Il 5/3/1998 i carabinieri dei Ros e gli uomini della Digos torinese fanno irruzione nell’ex manicomio di Collegno, luogo occupato dal giugno 1996 dagli squatter e mettono le manette a Sole, Baleno (foto sopra) e Silvano. Arresto poi confermato il 7 marzo dal giudice per le indagini preliminari, Fabrizia Pironti. L’accusa è molto grave: associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art. 270 bis c.p.).
Quando Sole arriva a Torino va ad abitare nell’asilo occupato di Via Alessandria (foto sotto) e scriverà: «Il mondo è tanto grosso, ma c’è un posto per ognuno, e io penso di aver trovato il mio». Lì vive a stretto contatto con un gruppo di anarchici, tra cui Baleno. Non si era mai interessata di politica, riferisce la sorella, ma nella battaglia ecologista che quei ragazzi stavano combattendo riconosce la sua battaglia e in poco tempo si unisce a loro.
Prima dell’alba del 11 luglio la storia finisce. Alla stessa ora, nello stesso modo e nello stesso giorno della settimana scelto dal suo compagno, Edo (per tutti Baleno), Soledad ha deciso di morire. Edoardo Massari Anarchico, accusato di aver preso parte ad alcuni degli attentati in val di Susa, si è suicidato in carcere, a Torino, il 28/3/1998, Maria Soledad Rosas Argentina, Anarchica, inquisita per gli attentati, si è tolta la vita l’11/7/1998. Una breve ma intensissima storia d’amore Anarchica, spezzato per sempre dalle sbarre dello stato e dalla logica non certo riabilitativa ma insulsa e disumana del carcere.
In quegli anni, gli squatter di Torino mettevano paura: erano considerati terroristi, violenti, disperati (terrorismo psicologico). Secondo lo stato: «Hanno messo bombe contro l’alta velocità…». Beh, non era vero! Era tutta una montatura giudiziaria per discriminare i giovani squatter di Torino che avevano occupato in quel periodo aree demaniali abbandonate da anni e fatte rivivere come abitazioni o come locali per permettere al proletariato e sottoproletariato di alzare il livello culturale e di essere loro, un giorno, a protestare per le tante ingiustizie sociali che dovevano subire come classe sociale.
Storicamente teniamo presente che la Val Susa è sempre stata una valle di misteri, intrighi, ricatti. Una valle crocevia, non solo in senso geografico. I cento chilometri che dal capoluogo piemontese giungono al confine francese di Modane sono stati teatro dei ricatti mafiosi dei clan calabresi insediati a Bardonecchia, dei traffici d’armi dell’armeria Brown Bess di Susa, delle azioni, a fine anni ’70, dei terroristi di Prima Linea, delle attività non sempre limpide degli stragisti, uomini dei servizi segreti insediati da Dalla Chiesa (doppio Sid – doppio servizio segreto) per reprimere lo stesso terrorismo e poi rimasti in valle sull’orlo di una imbarazzante disoccupazione. Al centro delle inchieste anche la Sitaf, la società che ha costruito l’autostrada per Modane e che ora è dentro al grande business degli appalti sull’Alta velocità.
La sigla degli “eco-terroristi” compare per la prima volta a firmare due attentati compiuti fuori dalla valle, a Settimo torinese e a Rondissone, tra la fine dell’89 e l’inizio del ’90. Due attentati ai tralicci Enel che trasportano in Italia l’energia prodotta dal Superphoenix, il surgeneratore nucleare francese di Creis Malville, vicino a Lione. Il primo dei due attentati fallisce, il secondo raggiunge l’obiettivo. Già allora serpeggiano molti dubbi sulla effettiva paternità delle azioni che qualcuno attribuisce a spezzoni deviati dei servizi segreti impegnati a combattere per conto terzi una guerra commerciale sull’ approvvigionamento energetico.
Il verminaio della val Susa comincia a essere scoperchiato il 17/6/’93 con l’arresto dei titolari dell’armeria Brown Bess di Susa, Luisa Duodero e il figlio, Andrea Torta. I due sono accusati di traffico d’armi per aver fatto sparire 397 pistole. Finite a chi? E con quali complicità?
Il 12/12/’94 il processo si chiude con la condanna dei due armieri, e nella requisitoria finale il pm avanza il sospetto che i due abbiano gestito il traffico grazie alla complicità di pubblici ufficiali corrotti.
La svolta nell’inchiesta arriva nel marzo 1995 con una serie di esposti presentati in procura dall’ex ambiguo maresciallo dei carabinieri di Susa, Germano Tessari, già uomo dei servizi antiterrorismo di Dalla Chiesa. Tessari suggerisce ai magistrati di interrogare sul punto un altro personaggio legato ai servizi, Franco Fuschi, fino ad allora sconosciuto alle cronache.
Forse per rendere il “favore” all’ex amico Tessari, Fuschi (foto sopra) si rivela più “collaborativo” del previsto e inizia una fluviale serie di rivelazioni e autoaccuse. Vengono ritenuti credibili i racconti dell’ex agente dei servizi su 11 omicidi compiuti da lui stesso nel torinese e mai scoperti. Inoltre la procura approfondisce con lo stesso Fuschi l’inchiesta sul traffico d’armi e sui misteriosi ritrovamenti di pistole ed esplosivi avvenuti in valle negli ultimi anni. Come era prevedibile, Fuschi coinvolge pesantemente nelle sue rivelazioni l’ormai ex amico Tessari, accusandolo di aver organizzato, insieme ai servizi sergreti, il traffico d’armi dell’armeria.
Germano Tessari è stato maresciallo dei carabinieri di Susa fino al febbraio 1990. Nel corso della sua lunga permanenza in servizio si è occupato, oltreché di Prima linea, anche di vicende minori. E’ stato lui, ad esempio, ad arrestare nell’81 Silvano Pellissero, uno dei tre frequentatori dei centri sociali ora accusati degli attentati contro l’Alta velocità. Pellissero viene arrestato col padre in seguito all’esplosione nel pollaio di casa, a Bussoleno, di un rudimentale ordigno. Nella stessa abitazione vengono trovati fucili e pistole. Ma una perizia del tribunale sosterrà che si trattava di vecchie armi in disuso e, grazie a questa circostanza, Pellissero otterrà la concessione della condizionale.
Terminata nel ’90 la carriera di maresciallo, quella merda di Tessari si dà alla politica e viene eletto nello stesso anno assessore ai servizi sociali di Susa (!) e consigliere provinciale nelle liste del Psdi. Nel ’92 si alza in consiglio provinciale per una circostanziata denuncia contro la corruzione alla Sitaf (la vicenda porterà successivamente al processo e alla condanna di 2 funzionari della società). All’inizio del ’95 vengono ritrovati cento candelotti di dinamite all’interno di una galleria in costruzione dell’autostrada Torino-Bardonecchia. Altri ritrovamenti di esplosivi vengono effettuati nelle settimane successive.
All’inizio del marzo ’95 la Sitaf assume Tessari, che pure aveva pesantemente attaccato la società solo 3 anni prima, come responsabile della sicurezza per tutelarsi dai rischi di attentato. Effettivamente i ritrovamenti cessano ma nel dicembre del ’96, nell’ambito delle nuove indagini sull’armeria di Susa, vengono perquisiti l’ufficio e l’abitazione di Tessari, dove l’ex maresciallo custodiva apparecchiature di intercettazione ambientale. L’ex carabiniere dei servizi ha continuato a lavorare nel settore?
Ma le rivelazioni del loquace Fuschi riguardano anche altri esponenti dei servizi. In particolare i due agenti del Sisde Dante Caramellino e Raffaele Guccione: “Con loro (ha detto Fuschi ai magistrati), ci mettevamo d’accordo. Una volta hanno messo un po’ di armi in un furgone a Rivoli per poi farcele ritrovare”, naturalmente al termine di una brillante operazione. Iniziative da agenti disoccupati o un mezzo per effettuare nuovi ricatti? Forse non lo sapremo mai, perché l’inchiesta è stata archiviata per scadenza dei termini. Quando vai a indagare sulle bastardate dei servizi segreti, tutto va rapidamente ad affossarsi e tutti quanti rimangono impuniti!
Il 19 aprile del ’96, mentre viene interrogato in procura, Fuschi si fa accompagnare in bagno e si spara alla tempia. Sopravviverà ma da quel giorno la storia delle sue rivelazioni diventa di dominio pubblico. Pochi mesi dopo, in questo scenario di intrighi e ricatti, comincia la serie dei 13 attentati contro l’Alta velocità che si apre il 23 agosto ’96 e si chiude il 10 novembre. Solo 3 di questi attentati sono firmati dal gruppo “Lupi grigi-Valsusa libera”, cui sono accusati di essere contigui Silvano Pellissero, Maria Soledad Rosas e il suo compagno, Edoardo Massari. Dei 13 attentati 2 sono contro le centraline elettriche delle gallerie dell’autostrada della Sitaf. E non sempre le rivendicazioni appaiono attendibili. Il 21 maggio 1997 ad esempio, viene attaccato di notte un cantiere dell’Alta velocità sopra Mompantero. Prima di bruciare una trivella gli attentatori prendono a fucilate due telecamere nascoste nella boscaglia. Un altro volantino dei “Lupi grigi” che rivendica l’azione parla invece di “una telecamera nascosta in un container”. Circostanza palesemente falsa. Altri attentati non riguardano l’alta velocità ma ripetitori Mediaset o Omnitel. Certamente, secondo quanto affermano gli stessi magistrati della procura, non esiste prova che i 3 arrestati siano stati coinvolti direttamente nelle 13 azioni al centro dell’inchiesta. Infatti sono accusati per altri 3 attentati minori.
Sole e Baleno si sono suicidati e Silvano Pelissero rimane l’unico processato per la stagione di attentati contro I’alta velocità in val Susa. Ma lo squatter non ha nulla a che vedere con la catena di fatti loschi e drammatici in una valle vitale per lo sviluppo dell’economia europea. In un contesto sociale di attentati teleguidati, servizi segreti occulti, armi, sbirri e mafia.
Il Pm Maurizio Laudi (foto sotto), che ha trovato «prove granitiche» contro gli squatter: forse la sua è stata un’indagine troppo facile. E troppo comoda. Chi ha voluto coprire il Pm? La stessa massomafia che aveva scoperto e ben definito Falcone, prima di morire.
Il P2ista Germano Tessari, conosciuto come “Tex”, è un ex maresciallo dei carabinieri, che forniva pistole alla mafia, e tutti in Val Susa sapevano dei sporchi giochi dello sbirro, il maresciallo Tessari. Ma non c’era solo lui nella cricca massomafiosa (lu maresciallo Cocò Cucuzzo), c’era anche Guido Manina che faceva parte del gruppo terrorista Prima Linea. Ora invece è funzionario della Sitaf (Società Italiana per il Traforo Autostradale del Frejus Spa), un’azienda italiana che opera nel settore della gestione in concessione di tratte autostradali, la gallina dalle uova d’oro della val di Susa. Per ironia della cronaca, la val di Susa è oggi fondamentale per gli interessi dell’Italia e dell’Europa, rimanendo coi suoi passi e i suoi trafori il principale passaggio di merci e uomini verso Grenoble, Lione, Parigi. Il presidente francese Jacques Chirac chiede con urgenza la costruzione di un tunnel che da Susa porti in Francia, con treni che vi passino velocemente. Toh, proprio il progetto contro cui si scagliavano gli squatter. Toh, proprio la valle che di attentati è stata tempestata (attuati dai servizi segreti occulti per creare depistaggi, caos e per poi incolpare gli Anarchici).
Con tutto l’allarme creato dai servizi segreti con l’emergenza «squatter», a oggi pochi, pochissimi sono andati a mettere il naso sul luogo di quegli attentati, la val Susa appunto. Peccato, perché avrebbero scoperto molte cose interessanti; storie di assassini, di migliaia di miliardi pubblici spariti, di servizi segreti che organizzano e gestiscono un traffico d’armi con la mafia calabrese, di attentati veri e finti quasi mai realmente rivolti contro l’alta velocità. E avrebbero scoperto Franco Fuschi, di giorno un pacioso contadino del paese di Mattie, di notte assassino seriale da record e uomo di fiducia del Sisde, il servizio segreto civile. Fuschi è stato condannato il 26/2/1999 a Torino, alla pena dell’ergastolo per 11 omicidi. Nonostante sia stato un killer molto ambiguo, il silenzio ha dominato le udienze: una piccola aula disertata dai giornalisti (solo delle brevi note nelle cronache locali) e spesso persino dalle parti civili. Strano disinteresse, visto che intorno al processo sono comparsi tutti i nomi e i luoghi della tormentata storia recente di questa valle: Silvano Pelissero, per cominciare, lo «squatter»; Germano Tessari, detto «Tex», intraprendente ex maresciallo dei cc, indagato nel traffico d’armi che coinvolge Fuschi e il Sisde; Guido Manina, funzionario della Sitaf, la società che gestisce l’autostrada, ex «pentito» di Prima Linea (arrestato proprio da Tessari), che fornì nei primi anni ‘80 la sua collaborazione allo stesso giudice Laudi, allora impegnato contro il terrorismo di estrema sinistra. Quattro personaggi diversi, tutti e quattro rappresentati dallo stesso avvocato torinese, l’avvocato Novaro, che ben conosce la valle (conosce tutti i retroscena occulti). Una piccola valle dove tutti si conoscono e, a primavera, si balla. Dove ballano gli gnomi, gli uomini dei servizi e i pentiti di terrorismo. La città degli gnomi si chiama Mompantero e, in effetti, se riesci a non guardare l’autostrada, i cantieri, le industrie, le due statali, la ferrovia e i depositi abbandonati sulle rive asciugate di un torrente, la valle è una quinta da favole.
Oggi la spina dorsale della val di Susa è sfregiata dall’autostrada, progettata nei primi anni ‘80, dopo l’apertura del grande traforo stradale che affianca la storica galleria ferroviaria del Fréjus, sopra Bardonecchia. Poi c’è stato il magna magna del tentativo abortito di sviluppo industriale, il più grande comprensorio sciistico italiano, una pioggia torrenziale di miliardi pubblici investiti in opere infrastrutturali molto discusse. In Val di Susa, classificata come zona prioritaria per la sicurezza dello stato, da almeno trent’anni, si snoda una catena di eventi sconcertanti: a partire dai campi paramilitari neofascisti di Ordine Nuovo alla fine degli anni ‘60, passando per la singolare storia della colonna locale di Prima Linea negli anni ‘70 (che qui fornì in assoluto il più alto numero di militanti), fino al più recente caso delle infiltrazioni mafiose in alta valle, con la poderosa speculazione edilizia relativa a Bardonecchia, primo comune italiano del Nord sciolto per mafia. Ci passano personaggi eccellenti come l’ex ministro della difesa Domenico Corcione (foto sopra) o il generale dei cc Francesco Delfino dirigente del SISMI (servizio segreto italiano militare. La sua sede principale è stata Forte Braschi, a Roma). Ma per capire la storia che culmina con la montatura ai danni degli anarchici e i tragici suicidi di Massari e Rosas bisogna però fare qualche passo indietro nella storia della valle. E tornare, magari, all’inizio degli anni ‘80, proprio al tempo in cui il terrorista «pentito» Guido Manina ricostruisce davanti al giudice Laudi, coordinatore delle indagini, e al maresciallo dei carabinieri Germano Tessari, che lo ha arrestato, la struttura dell’organizzazione di estrema sinistra in cui militava. La legislazione sui pentiti è ancora di là da venire, ma la collaborazione di Manina non verrà dimenticata e Tessari otterrà per il suo collaboratore un lavoro sicuro in una ditta che opera per conto della Sitaf, la Società Autostrade Trafori Frejus, che proprio in quegli anni avvia le grandi opere con le quali saranno drenate migliaia di miliardi di lire pubbliche. La Sitaf è il nodo della vicenda. Ma Guido Manina non è l’unico collaboratore di giustizia a trovare rifugio nel business Sitaf: con lui Marco Re e altri personaggi legati alle vicende di Prima Linea e, più tardi, un boss mafioso di prima grandezza come Francesco Miano, il ‘pentito’ del clan dei catanesi, proprio l’uomo che, per conto della mafia siciliana, conquistò la piazza di Torino negli anni ‘70 e rivelò gli autori dell’omicidio del procuratore Bruno Caccia.
In valle, molti pensano che fin dalla sua fondazione la Sitaf funga da azienda di copertura dei servizi segreti. Una tesi fantasiosa, magari, ma che certi episodi non contribuiscono a smontare: per esempio l’affidamento dell’arbitrato sulle quote pubbliche nella proprietà dell’azienda a Franco Frattini (foto sopra), di Forza Italia, poi presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti.
«Ma la Sitaf è di Gavio?», chiese Antonio Di Pietro, appena insediato al ministero dei Lavori Pubblici. Lungimirante Di Pietro: in effetti Marcellino Gavio da Tortona (foto sotto), padrone dell’«Itinera», in grado di controllare direttamente o attraverso dei prestanome la quasi totalità delle autostrade piemontesi, amico e socio di Salvatore Ligresti e Gianni Prandini, colpito da mandato di cattura internazionale nel 1992, quando riparò per qualche tempo a Montecarlo, detiene insieme a Enzo Mattioda, il 40% delle azioni Sitaf, contro un 11% delle banche e un 48% degli enti pubblici: particolare, quest’ultimo, che fa della Sitaf il solo caso italiano (insieme al traforo del Monte Bianco), di partecipazione dell’ente nazionale strade a una società concessionaria. La torta in ballo nell’arbitrato Frattini riguarda un trasferimento a privati di circa tremila miliardi di lire, duemila dei quali dello stato. Episodio di una storia da migliaia di miliardi che assicura alla direzione Sitaf il controllo di cifre enormi, della misura del Pil di un Paese balcanico. Ma il problema più grosso è che il ruolo della Società Italiana Trafori e Autostrada Fréjus in valle ha un peso politico, se possibile, superiore a quello economico.
La Sitaf non è un boccone trascurabile per i servizi: per ammissione delle stesse forze dell’ordine, un controllo sistematico di ciò che passa sulle strade della Val Susa è possibile soltanto a chi abbia le chiavi della struttura di sicurezza dell’autostrada, la sola a poter riferire i movimenti attraverso viadotti e gallerie, e anche nel territorio circostante. Al sistema della sicurezza autostradale, nel corso degli anni, si interessano in molti. In primo luogo «Tex», cioè l’ex maresciallo dei cc Germano Tessari.
Tex, come già accennato, nel 1986 assume il comando della stazione dei cc di Susa, incarico che abbandona il 15/2/1990 per entrare in politica, consigliere provinciale e assessore ai Servizi sociali del Comune di Susa, nel Psdi. È in questa veste che Tessari denuncia in Consiglio provinciale, nel febbraio 1992, i «sistemi mafiosi degli appalti stradali in val di Susa»: la Sitaf viene indicata dall’ex maresciallo come centro di traffici di varia specie, e alcuni dirigenti saranno inquisiti. Froio, a quel tempo ancora amministratore delegato, viene a patti con Tex, che ottiene fra le contropartite l’assunzione del fidato Manina all’interno del sistema centrale dell’azienda. È un primo passo, in vista dell’investitura dello stesso Tessari, avvenuta pochi anni dopo con un contratto datato marzo 1995. Da quella data è proprio ‘Tex’, il regista delle indagini calde in valle, il collaboratore di fiducia di Laudi e altri giudici, a rivestire l’ambito ruolo di titolare del controllo sulla sicurezza stradale in val Susa.
Intanto, però, è successo qualcosa di nuovo: l’inchiesta sul traffico d’armi partito da una piccola armeria di Susa, ha portato sul territorio un ospite indesiderato e scomodo: la questura di Torino. Si apre una specie di guerra tra le forze dell’ordine. Fonti di pubblica sicurezza, coinvolte nelle indagini sulla val Susa, ammettono apertamente la loro sfiducia nei confronti dei carabinieri della valle, di cui conoscono le omissioni (è un fatto inconfutabile: il gran numero di depistaggi messo in atto da ufficiali dei cc in quasi tutte le indagini relative agli omicidi dello 007 di Mattie Franco Fuschi, tanto per fare un esempio).
L’armeria Brown Bess, è un’inchiesta che non ci voleva, il ‘pasticcio’ delle armi nasce a cavallo tra gli anni ‘80 e’90, a cavallo cioè fra il Tessari maresciallo e il Tessari politico. E parte da quello che il killer Fuschi descrive come «un negozietto di provincia squallido e mal fornito»: l’armeria Brown Bess, di Susa. Titolare dell’armeria è Luisa Duodero, insieme al figlio Andrea Testa. Per i carabinieri della compagnia locale l’armeria è in regola, così come lo è per Tessari che per questa ‘leggerezza’ finirà indagato insieme ad altri 3 marescialli. Ma non è tutto liscio come sembra: il marito della Duodero, Giovanni Testa, ha a suo carico una pesante condanna per un traffico d’armi a favore dei Nuclei Armati Rivoluzionari (eversione nera) e della criminalità organizzata, partito dalle indagini sull’armeria «Old Gun» da lui gestita a Milano. Socio in affari di Testa senior era nientemeno che Carlo Digilio, poi uno dei principali imputati per la strage di piazza Fontana. Nonostante precedenti così pesanti, la famiglia Testa torna senza difficoltà, e in pochi mesi, al commercio d’armi a Susa. In effetti, dalle indagini sull’armeria, emerge un fatto sconcertante: il numero stampato su un porto d’armi contiene una cifra segreta, depositata al ministero dell’Interno e ignota agli stessi funzionari che ne curano il rilascio, una cifra che identifica la prefettura di provenienza. Ebbene, tutti i numeri registrati alla Brown Bess risultano veri, corrispondono realmente alle Prefetture segnate sui registri della Brown Bess. Il gioco dei codici indica inequivocabilmente chi gestisce il traffico: lo stato. O qualche suo servitore infedele, ma potente.
Assieme a Fuschi e Tessari, per siglare l’accordo, si presentano a Susa anche Dante Caramellino e Raffaele Guccione, funzionari del Sisde, e non di secondo piano. Escono 395 pistole e due fucili, armi che incominciano a saltar fuori in vari ritrovamenti da parte delle forze dell’ordine (il solito Fuschi, confidente dei carabinieri, ne organizza alcuni), in casi di omicidio, nelle mani di pezzi grossi della ‘ndrangheta. Ed è proprio una pistola trovata a Crotone nel 1992, proveniente dall’armeria di Susa, insieme a un’arma sequestrata al boss della ‘ndrangheta Giuseppe Lo Prete, a far scattare l’indagine della Questura di Torino, gestita dal pm Gabriella Viglione, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Torino, che spezza il cerchio di omertà stretto intorno alla Brown Bess.
Le bombe sviano l’attenzione dal caso dell’armeria. Strani attentati? Chissà perché un super killer come Franco Fuschi non ha destato nei media alcun interesse. Chissà perché due «squatter» si sono suicidati.
Si sono uccisi come nel caso del compagno Pino Pinelli, assassinato in questura a Milano dopo la strage di Piazza Fontana. E’ la storia di uno stato che fa le stragi e si inventa dei nemici (Patto Atlantico anticomunista), che ha bisogno di un capro espiatorio da gettare in pasto all’opinione pubblica (Piano militare: strategia della tensione, fatto di colpi di stato e stragi di stato).
A Ivrea (To), nello stesso carcere (foto sopra) dove morì Baleno, l’8 febbraio scorso, i mass media ricordano l’omicidio del detenuto Andrea Pagani Pratis che morì di polmonite in carcere l’8 gennaio 2024. La procura: “Il detenuto doveva essere ricoverato in ospedale”, morì in carcere a Ivrea per un edema polmonare. Era il 7 gennaio di un anno fa, e il decesso avvenne dopo che il detenuto, da 6 giorni, lamentava tosse, febbre e un malessere generale. Il 6 gennaio, fu visitato nell’infermeria della casa circondariale. Questa volta, il medico di turno lo prese in cura sia al mattino sia nel pomeriggio. Tuttavia, il detenuto venne fatto rientrare in cella, dove rimase fino al decesso, avvenuto la mattina successiva. La morte in cella di Pagani Pratis suscitò la rabbia dei compagni di detenzione, che scrissero una lettera sul giornalino del carcere La Fenice, in cui lui stesso si firmava col nome di “Vespino”: “Il caso è stato preso troppo alla leggera. Si sarebbe potuto salvare”. .
Emsi Caserio: Rap Anarchico Popolare (VIDEOCLIP 2014)https://www.youtube.com/watch?v=qg4N2z7g_5k&list=RDGMEMHDXYb1_DDSgDsobPsOFxpAVMqg4N2z7g_5k&start_radio=1
Cranio Randagio “Petrolio” (Official Video)https://www.youtube.com/watch?v=BxXv3NfQ3YM&list=RDGMEMHDXYb1_DDSgDsobPsOFxpAVMqg4N2z7g_5k&index=6
https://www.rivoluzioneanarchica.it/anniversario-dellarresto-dei-compagni-anarchici-sole-e-baleno-uccisi-dallo-stato/
Sole e Baleno, come Pinelli, uccisi dallo stato per coprire intrecci P2isti massomafiosi
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La polizia non è molto interessata alla logica
o alla giustizia. Essa cerca solo un bersaglio,
per mascherare la sua assoluta ignoranza dei motivi
e della psicologia di un atto politico.
Emma Goldman
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Solidarietà alle compagne e ai compagni anarchici ingiustamente incarcerati, in particolare a Cospito.
Basta armi! Basta guerre!
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Cultura dal basso contro i poteri forti
Rsp (individualità Anarchiche)