23/12/1984: Rapido 904 – terrorista è lo stato –

23/12/1984: Rapido 904 – terrorista è lo stato –

bologna

Nella foto la manifestazione in Piazza Maggiore a Bologna all’indomani della strage

La strage del Rapido 904 o strage di Natale è il nome attribuito a una strage avvenuta il 23 dicembre 1984 presso la Grande galleria dell’Appennino ai danni del treno rapido n. 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano. L’esplosione causò 17 morti e 267 feriti.
L’attentato è avvenuto nei pressi del punto in cui, poco più di 10 anni prima, era avvenuta la strage dell’Italicus……
Per le modalità organizzative ed esecutive, e per i personaggi coinvolti, è stato indicato dalla Commissione Stragi come l’inizio dell’epoca della guerra di mafia dei primi anni ’90.
Dopo la strage venne predisposta una perizia chimico-balistica da parte della Procura della Repubblica di Bologna, per capire le dinamiche dell’esplosione e il materiale utilizzato. Emerse che un testimone aveva visto una persona sistemare due borsoni in quel punto presso la stazione di Firenze, per cui l’inchiesta fu trasmessa alla Procura della Repubblica di Firenze.
Nel marzo 1985 vennero arrestati a Roma, per altri reati (tra cui traffico di stupefacenti), Guido Cercola e il pregiudicato Giuseppe Calò, noto mafioso palermitano più comunemente conosciuto come Pippo Calò. L’11 maggio 1985 venne identificato il covo dei due arrestati, in un edificio rustico presso Poggio San Lorenzo di Rieti: nella perquisizione vennero rinvenuti alcuni chili di eroina e un apparato ricetrasmittente, delle batterie, alcuni apparecchi radio, antenne, cavi, armi ed esplosivi. Le perizie condotte prima a Roma e poi a Firenze dimostrarono come quel tipo di materiale fosse compatibile con quello usato nell’attentato al treno: anche l’esplosivo ( T4 in dotazione alla Nato) era del medesimo tipo, con la stessa composizione chimica.
Il 9 gennaio 1986 il Pubblico Ministero Pierluigi Vigna imputa formalmente la strage a Calò e a Cercola, che l’avrebbero compiuta: « …con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato» Emersero dei rapporti tra Cercola e un tedesco, Friedrich Schaudinn, che sarebbe stato incaricato di produrre alcuni dispositivi elettronici da usarsi per attentati. Questi vennero trovati in casa di Pippo Calò. Vennero a galla diverse linee di collegamento tra Calò, mafia, camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la Loggia P2 e persino con la Banda della Magliana: questi rapporti vennero chiariti da diversi personaggi vicini a questi ambienti, tra cui Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le deposizioni che spiegavano i legami tra questi tre ambienti della criminalità emersero al maxiprocesso dell’8/11/1985, di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone.
Con una direttiva del 22/4/2014, tutti i fascicoli relativi a questa strage non sono più coperti dal segreto di stato e sono perciò liberamente consultabili da tutti.

Ma ora facciamo un excursus su cosa è la loggia P2:
Nell’800 la Massoneria diviene terreno d’elezione per le intese politiche fra esponenti di regioni lontane e annovera nelle sue logge Lanza e Cairoli, Depretis e Zanardelli, Crispi e Di Rudinì. Adriano Lemmi, banchiere livornese geniale e spregiudicato, grande regista dell’intrallazzo, iscritto alla Massoneria dal 1875, fu il primo a intuire l’importanza di avere a propria disposizione una loggia “coperta” per manovrare la finanza pubblica stando dietro il palcoscenico. Nel 1910 la loggia massonica P2 si stacca dal Grande Oriente d’Italia (spaccatura tra clericali e anticlericali) per sovvenzionare la politica di destra repubblicana in tutto l’occidente. Il suo programma massonico era semplice: via dalle logge i poveracci e i pensatori, l’obiettivo deve essere conquistare il potere. “Chi è al governo degli Stati o è nostro fratello o deve perdere il posto”. La stessa filosofia che un secolo più tardi avrebbe ispirato il “fratello” Licio Gelli.
Sotto la guida di Lemmi, la Massoneria visse la sua età dell’oro: i parlamentari iscritti alle logge giunsero a essere 300. Di fronte a questo straordinario successo, Lemmi ebbe l’idea vincente: riunire la crema della Massoneria nella loggia Propaganda 2 (a Torino esisteva già un’antichissima loggia Propaganda) e mettervisi a capo, garantendo adeguata “copertura” ai fratelli che svolgevano certe attività o ricoprivano ruoli pubblici nel mondo “profano”, salvaguardando cioè‚ i fratelli “importanti” dalle curiosità dei tanti e da quelli che venivano definiti i “fratelli arrampicatori”. I “fratelloni” erano esonerati dal frequentare i normali lavori di loggia e i loro nominativi non apparivano in alcun elenco ufficiale, ma erano “fratelli all’orecchio”, noti soltanto al Gran Maestro il quale, al termine del proprio mandato, li comunicava oralmente “all’orecchio” del suo successore. Ma quando i fratelli così affiliati divennero tanto numerosi da non poter essere tutti ritenuti a mente, nacque l’esigenza di dar vita alla loggia Propaganda.
Anche quella P2, però, finì male, travolta dallo scandalo della Banca romana che coinvolse politici, banchieri e militari iscritti alla loggia coperta di Lemmi, con conseguente fuggi fuggi tragicomico di tanti fratelli pentiti. Nel ’69 capi massonici diranno che grazie a Gelli 400 alti ufficiali dell’esercito sono stati iniziati alla massoneria al fine di predisporre un “governo di colonnelli”, sempre preferibile ad un governo comunista.
Con la loro meschinità e ingordigia avevano affinato tattiche da mafiosi: c’era una pratica costante della raccomandazione e c’erano gli affari, e gli affari intrecciati col potere che lo alimentavano. Degli affari citiamo i più noti: l’ Eni-Petronim, il banco Ambrosiano, il crak della Banca Privata di Sindona, la scalata al “Corriere della Sera”, tutti collegati a scandali e cadaveri come quello di Calvi, penzolante sotto un ponte di Londra o quello di Ambrosoli, liquidatore della banca Privata di Michele Sindona. Gli uomini della P2 si servirono delle organizzazioni criminali: mafia, camorra, ‘ndrangheta. Collegamenti accertati dalle inchieste giudiziarie sul finto rapimento di Sindona, sul caso Cirillo, sulla strage del rapido 904, sull’omicidio di Roberto Calvi. I nomi degli iscritti alla P2 ritornano con ossessiva puntualità in tutte le indagini sui misteri d’Italia.
Nel 1971 Gelli diviene segretario organizzativo e ha il totale controllo della loggia. Nel frattempo molti personaggi eccellenti, soprattutto militari e finanzieri si sono iscritti, tra questi il generale Allavena che porterà in dote le copie dei fascicoli delle schedature del SIFAR.
Nel ’72 il nuovo segretario organizzativo cambia nome alla loggia in “Raggruppamento Gelli-P2” accentuandone le caratteristiche di segretezza evitando qualsiasi tipo di controllo.
Nel ’73 la loggia segreta “Giustizia e Libertà” si fonde con la P2. Alla Gran Loggia di Napoli del Dicembre 1974, qualcosa di simile a un conclave massonico alcuni tentarono di sciogliere la P2 e di abrogarne i regolamenti particolari, ma senza successo, Gelli aveva acquisito troppo potere nel frattempo. Lino Salvini, maestro del Grande Oriente d’Italia, quindi, nonostante non vedesse di buon occhio tanto potere concentrato in quella loggia, il 12/5/1975 decretò ufficialmente la ricostituzione della loggia P2 elevando Gelli al grado di maestro venerabile.
Nella primavera del ’75, Licio Gelli fonda l’Organizzazione Mondiale del Pensiero e dell’Assistenza Massonica (OMPAM), una superloggia internazionale con sede a Montecarlo (ancora attiva). Al congresso mondiale dell’OMPAM , che si svolge a Rio De Janeiro , nel discorso inaugurale Gelli afferma “…Considero superfluo ricordare a tutte le potenze occidentali che oggi il vero e grande pericolo per l’umanita’ è rappresentato dalla penetrazione del comunismo che sta abbattendo le più sacre ed inalienabili libertà umane.
La Commissione parlamentare d’inchiesta Anselmi ha concluso il caso P2 denunciando la loggia come una vera e propria “organizzazione criminale” ed “eversiva”. Essa fu sciolta con un’apposita legge, la n. 17 del 25/1/1982.[Tra i vari crimini attribuiti alla P2, oltre al cospirazionismo politico per assumere il controllo dell’Italia attraverso un regime autoritario, si possono citare la strage dell’Italicus, la strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, l’assassinio di Roberto Calvi, l’assassinio di Albino Luciani (ovvero Papa Giovanni Paolo I), il depistaggio sul rapimento di Aldo Moro, l’assassinio di Carmine Pecorelli e alcune affiliazioni con lo scandalo di Tangentopoli. La Propaganda due (meglio nota come P2) aveva una particolare predilezione per gli ambienti militari. Il 17/3/1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, “Villa Wanda”, e la fabbrica di sua proprietà (la “Giole” a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di “Lebole”); Si scoprì fra gli archivi della “Giole” una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo che stava facendo la perquisizione, Orazio Giannini (tessera n. 832). Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori. Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e trasmise la lista agli organi competenti.
Il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani attese il 21/5/’81, prima di rendere pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (Enrico Manca, PSI e Franco Foschi, DC) e n. 5 sottosegretari (Costantino Belluscio, PSDI; Pasquale Bandiera, PRI; Franco Fossa, PSI ; Rolando Picchioni, DC e Anselmo Martoni, PSDI, quest’ultimo – peraltro – citato come “in sonno”, cioè dimissionario).
Tra i 962 iscritti (molti dei quali negheranno il loro coinvolgimento nella loggia), spiccavano i nomi di 44 parlamentari (compresi i succitati componenti del governo in carica), un segretario nazionale di partito (PSDI), 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell’esercito italiano, 4 dell’aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti, personaggi legati al mondo dello spettacolo ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Carlo Alberto Dalla Chiesa, Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista), Claudio Villa, Paolo Mosca e il personaggio televisivo professor Fabrizio Trecca (capo gruppo); in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani, Leonardo Di Donna (presidente dell’ENI) e Duilio Poggiolini (speculazioni col sangue infetto), Carlo Pesenti (proprietario di banche, giornali, Italcementi, ecc.), insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei fascicoli SIFAR), il colonnello Giovanni Minerva (gestore fra l’altro dell’intricato caso dell’aereo militare “Argo 16” e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell’intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gian Adelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch’egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
Fu avanzata l’ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti…..

Se la democrazia potesse essere altro che un mezzo di ingannare il popolo, la borghesia, minacciata nei suoi interessi, si preparerebbe alla rivolta e si servirebbe di tutta la forza e di tutta l’influenza che le sono date dal possesso della ricchezza, per ricordare al governo la sua funzione di semplice gendarme al suo servizio.
Errico Malatesta

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