G8 DI GENOVA 2001: STRATEGIE DI COLPO DI STATO PER LA SICUREZZA EUROPEA
Cos’è accaduto a Genova durante il vertice dei G8 del 2001? Cosa c’è di misterioso, d’irrisolto in una manifestazione di piazza di ampie dimensioni, attaccata e dispersa dalle forze dell’ordine? Il governo di centrosinistra fece la riforma dell’arma dei carabinieri (legge 78/2000), concedendole più poteri e autonomia (stato di polizia – dittatura militare), accentuando le rivalità tra polizia e carabinieri (e quindi anche l’escalation militare e “durista”). Il ministro della giustizia era Oliviero Diliberto. La risposta sta proprio in ciò che a Genova è accaduto; l’oggetto misterioso, è quindi la gestione dell’ordine pubblico in Italia, con le sue degenerazioni nel 1° anno del XXI secolo. Ma è possibile che sia bastato che facesse la sua comparsa un movimento d’opposizione, trasversale, non organizzato, non parlamentare, con ramificazioni internazionali, fondamentalmente caratterizzato dal pacifismo, ma forte e radicato, perché la gestione dell’ordine pubblico in Italia tornasse a mostrare il volto di sempre, il volto della repressione più dura, becera e sfrenata della strategia della tensione!!?? E’ bastato che un nuovo movimento invadesse le piazze perché i corpi dello stato tornassero a sparare, a caricare, a malmenare, violando il diritto costituzionale di manifestare il proprio dissenso. La stagione del 1968 vide bloccare con gli scontri nelle piazze, ma soprattutto con le bombe e le stragi, la crescita e la maturazione di un movimento studentesco e la sua possibile alleanza con un solido movimento operaio impegnato in un autunno di rivendicazioni non solo salariali. Nove anni dopo, un nuovo movimento, del tutto diverso dal precedente, subì la stessa fine: il movimento del ’77, l’ultimo tentativo d’aggregazione politica giovanile di massa in Italia, fu sconfitto con l’identico sistema: la repressione più indiscriminata, ancora una volta con la polizia e i carabinieri chiamati a tenere le piazze con le armi e ad aprire il fuoco. I metodi polizieschi (nonostante la riforma della polizia del 1981 e il supposto processo democratico che ha investito l’insieme delle forze dell’ordine) sono rimasti fascisti. E così un altro movimento ha dovuto confrontarsi con qualcosa che gli preesisteva. Nel pomeriggio di venerdì 20 luglio 2001, quando ormai da ore polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno preso il controllo della piazza, abbandonandosi a cariche indiscriminate contro cortei in grandissima parte formati da pacifisti (donne, anziani e bambini compresi), avviene il fatto più cruento che farà del vertice del G8 organizzato in Italia il 1° a dover contare una vittima. La tragedia avviene in piazza Alimonda. Uno spezzone di uno dei tanti cortei massacrati dalle cariche decide di organizzare un minimo di risposta attiva in funzione di autodifesa. Tra gli scontri e i manifestanti finisce un gippone dell’arma che termina la sua corsa contro un muro. L’attacco dei dimostranti è cruento. I tre carabinieri, lanciano dalla jeep un estintore che viene raccolto da Carlo Giuliani, 20 anni, romano di nascita, figlio di un sindacalista della CGIL, da tempo a Genova. Dal finestrino posteriore del gippone ormai intrappolato spunta una pistola. La impugna Mario Placanica, carabiniere di leva, 20 anni. Anziché sparare in aria, Placanica secondo la versione ufficiale, apre il fuoco contro Giuliani, colpendolo alla testa: Carlo muore sul colpo, mentre il suo corpo viene per 2 volte travolto dal Defender che si allontana dal luogo della tragedia. Placanica afferma esplicitamente di essere un capro espiatorio usato per coprire qualcuno, e di non avere ucciso lui Carlo Giuliani. “Quella mattina del 20 ci hanno posizionato vicino la “Fiera” insieme ad alcuni poliziotti. Ci sono state delle cariche sul lungomare, ma solo di alleggerimento. Abbiamo partecipato alle cariche in cui venne dato alle fiamme il blindato dei carabinieri. In quella situazione mi è stato affidato il compito di sparare i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Però dopo un po’ il maggiore Cappello mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io stavo sparando a “parabola”, così come mi è stato insegnato, e invece lui ha iniziato a sparare ad altezza d’uomo, colpendo in faccia le persone. Cose allucinanti. Sul Defender, c’eravamo io, Filippo Cavataio, l’autista del defender, e Raffone, un ausiliario seduto dietro insieme a me. Accanto avevamo un’altra camionetta con a bordo il colonnello Truglio, [allora tenente colonnello e comandante dei Ccir compagnia di contenimento e intervento risolutivo, creata ad hoc per il G8 e poi sciolta, oggi colonnello dei cc]. Il responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello. C’era anche il plotone dei carabinieri davanti a noi che ci faceva da scudo. I carabinieri sono scappati, ci hanno superato, noi abbiamo fatto retromarcia e siamo rimasti incastrati contro un cassonetto. Dopo i 2 spari, sul defender è salito un altro carabiniere che si chiama Rando di Messina e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto. Davanti è salito un maresciallo dei Tuscania di cui non ricordo il nome. E siamo partiti. Ho saputo della morte di Carlo Giuliani alle 23 quando sono venuti in ospedale, mi hanno comunicato la notizia. Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la cartella e mi hanno portato in caserma. Lì mi hanno detto che avevo ucciso un manifestante. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania,”benvenuto tra gli assassini” mi hanno detto. I colleghi erano contenti di quello che era capitato, dicevano morte sua vita mia”. Ma perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra? Sulle prime, un funzionario di polizia cerca di addebitare l’orrenda uccisione ad un sasso lanciato dai dimostranti. E’ una tragica menzogna. I cc Mario Placanica e Filippo Cavataio, vengono incriminati per omicidio volontario, ma il 7/5/’03, il giudice della rep. Franz, ha deciso l’archiviazione ritenendo i 2 non colpevoli: Placanica ha sparato per legittima difesa e Cavataio, che alla guida del defender passò 2 volte sul corpo di Carlo, non ha alcuna responsabilità della morte di quest’ultimo. L’epilogo è sempre lo stesso: lo stato che dopo aver predisposto la trappola di Genova, aveva armato e ordinato di sparare su chi si sarebbe opposto alla politica e all’economia incarnata dal G8. L’archiviazione dell’omicidio di Carlo è stata un’ ingiustizia sociale, perché ha evidenziato ancora una volta il potere e le protezioni delle forze dell’ordine, che hanno potuto sperimentare la licenzia di uccidere e la loro immunità (legge 78/2000 stato di polizia-dittatura militare).
Di lacrimogeni a Genova, secondo la magistratura, ne sono stati sparati 6200 nel giro di 24 ore. In termini tecnici, la sostanza irritante prodotta dall’inaccessibile stabilimento SIMAD dell’Aquila, è il gas GS, considerata” arma chimica” dal protocollo di Ginevra che ne proibisce l’uso in tempo di guerra. Un articolo della rivista Journal of Chromatography dimostra che il GS, se portato ad una temperatura tra i 300 e i 900 gradi, dà origine a 20 sostanze organiche, di cui solo 8 sono conosciute. Le spese fatte per l’allegorica organizzazione sono: £200 miliardi spesi per i lavori di abbellimento della città; 5 le navi e 5 i traghetti che ospiteranno delegazioni straniere, giornalisti e forze dell’ordine nel porto di Genova; 2411 le camere d’albergo prenotate per gli ospiti; 42 miliardi di lire spesi per l’organizzazione del summit; 18000 gli agenti di polizia, cc, finanzieri e militari previsti. Ora, noi comuni mortali ci riflettiamo sopra e ci domandiamo: ma non era meglio spendere quei soldi pubblici per i cittadini meno abbienti, o per il diritto di spazi e opportunità ai giovani che hanno bisogno di esprimersi e realizzarsi? Martedì 23/10/’07, i pm di Genova Anna Canepa e Andrea Canciani hanno chiesto per 25 manifestanti accusati di tutto quello che è successo durante le giornate contro il G8, 225 anni di carcere per devastazione e saccheggio,(art. 419 del codice penale): è un reato che non era stato più contestato dall’immediato dopoguerra e che è stato rispolverato dalla procura di Genova per i fatti del G8 del 2001, dopo un tentativo fallito, a Torino, alla manifestazione per la morte di Baleno del 4/4/’98. Il cosiddetto processo ai 25 è stato costruito in questi anni su 350 ore di filmati e 15.000 fotografie, senza evidenziare nessun sopruso, e la scelta fatta dalla procura, è quella di usare un reato desueto che il codice penale ha previsto per situazioni postbelliche, e non certo per scontri di piazza.
Le giornate di Genova non sono state solo caccia all’uomo, cariche sconsiderate, militarizzazione della citta. Sono state anche il teatro prescelto per scontri di potere militare europei, all’interno delle stesse forze dell’ordine. In materia di ordine pubblico i carabinieri non possono fare nulla senza l’autorizzazione del funzionario di polizia Gianni De Gennaro che ne accompagna i contingenti. Fini sostituisce il ministro degli interni Scajola, e si trovava nella caserma di San Giuliano, il centro di controllo dei cc, nonché (con Bolzaneto) carcere temporaneo per gli arrestati, a testimonianza del rapporto privilegiato dell’arma con la destra italiana. Una polizia che giunge al G8 con De Gennaro (oggi presidente di Finmeccanica), desideroso di dimostrare la propria lealtà anche ai nuovi padroni del centrodestra (era stato nominato nel maggio 2000 dal centrosinistra). Ai testimoni delle forze dell’ordine giunti in aula è stato più volte chiesto il riconoscimento di coloro che menavano mazzate contro i manifestanti: a Guido Ruggeri, il comandante dell’ex battaglione Tuscania, transitato nel 2002 dalle dipendenze della brigata Folgore alla II brigata mobile dei carabinieri, vengono mostrate scene di pestaggi. Il tentativo è scaricarsi sui colleghi: “Sono poliziotti”, dice in aula, “non personale del Tuscania. Eravamo riconoscibili per il cerotto arancione dietro al casco e per lo stemma verde sul petto”. Infine, di fronte all’ennesimo video, non può che ammettere: “Riconosco un militare del Tuscania». Amnesty International nel suo rapporto parla di “violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste nella più recente storia d’Europa”. Nel rapporto si afferma che a Genova furono sparati almeno 15 colpi di pistola. Sul raid notturno compiuto dalle forze dell’ordine nei locali di una scuola, utilizzata come dormitorio per i manifestanti e segreteria del Genoa social forum, le accuse contro gli agenti comprendono l’abuso di autorità, e la fabbricazione di prove false che schiacciano Massimiliano Di Bernardini, vicequestore aggiunto della squadra mobile presente alla scuola Diaz. Il pm contesta a Bernardini di aver prodotto prove false e illegali introducendo 2 molotov all’interno della Diaz. La mattina del 16/1/’07 nel corso di un udienza del processo, il presidente Gabrio Barone, dopo aver constatato la sparizione delle molotov, ha dato l’incarico alla procura di rintracciarle negli uffici giudiziari. L’episodio della (falsa) coltellata ricevuta da Massimo Nuocera dai manifestanti della Diaz, risulterebbe per il pm un’iniziativa dell’ispettore Maurizio Panzeri, che avvallò il racconto del collega falsificando le prove. Le 93 persone arrestate nel corso del raid all’interno della scuola dichiararono di non aver opposto resistenza, come invece sostenuto dalla polizia, e di essere state sottoposte a percosse deliberate e gratuite. Almeno 82 di esse vennero ferite; 31 furono trasferite in ospedale, 3 in condizioni critiche. Alcuni di essi ricevono cure mediche ancora oggi. Amnesty International ha ripetutamente sollecitato l’Italia a recepire il Codice di etica della polizia, adottato dal consiglio d’Europa nel settembre 2001, e ad assicurare che i suoi pubblici ufficiali siano obbligati a mostrare in maniera evidente alcune forme di identificazione individuale, come un numero di matricola, al fine di evitare il ripetersi di situazioni violenza e d’impunità. Amnesty ha notato con preoccupazione che gli agenti sotto processo, non sono stati sospesi dal servizio e, in alcuni casi, sono stati addirittura promossi…. La maggior parte delle persone arrestate nel corso dei raid venne trasferita nel centro di detenzione temporanea di Bolzaneto. Vi transitarono oltre 200 persone, molte delle quali furono private dei fondamentali diritti riconosciuti a livello internazionale ai detenuti, tra cui il diritto di avere accesso agli avvocati e all’assistenza consolare e quello di informare i familiari sulla propria situazione. Nel corso di un’udienza preliminare, i pm hanno illustrato in modo efficace le prove degli abusi verbali e fisici subiti dai detenuti. Hanno descritto, tra l’altro, come i detenuti fossero stati presi a schiaffi, calci, pugni e sputi; sottoposti a minacce, compresa quella di stupro, e ad insulti anche di natura oscena e sessuale; obbligati a rimanere allineati e in piedi per ore a cantare faccetta nera, a gambe divaricate contro un muro; privati di cibo e acqua per lunghi periodi; soggetti a perquisizioni corporali effettuate in modo volutamente degradante, con uomini costretti ad assumere posizioni umilianti e donne forzate a denudarsi di fronte ad agenti di sesso maschile. I pubblici ministeri hanno citato singoli casi di abuso: una ragazza la cui testa è stata spinta in un gabinetto, un ragazzo obbligato a camminare a quattro zampe e ad abbaiare, il pestaggio di un detenuto non in grado di rimanere in piedi per ore poiché aveva un arto artificiale. La pubblica accusa ha chiesto l’incriminazione di 15 agenti di polizia, 11 carabinieri, 16 agenti di custodia e 5 membri del personale medico per vari reati tra cui abuso di autorità, coercizione, minacce e lesioni fisiche, accusandoli di aver torturato i detenuti con trattamenti crudeli, inumani e degradanti in violazione dell’art.3 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali. Amnesty sottolinea che per prevenire la tortura e i maltrattamenti, è fondamentale che i tribunali siano pronti a infliggere pene severe nei confronti di chi ordina, condona o perpetra la tortura, dissuadendo questi ultimi dal reiterare i propri crimini, chiarendo ad altri che i maltrattamenti non saranno più tollerati. Amnesty deplora che a 17 anni dalla ratifica della Convenzione dell’Onu contro la tortura e nonostante ripetuti solleciti da parte di organismi intergovernativi, tra cui il Comitato dell’Onu contro la tortura e il Comitato sui diritti umani, l’Italia non abbia ancora introdotto nel codice penale il reato di tortura, così come previsto nella Convenzione dell’Onu contro la tortura. Sulla scena della macelleria messicana è presente la punta di lancia del viminale, i funzionari della digos di Genova, uomini della digos di Roma e Napoli, uomini del reparto mobile di Vincenzo Canterini, il dirigente dello Sco Franco Gratteri, il suo vice Gilberto Caldarozzi, l’allora direttore dell’ Ucigos Arnaldo La Barbera, Andreassi, Fiorentino, Luperi, Murgolo, Colucci, e il vicequestore Pietro Troiani, arrivato da Roma per essere accorpato alla logistica del reparto mobile, per fare l’ufficiale di collegamento tra la questura e i reparti celere sul terreno, rimasto finora nell’ombra.
Il controllo sociale è sempre stato un’arma repressiva, in mano alla chiesa e al re e adesso alla repubblica liberale. Poteri che dominano la penisola fin dai tempi del medioevo e usano i loro servi (sbirri senza cervello, addestrati ad obbedire e a non pensare) contro chi si ribella alle ingiustizie sociali e non si vuole sottomettere al più forte …….
07/04/2015
La Corte europea dei diritti dell’ uomo ha condannato l’Italia sulla base del ricorso presentato a Strasburgo da Arnaldo Cestaro, una delle vittime della perquisizione alla scuola Diaz avvenuta il 21 luglio 2001, alla conclusione del G8 di Genova. Nel ricorso, l’uomo, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro, rappresentato dall’avvocato Nicolò Paoletti, sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi. La Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione. Non solo hanno riconosciuto che il trattamento che gli è stato inflitto deve essere considerato come “tortura”. Nella sentenza i giudici sono andati oltre, sostenendo che se i responsabili non sono mai stati puniti, è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. Inoltre la Corte ritiene che la mancanza di determinati reati non permette allo stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze e torture da parte delle forze dell’ordine……
Non sono i delitti punibili dalla legge quelli a cui bisogna imputare i peggiori mali del mondo. Sono i torti legalizzati, i crimini che godono di impunità, giustificati e protetti dalle leggi e dai governi.
A.Berkman
Solidarietà alle arrestate e agli arrestati per il G8 di Genova
Rsp (individualità Anarchiche)