoghi potenzialmente idonei? Nel 2014 l’Ispra dettò i criteri di selezione: dovranno essere luoghi poco abitati, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni. Non a quote troppo elevate (non oltre i 700 metri sul livello del mare), non su pendenze eccessive. Non troppo vicine al mare. Non molto vicine a autostrade e ferrovie, ma abbastanza vicine ad autostrade e ferrovie per poter essere raggiunte comodamente dai carichi di materiale da stoccarvi.
Ma i comitati di opposizione avranno un’arma facilissima per dire no alla collocazione del deposito, ovunque sia: il criterio di approfondimento numero 11 afferma che per la scelta del luogo bisogna valutare con attenzione le zone con «produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico». Cioè in Italia: ovunque.
Il problema che il deposito vuole risolvere sono i rifiuti radioattivi a media e bassa attività, quelli che si producono ogni giorno: reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici degli ospedali come la risonanza magnetica nucleare, terapie nucleari, radiografie industriali, guanti e tute dei tecnici ospedalieri, controlli micrometrici di spessore delle laminazioni siderurgiche, il torio luminescente dei vecchi quadranti degli orologi, i marker biochimici e i biomarcatori. Perfino i parafulmini e i rilevatori di fumo che lampeggiano sul soffitto di cabine di nave e camere d’albergo contengono americio radioattivo.
In Italia conserviamo 31mila metri cubi di scorie irraggiate. Una parte di queste scorie perde pericolosità perché la radioattività decade col passare del tempo, ma ogni anno ne aggiungiamo molte di più.
Si stima che fra una cinquantina d’anni i nostri figli e nipoti dovranno gestirne 45mila metri cubi in più rispetto a quelli di oggi, per un totale di 75mila-80mila metri cubi.
L’Europa dice giustamente che ogni Paese deve avere un suo deposito nazionale per i rifiuti irraggiati meno pericolosi. In genere è un capannone tecnologico, strablindato e superprotetto dentro al quale ci sono celle multibarriera. La stima dei costi complessivi si aggira sugli 1,5 miliardi, comprese le infrastrutture, anche se l’esperienza internazionale dice che impianti con ottime caratteristiche tecniche possono costare assai meno, anche un terzo.
Le norme adottate nel 2010 dicono che, pubblicata la Cnapi e sottoposta per 4 mesi al parere dei cittadini, si terrà un seminario nazionale per esaminare il tema.
Al seminario parteciperanno enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca.
In base alla sintesi di questo processo di partecipazione, la Sogin aggiornerà la Cnapi, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri dei ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e trasporti e dell’ispettorato di controllo nucleare Isin.
Ascoltati questi pareri, lo Sviluppo economico convaliderà la versione definitiva della carta, ovvero la Cnai, la Carta Nazionale delle Aree Idonee.
Si cercherà di convincere i Comuni ricompresi nella mappatura a farsi avanti: ci sono incentivi, occasioni di crescita, prospettive di lavoro e di benessere, soprattutto nelle aree marginali che si stanno spopolando. I vantaggi saranno più forti della paura del deposito?
Un sondaggio di Greenpeace Italia realizzato da Ipsos e pubblicato oggi, rivela che circa l’80% degli intervistati chiede che gli arsenali nucleari mondiali siano “smantellati”, che le testate Nato (abbiamo 56 basi Nato sparse in Italia) siano “completamente ritirate dall’Italia”, che i cacciabombardieri tricolore non siano impiegati per sganciare bombe nucleari e che il nostro Paese aderisca al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW).
Non solo: di fronte alla scelta su come impiegare i circa 10 miliardi che servirebbero per acquistare e utilizzare per i prossimi 30 anni venti F-35, solamente il 5% del campione ha indicato la necessità di “avere dei cacciabombardieri di ultima generazione da destinare ad eventuali missioni nucleari”. Il 95% degli intervistati ha invece optato per altri impieghi: il 35% destinerebbe quei soldi al sistema sanitario, il 34% al sistema economico e del lavoro, il 16% al sistema scolastico, il 10% a settori diversi da quelli citati. Una maggioranza schiacciante.
Anche se l’Italia non lo ha mai ammesso pubblicamente, il nostro Paese ospita circa 40 bombe nucleari Nato nelle basi militari di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), e i militari italiani si addestrano regolarmente al loro impiego.
Secondo uno studio riservato del ministero della Difesa, illustrato a Greenpeace da una fonte confidenziale, un attacco terroristico contro i bunker nucleari di Ghedi e Aviano provocherebbe tra i 2 e i 10 milioni di vittime, a seconda della propagazione del vento e dei tempi di intervento. Una vera strage. Lo si legge nel rapporto “Il prezzo dell’atomica sotto casa” dell’Unità investigativa di Greenpeace che riprende le stime dell’Osservatorio Milex sulle spese direttamente riconducibili alla presenza di testate nucleari sul suolo nazionale: tra i 20 e i 100 milioni di euro l’anno. A questa cifra vanno aggiunti i 10 miliardi in 30 anni per rimpiazzare i Tornado di stanza a Ghedi con venti F-35.
Per evitare le catastrofiche conseguenze dell’uso di queste armi, l’ONU nel luglio 2017 ha adottato il TPNW, che il 24 ottobre scorso ha raggiunto il traguardo delle 50 ratifiche necessarie per entrare in vigore il 22 gennaio 2021. In linea con gli Stati nucleari e gli altri Paesi NATO, l’Italia ha boicottato il Trattato sin dai lavori preparatori e continua ancora oggi a criticarlo, malgrado centinaia di parlamentari oggi in maggioranza (compresi gli attuali ministro degli Esteri e Presidente della Camera) si siano impegnati per l’adesione del nostro Paese.
Ogni tanto qualche parlamentare tenta un cambio di marcia, ma le mozioni contro le atomiche sono implacabilmente respinte, spesso dalle stesse forze politiche che, quando sedevano all’opposizione, si erano battute per il disarmo nucleare.
“Un pianeta sempre più instabile è più sicuro senza armi nucleari”, dice Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. “È tempo che l’Italia prenda una posizione chiara e definitiva sulle armi atomiche, chiedendo il completo ritiro delle bombe Nato dal proprio territorio e ratificando il TPNW, un accordo storico che ci lascia sperare in un futuro di pace, finalmente libero dall’incubo dell’olocausto nucleare”.
La mappa delle aree idonee alla costruzione di un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi di media e bassa attività non è più segreta. Col nulla osta dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, la Sogin (la società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) ha pubblicato sul sito www.depositonazionale.it la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), l’atteso documento per divulgazione del quale è stato necessario attendere, tra le altre cose, un aggiornamento da parte dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) rispetto alla sismicità delle aree, studio chiesto alla Sogin nel 2015. La società ha appena pubblicato il progetto preliminare e tutti i documenti correlati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico, che permetterà di sistemare in via definitiva questi rifiuti, al centro di una procedura di infrazione europea nei confronti del nostro Paese e attualmente stoccati in una ventina di siti provvisori non idonei ai fini dello smaltimento definitivo. Operazione necessaria dato che l’Unione Europea (articolo 4 della Direttiva 2011/70) prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati e che la maggior parte dei Paesi europei si è già dotata o si sta dotando di depositi.
Nei giorni scorsi era arrivato il nulla osta alla pubblicazione da parte dei ministeri Sviluppo economico e ambiente ed ora si apre una fase di consultazione pubblica, della durata di 60 giorni, in cui le Regioni, gli enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse qualificati possono formulare osservazioni e proposte tecniche, all’esito della quale si terrà (nell’arco dei 4 mesi successivi) il seminario nazionale. “Sarà questo l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere” ha spiegato il ministero dell’Ambiente, definendo il contenuto della carta il frutto di “un lavoro coordinato congiuntamente dai due ministeri (anche il Mise), atteso da molti anni, che testimonia la forte assunzione di responsabilità da parte del governo” sul tema della gestione dei rifiuti radioattivi. In base alle osservazioni e alla discussione nel Seminario Nazionale, Sogin aggiornerà la Cnapi, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Mise e dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture e dei Trasporti. In base a questi pareri, il Mise convaliderà la versione definitiva della Carta, ovvero la Cnai, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. Il via libera alla pubblicazione della Cnapi doveva arrivare entro il 20 agosto 2015. A fare slittare la data sia la richiesta da parte dei ministeri competenti a Sogin e Ispra di alcuni accertamenti tecnici, ma anche le vicissitudini politiche, dalle regionali del 2015 al referendum costituzionale del 2016, fino alle elezioni del 2018. A ottobre scorso l’Unione Europea ha aperto contro l’Italia una procedura d’infrazione. Poi è arrivata la pandemia.
Il Deposito Nazionale ospiterà anche il complesso per lo stoccaggio temporaneo di lungo periodo (50 anni) di circa 16.600 metri cubi di rifiuti ad alta attività, derivanti dallo smantellamento delle installazioni nucleari e dalle attività medicali, industriali e di ricerca. Saranno custoditi, inoltre, circa 800 metri cubi di residui del riprocessamento del combustibile (separazione di materiale riutilizzabile dal rifiuto) effettuato all’estero e del combustibile non riprocessabile.
E proprio facendo riferimento alle “giuste sollecitazioni di Greenpeace”, Morassut assicura che al ministero dell’Ambiente si sta predisponendo (in sinergia con il Mise) “una nota indirizzata alle autorità francesi per chiedere il coinvolgimento del nostro Paese in relazione all’ipotesi di estensione della licenza dei reattori nucleari d’oltralpe, che si trovano in prossimità dei nostri confini”. Per il presidente della commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli “va dato atto a questo governo di aver avuto il coraggio di fare un passo importante in un percorso che però è stato e sarà lungo”. Su Facebook Vignaroli ricorda che “vari governi avevano rimandato questo momento, forse per paura di perdere consenso su una questione delicata ma che andava affrontata”, mentre “ogni anno in bolletta elettrica i cittadini pagano la gestione dei rifiuti radioattivi centinaia di milioni di euro. L’assenza di deposito sicuramente ha allungato le tempistiche di smantellamento delle centrali nucleari italiane e amplificato quindi i costi da pagare. Il costo complessivo dello smantellamento è pari a quasi 8 miliardi di euro”.
Approfondimenti:
http://www.legambienteverona.it/iniziative/Legambiente%20word%20press/Energia/bidone%20nucleare.pdf
https://www.greenreport.it/news/energia/l80-degli-italiani-vuole-che-le-bombe-nucleari-usa-siano-ritirate-solo-il-5-vuole-acquistare-gli-f35/
https://www.peacelink.it/pace/a/44460.html
https://ilmanifesto.it/a-ghedi-si-prepara-la-nuova-base-per-gli-f-35-nucleari/
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https://www.umanitanova.org/?p=13063
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