Confindustria e la sua gilda si muove contro il movimento No tav…

Soldi alla TAV, sangue ai pendolari

(nella foto sopra, il treno deragliato alcuni mesi fa a Pioltello)

Il 25 novembre i mass media scrivono che Confindustria, ha organizzato a Torino per il 3 dicembre, l’assemblea nazionale degli imprenditori italiani a favore della Tav e delle infrastrutture. L’allegorica pagliacciata per il predominio economico si svolgerà presso le Ogr, le officine delle grandi riparazioni ferroviarie di inizio ‘900, saranno 1.500 gli imprenditori italiani presenti nella grande sala, dove normalmente si svolgono concerti. L’iniziativa è partita dai vertici nazionali di Confindustria e ha coinvolto tutte le principali organizzazioni delle imprese italiane. A questa speculazione edilizia (business play), hanno aderito, oltre a Confindustria, anche Confapi (l’associazione delle piccole e medie imprese), l’Ance (i costruttori), gli artigiani di Cna e Confartigianato, i negozianti di Confcommercio e Confesercenti, Confagricoltura, Lega delle Cooperative e Confcooperative. Per quel giorno sono stati contattati anche i sindacati. Oltre al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il 3 dicembre ci sarà anche il n°1 di Confcommercio Carlo Sangalli e il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti.

Il 5 dicembre invece, gli imprenditori Si Tav delle 33 sigle saranno ricevuti a Roma dal governo giallo verde dell’ala grillina: in testa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vicepresidente Luigi Di Maio e il ministro dei trasporti Danilo Toninelli. Le nostre sorti economiche e ambientali sono in mano alle scelte ambiziose dei Grillini: sbloccheranno i bandi di gara di Telt, vista l’analisi costi e benefici fatta dal movimento No Tav e approvata anche in parlamento (preelettorale), proprio dai grillini?

VERITA’ E BUFALE SUL TAV TORINO LIONE

La marcia dei SI TAV come quella dei quadri Fiat del 1980…

Ma facciamo un po’ di storia:

Confindustria fu fondata il 5 maggio 1910 a Torino e nel 1919 a Roma, per tutelare gli interessi delle aziende industriali nei confronti dei sindacati dei lavoratori. Dopo il delitto Matteotti, il direttivo della Confindustria chiese il ripristino dell’ordine e della legalità costituzionale con un memorandum presentato nel settembre 1924 a Mussolini. Nel 1925 riconobbe come unici interlocutori i sindacati fascisti.

Nel 1926 fu costituita la “Confederazione generale fascista dell’industria italiana” ai sensi delle legge 3 aprile 1926, n. 563. Aveva sede in Roma e inquadrava sotto di sé le Federazioni nazionali di categoria, che rappresentavano i datori di lavoro di un ciascun settore (industrie estrattive, fibre tessili, legno, ecc.) e sul territorio si articolava in unioni provinciali. Nel 1928 fu iniziato un ambizioso programma di bonifiche, per il quale lo stato avrebbe provveduto alle opere fondamentali (risanamento di terreni paludosi, rimboschimenti, drenaggio e controllo delle acque, rete centrale d’irrigazione), lasciando ai privati il compito di completare a proprie spese le bonifiche, con piantagioni, dissodamenti, costruzioni rurali, allacciamento ai canali d’irrigazione, eccetera. Ma il progetto rimase in parte inattuato o si risolse in una serie di finanziamenti a fondo perduto a vantaggio di grandi agrari. In quegli anni l’intervento pubblico, arrivò anche ad ingrassare le banche: nel 1933 nasce IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), che salvò dal dissesto numerose imprese in quel periodo di crisi. Nel 1934 la “Confederazione generale fascista dell’industria italiana” fu denominata “Confederazione fascista degli industriali“. Ebbe tra i presidenti Giuseppe Volpi e Alberto Pirelli. Nel dopoguerra la Confindustria assunse un ruolo di primo piano nell’opera di grandi infrastrutture (ricostruzione post-bellica piano Marshall), che contemporaneamente siglò importanti accordi coi sindacati statali. Gli anni del “boom economico” portarono le grandi imprese a un forte incremento del loro capitale sociale…

Ricordiamoci che, sia gli agrari che gli industriali, sono stati i primi ad appoggiare il fascismo, che con la violenza delle sue milizie aveva soffocato il movimento sindacale e le organizzazioni socialiste. Per sdebitarsi di questo appoggio, il governo Mussolini attuò una politica economica liberale, che permise agli industriali e agli agrari di aumentare in modo consistente i loro profitti, a scapito dei salari degli operai. Il governo Mussolini fece approvare una riforma fiscale favorevole ai grossi capitali, la privatizzazione dei servizi telefonici e delle Assicurazioni, il salvataggio da parte dello stato di industrie e banche in crisi, il contenimento dei salari e l’allungamento dell’orario di lavoro. Di questa manovra economica liberale, ne usufruirono solo i grossi industriali e le maggiori imprese, come la FIAT, la Montecatini (che produceva fertilizzanti) o la Snia (produttrice di fibre artificiali), che aumentarono notevolmente le loro esportazioni.

Per combattere la crisi, nel 1933 il fascismo diede vita all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) un ente statale che, attraverso il controllo delle banche, finanziava le industrie siderurgiche, cantieristiche e meccaniche. A partire dal 1935 la ripresa industriale fu favorita dalla politica di riarmo del fascismo e dalla guerra d’Etiopia. Complessivamente l’intervento dello stato nell’economia fu così ampio che alla vigilia della II guerra mondiale nessun paese al mondo aveva, proporzionalmente, un numero di aziende statizzate maggiore dell’Italia; ma con una caratteristica: nello stato fascista, la mano pubblica interveniva in difesa di interessi privati e addirittura settoriali. Il sistema, in altri termini, sanciva l’intervento dello stato, sia per i latifondisti, sia per le industrie e le banche del paese, grazie all’influenza dei più potenti gruppi industriali e finanziari sulla politica economica del governo.

 

Non appena le aspirazioni e le idee contrarie

incominciano a penetrare nelle masse,

tutto il sistema del liberalismo borghese crolla come un castello

di carte. La sua umanità si trasforma in  furore;

il suo rispetto dei diritti del prossimo, il suo culto

della libertà, cede il posto alla feroce repressione.

Il liberalismo scompare e, non trovando in se

stesso né i mezzi né la forza necessarie per reprimere

le masse, fa largo alla dittatura militare.

M. Bakunin

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)