A metà marzo i mass media ricordano l’anniversario dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avvenuto trenta anni fa. Erano in Somalia per verificare una pista che avrebbe potuto portare a svelare traffici sporchi.
Molti giornalisti pagano con la vita la loro indipendenza dai poteri, la loro ricerca di verità.
Omar Hashi Hassan era l’uomo che ha scontato quasi 18 anni di carcere per l’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 e poi è stato assolto e scarcerato nel processo di revisione a Perugia, è morto in una esplosione in Somalia (guarda caso! Ai servizi segreti non serviva più…). Hashi, nel 2018 venne risarcito dallo stato italiano con 3 milioni di euro per ingiusta detenzione, ma in realtà era per farlo stare zitto, conosceva molti segreti di stato e anche quelli del loro braccio armato, i servizi segreti, che gli tolsero la vita con una carica di dinamite innescata sotto la sua auto (dopo averlo usato per depistare le indagini).
Ilaria Alpi era una giornalista del Tg3 inviata in Somalia; era giovane, aveva solo 28 anni quando venne uccisa a Mogadiscio nel corso di una sparatoria assieme all’operatore 45enne Miran Hrovatin. Un commando di 7 persone si affiancò alla loro auto, esplose numerosi colpi di kalashnikov, poi si diede alla fuga.
Ma ora facciamo una cronologia degli eventi per capire meglio il problema degli abusi di potere a livello militare e le loro conseguenze sociali.
Nel 1996 la salma di Ilaria viene riesumata per una nuova perizia. Ma le conclusioni degli esperti sono contraddittorie: non si capisce se la cronista sia stata uccisa con un colpo sparato a bruciapelo, a mo’ di esecuzione, o a distanza.
Il 12 gennaio del 1998 Omar Hashi Hassan (nella foto con Luciana Alpi nel 2018 ad uno dei presidi #NoiNonArchiviamo), venne arrestato su richiesta della procura di Roma per concorso in duplice omicidio volontario, perché ritenuto un componente del commando. Il 20/7/1999 Hassan fu assolto dalla Corte d’assise di Roma “per non aver commesso il fatto”. Il pm Franco Ionta ne aveva chiesto la condanna all’ergastolo. La sorpresa il 24/11/2000 quando la corte d’assise d’appello ribaltò la sentenza di primo grado e condannò Hassan al carcere a vita. Per il somalo scattarono in aula le manette. La sentenza non piacque ai genitori di Ilaria: si tratta di “una sentenza nera [dissero, immaginando una decisione di ‘comodo’ che avrebbe dovuto accontentare tutti], non ci accontentiamo di questa verità. Vogliamo i mandanti veri”.
Nel 1999 Hassan viene assolto dalla Corte d’assise di Roma “per non aver commesso il fatto”. Il pm aveva chiesto la condanna all’ergastolo.
Nel 2001 la Corte di Cassazione confermò la condanna per omicidio volontario ma, annullando la sentenza di secondo grado limitatamente all’aggravante della premeditazione e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, rinviò il procedimento per nuovo esame ad altra sezione della corte d’assise d’appello. A conclusione del processo d’appello bis, il 26/6/2002, Hassan venne condannato a 26 anni. Il 23/11/2010 cominciò il processo per calunnia a carico di Ahnmed Ali Rage detto “Gelle” (foto sopra), il principale accusatore di Hassan anche se le sue dichiarazioni, rese durante le indagini preliminari, non furono mai confermate al processo. Il 18/1/2013, il tribunale di Roma assolse Gelle, ritenendolo teste attendibile. Lo stesso Gelle però, il 16/2/2015, a una giornalista di ‘Chi l’ha visto?’ che lo intercettò in Inghilterra, ritrattò tutto e fornì una nuova verità sul caso Alpi: “Hassan è innocente, io neanche ero presente al momento dell’agguato. Le forze dell’ordine mi hanno chiesto di indicare un uomo. Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso”. E così il 14/1/2016, su istanza degli avvocati del somalo, la Corte d’appello di Perugia riaprì il processo di revisione. Il 19/10/2016 l’imputato fu assolto dall’accusa di duplice omicidio e immediatamente scarcerato. Il 17/2/2017 la procura di Roma avviò una inchiesta sull’anomala gestione in Italia di Gelle. Ma 6 mesi dopo, i pm sollecitarono l’archiviazione, occultando chi erano i mandanti e gli esecutori materiali del duplice delitto. Il 30/3/2018, la corte d’appello di Perugia dispose il ‘quantum’ del risarcimento per ingiusta detenzione da attribuire ad Hassan: tre milioni di euro per essere stato in carcere quasi 17 anni da innocente, l’equivalente di 500 euro per ognuno dei 6.363 giorni trascorsi in cella.
Ilaria aveva scoperto gli intrallazzi sporchi dei servizi segreti militari insieme ai i grossi imprenditori e ai grossi industriali come per esempio il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Yussuf (foto sotto), Ilaria era una ragazza giovane, aveva 28 anni ed era stata inviata in Somalia a lavorare come giornalista per il Tg3, ma viene uccisa il 20/3/1994 nel corso di una sparatoria a Mogadiscio assieme a Miran Hrovatin 45 anni. I due erano impegnati a seguire la missione Onu “Restore Hope”. Per la Alpi si trattava della settima missione in Somalia.
La procura di Roma avvia un’inchiesta. Il fascicolo viene affidato al pm Giuseppe Pititto, il quale scopre che sul corpo della giornalista è stato fatto solo un esame esterno. Nessuna autopsia. Il 9/4/1996 il pm iscrive sul registro degli indagati, quale mandante del delitto, il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Yussuf, l’ultima persona che la Alpi aveva intervistato prima di morire, per fare luce su un presunto traffico di armi effettuato dai pescherecci di una società italo-somala. La posizione del sultano, che aveva sempre respinto le accuse, sarà poi archiviata (ha pagato tutti).
Nel 2003 nasce la commissione parlamentare d’inchiesta Alpi-Hrovatin. A presiederla è l’avvocato Carlo Taormina.
Nel 2006 la Commissione si spacca e termina i suoi lavori con tre relazioni, una di maggioranza e due di minoranza. Ufficialmente la Commissione si schiera (occultando la verità) per l’ipotesi di un tentativo di rapina o di rapimento “conclusosi accidentalmente con la morte delle vittime”. La versione alternativa invece ipotizza che la Alpi avesse scoperto un traffico di armi e di rifiuti tossici illegali nel quale erano coinvolti anche l’esercito e altre istituzioni italiane.
Nel 2010 il gip Emanuele Cersosimo boccia la richiesta di archiviazione e ordina nuovi accertamenti: secondo il giudice il caso Alpi è un omicidio su commissione, con l’intento di far tacere i due reporter.
Nel 2013 la presidenza della Camera, su iniziativa della presidente Boldrini, avvia la desecretazione degli atti delle Commissioni d’inchiesta sui rifiuti e sul caso Alpi. Verranno desecretati nel maggio dell’anno successivo.
Nel 2017, nuova richiesta di archiviazione: per i pm non solo non appare possibile risalire ai mandanti e agli esecutori materiali del duplice delitto ma non esiste neppure alcuna prova di presunti depistaggi.
Nel 2018 il gip Andrea Fanelli respinge la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura e dispone ulteriori accertamenti da effettuarsi entro 180 giorni.
Nel 2019 la procura di Roma chiede per la seconda volta al gip di archiviare l’inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (foto sotto).
Ancora nel 2019 la Federazione nazionale della stampa, Ordine dei giornalisti e Usigrai depositano l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione firmata dalla procura di Roma. La famiglia della giornalista chiede di approfondire nuovi spunti investigativi.
Sempre nel 2019, il gip Andrea Fanelli rigetta per la seconda volta la richiesta di archiviazione avanzata dal pm della capitale, Elisabetta Ceniccola. Viene disposta, tra l’altro, l’acquisizione di atti relativi alle indagini sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988.
Ilaria Alpi fu uccisa perché ebbe il coraggio di indagare sulla mala cooperazione e sul traffico illecito a livello geopolitico di armi e di rifiuti tossici.
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Per capire meglio il caso del giornalista Mauro Rostagno, vi consigliamo la lettura della nostra analisi:
Massomafia: anniversario dell’uccisione del giornalista Pippo Fava e della nascita di Impastato
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Il capitalismo. Deruba l’uomo dei suoi diritti
di nascita, ne frena lo sviluppo, ne avvelena
il corpo, lo mantiene nell’ignoranza, nella
povertà e nella dipendenza, ed organizza poi
le istituzioni caritatevoli che distruggono
l’ultima traccia di dignità dell’uomo.
Emma Goldman
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Solidarietà a tutti i compagni/e anarchici ingiustamente reclusi
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Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)