Allarme: Centri psichiatrici e CPR sono i lager di oggi!

Dentro i Cpr condizioni inumane, chiuderli subito!

 Vi proponiamo questi video, in particolare quelli che ci hanno mandato gli amici e compagni del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, che ci sembrano molto validi e importanti per capire come la chiesa e lo stato risolvono ancora oggi le problematiche sociali ed economiche di questa egoista e  sozza società classista che crea tante ingiustizie sociali, etichettando le persone per i loro interessi economici, speculando sul disagio e sulle disgrazie della povera gente.

Sono video impressionanti, crudeli che parlano di reparti psichiatrici e Cpr (ex Cie) e i metodi disumani che usano ancora quotidianamente sui più deboli, sulle persone svantaggiate.

I video sulla psichiatria, ci spiegano che ancora oggi, usano metodi medioevali di annientamento psicologico sugli utenti (imbottendoli e indebolendoli con gli psicofarmaci), impiegando personale non qualificato (molto spesso volontari con problematiche personali più grosse degli utenti che dovrebbero aiutare). Il problema principale all’interno di questi veri e propri lager impenetrabili, è che si basano come prassi non dichiarata, su metodi di annientamento autoritari e fascisti, non chiedendo nemmeno all’utente che problematiche abbia, ma risolvendo con gli psicofarmaci, la violenza e le minacce. Molto spesso i problemi degli utenti nascono dalla situazione familiare di povertà o dall’educazione rigida, cattofascista, senza sentimenti, senza dialogo e, al primo segnale di ribellione (richiesta di aiuto e di affetto), risolvono chiudendoli in queste strutture dove vengono omologati, alienati [il termine “alienazione” indica il processo attraverso il quale l’uomo si estrania da se stesso, perdendo la sua identità genuinamente umana, che è proiettata verso qualcos altro; infatti, il termine deriva dal pronome latino “alius”, che significa “altro, ciò che è estraneo”], annientati (alla faccia della libera espressione…).

Per quanto riguarda i CPR, i problemi principali nascono dalla povertà, molto spesso sono famiglie intere scappate dalla miseria del proprio territorio, sono migranti che scappano dalle guerre create dal capitalismo e vengono in occidente con la speranza di cambiare il loro crudele destino.

Ma cominciamo dalla Storia per capire meglio il problema:

I CPR (ex CIE), furono istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano col nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi denominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, ed infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.

I cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento di soggiorno, sono facilmente ricattabili e molto spesso fanno comodo e vengono sfruttati in agricoltura e nell’edilizia, dove li fanno lavorare in nero senza diritti, con buste paga da fame (per evitare che ottenessero i diritti dovuti). A dicembre 2021 in Italia, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (C.P.R.) aperti e funzionanti sono 10 e si trovano a Torino (C.so Brunelleschi), Milano (Via Corelli), Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ponte Galeria (Roma), Palazzo San Gervasio (Potenza), Macomer (Nuoro), Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago. Gli Hotspot sono 4 e i Centri di Prima Accoglienza (CPA) sono 8.

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Ombre e dubbi sulla morte di Moustafà Fannane: link, articolo e video.

https://www.facebook.com/100084189376875/posts/251440747672236/?mibextid=rS40aB7S9Ucbxw6v

Ombre e dubbi sulla morte di Moustafà Fannane

https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti/

Andare oltre i centri di permanenza per i rimpatrihttps://www.meltingpot.org/2023/04/andare-oltre-i-centri-di-permanenza-per-i-rimpatri-cpr/

https://www.la7.it/piazzapulita/video/linferno-dei-cpr-tra-violenze-e-psicofarmaci-25-05-2023-487174

https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare/

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Ma ora analizziamo storicamente il problema della psichiatria:

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Nel 1975, col nuovo Ordinamento Penitenziario (legge n. 354/1975), viene rinominato il manicomio giudiziario in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.). Si cambia la visione dell’internato che passa da persona che deve essere prevalentemente punita, a malato che deve essere principalmente curato; da qui anche la scelta del nome “ospedale”. Il 1978 è l’anno della grande riforma: la legge 180 “Norme per gli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” (cosiddetta legge Basaglia) che, successivamente confluirà nella legge n. 833/1978 di riforma del Sistema Sanitario Nazionale. La svolta epocale si ha nel 2003 con la sentenza della Corte costituzionale n. 253, dove il ricovero in Ospedali Psichiatrici Giudiziari (O.P.G.) viene visto come obbligo di legge e non come percorso terapeutico e personalizzato per il singolo autore di reato affetto da patologia psichiatrica. Deve arrivare il 1° aprile 2008 perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri riconosca gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari come parte integrante della medicina penitenziaria e di conseguenza dia l’incarico alle Regioni di prevedere percorsi riabilitativi per i pazienti dimissibili dal regime carcerario. La legge 30/5/ 2014 n. 81 converte il decreto-legge 31/3/2014, n. 52, recante “disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”, ma mantiene la volontà di non modificare il sistema del doppio binario, la sanitarizzazione delle misure di sicurezza e l’idea che le strutture che accolgono i pazienti siano di tipo sanitario. Ufficialmente si arriva alla chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari il 31/3/2015. Vengono così instituite per questi utenti  le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) che vedono la collaborazione tra il Ministero di Giustizia e il Ministero della Salute.

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Questo è il link per vedere il reportage andato in onda domenica 23 luglio su Rainews24 dal titolo “La STORIA DI MATTIA – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia ” a cura di Maria Elena Scandaliato. Un’ indagine sulla morte di Mattia Giordani e sui maltrattamenti avvenuti nel 2016 nella struttura per disabili di Montalto di Fauglia in provincia di Pisa gestita dalla fondazione Stella Maris. https://www.rainews.it/rubriche/spotlight/video/2023/07/Spotlight-del-25072023-d08c6796-2baf-4725-aec4-d6ec2d18133d.html

Questo è il link per vedere la trasmissione “il Diritto Fragile” dell’associazione Radicale “Diritti alla Follia” a cui abbiamo partecipato, come collettivo Artaud, insieme a Sondra Cerrai per parlare dei maltrattamenti avvenuti nell’estate del 2016 all’interno della struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Fondazione STELLA MARIS e della morte di Mattia Giordani.https://www.youtube.com/watch?v=YaXUHf4z7Lg

VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS,

SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI!

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

via San Lorenzo 38, 56100 Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

Assemblea antipsichiatrica

https://www.pisatoday.it/eventi/siamo-tutti-legati-vicopisano-16-luglio-2021.html

Disabili picchiati e maltrattati nel centro psichiatrico: indagate pure tre educatrici.https://www.umbria24.it/cronaca/disabili-picchiati-e-maltrattati-nel-centro-psichiatrico-indagate-pure-tre-educatrici/

https://brescia.corriere.it/notizie/23_marzo_10/brescia-disabili-maltrattati-e-offesi-in-una-struttura-sanitaria-allontanati-cinque-operatori-sanitari-5e3ab9b8-e72e-47b2-b3d2-4d66add48xlk.shtml

https://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/psichiatria_infantile_ragazzo_denuncia_chioggia-7520571.html

https://www.fanpage.it/attualita/linfanzia-rubata-di-pino-spartaco-alberto-e-annamaria-bambini-internati-in-manicomio/

Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa: chiesti 2 anni e 2 mesi di carcere per 16 medici.https://www.cronachedellacampania.it/2018/12/ospedale-psichiatrico-giudiziario-di-aversa-chiesti-2-anni-e-2-mesi-di-carcere-per-16medici#:~:text=Aversa.-,Pazienti%20maltrattati%20e%20%E2%80%9Csequestrati%E2%80%9D%20all’OPG%20di%20Aversa.,Ministero%2C%20dinanzi%20al%20Giudice%20dott.

Psichiatria, ecco i 19 reparti dove non si lega nessuno

Ex OPG occupato:https://www.italiachecambia.org/2023/06/ex-opg-occupato-je-so-pazzo/

Un giorno tipo nella residenza psichiatrica ad alta protezione. “Cura”, o “contenimento”?

https://mattipersempre.it/

https://www.disabili.com/aiuto

http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.com/

 

Ora vi vogliamo mandare anche questo scritto importante fatto dal collettivo antipsichiatrico di Bologna:  

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio bolognese a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale. Portiamo il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə del carcere della Dozza, e contestiamo la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.

Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale). Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” (definiti “folli rei”), un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio (definiti “rei folli”) e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa. Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori. Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.

Il carcere-manicomio:

Quando il carcere si trasforma in manicomio: la tragedia della salute mentale in cella, tra suicidi, violenza e abbandono - la Repubblica

l’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione. Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonché dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo né vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui coi familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20/10/2022, uno sciopero della fame contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”.

In piazza “contro 41 bis ed ergastolo ostativo” – Zic.it | Zeroincondott☆

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti. Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico (un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così) ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Ecco in che condizioni vivono i malati psichiatrici in carcere e nelle Rems - L'Espresso

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede 5 posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere. Nel 2020/’21 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15/2/2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio. Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

https://ristretti.org/pozzuoli-na-detenuta-nel-reparto-articolazione-psichiatrica-muore-a-37-anni

Psicoradio, il disagio mentale spiegato dai pazienti psichiatrici: "Rompiamo gli stereotipi" - YouTube

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Al minimo segno di ribellione, tutto il peso

del governo, della legge e dell’ordine ti cadrà

sulla testa, a cominciare dal manganello,

dal poliziotto, dal carcere, dalla prigione,

fino alla forca o alla sedia elettrica.

A. Berkman

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Solidarietà ai compagni Anarchici reclusi

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)