Ancora abusi di potere delle forze del disordine: basta!

Il 10 febbbraio 2021 i mass media scrivono che il pm di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per il carabiniere Fabio Manganaro, finito nel registro degli indagati nel filone d’inchiesta relativo alla foto di Christian Gabriel Natale Hjorth, il giovane statunitense accusato di concorso nell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega insieme all’amico Finnegan Lee Elder, bendato nella caserma dei militari di via in Selci poco dopo il fermo avvenuto il 26 luglio 2019. L’accusa nei suoi confronti è di “misura non consentita dalla legge”. In questo filone è indagato anche un altro militare, Silvio Pellegrini, per aver scattato la foto del giovane californiano e averla poi diffusa. In relazione alla divulgazione dello scatto.

Finnegan Lee Elder, il giovane accusato di omicidio volontario in concorso insieme all’amico Gabriel Natale Hjort, la sera del 26 luglio erano andati a Trastevere per comprare un grammo di cocaina, ma la trattativa è stata interrotta dall’intervento delle forze dell’ordine. Elder e Natale sono scappati e hanno portato via lo zaino di Sergio Brugiatelli, l’uomo che ha fatto da intermediario con il pusher per l’acquisto della droga. Lo spacciatore gli aveva venduto della tachipirina. Bruciatelli chiama i carabinieri perchè i due americani nel scappare gli avevano fregato il borsello con i documenti, dicendogli che se lo rivoleva doveva pagare un riscatto . Ma Bruciatelli non si presenta lui all’appuntamento per farsi ridare il borsello, ma fa andare i due carabinieri in borghese. Dopo essersi identificati i carabinieri, sono stati attaccati dai ragazzi. Ne è nata una collutazione finita nel sangue. Il Vicebrigadiere Mario Cerciello Rega è morto dopo undici coltellate inferte da Finnegan Lee Elder che viene arrestato qualche ora dopo insieme all’amico.

 

I mass media, sempre il 10 febbraio scrivono che a Genova il giudice per l’udienza preliminare Silvi Carpanini ha condannato (con rito abbreviato) per lesioni colpose e per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, a 40 giorni ciascuno i quattro poliziotti accusati di avere picchiato il giornalista di Repubblica Stefano Origone durante gli scontri tra antifascisti (alla faccia della costituzione italiana antifascista) e polizia dopo il comizio di Casapound a Genova il 23/5/2019. Gli sbirri dichiarano davanti al giudice che non lo avrebbero riconosciuto come giornalista ma lo avrebbero scambiato per un manifestante. In primo grado la pm Gabriella Dotto aveva chiesto la condanna a 1 anno e 4 mesi ciascuno degli sbirri per lesioni dolose.

Il giornalista di Repubblica stava seguendo la manifestazione e la carica ai manifestanti quando gli agenti lo avevano caricato, buttato a terra e colpito a manganellate (10 contro uno è la loro forza – questa è la prassi). Stefano Origone mentre lo stavano massacrando a manganellate, aveva urlato di essere un giornalista ma i poliziotti si erano fermati solo dopo l’intervento di un funzionario che lo aveva riconosciuto. Il giornalista dichiara: “Sono soddisfatto della sentenza, anche se mi aspettavo di più. Eravamo partiti da un anno e quattro ma quantomeno è stata riconosciuta una responsabilità e che stavo facendo il mio lavoro”.

Per i quattro sbirri fascisti: Fabio Pesci, Stefano Mercadanti, Luca Barone e Angelo Giardina, il giudice (li ha difesi anche se avevano torto: basta pagare…) ha concesso la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Il gup inoltre li ha condannati al risarcimento dei danni morali nei confronti di Origone il giornalista di Repubblica.

L’avvocatessa di due dei quattro agenti condannati (mangia soldi a tradimento) ha dichiarato: “mi ha molto soddisfatto che il pm nelle sue repliche abbia riconosciuto la legittimità degli ordini, della carica, dell’uso dello sfollagente. Ha aderito alla nostra tesi difensiva. Ma non ritengo ci sia stato un eccesso colposo”.

Il questore di Genova Vincenzo Ciarambino non vuole essere criticato e quindi dichiara: “le sentenze si rispettano, non vanno commentate. Perché non è nella mia indole e per rispetto istituzionale”. Per i quattro agenti impuniti al momento non è previsto alcun provvedimento disciplinare, per aver massacrato il giornalista, puntiamo, per avere giustizia, nell’appello…

 

Il 4 febbraio i mass media scrivono che l’ex carabiniere Marco Camuffo, uno dei due militari accusati per aver violentato due studentesse statunitensi nella notte tra il 6 e il 7 settembre 2017 a Firenze (dopo averle riaccompagnate a casa con l’auto di servizio), è stato condannato in appello a 4 anni e 6 mesi di reclusione. In primo grado Camuffo era stato condannato in abbreviato a 4 anni e 8 mesi.

Marco Camuffo Pietro Costa

La pena è stata diminuita di due mesi, perchè per i giudici la violazione dei doveri d’ufficio, non è un’aggravante, visto che per questo reato Camuffo era già stato condannato dal tribunale militare.

 

Il 3 febbraio i mass media scrivono che sono state pubblicate le motivazioni della sentenza del processo d’appello ter, chiuso il 14/11/2019 con un’assoluzione e quattro prescrizioni per i cinque medici dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma per la morte di Stefano Cucchi: Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo.

 © ANSA

Per i giudici “Cucchi non ricevette mai nessun assistenza adeguata da nessun medico.

Il sostituto procuratore generale Mario Remus aveva chiesto per loro il non doversi procedere per prescrizione del reato di omicidio colposo, pur ammettendo che questa era “una sconfitta della giustizia”. Per salvarlo Cucchi, aveva sottolineato il pg, “sarebbe bastato un tocco di umanità, un gesto, per convincerlo a bere e a mangiare”, aveva spiegato il magistrato, proseguendo: “Da parte dei medici ci fu un sordo disinteresse delle sue condizioni, non c’è stato alcun ‘ascolto’ clinico. Cucchi non è stato ascoltato e non è stato trattato come avrebbe dovuto”.

Il magistrato aveva inoltre ricordato che “dalle indagini sono emersi tutti gli elementi che indicano la trascuratezza e la negligenza che imperversava all’ospedale”, primo fra tutti il fatto che nella cartella clinica del paziente “non si diceva mai quanto beveva, era un paziente trascurato, o forse si voleva nascondere qualcosa” (volevano difendere gli sbirri che lo avevano massacrato di botte). I giudici della corte d’appello di Roma dichiarano: lo Stato ha certamente il diritto di fare un prigioniero, ma non di disinteressarsene. Per i magistrati “è troppo sbrigativo e troppo semplice affermare che il paziente rifiutava le cure ed i trattamenti e quindi nulla si può contestare ai sanitari”. Per i giudici invece, siamo in presenza di “un festival di menefreghismo e discriminazione che deve aver prodotto una reazione, definiamola sdegnata, da parte di un soggetto già debole e fragile fisicamente”.

 

Solidarietà a tutti i compagni anarchici rinchiusi ingiustamente nelle carceri e a tutti coloro che subiscono la repressione sbirresca.

 

Al minimo segno di ribellione, tutto il peso

del governo, della legge e dell’ordine ti cadrà

sulla testa, a cominciare dal manganello

del poliziotto, dal carcere, dalla prigione,

fino alla forca o alla sedia elettrica.

A. Berkman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)