7 maggio 1889: sollevazione popolare a Milano

7 maggio 1889: SOLLEVAZIONE POPOLARE A MILANO

Passano i secoli ma la strategia di repressione militare, dello stato di polizia (per difendere i poteri forti), è sempre la stessa: occulto, violento e vigliacco, sempre pronto a usare qualsiasi mezzo meschino pur di reprimere il dissenso ed etichettarlo come terrorismo, per imporre l’autoritarismo e la (finta) pace sociale.

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Nel 1898, l’assetto formale del Regno d’Italia era quello tipico dello Stato liberale ottocentesco(repubblica monarchica), così come si era delineato anche mediante l’esperienza risorgimentale. In particolare, la partecipazione alla vita politica era ancora riservata ad una minoranza di cittadini, appartenenti ai ceti agiati della nobiltà: la scelta del suffragio censitario, adottata per motivazioni varie e talora contrastanti, era stata poi conservata, pur con progressive estensioni, anche dai governi della Sinistra storica, nonché sostenuta da un fervente repubblicano quale Francesco Crispi, soprattutto in ragione delle gravi condizioni di analfabetismo in cui, ancora alla fine del secolo, versava gran parte della popolazione italiana…..

Milano all’epoca, con quasi mezzo milione di abitanti, era la seconda città italiana più popolata dopo Napoli e già era la capitale finanziaria della nazione: la città più importante dove sperimentare nuovi modelli di una società semi-industrializzata in una fase cruciale di sviluppo ed emancipazione del ceto popolare eterodiretto da un ceto borghese milanese intellettuale e illuminato.

La situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa fu l’aumento del costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti agrari e, in parte, all’aumento del costo dei cereali d’importazione dovuto alla guerra Ispano-Americana. Alcuni politici tentarono di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico, ma il malessere popolare era tale che il movimentismo spontaneo di tendenza anarchica, radicale e socialista prevalse: pur non essendoci un progetto rivoluzionario, nel 1898 l’avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e coloro che le rappresentavano toccò il suo apice in Italia.

Le prime rivolte popolari si verificarono in Romagna e Puglia il 26 e 27 aprile, e in seguito in tante città e paesi: nei tumulti diversi rivoltosi morirono. Il 2 maggio 1898, il Ministero dell’Interno, considerata la situazione generale del regno

(insurrezioni popolari), aveva autorizzato i Prefetti ad affidare, in caso di necessità, il ristabilimento dell’ordine all’autorità militare (dittatura) . Il 5 maggio, il Prefetto di Milano, barone Antonio Winspeare, comunicò al generale Fiorenzo Bava Beccaris che per il giorno seguente si temevano gravi disordini in città. Il generale provvide così a richiamare in città anche il 5º Reggimento Alpini.

Il 6 maggio 1898 verso mezzogiorno, alcuni agenti di polizia s’infiltrarono tra gli operai della Pirelli di via Galilei; approfittando della pausa pranzo, in fabbrica venivano distribuiti volantini di protesta, su cui fra l’altro stava scritto che il governo era il vero responsabile della carestia che travagliava il Paese. La polizia arrestò sindacalisti e operai: dovette muoversi Filippo Turati, deputato dal 1896, per farli rilasciare quasi tutti, e in questura ne restò solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamarono la liberazione del compagno e la loro protesta ebbe la solidarietà degli operai di altre fabbriche cittadine.

Il giorno seguente, 7 maggio, venne proclamato uno sciopero generale di protesta al quale la cittadinanza aderì in massa riversandosi nelle strade principali della città. Agli operai provenienti dagli stabilimenti della periferia milanese, si aggiunsero quelli delle attività presenti in città, oltre a un’imponente massa di popolazione appartenente alle più varie categorie, dalle tabacchine ai macchinisti ferrotramviari. Massiccio fu anche il concorso di giovani e comunque di cittadini non organizzati, oltre alla ovvia e cospicua presenza di attivisti anarchici, c’erano anche i repubblicani, i socialisti, aderirono anche i cattolici intransigenti (per detenere, infiltrare e manovrare le masse), sostenitori del potere temporale del papa, il cui punto di riferimento era don Davide Albertario, direttore dell’Osservatore Cattolico.

Quel 7 maggio 1889 ci fu una sollevazione popolare contro le dure condizioni di vita e il generale Bava-Beccaris, ordinò all’esercito di sparare sulla folla (donne, anziani, bambini e padri di famiglia) che manifestavano a Milano contro l’aumento del prezzo del pane. Fu una delle prime stragi di stato, i morti furono più di 300.

In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava-Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un seggio al Senato. Aderì al movimento interventista che propugnava la partecipazione dell’Italia alla I guerra mondiale. Favorevole al fascismo, nel 1922 fu tra i generali che consigliarono al re Vittorio Emanuele III di affidare il governo dell’Italia a Benito Mussolini. Numerosi disordini e tumulti si susseguirono in altrettanti comuni italiani sino alla I guerra mondiale. L’eco della violenza sbirresca nelle manifestazioni contro i civili, (stragi di stato), sollevò grande impressione nelle numerose comunità italiane all’estero, formate dai milioni di emigranti che, nell’ultimo quarto del XIX secolo, erano espatriati in cerca di lavoro, costretti dalle disastrose condizioni economiche nazionali.

La 1 strage di stato fu nel 1861, con la morte di Ippolito Nievo e la sparizione della nave a vapore Ercole. La nave subì un attentato alla caldaia e affondò, nascondendo in fondo al mare documenti scottanti che non dovevano vedere la luce, perché avrebbero rivelato l’ingerenza pesante del Governo corrotto di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie …..

Dietro le trame oscure del governo londinese, c’era il regno dei Savoia, Crispi e Cavour, che sovvenzionavano la milizia armata dei garibaldini contro i borboni, per l’unità d’Italia.

I poteri che dominavano il regno delle due Sicilie, prima del 1861, erano Austria e Russia.

 

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