Regeni torturato e ucciso: il vecchio vizio dei servizi segreti

Il 25/1/2018 i genitori di Giulio Regeni dichiarano ai mass media: “Il nostro calendario mensile ha l’evidenza su tre date principali: il 25, la scomparsa di Giulio, il 3, giorno del ritrovamento del suo corpo, il 14, punto sulla situazione della scorta mediatica. Questo significa che tutti i cittadini che chiedono con noi verità e giustizia per Giulio, seguono attentamente tutto ciò che succede e tutte le scelte che vengono fatte per arrivare alla verità. Speriamo che a breve si aggiunga a queste tre date quella in cui ci verrà consegnata la verità ‘vera’ e completa sulle responsabilità della barbara uccisione di nostro figlio“.

Oggi sappiamo che Giulio, fu oggetto di una stringente attività di spionaggio da parte degli apparati repressivi e feroci del regime egiziano, alla vigilia del 5° anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir. Quella prassi militare, fu alimentata anche dal tradimento di una persona di cui Giulio si fidava, l’allora leader del sindacato degli ambulanti, Mohammed Abdallah, infame – senza etica e morale, pronto a vendersi come informatore di polizia e Servizi. A consegnare a Giulio la patente di “spia”, quale non era, per conto dei Servizi britannici, fu la “”colpa” del suo lavoro di ricerca condotto per l’università di Cambridge. Per 2 anni il regime egiziano ha depistato le indagini, arrivando a concepire e consumare la macabra messa in scena della morte di 5 innocenti da offrire all’Italia come responsabili della morte di Giulio….

Ma facciamo un po’ di storia: Giulio Regeni era un ricercatore italiano dell’università di Cambridge scomparso al Cairo il 25/1/2016, nel 5° anniversario delle proteste di piazza Tahrir….

Il suo corpo è stato ritrovato il 3 febbraio alla periferia della capitale egiziana con evidenti segni di tortura. Aveva 28 anni. Le indagini sulla sua morte sono state intralciate da vari tentativi di depistaggio da parte dei servizi di sicurezza egiziani in allerta per reprimere la Rivoluzione araba, e insospettiti per le sue ricerche sui sindacati indipendenti. Da allora i suoi genitori portano avanti la campagna Verità per Giulio Regeni per chiedere al governo italiano di portare fino in fondo le indagini….

Dal 3 febbraio, giorno del ritrovamento del corpo, la collaborazione fra i giudici egiziani e italiani si è rivelata alterna e contraddittoria. Inizialmente le autorità locali hanno negato le loro responsabilità avvallando diverse versioni che andavano dall’incidente stradale alla pista omosessuale. Ma il tentativo di depistaggio più vigliacco fu fatto nel marzo del 2016 in cui le forze egiziane uccisero 5 persone accusate di essere una banda di rapitori di stranieri, e facendo ritrovare i documenti di Giulio nella loro abitazione. Da allora numerosi incontri tra procure e il rifiuto del Cairo di permettere agli investigatori italiani di interrogare direttamente alcuni membri delle forze di sicurezza lasciano una ricostruzione ancora parziale dei fatti, ma soprattutto non spiegano da chi sia partito l’ordine, e perché uccidere Giulio Regeni? Mohammed Lotfy, legale dell’ECRF, l’organizzazione che rappresenta la famiglia Regeni in Egitto dichiara ai mass media “Siamo riusciti ad avere una copia del faldone, ma dobbiamo mantenere la massima riservatezza, rispettando l’ordine della Procura, il contenuto degli interrogatori potrebbe essere decisivo per ricostruire le cause del rapimento e della morte di Giulio”. Le carte confermerebbero il coinvolgimento di Sharif Magdi Abdlaal, capitano della sicurezza di stato. Era l’uomo che teneva i contatti con Mohammed Abdallah, il capo degli ambulanti che ha filmato Giulio durante il loro incontro (il video fu pubblicato l’anno scorso dalla tv egiziana). È lo stesso che accusò e arrestò il direttore dell’ECRF Ahmed Abdallah. Poi c’è Mahmoud Hendy, l’ufficiale responsabile del depistaggio degli uomini giustiziati nel marzo del 2016, spacciati per una banda di rapitori di stranieri. Gli inquirenti italiani sono in possesso anche di un altro nome, quello di Osman Helmy, che secondo i tabulati telefonici sarebbe uno degli agenti della National Security che hanno arruolato (pagato) Mohammed Abdallah. “Sarà difficile ottenere la verità, il caso di Giulio è troppo compromettente per l’apparato egiziano”, spiega Lina Attallah, fondatrice del giornale indipendente Mada Masr. “La dinamica è la stessa adottata verso migliaia di dissidenti interni. In alcuni casi, quando la vittima era egiziana, c’è stata la possibilità di indagare e processare dei poliziotti. Ma resta un’opzione rara”. Come rare sono le possibilità di far luce sul rapimento, la tortura e la morte del giovane ricercatore italiano, perché sono gli stessi apparati di sicurezza che li hanno messi in atto. Anzi, l’ormai assodato coinvolgimento di reparti e nomi di rango, sia dell’intelligence interna sia di quella militare, potrebbero continuare a rallentare la collaborazione del governo del Cairo.

Ma paradossalmente è stata quella tesi sui sindacati indipendenti, (portata avanti sotto il regime dittatoriale di Abdel Fattah al Sisi) che portò alla morte lo studente Giulio Rogeni. Una tesi sociologica interessante, dove Giulio voleva capire e analizzare le condizioni sociali ed economiche di quei territori, dopo 30 anni di dittature militari. Giulio voleva capire soprattutto ed analizzare le motivazioni delle rivolte sociali avvenute durante la Primavera araba. La rivolta cominciò il 18/12/2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia (dittatura militare), il cui gesto innescò l’intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini. Per le stesse ragioni, un effetto domino si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa. I risultati di quelle proteste e lotte sociali arrivarono nel 2011 quando 4 capi di stato furono costretti alle dimissioni, alla fuga e in alcuni casi portati alla morte: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali (14/1/2011), in Egitto Hosni Mubarak (11/2/2011), in Libia Muhammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso dai ribelli il 20/10/2011 e in Yemen Ali Abdullah Saleh (27/2/2012).

Ma torniamo indietro nel tempo:

La primavera araba, ricordata anche come la rivoluzione di piazza Tahrir, fu un insieme di proteste sociali (egiziane) che portarono alla caduta del dittatore Hosni Mubarak il 25/1/2011.

In occasione del 5° anniversario nel 2016, il governo egiziano aveva annunciato la linea dura contro i manifestanti. La rivoluzione egiziana fu uno degli eventi più importanti della cosiddetta “primavera araba”, quella serie di rivolte, proteste e sommosse che tra il 2011 e il 2012 hanno portato alla caduta dei regimi dittatoriali in Egitto, Tunisia, Libia e Yemen. Nel 2016, molti dei Paesi che avevano deposto i loro dittatori, erano ritornati a essere governati da una dittatura militare, come nel caso dell’Egitto, o peggio ancora sono travagliati da guerre civili (guerre di religione come nell’anno 1100), come Libia, Siria e Yemen. In Egitto, dopo la caduta di Mubarak si sono tenute elezioni democratiche che nel 2012 hanno portato alla vittoria dei Fratelli Musulmani e del loro candidato Mohamed Morsi. Una volta divenuto presidente però Morsi si è comportato da fascista dittatore, reprimendo nel sangue le proteste politiche indotte per lo più dalle condizioni sociali di miseria in cui la maggior parte dei poveri era costretta a vivere in un governo ancora fascista e autocratico che ha continuato a comandare, dopo più di 30 anni di dittatura militare …

Ricordiamoci che anche durante la guerra civile algerina (a partire dalla metà del 1994), erano state usate tattiche militari (false flag), impiegate dagli squadroni della morte che si travestivano da terroristi islamisti e commettevano attacchi ‘sotto falsa bandiera’. Tali gruppi includevano la OJAL o la OSSRA (organizzazione segreta per la salvaguardia della Repubblica algerina). Gli squadroni della morte erano composti da sottufficiali dei paracadutisti dell’esercito francese che avevano il compito di rastrellare i sospetti ribelli. I sottoufficiali erano pagati da organizzazioni militari o paramilitari che spalleggiano dittature o regimi basati sulla repressione e l’autoritarismo…

Anche il procuratore Giuseppe Pignatone il 25/1/2018 fa una dichiarazione ai mass media: “Giulio Regeni è stato ucciso per le sue ricerche, ed è certo il ruolo dei Servizi. Il movente, “pacificamente da ricondurre alle attività di ricerca effettuate da Giulio nei mesi di permanenza al Cairo”, e “l’azione degli apparati pubblici egiziani, che già nei mesi precedenti avevano concentrato su Giulio la loro attenzione, con modalità sempre più stringenti, fino al 25 gennaio, sono punti fermi”.

A proposito di servizi segreti e dei loro giochi sporchi geopolitici…

Anche in Italia abbiamo avuto le nostre incoerenze nella storia, coi partigiani bianchi, con le Stragi di stato organizzate dagli apparati di sicurezza militare: servizi segreti (P2) e il loro servi – braccio armato Gladio, Nuclei clandestini dello stato, Falange Armata, CC, Ps…..

Il 25/6/2015 i mass media annunciano che sono stati indagati 15 agenti segreti super addestrati sospettati di essere collegati con le bombe del 1993, e che le telefonate della Falange Armata partivano dalle sedi coperte del Sismi.

Forse non ci ricordavamo più chi era la Falange Armata, l’oscura sigla criminale che nei primi anni ‘90 rivendicava ogni singolo fatto di sangue in Italia: dai delitti della ‘banda della Uno bianca’ alle stragi mafiose del 1992 e ‘93. Un mistero mai risolto quello dei telefonisti del terrore che chiamavano i centralini dei mass media per firmare eccidi e stragi. Adesso però, a più di vent’anni di distanza, emerge un particolare nuovo: quelle chiamate sarebbero state fatte dalle stessa zone in cui all’epoca il Sismi aveva localizzato le sue basi periferiche. A raccontarlo è l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, al vertice del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) tra il 1991 e il ‘93. “C’era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca e gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni”, è il racconto di Fulci, che dopo essere stato interrogato dai pm di Palermo Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo nell’aprile del 2014, ha deposto anche nel gennaio 2015 al processo sulla Trattativa Stato – mafia. “Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente, e in più De Luca mi disse che le chiamate venivano fatte sempre in orario d’ufficio”, racconta Fulci nell’aula bunker del carcere Ucciardone, davanti alla corte d’Assise di Palermo, che sta processando politici, boss mafiosi e ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi dello stato e Cosa Nostra (massomafia). Ma perché pezzi del Sismi avrebbero dovuto rivendicare le stragi di mafia? Fulci non lo dice, spiega però di “essersi convinto che tutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind, facevano esercitazioni, creare il panico in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il Paese” (Strategia della tensione – stragi di stato).

Teniamo presente anche che (secondo noi Rsp), gli sbirri erano preoccupati in quel periodo, perché nel 1991 fu istituita la prima commissione stragi, incaricata di desecretare, cioè togliere il segreto di stato ai documenti Top Secret, che riguardavano il piano militare Atlantico della strategia della tensione attuato anche in Italia dal 1947 al 1984: strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947), Piano Solo (1964) il colpo di Stato ( Stay behind – piano atlantico anticomunista) progettato dal generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo, strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) strage di Bologna (2 agosto 1980), 4 agosto 1974 strage sull’ treno Italicus, 23 dicembre 1984 strage sull’ treno Rapido 904..

Anche Il compagno Giuseppe Pinelli fu vittima della repressione militare ( dittatura militare – strategia della tensione) di quell’autunno caldo (lotte e rivendicazioni sociali fatte dagli operai insieme agli studenti) dove gli apparati militari (Nato) anche italiani, erano pagati per attuare il piano militare Atlantico Anticomunista Stay Behind. Giuseppe Pinelli fu torturato e ucciso dentro la questura di Milano pochi minuti dopo la mezzanotte del 15 dicembre 1969…. Il corpo di Pinelli fu defenestrato dagli sbirri dal 4° piano della questura, perché continuava a dichiarare che la strage di Piazza fontana era una strage di Stato (una verità scomoda per gli apparati militari di sicurezza…).

Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico di 41 anni, era stato fermato dal commissario Luigi Calabresi la sera del 12 dicembre, qualche ora dopo la strage di piazza Fontana, e trattenuto illegalmente. La prima giustificazione del questore per la morte del compagno anarchico avvenuta in questura, fu che Pinelli era implicato nella strage di piazza Fontana, poi, che, sentendosi perduto, si sarebbe suicidato. La conclusione giudiziaria fu scandalosa. La pietra tombale fu posta nell’ottobre 1975 dal giudice istruttore (massone P2) Gerardo D’Ambrosio con la sua famosa sentenza di proscioglimento, unica nella giurisprudenza italiana, per cui non si trattò né di omicidio né di suicidio. Giuseppe Pinelli, in spregio alle più elementari leggi della fisica e della medicina legale, morì per un «malore »….

Ma non è finita qua l’umma – umma !!!

La Procura di Palermo invece, il 26 gennaio 2018, pochi giorni fa, ha chiesto 12 anni di carcere all’ex senatore Marcello Dell’Utri, imputato di minaccia e violenza a Corpo politico dello Stato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Dell’Utri sta scontando una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per l’ex capo del Ros, Mario Mori chiesti 15 anni: è imputato di minaccia e violenza a Corpo politico dello Stato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Una condanna a sei anni di carcere è stata chiesta per l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza. Condanna rispettivamente a 16 e 12 anni di carcere chiesta per i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Per il pentito Giovanni Brusca, che rispondeva dello stesso reato, i pm hanno chiesto l’applicazione dell’attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia e la dichiarazione di prescrizione delle accuse. Chiesta anche la dichiarazione della prescrizione per le accuse di concorso in associazione mafiose secondo lui, contestate nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia a Massimo Ciancimino.

Il 27 gennaio 2018 a Brescia invece, i mass media pubblicano le dichiarazioni di Claudio Castelli, il presidente della Corte d’Appello di Brescia che, nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario puntualizza: “La sentenza definitiva della strage di Piazza Loggia è un simbolo, l’affermazione della legge, della fatica di tanti magistrati che hanno cercato di far luce su un delitto orrendo che ha segnato questa città”. Non dobbiamo mai dimenticare che le indagini su questa strage sono state per lungo tempo ostacolate, rallentate e depistate da pezzi di corpo dello Stato“. Castelli poi, nei confronti di Maggi e Tramonte, condannati all’ergastolo, afferma: “non si è trattato di spirito di vendetta e anzi siamo convinti che anche nei loro confronti deve avere piena e totale attuazione il percorso di rieducazione e recupero”.

Pinelli vive e lotta insieme a noi, le nostre idee non cambieranno mai !!!

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)