Fissato il processo contro i servizi segreti che uccisero lo studente universitario Giulio Regeni

La condizione sociale e militare nel 2011 in Egitto era come quella dell’Italia negli anni ’70 del bum economico e della guerra fredda, quando la massa in miseria protestava contro i vari colpi di stato e le stragi occulte fatte apposta per imporci la dittatura militare (giochi sporchi geopolitici economici e militari per detenere il potere: NATO – PATTO ATLANTICO ANTICOMUNISTA), una massa di persone che si ribellava alla miseria e allo sfruttamento (dell’uomo sull’uomo) creato dal lavoro nero statale e privato, ma protestavano sopratutto per ottenere il diritto dello statuto dei lavoratori.

Il 25 gennaio 2021 i mass media scrivono che a Roma è stata fissata al 29 aprile, l’udienza preliminare davanti al gup per i 4 agenti dei servizi segreti accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Il 20 gennaio è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per gli 007: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Nei loro confronti le accuse mosse dal procuratore Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Ma andiamo indietro nel tempo:

Giulio Regeni é un ricercatore italiano sequestrato e ucciso il 25/1/2016 al Cairo.

La commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto Regeni ha individuato il coinvolgimento dei servizi segreti per il rapimento e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni e per le torture che ha dovuto subire. Cinque anni dopo l’uccisione di Regeni (con metodi militari usati durante la guerra fredda, quando i servizi segreti si scannavano tra di loro per il potere militare), il mistero sul sequestro e la morte di Giulio Regeni è ancora fermo ai silenzi dell’Egitto e ai tanti occcultamenti fatti dai servizi segreti, sopratutto egiziani.

Il procuratore Prestipino dichiara che il sequestro, “ per le torture e l’omicidio di Giulio si sono consumati tra il 25 gennaio e il 2 febbraio 2016 e ci sono le impronte della National security egiziana, l’apparato di sicurezza che sulla scomparsa e la morte del ricercatore friulano ha costantemente depistato e ostacolato ogni accertamento.

Il procuratore Prestipino dichiara ai mass media che “Regeni fu torturato per giorni, a più riprese, prima che gli venisse “rotto l’osso del collo”. Poi ci fu il ritrovamento del cadavere e seguirono almeno «quattro tentativi di depistaggio» da parte della National security che aveva anche infiltrato un paio di soggetti, oggi inquisiti dalla Procura, nel team investigativo italo-egiziano.

Nei mesi precedenti al rapimento la vita di Giulio cambiò (in casa, con gli amici e sul lavoro). venne spiato attraverso tre persone a lui vicine: il coinquilino Mohamed El Sayad, che immediatamente prima e durante il sequestro, tra il 22 gennaio e il 2 febbraio 2016, ebbe almeno 8 contatti con la Ns; l’amica Noura Wahby, che riferiva ogni conversazione a un informatore della Ns; il sindacalista Mohamed Abdallah, legato al maggiore Magdi Sharif, tra i maggiori indiziati del rapimento.C’è stata un’attenzione sempre più alta intorno a Giulio Regeni ha spiegato il procuratore, che è difficile pensare che il 25/1/2016, in una città blindata militarmente per la ricorrenza della rivolta di piazza Tahir, qualcuno lo abbia sequestrato senza che i servizi segreti non si accorgessero di nulla”…

Come mai i servizi segreti hanno scelto per i loro giochi sporchi geopolitici proprio Regeni? Giulio Regeni era un friulano di 28 anni, studente universitario a Cambridge che preparava la tesi di dottorato al Cairo, ed è sparito il 25/1/2016 nella capitale egiziana.

Il suo corpo martoriato fu trovato 9 giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana. Chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia stato controllato da polizia e servizi egiziani già settimane prima del rapimento e che sia morto, dopo atroci torture, per gli studi cui lavorava con determinazione e serietà.

Regeni, i genitori denunciano il governo per le armi all’Egitto

https://www.youtube.com/watch?v=G8LGXG6oF9g

L’Egitto è stato il paese arabo più istruito per secoli. La causa di queste rivolte sociali del 2011 si trova nella repressione imposta dalle varie dittature militari che si sono susseguite nel tempo.

Nonostante lo Stato egiziano spenda ogni anno un miliardo di pound per formare oltre un milione di forze speciali, gli egiziani hanno avuto il coraggio di sfidare il regime militare. Dimostrando che sono pronti a riprendersi i loro diritti, anche con la forza se è necessario. Una ribellione nata in un contesto sociale di ricchezza economica per pochi e una povertà estrema per tanti.

Con un leader al potere da 29 anni, molti egiziani non hanno avuto altra scelta (per non subire la condizione sociale che la mancanza di diritti li costringeva a subire), che la ribellione. Poi c’è stata la forte disoccupazione nel 2006 che ha spinto 8 milioni di persone a partecipare alla lotteria per la Green Card per emigrare in America (importazione volontaria di schiavi, di servi della gleba).

Secondo l’opinione pubblica: ciò che ha colpito di più nelle rivendicazioni di piazza Tahrir, è l’orgoglio ritrovato di un Paese malconcio, “Non c’era traccia di islamismo ma di egizianismo”. “Un segnale che, se fossi nei Fratelli Musulmani, mi preoccuperebbe”.

Il ruolo pubblico della religione, tuttavia, resta un potere.

L’Egitto ribelle deve combattere non solo l’integralismo islamico ma anche la cultura massonica, dove il suo epicentro si trova appunto in Egitto fin dal tempo dei faraoni. In Egitto nasce la massoneria occulta, nascono gli architetti, è li che si trova il centro del potere politico imprenditoriale geopolitico e militare.

In Egitto l’apparente pluralismo partitico successivo al 2003 non ha portato ad alcun pluralismo politico, ma piuttosto, all’intensificazione del sistema clientelare. Prima del 2003 c’era un dittatore e un sistema monopartitico, dal quale sapevano che cosa aspettarsi. Dopo, hanno avuto 329 parlamentari che sono unicamente interessati agli interessi dei propri partiti, guadagnando salari altissimi e pensioni a vita. Il sistema è bloccato in quanto ognuno di questi partiti vede lo Stato e i propri ministri come business, come risorse da sfruttare.

La gente è frustrata (a causa del sistema militare instauratosi dopo l’invasione USA) e si trova in condizioni sociali di miseria, senza diritti.

L’Egitto è un paese ricco ma con un il sistema industriale e agricolo completamente distrutto dagli USA e dall’Iran dopo il 2003. Il settore petrolifero produce il 65% della benzina consumata ma impiega lavorativamente solo l’1% della popolazione. Praticamente non esiste il settore privato. Alcuni dei manifestanti di piazza Tahrir chiedono il divieto dell’esportazione del petrolio (in quanto questa risorsa è vista come una maledizione per l’Iraq). I manifestanti si auspicano e chiedono la trasformazione del sistema politico ed economico in relazione con le persone.

Il 21/9/2019 invece, i mass media scrivono che c’è stata un’altra maniferstazione in piazza Tahrir per rivendicare ancora le tante problematiche sociali, economiche e militari che il regime militare crea, e la mancanza di diritti da conquistare ancora.

sisi

Piazza Tahrir è stata il luogo simbolo delle rivolte della primavera araba egiziana del 2011 e nel 2019 ritorna a essere il fulcro delle proteste contro il governo del presidente Abdelfettah Al Sisi (foto sopra). Quel giorno centinaia di persone si sono radunate al Cairo al grido “il popolo vuole la caduta del regime”, raccogliendo l’appello lanciato nei giorni scorsi sui social media da un imprenditore egiziano, Mohamed Ali, in esilio in Europa, che ha accusato lo stesso presidente e diversi generali di corruzione.

Secondo i mass media ci sono dei testimoni che raccontano che alla manifestazione nel 2019 è intervenuta subito la polizia, con decine di agenti che hanno bloccato tutte le vie di accesso alla piazza, teatro nel 2011 delle grandi manifestazioni che portarono alla destituzione del regime di Hosni Mubara, e hanno lanciato i gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Non solo, alcuni giovani impegnati nelle proteste sono stati arrestati dalle forze di sicurezza.

Lo stesso slogan urlato dai manifestanti è stato ripreso anche da altra gente intorno alla piazza, che non ha potuto entrare perché gli accessi sono stati bloccati dai militari. Alcuni video diffusi sui social media, mostrano analoghe manifestazioni in diverse altre città, come Alessandria, Suez, Mahallah e Damietta: in uno di questi, si vedono i manifestanti a Damietta mentre abbattono uno striscione con la fotografia del presidente Abdel Fattah al Sisi, quest’ultimo partito il giorno venerdì per New York, dove per mercoledì prendeva la parola davanti all’Assemblea generale dell’Onu (la dittatura militare interagisce anche con le associazioni massomafiose istituzionalizzate)…

Ma puntualizziamo meglio il problema:

Il 17 gennaio 2011 in Egitto ci sono stati i primi fuochi della rivolta: un uomo si immolò per protestare contro la dittatura militare il 17/1/2011, si diede fuoco e le fiamme lo avvolsero, proprio come avvenne un mese prima per il venditore ambulante Mohammed Bouazizi in Tunisia.

Il 25/1/2011 al centro del Cairo inizia la protesta contro la dittatura militare, la prima manifestazione con 30 mila giovani in piazza Tahrir. Immediatamente scoppiano gli scontri, muoiono 3 manifestanti e un poliziotto. Le manifestazioni continuano per giorni. Le proteste sono proseguite anche in ogni regione dello sterminato paese africano: a Suez i manifestanti danno fuoco al palazzo del governo.

Il 29 gennaio 2011 il presidente Hosni Mubarak, che governa il paese da 29 anni fa dimettere il governo, sperando che la mossa possa placare i manifestanti. E nomina vice-presidente il potente capo dei servizi segreti Omar Suleiman per imporre la dittatura militare, con l’idea che un giorno possa essere lui il suo successore. Non servirà a nulla. Suleiman tratta coi capi dei manifestanti la creazione di un comitato congiunto governo-opposizione per una transizione democratica. Ancora pochi giorni e l’11 febbraio Hosni Mubarak getta la spugna: si dimette e trasferisce il potere ai servizi segreti (Suleiman).

La storia da quel momento accelera: il “Supremo consiglio delle forze armate” (la cupola militare), assume i poteri in maniera provvisoria e promette elezioni: nel voto del 28/11/2011 e l’8/1/2012 (ballottaggio), le forze liberali e i sostenitori della rivoluzione vengono sbaragliati da un protagonista rimasto sino al momento ai margini della scena: la Fratellanza Musulmana e il partito dei salafisti. La Fratellanza ottiene il 37,5% dei voti, che corrisponde al 45% dei seggi. I Salafiti con il 27% dei voti conquistano il 25% dei seggi. Dalle prime elezioni esce un Parlamento in mano ai partiti islamici.

Da allora l’Egitto rivoluzionario viene dirottato per qualche mese sul percorso della Fratellanza Musulmana, che controlla il Parlamento che eleggerà una Assemblea costituente: un organismo con 66 islamisti su 100 membri, con 6 sole donne e 5 cristiani copti.

Inizia lo scontro fra i partiti laici, i gruppi usciti dalla rivoluzione e gli islamisti.

Nelle elezioni presidenziali del 23/5/2012 la Fratellanza mette a segno il suo colpo, facendo eleggere presidente Mohammed Morsi (foto sotto). Il candidato islamista vinse col 51,7% dei voti, rispetto al 48,3% di Ahmed Shafik, un ex premier di Mubarak ed ex capo dell’aeronautica.

Mohammed Morsi vows to respect Egypt-Israel peace treaty

Poche settimane dopo la sua elezione, Morsi silura il maresciallo Tantawi dall’incarico di Ministro della Difesa. Presto inizia a muoversi per rispettare una sola idea, un solo credo, quello della Fratellanza Musulmana che vuole imporre la visione dell’Islam in ogni dettaglio della vita civile del paese. Morsi fa qualcosa di più: prova a indicare 7 emendamenti alla Costituzione. L’articolo 2 sosteneva che tutti i decreti e le leggi emesse dal presidente non possono essere appellati o annullati, ponendo fine al controllo parlamentare e giudiziario. L’articolo 6 autorizzava il capo dello stato ad adottare tutte le misure che riteneva opportune per “proteggere la rivoluzione e salvaguardare l’unità nazionale”. Erano emendamenti che creavano un nuovo dittatore.

L’Egitto nel 2019 ritorna in piazza, e questa volta ai rivoluzionari laici si affianca il lavoro sotterraneo occulto dell’esercito e della polizia che si muovono per scavare la fossa al presidente islamista. Morsi riesce a far convergere contro sé stesso l’opposizione unita di laici e islamici moderati, della gioventù rivoluzionaria, dei giudici, dei giornalisti e del mondo del business. Oltre che dei militari.

Nel 2013 c’è la crisi economica, con la mancanza di beni di prima necessità e dei carburanti (crisi sicuramente manovrata dall’esercito), che creò le condizioni per il colpo di stato del ministro della Difesa Abdel Fatah al Sisi: il 3/7/2013 Morsi viene rovesciato e parte la caccia a tutti i capi della Fratellanza. L’esercito ritorna al potere in Egitto lasciando nel sangue centinaia di sostenitori della Fratellanza uccisi in piazza negli scontri violentissimi di agosto.

Il 2/12/2013 il Parlamento approva una Costituzione “contro-islamista”, che proibisce i partiti che utilizzano la religione come base della loro attività politica. Viene approvata anche una nuova legge anti-terrorismo che restituisce potere totale alla polizia (dittatura militare).

Il generale Sisi si fa confermare al potere nelle elezioni presidenziali del maggio 2014.

Il suo mandato verrà rinnovato con un nuovo voto plebiscitario del 2018.

Velocemente il nuovo dittatore corre verso la restaurazione di un potere in cui l’Egitto verrà governato da una sola classe di governo: quella dei militari. Il ritorno al passato è compiuto.

Partita nel 2011, già con l’elezione di Sisi nel 2014 la rivoluzione è stata cancellata dalla violenza e dalla repressione sbirresca, militare e politica…

Tutto era partito al Cairo dall’insurrezione di massa con epicentro in Piazza Tahrir, e alla sconfitta del regime di Hosni Mubarak (foto sotto), nel febbraio del 2011 con la successiva transizione rivoluzionaria, fino alla trasformazione dell’Egitto in un regime militare dopo il violento colpo di stato guidato dal generale Sisi nel luglio del 2013.

Hosni Mubarak and Bill Clinton in Washington in 1999.

Durante le manifestazioni la violenza di Stato ha preso varie forme: cecchini che volontariamente sparano ai manifestanti, gas lacrimogeni sparati ad altezza uomo, forze anti-rivolta, rispetto alle quali i manifestanti hanno ancora dubbi su chi vi fosse esattamente dietro. “Non sono militari, né polizia”..

Le persone di piazza Tahrir nel 2019 si sono organizzate ed unite nell’obiettivo politico di porre fine al sistema politico settario, condividendo anche la frustrazione causata dal funzionamento del sistema corrotto e ineguale del proprio paese. C’è un sentimento generale che vede il sistema politico settario come non interessato al benessere della popolazione né alla dilagante disoccupazione che colpisce a diversi livelli, dagli autisti dei Tuktuk agli ingegneri.

Mentre lo stato si impegna a fare false concessioni e continuano discussioni in merito alle elezioni anticipate, i manifestanti in piazza denunciano tutto ciò che significa lavorare insieme a quegli stessi partiti politici corrotti.

Per molti, specialmente dopo la morte di centinaia di persone, non si torna indietro. Il primo passo è che il governo e il primo ministro si dimettano.

Ma ricordardiamoci anche della rivoluzione culturale di piazza Tienanmen nel 1989

MASSACRI OSCURATI - 30 anni fa quello di Piazza Tienanmen - Scomunicando

La protesta di piazza Tienanmen, fu caraterizzata da una serie di manifestazioni popolari di massa, che videro la partecipazione di studenti, intellettuali e operai.

La protesta avvenne a Pechino dal 15 aprile al 4 giugno 1989 e finisce col massacro dei manifestanti che stavano ribellandosi (considerati terroristi dalla logica militare), in piazza Tienanmen. L’esercito cinese armato con fucili d’assalto e carri armati, aprì il fuoco contro i dimostranti facendo centinaia di morti e migliaia di feriti.

Il 4 giugno avvenne qualcosa che rimarrà per sempre nella memoria di chi, direttamente o indirettamente, ha vissuto quei momenti: un ragazzo con in mano i sacchetti della spesa si mise davanti ad un carro armato. Rimase in piedi, fermo, deciso, come se la sua forza di volontà bastasse a fermare la colonna di mezzi blindati che aveva di fronte. Gli stessi che la notte prima avevano attaccato i rivoltosi dopo che il presidente Li Peng aveva dichiarato la legge marziale e ordinato lo sgombero della piazza. Fu un momento storico. Non tanto per il gesto eroico ormai passato alla storia. Ma perché segnò l’inizio di una rivoluzione culturale. Gli studenti scesi in piazza Tienanmen chiedevano libertà, diritti civili e elezioni democratiche, non corrotte e occulte.

Cose sconosciute nella forma di comunismo STATALE, più vicino ad una dittatura che alle idee di giustizia sociale che sono alla base di questa idea di “comune”. Una rivoluzione, quella comunista, che aveva eliminato la monarchia ma aveva imposto però una finta democrazia oligarchica camuffata da comunismo!

La rivolta degli studenti a piazza Tienanmen fu il primo passo di questo cambiamento per arrivare alla rivoluzione culturale. Il prezzo fu la vita di molti giovani, morti per difendere i propri ideali, ed ancora oggi non si sa quanti furono realmente i morti e i feriti….

Cos’è cambiato da allora? Niente! In Cina continua a persistere un regime totalitario, seppure vestito da comunismo, dove molte delle libertà sancite dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, continuano ad essere sconosciute se non palesemente violate.

E la situazione non sembra destinata a migliorare: la decisione del Parlamento cinese, fortemente voluta dal leader Xi (foto sotto), di non limitare più la carica di presidente a 2 mandati, sembra voler portare sempre il paese verso il totalitarismo, cosa preoccupante sia per le etnie minoritarie che sotto il profilo sociale e religioso.

Trump, 'Xi grande leader'

La rivolta di piazza Tienanmen non ebbe successo perchè i giovani, gli studenti, vennero lasciati soli dal resto della popolazione ancora ignorante (facilmente manovrabile dai poteri forti).

Solidarietà a tutti i compagni Anarchici di Torino, Cuneo e Milano, che in questi giorni hanno ricevuto degli avvisi giudiziari. Compagni anarchici che sono stati repressi e condannati ingiustamente dallo stato per aver difeso le persone incarcerate ingiustamente nei business statali e cattolici delle carceri e dei Cpt.

In questo periodo c’è stata la giornata della memoria della Shoah: carceri trasformate in campi di concentramento dove rinchiudevano gli ebrei perchè la cultura fascista li considerava inferiori e quindi li reprimeva, li discriminava, li annientava.

Una immagine di una baracca di un campo di concentramento (Ansa)

La Germania nazista temeva la ricchezza e la forza militare che avevano alcuni ebrei, quindi li volevano eliminare come potenza.

In questi campi di concentramento c’erano anche donne, anziani e bambini che vedevano e subivano le tante atrocità e violenze che il regime dittatoriale fascista imponeva. In questi campi di concentramento c’erano perfino le camere a gas, dove uccisero in massa migliaia di ebrei.

I Cpt, questi centri di detenzione per extracomunitari, sono campi di concentramento dove rinchiudono gli extracomunitari, come gli ebrei allora: la logica militare è sempre quella!

La maggior parte delle persone anche oggi vede, ma tace, come allora, quando uccisero migliaia di ebrei tra donne uomini e bambini, PER DISCRIMINAZIONE RAZZIALE!!

Solodarietà ai compagni Anarchici, sognatori e utopisti come noi, che si trovano a lottare contro un sistema crudele repressivo e ignorante!

La mafia è nello stato e nella polizia!

Basta stragi di stato! Basta strategia della tensione, inventata apposta per reprimere il movimento!

Anarchia: l’unica via!

La prima parola del nostro programma è Anarchia.

Noi l’invochiamo come l’avvenimento completo

e definitivo della rivoluzione: la rivoluzione

per la rivoluzione.

Carlo Cafiero

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)