Dalla Uno bianca alla volante sassarese; ma il mezzo preferito dalla PS è l’abuso di potere…

18 agosto 2016

Due poliziotti arrestati e quattro denunciati nell’ambito di un’inchiesta della procura di Sassari: per corruzione e peculato sono stati posti agli arresti domiciliari Gianluca Serra e Marco Fenu della Sezione Volanti della Questura sassarese. Altri quattro agenti sono indagati. L’ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal gip Michele Contini su richiesta del sostituto procuratore Giovanni Porcheddu.

Una somma di denaro sparita durante una perquisizione domiciliare effettuata a Sassari nel 2014 sarebbe alla base dell’indagine che ha messo nei guai gli assistenti capo della polizia di stato Serra e Fenu, e dell’ispettore capo Pier Franco Tanca, accusato di falso in atto pubblico e false dichiarazioni al pubblico ministero. Ma l’indagine della Procura di Sassari, coinvolge anche altri quattro poliziotti oltre a Lorenzo Fiori, in carcere per corruzione, Marco Sanna, arrestato per tentata rapina aggravata e lesioni aggravate, e Fabrizio Pistidda, ai domiciliari con le stesse accuse di Sanna. Sarebbero coinvolti in una truffa ai danni di alcune compagnie assicurative.

Esempi di poliziotti come Serra e Fenu, purtroppo ne vediamo tutti i giorni, ma ora ci soffermeremo sui fratelli Savi e la loro banda, sulla loro particolare ferocia, e sui legami che gli hanno permesso di agire indisturbati per troppo tempo, sotto il nome di “Falange Armata”.

La banda della Uno bianca: sbirri mercenari che per 8 anni hanno terrorizzato l’Emilia-Romagna.

Una questura troppo inquinata quella di Bologna….

23 delitti senza movente. Rapine da pochi spiccioli per massacrare benzinai, zingari, extracomunitari, impiegati di banca, semplici testimoni. In attività tra il 1987 e fino all’autunno del 1994, commise 103 azioni delittuose, provocando la morte di 24 persone ed il ferimento di altre 102.

E’ il magistrato Giovanni Spinosa, presidente del tribunale di Teramo, già Pubblico Ministero delle indagini a Bologna sulla ‘banda della Uno Bianca’ che aggiunge un ulteriore pezzo del puzzle, non solo tracciando la storia della banda, ma in particolare analizzando l’origine di quella sigla, “Falange Armata”, che si è riproposta in più fasi nel corso della storia. “La sigla diventa famosa il 27/10/1990, sei mesi dopo l’uccisione di Mormile, quando essa stessa ha rivendicato l’omicidio -ha ricordato-. Da quel giorno la Falange Armata ha firmato le più gravi vicende che hanno insanguinato il nostro paese, comprese le stragi di Capaci e via D’Amelio. I delitti della Uno Bianca sono stati il suo trampolino di lancio quando vengono rivendicati i delitti della fase terroristica della stessa. Una sigla che va ben oltre a quanto dissero i fratelli Savi (soldatini psicopatici, burattini in mano ai servizi segreti). In quell’ottobre del ‘90 si apre un nuovo fronte. Si chiude un primo fronte carcerario per aprirne uno giudiziario, politico e finanziario”. “Sulla Falange armata -ha aggiunto- è importante porsi il problema del rapporto tra il falangista che rivendica e l’autore del delitto. E una chiave viene data dalle rivelazioni di quei pentiti che parlano delle riunioni di Enna in cui si stabilisce la strategia di attacco allo Stato con delitti da rivendicare a nome della Falange Armata. E lo stesso si rileva negli atti giudiziari della Uno bianca. Il terzo dei fratelli Savi, infatti, prospettò di far rivendicare dalla falange armata da un telefonista con accento tedesco certi delitti, come di sicuro lo ebbe la rivendicazione della strage Pilastro, o quello della strage di Capaci”.

Erano 15 agenti segreti super addestrati e sospettati di essere collegati con le bombe del 1993, e le telefonate della Falange Armata che partivano dalle sedi coperte del Sismi. La Falange Armata, l’oscura sigla criminale che nei primi anni ‘90 rivendicava ogni singolo fatto di sangue andato in onda nel Paese: dai delitti della banda della Uno bianca alle stragi mafiose del 1992 e 1993. Ma a più di vent’anni di distanza, emerge un particolare nuovo: quelle chiamate sarebbero state fatte dalle stessa zone in cui all’epoca il Sismi aveva localizzato le sue basi periferiche. A raccontarlo è l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, punta di diamante della diplomazia italiana negli anni ’80, al vertice del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) tra il 1991 e il ‘93, oggi presidente della Ferrero. “C’era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca, gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni”, è l’incipit del racconto di Fulci, che dopo essere stato interrogato dai pm di Palermo Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo nell’aprile del 2014, ha deposto al processo sulla Trattativa stato-mafia. “Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente, e in più De Luca mi disse che le chiamate venivano fatte sempre in orario d’ufficio”, racconta Fulci nell’aula bunker del carcere Ucciardone, davanti alla corte d’Assise di Palermo, che ha messo sotto processo politici, boss mafiosi e ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi dello stato e cosa nostra. Ma perché pezzi del Sismi avrebbero dovuto rivendicare le stragi di mafia? Fulci non lo dice, spiega però di “essersi convinto che tutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind, facevano esercitazioni, creare il panico in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il Paese” (terrorismo psicologico: destabilizzare per stabilizzare il potere politico, economico, militare, liberal cattofascista).

Nel gergo militare si chiama guerra non convenzionale: una strategia che prevede anche l’inquinamento dei flussi informativi, per aumentare il livello di tensione (strategia della tensione). È a questo che servono le chiamate della Falange nei primi anni ’90, quando le stragi al tritolo sconquassano l’Italia?

Ma ritorniamo ancora a quel 27 ottobre del 1990, quando al centralino dell’Ansa di Bologna arriva una chiamata che rivendica l’omicidio di Umberto Mormile, educatore carcerario del penitenziario milanese di Opera, ucciso sei mesi prima.  “Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito” recita una voce al telefono: è la prima rivendicazione della Falange Armata, che arriva due giorni dopo il celebre discorso con cui Giulio Andreotti rivela alla Camera dei Deputati l’esistenza di Gladio, affiliata alla rete Stay Behind, l’organizzazione militare segreta costituita in ottemperanza al Patto Atlantico (strategia della tensione – stragi di stato….). Fulci durante la sua permanenza ai vertici del Cesis non riceve informazioni solo sulle telefonate della Falange, ma scopre anche che dentro la VII divisione del Sismi esiste un servizio speciale coperto composto da 15 agenti segreti super addestrati. “All’interno dei Servizi c’è solo una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati”, ha spiegato Fulci nella sua deposizione. Si riferisce agli Operatori Speciali Servizio Italiano, che un documento riservato del Sismi definisce come “personale specificatamente addestrato per svolgere in territorio ostile e in qualsiasi ambiente, attività di carattere tecnico e operativo connesse con la condotta della guerra non ortodossa” (La guerra non ortodossa non ha l’obiettivo di occupare fisicamente un territorio, bensì quello di essere uno strumento tattico volto a conquistare tanto il cuore e le menti dei civili residenti nell’area di operazioni, quanto quello di danneggiare le infrastrutture [civili e militari] delle potenze nemiche, tramite l’ausilio di azioni dirette, sabotaggi o rivolta civile. La guerra non ortodossa non esclude rapimenti, eliminazioni mirate, allestimento e supporto di strutture di resistenza clandestine di combattenti a fini rivoluzionari, contro-insurrezionali o di contro-guerriglia). ….

Nei due anni trascorsi al vertice del Cesis, Fulci riceve minacce di ogni genere, scopre addirittura di essere spiato nella sua stessa abitazione: chiede e ottiene, quindi, di avere tutti i nomi che fanno parte di quel reparto speciale…… “Li copiai su un foglietto che nascosi poi nella mia libreria, dicendo a mia moglie che se fosse successo qualcosa era lì che bisognava cercare: dopo aver lasciato l’incarico ed essere andato a New York alle Nazioni Unite provai a dimenticare quella brutta esperienza”.

E invece pochi mesi dopo avere lasciato l’Italia, Fulci si ricorda di quel foglietto con quei 15 nomi. “Dovete considerare -ha spiegato Fulci- che i servizi devono raccogliere informazioni, non utilizzare esplosivi e bombe, piazzare polveri e cose simili. Siccome avevo letto le notizie di queste bombe a Firenze e a Roma e i giornali facevano cenno ai soliti servizi deviati, mi dissi: questa cosa si può chiarire. Presi il foglietto e lo portai al generale dei carabinieri Luigi Federici spiegandogli: per essere certi che i servizi non c’entrano niente, questi sono i nomi delle persone che sanno maneggiare esplosivi all’interno dei servizi”. Ai 15 nomi, però, Fulci ne aggiunge un altro: quello del colonnello Walter Masina, che però non fa parte della VII divisione e degli Ossi. “Non avrei dovuto farlo ma volevo fargliela pagare, dato che Masina era quello che spiava la mia abitazione”. Cosa succede dopo che Fulci consegna quell’elenco ai carabinieri? “Mi accusarono di avere montato un depistaggio con gli americani”. Mentre la denuncia di Fulci cade nel vuoto, le stragi targate Cosa nostra finiscono all’improvviso, la I Repubblica è ormai crollata sotto il peso di Tangentopoli e parallelamente scompaiono pure le rivendicazioni della Falange. Un silenzio durato fino al dicembre del 2013, quando al carcere di Opera, a Milano, arriva una lettera indirizzata al superboss Totò Riina. C’è scritto: “Riina chiudi la bocca, ricordati che i tuoi familiari sono liberi, al resto ci pensiamo noi”. Sono i mesi in cui il boss corleonese si lascia andare a confidenze e rivelazioni durante l’ora d’aria, mentre la Dia di Palermo registra ogni cosa: un’informazione nota soltanto agli investigatori. Chi è dunque che manda quella lettera? La firma è sempre la stessa: Falange Armata……

La “Falange armata” quindi era una sigla che con le sue rivendicazioni metteva d’accordo tutti: cosche mafiose, cappucci deviati (massomafia), pezzi dei servizi segreti in combutta col peggiore lobbismo politico!!!

Il 7/8/2007 è stata chiusa l´inchiesta della procura di Genova sul DSSA, il Dipartimento di Studi Strategici Antiterrorismo, nato nel 2004 come un servizio segreto parallelo per controllare il terrorismo islamico…. Le procure di Genova e Milano ordinano 25 perquisizioni e l’arresto di Gaetano Saya, Riccardo Sindoca e dell’ispettore milanese Salvatore Costanzo. Il reato contestato: associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di funzioni pubbliche in materia di prevenzione e repressione dei reati.

Il DSSA nato con “finalità di monitoraggio e contrasto del terrorismo” dopo l’attentato dell’11/3/2004 a Madrid, si era rivelato in realtà una non trascurabile congrega di spie, neofascisti, poliziotti, carabinieri, ex-gladiatori e depistatori di professione, ultima creatura in ordine di tempo di un gruppo già attivo da qualche anno sotto la denominazione di “Destra Nazionale”. L’organizzazione, a sentire i promotori, venne fondata al fine di far rivivere il Movimento Sociale-DN di Giorgio Almirante, dopo il “tradimento” di Gianfranco Fini. L’allarme nacque in seguito all’annuncio della costituzione di fantomatici “Reparti di Protezione Nazionale”, con tanto di divisa (basco, camicia e giubbotti grigi, con cinturone nero), pronti ad entrare in azione, in caso di pericolo islamico (incentivando la guerra tra le religioni), a supporto delle Forze armate. Ma ciò che però aveva suscitato maggior inquietudine era che “Destra Nazionale” annoverasse fra i suoi massimi dirigenti ex-poliziotti o poliziotti in servizio presso importanti questure, come Milano, dove lo stesso coordinatore nazionale, Giuseppe Scarano, risultava svolgere attività di ispettore di PS all’interno di un commissariato. Il gruppo in definitiva sembrava fare da sponda politica ad un piccolo sindacato, ancora in formazione, di poliziotti dichiaratamente fascisti: l’”Unione Nazionale Forze di Polizia”.

Il gruppo di sbirri mercenari, aveva assunto come simbolo lo stemma della CIA, qualificando i propri aderenti come ex-agenti segreti, con un passato da “gladiatori”, in rapporti di collaborazione con la NATO ed il Mossad israeliano…….

L’impunito presidente di DN, Gaetano Saya, si vanta ancora oggi della sua appartenenza alla massoneria con il titolo di “Maestro venerabile della Loggia Divulgazione 1”…..

La carriera del DSSA non è stata contrassegnata solo da improbabili progetti o finti incarichi. L’accesso alla banca dati del Viminale, ma anche i rapporti coi vertici degli apparati di sicurezza, il SISMI in primo luogo, si sono dimostrati veritieri, come i contatti con importantissimi uomini politici, tra gli altri, il vice-premier Gianfranco Fini….

Nelle 130 pagine dell’ordinanza di conferma degli arresti domiciliari per Gaetano Saya e Riccardo Sindoca, i due massimi dirigenti del DSSA, emessa il 6/7/2007 dal Gip di Genova Elena Daloiso, si è testualmente scritto che ”la costituzione del Dipartimento studi strategici antiterrorismo (Dssa) è stata comunicata con nota riservata inviata al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Interni, al Ministro della Difesa, al Ministro della Giustizia e ad altre autorità”. Qualcosa di più, dunque, di una innocua “banda di pataccari” come il Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu ha teso a ridimensionare l’intera faccenda. Ancor prima che scoppiasse lo scandalo, sul primo numero di “News Settimanale”, in edicola il 20/5/2007 in un lungo servizio originato dalla pubblicazione di diversi fotogrammi di un video girato a Baghdad, dove Fabrizio Quattrocchi veniva ritratto nella sua attività non di “bodyguard da discoteca”, ma di “agente contractor” nel corso di “una missione coperta” volta a “combattere i terroristi”, si è presentato il DSSA come “una rete invisibile contro il terrore”, definita nel gergo dei mercenari come “la Dottoressa”, presente in Irak in operazioni ad alto rischio con “mezzi in dotazione alle forze militari presenti in quel teatro” e ”permessi governativi” rilasciati dal “dipartimento della Difesa degli Stati Uniti”.

Sui numeri successivi del settimanale si è anche rivelato come il video in questione fosse stato girato da un agente del DSSA e che Riccardo Sindoca, in due occasioni diverse, si fosse premurato di annunciare in anticipo alla redazione di “News Settimanale”, evidentemente utilizzato come canale privilegiato, la liberazione sia di Giuliana Sgrena che di Clementina Cantoni.

Questo intreccio tra neofascisti e forze militari e dell’ordine non è nuovo. Viene da lontano: dall’immediato dopoguerra e dalle trame della “strategia della tensione”. Ma anche in anni più vicini a noi, ben dopo lo stesso scandalo della Loggia P2 (1991), le cronache si sono dovute interessare a vicende analoghe, quasi tutte ritenute a torto poco credibili, finite nel dimenticatoio o senza significative conclusioni giudiziarie: dalla Falange Armata, attiva nei primi anni ’90 come agenzia minatoria tesa ad alimentare un clima di tensione con lettere, bossoli spediti e telefonate minacciose, promossa da ufficiali della Settima divisione del SISMI, al presunto “golpe”, sullo sfondo di un traffico internazionale di armi, denunciato nel 1993 da Donatella Di Rosa, moglie di un tenente colonnello le cui rivelazioni costrinsero comunque a rivedere la catena di comando dell’esercito italiano troncando la carriera ad altissimi graduati, al “Progetto Arianna” nel 2000, un’organizzazione antidroga clandestina costituita a Latina da appartenenti alle forze dell’ordine, per finire ai recentissimi “Elmetti Bianchi”, una fondazione a carattere internazionale alimentata soprattutto da ex-poliziotti, spuntata a lato del caso Telekom-Serbia, animata in Italia da un neofascista assai conosciuto per i suoi trascorsi in organizzazioni eversive e nella massoneria.

Ma molti si saranno certamente anche dimenticati della cosiddetta “Legione Brenno”, nata in coincidenza con lo scoppio della guerra serbo-croata per difendere la “nuova frontiera dell’occidente minacciata”, venuta alla luce solo nel 1998, seguendo le orme di un sanguinoso conflitto a fuoco con agenti di polizia tre anni prima a Marghera. La “Legione Brenno” si era ispirata ai cavalieri di antichi ordini religioso-militari come i Templari, si scoprì presto essere stata fondata da alcuni ex-carabinieri interessati al business della sicurezza e dell’assoldamento di milizie private nelle guerre in corso. Esattamente come il DSSA….

E’ in corso da tempo una guerra senza esclusioni di colpi all’interno degli apparati di polizia e dei servizi segreti italiani per assicurarsi posizioni di comando, nella prospettiva della costituzione di una sorta di “superpolizia” e di un’unica centrale di intelligence per gestire meglio il business (militare –geopolitico) miliardario che c’è dietro all’anti- terrorismo…. La partita riguarda anche il loro controllo da parte del partito “americano” in Italia. I contrasti tra il SISMI e la CIA legati all’esecuzione di Calipari, al caso del fallito attentato l’autunno scorso all’ambasciata italiana a Beirut e al rapimento a Milano, all’inizio del 2003, dell’egiziano Abu Omar, sono tutte tappe di questo conflitto. Non è da escludere che anche la vicenda del DSSA coi suoi misteri sia parte di questo scontro.

In un’intervista ad agosto 2007 , sempre a “News Settimanale”, Gaetano Saya ha raccontato della presenza di uomini del DSSA all’interno del SISMI, degli appoggi e delle collaborazioni scambiate, ha svelato l’indirizzo di sedi coperte del servizio a Roma, di essere a conoscenza di chi sparò a Giorgiana Masi e a Carlo Giuliani, di quanto realmente accaduto a Calipari, ad Abu Omar e ai sequestrati italiani in Irak. Forse vanterie, forse minacce concrete. Fatto sta, che il silenzio è calato! tutti zitti !!!! muti ….

E noi popolazione civile, senza aureole, trofei o medaglie, siamo ancora qua a raggranellare frammenti di verità, dietro quelle tante ingiustizie sociali che accaddero in quel periodo oscuro e ambiguo dell’Italia nella strategia della tensione, per affrontare le ingiustizie sociali di oggi, con più consapevolezza, che ci aiuta anche a gestire e non essere gestiti dalla nostra rabbia…

 

Sono le false sembianze di amministratore

della cosa pubblica, di difensore della legge,

di presentatore dell’ordine, lo Stato non è invece

che il gendarme proposto alla sorveglianza

di istituzioni stabilite per mezzo della violenza,

sistematicamente organizzata.

S. Faure

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e i loro cani feroci

 

Rsp (individualità Anarchiche)