Sentenza di cassazione contro i due sbirri psicopatici che hanno torturato e ucciso Cucchi in caserma

Accadde oggi. 22 ottobre 2009: dieci anni fa Stefano Cucchi moriva ‘nelle mani’ dello Stato

Il 5 aprile la sentenza di cassazione contro i due sbirri sleali e psicopatici, ha diminuito la sentenza di condanna per la morte e le torture subite da Stefano Cucchi, portandola a 12 anni di reclusione anziché 13. La cassazione inoltre ha deciso che ci sarà un altro nuovo processo di appello per i due carabinieri sleali e vili (accusati anche di falso), per le torture e la morte di Stefano Cucchi.

Ilaria, la sorella, dopo la cassazione, dichiara ai mass media di essere soddisfatta finalmente della sentenza: “Giustizia è fatta, l’avevo promesso a Stefano”.  “Si chiude una pagina di vita e si scrive un pezzo di Storia. Il pensiero va ai miei genitori”.

La Cassazione ha deciso anche di riaprire l’appello bis per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere

Il 4 aprile 2022 c’ è stata invece la cassazione, per il ricorso dei carabinieri condannati per il pestaggio di Stefano Cucchi, il giovane romano morto in seguito alle percosse (torture) ricevute nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 nella caserma Casilina a Roma dopo essere stato arrestato e denunciato (per stupefacenti, a uso personale) dai carabinieri.

Questa vicenda processuale con l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo (foto a sinistra), ha restituito fiducia e speranza a tante persone che hanno dovuto subire la repressione e il nonnismo della cultura e della logica sleale, repressiva, razzista, meschina, militare degli ‘uomini in divisa’, soprattutto quella degli anni ‘60/’70.

Anselmo dichiara ai mass media: “Per arrivare a dei diritti ci sono voluti 7 anni, 15 gradi di giudizio, più di 150 udienze; dopo 13 anni si è arrivati a mettere la parola fine su questa vicenda crudele e assurda”.

La famiglia Cucchi chiede due milioni di euro. “Noi carne da macello”…

Secondo la sorella Ilaria: «Non sono avvocato, o esperta di leggi. Sono la sorella di Stefano. Non m’importa se andranno in carcere oppure no, una condanna sarà però un segnale importante”. Poi puntualizza: “quando si sbaglia si è chiamati a rispondere dei propri errori. Bisogna dire basta al senso di impunità. Stefano è morto nel disinteresse generale, dall’arresto alla morte è stato in contatto con ben 140 pubblici ufficiali. Nessuno ha fatto nulla per interrompere la catena letale di eventi”.

“Nel processo per direttissima Stefano è stato circa un’ora con un giudice e un pubblico ministero. Ha cominciato a morire in quell’aula di giustizia (…) e indifferenza”.

Ilaria Cucchi parla ancora di quanto è avvenuto in questi giorni; nessuno restituirà Stefano né a lei né alla famiglia. Ma finalmente emerge, dopo anni di gigantesche menzogne, il profilo della verità; e quelle istituzioni impunite, che troppo a lungo erano apparse ciniche e ostili, finalmente riconoscono l’inaudito crimine, si schierano dalla parte della giustizia.

L’unico che continua a far finta di non capire è il ministro dell’Interno di allora: Salvini.

«Per la prima volta dopo 7 anni, la verità è finalmente entrata anche in un’aula di giustizia. Ho provato una forte emozione nell’ascoltare la requisitoria del procuratore generale Eugenio Rubolino. Non siamo più soli a raccontare la verità. Fino alla sentenza della Cassazione a essere giudicato è stato mio fratello e non gli eventuali responsabili della sua morte: in primo grado, uno dei pubblici ministeri descrisse Stefano come un cafone maleducato; per altri era uno zombie, un drogato che se l’era cercata. Questa volta, invece, ho respirato un’aria nuova; ho sentito parlare di Stefano come di una persona meritevole, al pari di chiunque altro, di rispetto e dignità e soprattutto di quanto gli è stato fatto e delle conseguenze. La nostra lunga battaglia non è stata vana».

Si è vero, la famiglia di Cucchi è riuscita ad avere, in parte, giustizia per la morte e le feroci torture subite da Stefano, ma, purtroppo, non tutti hanno la possibilità di avere i soldi (soprattutto i sottoproletari), per pagare l’avvocato e avere diritti e giustizia sociale.

Massoneria

Noi Rsp, come Anarchici, abbiamo aperto un dibattito sulla classe sociale della massoneria, tenuto nel 2011 all’Università Statale di Milano, quindi mettiamo in discussione anche la classe sociale dei giudici e dei magistrati; siamo sempre disponibili a riaprire il dibattito.

Se non approfondiamo il ruolo della massoneria, non capiamo bene la Storia e le varie fasi della Storia, ma soprattutto non riusciamo a capire l’enormità del potere economico che gestiscono, spesso e volentieri in modo occulto, da secoli.

 Ma torniamo indietro nel tempo: 11 APRILE 2019, dopo 10 anni di processi, crolla il castello di menzogne e depistaggi per le torture e  l’uccisione di Stefano Cucchi.

“Stefano è stato ucciso dai servitori dello Stato, è stato vittima di tortura come Giulio Regeni”.

“Si tratta di stabilire solo il colore delle divise”, ha ribadito il Procuratore Rubolino.

Le foto di Cucchi torturato, esibite dai mass media, fanno pensare alla logica militare repressiva discriminatoria e violenta delle forze dell’ordine e dei soldati, quasi sempre impuniti.

Le foto di quel volto e corpo torturato, di quel fisico esile che era Stefano Cucchi, ci fa vergognare delle forze dell’ordine sleali e viscide.

Giulio Regeni, il messaggio della mamma nel giorno del compleanno: «Ti hanno rubato la vita»

La sorella di Stefano Cucchi disse: “Quando ho saputo che la madre di Regeni [foto sopra], aveva riconosciuto il figlio torturato e ucciso dalla punta del naso, sono tornata indietro al 22 ottobre 2009. Dietro una teca a guardare il cadavere di Stefano sul tavolo di un obitorio, devastato, irriconoscibile. Non somigliava affatto al fratello che avevo salutato appena 6 giorni prima, stava bene, era andato in palestra, mi aveva abbracciato, ci saremmo visti il giorno dopo”.

“Ho fissato a lungo il viso straziato, chiedendomi quale essere umano può fare una cosa del genere a un proprio simile. Nel suo volto ho letto la disperazione, l’abbandono, la solitudine. Allora credevo pienamente nelle istituzioni… La mattina in cui era stata fissata l’autopsia, frastornata, chiamai l’avvocato Fabio Anselmo. Mi consigliò di fotografare il corpo. Ci sono i medici legali, replicai, perché fotografare l’orrore? Dovremo provare tutto, rispose. In quel momento tutto il mio mondo mi è crollato addosso. Ora lo so e lo dico da tempo, Stefano è morto di dolore, lentamente, e nessuno ha fatto nulla per salvargli la vita. La situazione era grave, diveniva sempre più critica, precipitava e i medici non gli hanno neppure preso il polso”.

La sorella di Cucchi prosegue l’intervista ai mass media: Il procuratore generale ha chiesto 4 anni di condanna per i medici del Pertini, accusati di omicidio colposo. Una pena giusta?  «Non sono avvocato, o esperta di leggi. Sono la sorella di Stefano. Non m’importa se andranno in carcere oppure no, una condanna sarà però un segnale importante: quando si sbaglia si è chiamati a rispondere dei propri errori. Bisogna dire basta al senso di impunità. Stefano è morto nel disinteresse generale, dall’arresto alla morte è stato in contatto con ben 140 pubblici ufficiali. Nessuno ha fatto nulla per interrompere la catena letale di eventi. Non intendo un gesto di pietà, ma semplicemente il fare il proprio dovere denunciando quanto era sotto i loro occhi. Nel processo per direttissima Stefano è stato circa un’ora con un giudice e un pubblico ministero. Ha cominciato a morire in quell’aula di giustizia e di indifferenza». Intanto nell’ambito dell’inchiesta bis avviata dalla Procura di Roma, il collegio dei periti nominato dal Gip per stabilire la natura delle lesioni sul corpo di Stefano, aveva chiesto altri 90 giorni per completare l’incarico. Il giudice ne ha accordati 30, fissando l’incidente probatorio al 28 luglio.

Pignatone sotto assedio: preso a bastonate per inchiesta Palamara e scaricato da Travaglio

«Sette anni di perizie e raccolta di documentazioni non sembrano bastare. Mi fido del procuratore Pignatone (foto sopra), del pubblico ministero Giovanni Musarò, del mio avvocato. Ma ho paura. Ho imparato sulla mia pelle e dall’esperienza di altri processi che le consulenze scientifiche condizionano irrevocabilmente i processi. Subentra anche una sorta di “guerra” tra accademici. Per Stefano si è parlato addirittura di una bizzarra caduta accidentale, senza neanche preoccuparsi di renderne credibile la dinamica e gli effetti. In questi 7 anni di infinite udienze, si è detto pure che mio fratello aveva il catetere per comodità, pur di minimizzare le conseguenze di un pestaggio, negato per 7 anni. Ora è la Procura di Roma ad aver aperto un’istruttoria per il violentissimo pestaggio e indagato dei carabinieri».  Alla guida del collegio peritale è Franco Introna, ordinario di Medicina legale all’Università di Bari, ex massone, un passato in Alleanza Nazionale, candidato PdL nel 2009. “Va detto che il nostro consulente storico, il professor Vittorio Fineschi, appresa la nomina di Introna ha rinunciato al mandato. Al momento ai carabinieri vengono contestate lesioni aggravate, un reato con un termine di prescrizione breve”.

“Rispetto a sette anni fa, c’è una diversa sensibilità nelle persone comuni sui diritti fondamentali di ogni essere umano, si è capito che riguarda tutti. La lotta per la verità della madre, del padre, della sorella di Stefano Cucchi e di tante altre famiglie ha scosso la coscienza collettiva di tutti”.

Il gip Elvira Tamburelli capo del collegio dei periti, domanda a Francesco Introna: «Vuole chiarire l’appartenenza alla massoneria?». «Io dal 1980 fino al 1982 ho fatto parte di una loggia che si chiama Saggezza Trionfante».  Introna ammette che il 29/1/2022 (giorno in cui il gip Tamburelli incontra Introna per il conferimento dell’incarico). «Sono andato via dalla massoneria e non sono neanche nella posizione in sonno». «Quindi — ribatte il gip — lei non è in sonno?». «No, neanche in sonno», replica Introna. «Ha qualche legame con la loggia del grande oriente d’Italia collegata alla sede romana?», incalza sempre Tamburelli. «No, dottoressa io non ricordavo nemmeno più l’evento», replica il perito.

L’intenzione dell’Arma è di costituirsi parte civile nel futuro processo per depistaggio, se saranno rinviati a giudizio gli 8 ufficiali indagati…

Si costituirà parte civile anche il ministero della Difesa. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Conte, a nome di tutto il governo. Prendo atto però che c’è ancora chi non vuol capire…

Quel cattofascista, venduto, arrivista  dell’ex ministro dell’Interno Salvini, ha voluto ripetere la frase (come fa ormai da anni), senza nemmeno informarsi meglio, prima di dichiarare ai mass media: “comunque io sono dalla parte delle forze dell’ordine”.

Dal 2018 in poi Salvini ha affiancato alla vecchia Lega Nord un nuovo partito, la Lega per Salvini Premier, rinunciando definitivamente al tema dell’indipendentismo padano e significativamente alla parola “Nord” nel simbolo. Questo diverso indirizzo ha consentito alla nuova Lega di affermarsi come primo partito alle elezioni europee del 2019 (diventando più fascista, arrivista e opportunista).

A seguito delle elezioni politiche del 2018, grazie all’accordo tra Lega e Movimento 5 Stelle che ha portato alla nascita del governo Conte I, quella merda di Salvini ha ricoperto le cariche di Ministro dell’interno e Vicepresidente del Consiglio nel suddetto esecutivo, durato circa 15 mesi.

Dichiara la sorella di Cucchi: “Abbiamo ascoltato in aula il racconto dell’uccisione di mio fratello, l’ho ascoltata io e soprattutto, l’hanno ascoltata i miei genitori, seduti come sempre in fondo all’aula. Dal punto di vista emotivo, non è stato un momento facile. Eppure quelle cose le sapevamo da sempre, le sapevano tutti coloro che avevano deciso di approfondire questa storia, di guardare oltre ciò che si voleva far credere. Però ci sono voluti 10 anni per ascoltarle anche in un’aula di giustizia”.

Ilaria continua: “Mentre ascoltavo Tedesco descrivere dettagliatamente quello che era accaduto quella notte, le spinte, i pugni, i calci in faccia, ricordavo la perizia del professor Arbarello, il consulente medico legale dell’allora pubblico ministero, e poi successivamente quella della dottoressa Cattaneo, nominata dalla Corte d’Assise. Ricordavo i disegnini della consulente, le simulazioni di quella “caduta accidentale”, i paroloni per descrivere, in un’aula di tribunale, come Stefano con un’unica caduta si sarebbe potuto procurare tutte quelle lezioni in più parti del corpo. Era un processo (fin dall’istante successivo la morte di Stefano), scritto a tavolino dai superiori di coloro che oggi sono sul banco degli imputati, gli stessi che avevano già, nero su bianco, le conclusioni della perizia del professor Albarello, addirittura prima che venisse nominato consulente nel primo processo”.

Poi Ilaria dichiara: “Da anni, quando cammino per strada in tanti si fermano, c’è chi mi abbraccia, chi mi ripete “vai avanti”. Io confido sul senso di responsabilità dei giudici. È necessario un segnale, le persone hanno bisogno di fidarsi pienamente delle Istituzioni, in uno Stato democratico, oggi più che mai in un momento tanto difficile e cupo”.

“Molto spesso, purtroppo, quando rappresentanti dello Stato si trovano coinvolti in situazioni di abuso e violazione dei diritti umani (e ci scappa il morto) si nascondono dietro la divisa. Molto spesso è stato constatato che sono stati aiutati da colleghi e sindacati di categoria. Bisogna resistere resistere resistere e aver fiducia”, ha scritto Ilaria su Facebook per commentare la chiusura della nuova inchiesta.  https://www.youtube.com/watch?v=dZblnm2du_0

Stefano Cucchi: Digos infame e boia!!!

Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza, il suo potere.

dal “Manifesto Internazionale anarchico contro la guerra” (1915)

 

Solidarietà a tutti i proletari e sottoproletari che sono stati incarcerati e hanno subito abusi di potere dalle forze del disordine.

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Basta alternanza SCUOLA – (sfruttamento e incidenti sul) LAVORO! Ripristiniamo lo Statuto dei lavoratori

Nella giornata di ieri, i mass media scrivono che è morto sul lavoro un altro ragazzo che stava lavorando con un contratto: scuola lavoro – apprendistato (da sfruttato), in una ditta in provincia di Ancona.

Il giovane aveva solo 16 anni e si chiamava Giuseppe Lenoci (foto), muore mentre era in viaggio a Serra de’ Conti nell’ambito di un corso di accompagnamento al lavoro, che prevedeva una parte di lezioni in aula e una parte pratica come stage presso un’azienda. Corsi organizzati da enti di formazione del territorio e finanziati dalla Regione Marche. Ma il paradosso è che la regione (ente pubblico), paga le imprese per far lavorare (sfruttare) i giovani studenti.

L’incidente mortale ha riaperto le polemiche sull’alternanza scuola lavoro, oggetto della mobilitazione studentesca delle ultime settimane, dopo la morte sul lavoro del giovane 18enne Lorenzo Parelli, colpito da una trave d’acciaio in una fabbrica a Lanuzacco (Udine) dove stava svolgendo un periodo di apprendistato.

Quel pagliaccio del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, dopo aver appreso la notizia della morte del giovane Giuseppe Lenoci, ha dichiarato ai mass media:

“La sicurezza sul lavoro deve essere sempre garantita, a maggior ragione quando sono coinvolti dei ragazzi in formazione. Su questo abbiamo già avviato un confronto con il Ministro del Lavoro Orlando e messo a ragionare i nostri tecnici. Credo sia urgente ritrovarci anche insieme alle Regioni per un percorso che porti a una maggiore sicurezza in tutti i percorsi di formazione dove sono previsti contatti dei nostri giovani con il mondo del lavoro”

Il ministro dell’istruzione (foto sotto), lo abbiamo definito pagliaccio perché finge di non sapere che i politici come lui, ci hanno tolto i diritti sul lavoro togliendoci lo statuto dei lavoratori (compreso l’articolo 18), diritti ottenuti con le lotte degli studenti e dei lavoratori negli anni ‘60/’70, per imporci il libero mercato, fatto di contratti di lavoro subordinati, flessibili, da schiavi. L’aumento degli incidenti e dei morti sul lavoro è una conseguenza molto prevedibile.

Il Ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi a Bergamo - BergamoNews

Il libero mercato, imposto con la legge Biagi (2003) e la riforma Fornero (2012), è servito solo per ingrassare ulteriormente il padrone, non certo per i diritti dei lavoratori anzi, ci ha declassato, ci ha riportato ai tempi del dopo guerra dove i diritti erano un optional…

Ci hanno tolto lo statuto dei lavoratori per imporci il libero mercato con contratti di lavoro al ribasso (da schiavo – da fame). Contratti di lavoro anticostituzionali ma che con le varie riforme del lavoro sono diventati regolari per la costituzione Italiana.

Hanno modificato lo Statuto dei lavoratori per rendere più facili i licenziamenti individuali (art.18) per motivi economici, hanno fatto modifiche ai contratti dei collaboratori e alla durata dei lavoratori a termine, e ci hanno imposto un nuovo sistema al ribasso di ammortizzatori sociali.

scuola occupata darwin

Il 18 febbraio gli studenti saranno in piazza in tutta Italia contro alternanza, maturità e repressione subita, dichiara Luca Redolfi, coordinatore nazionale dell’Unione Degli Studenti che ricorda: “la lunga lista di morti sul lavoro causati da un sistema malato, volto solamente al profitto: vogliamo sicurezza dentro e fuori le scuole, vogliamo che l’alternanza scuola-lavoro e gli stage vadano aboliti a favore dell’istruzione integrata”. “Ci chiediamo quanti altri studenti e giovani debbano morire prima che l’idea di un sistema unicamente volto al profitto e allo sfruttamento, cambi, una volta per tutte”, conclude Redolfi. “Non è possibile morire di lavoro a 16 anni, questo evidentemente ci deve far interrogare profondamente non solo sul rapporto fra scuola e lavoro, ma anche su quanto ci sia urgenza in questo paese di risolvere il problema della sicurezza sul lavoro”, dichiara la Rete degli Studenti. L’Usb torna a chiedere la fine “dell’alternanza scuola lavoro, della scuola azienda, e la revisione totale dei modelli della formazione professionale questa specie di serie B dell’ingresso nel mondo del lavoro riservata ai ragazzi che alle medie ricevono il bollino ‘scarso’, il 6 o giù di lì, e per questo vengono gettati nel calderone del lavoro non qualificato. Un calderone in cui sguazzano le aziende che piegano la formazione alle loro esigenze, con tutto quel che ne consegue per la sicurezza e la salute dei giovani”.

Anche a Torino gli studenti non ci stanno al gioco sporco imposto dallo Stato massomafioso (così lo aveva definito Falcone), e sono scesi in piazza XVIII dicembre per la mobilitazione nazionale contro stage, maturità e repressione (annuncia Federico Bernardini, presidente della Consulta degli studenti di Torino). Questa è la scuola che hanno voluto governi e padroni. Sappiamo cosa fare, nessuno ha più scuse. Attendiamo la prossima conferenza della Lamorgese in cui ci spiegherà di nuovo che queste morti simboleggiano la ripresa del Paese, o parlerà ancora di fantomatici infiltrati nelle proteste degli studenti”.

Torino - Muore a 16 anni durante uno stage, in città esplode la protesta: 20 scuole occupate. La situazione - Torino News 24 - Le news da Torino

A un mese dalla morte a Udine di un altro studente in stage, il 18enne Lorenzo Parelli, salgono a 20 le scuole occupate in tutt’Italia.

Alle manifestazioni studentesche di questi giorni, ci sono state ulteriori occupazioni nelle scuole come: l’istituto Regina Margherita e l’istituto Albe Steiner, sotto la Mole, e a Pinerolo l’istituto Buniva.

Ma ritorniamo indietro nella Storia:

Lo Statuto dei lavoratori nasce con la legge 300 del 20/5/1970, è il risultato delle lotte sindacali degli anni ’60, insieme agli studenti e agli operai. Con esso si è regolato e limitato il potere dei datori di lavoro all’interno delle aziende, in rispetto dell’art. 41, 2° comma della Costituzione italiana e conteneva norme giuridiche sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori.

Lo Statuto dei Lavoratori si compone di 6 Titoli e di 41 articoli. La promulgazione della legge introdusse ingenti modifiche su tutta la sfera che investiva il mondo del lavoro: dalle condizioni sociali in cui il lavoro verteva ai rapporti coi datori. Introdusse e sottolineò anche l’importanza delle rappresentanze sindacali. Al tempo, l’Italia era scossa da manifestazioni e proteste di chi lottava per far sì che i propri diritti fossero riconosciuti: fu proprio quel 20/5/1970 che l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, divenne fra gli interventi legislativi decisivi in materia di diritti sul lavoro.

Quelle immagini della manifestazione studentesca del 28/1/ 2022 di ragazze e ragazzi picchiati a sangue da agenti delle forze dell’ordine (che rappresentano lo Stato italiano), hanno colpito profondamente tutti, perché ci ricordano i metodi vigliacchi come l’uccisione e le torture fatte al compagno Pinelli ucciso in questura), i metodi repressivi e autoritari che hanno sempre usato le forze del disordine (es: repressione e torture durante G8 di Genova 2001), durante le manifestazioni, dai lontani anni ‘60 fino ad oggi. Tanto più che i cortei del 28, erano pacifici, e gli studenti manifestavano per il caso gravissimo di Lorenzo Parelli, studente di 18 anni, morto sul lavoro e morto, anche a scuola.

La Cub Torino ha dichiarato ai mass media: “piena solidarietà agli studenti” ribadendo l’impegno «per l’abolizione dell’alternanza scuola lavoro, una norma che rende le scuole subalterne al sistema delle imprese ed è volta solo a un addestramento delle giovani generazioni a condizioni di sfruttamento e precarietà”. Colpi violenti sulla testa, sangue e violenza (foto sopra), questo il drammatico bilancio delle cariche della polizia contro gli studenti che manifestavano pacificamente in tante città italiane dopo la morte di Lorenzo.

Samuele, 22 anni (uno degli studenti scesi in piazza a Torino rimasto coinvolto nelle cariche della polizia), ha girato alcuni dei video delle cariche della polizia sugli studenti diventati virali, immagini in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dalla questura. Il ragazzo parla di “narrazioni distorte” riportate dai media. “Noi ci siamo ritrovati in piazza e da lì abbiamo provato a muoverci, ma dopo 5 metri già la polizia ci ha fermati. E ci ha iniziato a caricare da subito.

Solidarietà a compagne e compagni anarchici rinchiusi per aver portato avanti gli ideali utopistici dell’Anarchia in questo mondo ingiusto e crudele.

 

PRESA DIRETTA – LICENZIAMENTI E MORTI SUL LAVORO – Parte 1 (14-02-2022)

https://www.youtube.com/watch?v=3DbfcrwyDWo

PRESA DIRETTA – LICENZIAMENTI E MORTI SUL LAVORO – Parte 2 (14-02-2022)

PRESA DIRETTA 14/02/2022 – STORIA DI LUANA: MORIRE DI LAVORO A 22 ANNI

Storia di Luana: morire di lavoro a 22 anni – Presa Diretta 14/02/2022

 

Alcuni degli schiavi proteggono il padrone,

affinché questi possa continuare a tenere questi

e tutti gli altri in schiavitù.

A. Berkman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Alice finalmente libera dalla repressione del TSO!

La mia infanzia in manicomio, a tre anni legato al termosifone» – MonolituM

Sul nostro articolo dello scorso anno, è riportata la lettera scritta dal papà di Alice che chiedeva disperatamente aiuto per liberare sua figlia da una struttura che la teneva costretta contro la loro volontà. Sembra un incubo, un film del terrore, ma purtroppo è una macabra realtà, una ‘prassi’ che troppo spesso si conclude con una morte violenta delle vittime della psichiatria per mano di sadici aguzzini senza scrupoli:

https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2020/06/11/alice-libera-lettera-di-denuncia-di-un-padre-che-chiede-giustizia-per-la-figlia/

Dalla mail che ci hanno scritto ieri i compagni e amici del collettivo Artaud:
Alice sta bene, sta con il padre come lei ha sempre desiderato e non è più in una struttura contro la sua volontà.
Purtroppo ha ancora l’amministratore di sostegno e per il momento non ha ancora potuto fare l’operazione di rimozione della tracheotomia.
Siamo sempre in contatto con lei e con il padre. Vi ringraziamo per l’interessamento, vi terremo aggiornati e in caso di nuove iniziative vi faremo sapere.
Tanti saluti
il collettivo Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 

Noi (Rsp) ringraziamo loro e tutti quelli che si sono dati da fare per liberare Alice dalla trappola mortale della psichiatria e dai suoi lager.

La Onlus lager di Castelbuono, “Dottoressa mi faccia uscire", i nomi degli arrestati - Diretta Sicilia

Il 17 dicembre a Castelbuono (Palermo), i mass media scrivono che sono stati scoperti gravissimi episodi di maltrattamento a danno di disabili nella casa di cura ‘Suor Rosina La Grua’. Per questi gravi reati sono accusate 35 persone di: tortura, maltrattamenti e sequestro di persona, corruzione, truffa aggravata delle rette pubbliche, malversazione e frode nelle pubbliche forniture. E’ stata messa sotto sequestro la ‘casa degli orrori’ dove avvenivano le torture agli utenti, e i loro profitti finanziari per un valore di oltre 6,7 milioni di euro. Il lager era gestito da una onlus (sigla di: Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale!!!) e accudivano 23 pazienti con disabilità grave, in regime di convenzione pubblica. Gli operatori che dovevano accudire i pazienti erano persone crudeli, disumane, che non hanno avuto pietà nemmeno per delle persone svantaggiate, deboli (che non si possono difendere), sfortunate: per punizione venivano rinchiusi in una stanza di pochi metri quadrati chiamata “relax” dove venivano portati di peso e rinchiusi, sia di giorno che di notte, completamente vuota e senza servizi igienici. Le vittime rimanevano al buio senza alcuna assistenza, supplicando per avere dell’acqua o del cibo, e costretti a fare i propri bisogni sul pavimento. i pazienti in questa stanza venivano picchiati e insultati. Alcuni operatori del lager nazista, oltre a umiliarli, non li accudivano: non li lavavano e il mangiare era scarso e faceva schifo, la struttura in cui vivevano era malsana, sporca e non a norma. L’ amministratore e i soci della onlus avevano speculato e rubato negli ultimi 5 anni alla Regione Sicilia (attraverso le convenzioni con l’Asp di Palermo), 6,2 milioni di soldi pubblici. Ma non è finita qua: 470 mila euro sono stati utilizzati per i loro futili interessi personali, invece di utilizzarli per i fabbisogni dei pazienti, o per la manutenzione della sede fatiscente, venivano invece sottratti e utilizzati per l’acquisto di auto, o di viaggi e soggiorni in alberghi di lusso, o l’acquisto di gioielli preziosi. E’ stato accusato per corruzione anche un funzionario dell’Asp di Palermo, per non aver svolto i controlli necessari per evitare questo degrado umano, in cambio aveva ottenuto l’assunzione del figlio e della nuora. Secondo le indagini, tutto il personale sanitario e paramedico in servizio presso la Onlus, con la compiacenza della proprietà (cattolici), sottoponeva i pazienti a maltrattamenti che gli provocavano gravi sofferenze psicologiche e psichiche. La struttura psichiatrica usava come prassi educativa per l’inserimento sociale: le botte, il digiuno, i calci e gli schiaffi. I pazienti disabili venivano sedati con una terapie farmacologica a base di potenti psicofarmaci (che portavano a lungo termine se non somministrati quotidianamente, all’astinenza e a gravi disturbi comportamentali), che non erano stati prescritti dai medici. Gli utenti erano costretti a vivere in un regime cattofascista, contrario al principio di umanità, in un contesto sociale crudele, che non migliorava di certo la loro condizione psicofisica, ma anzi, aggravava ancora di più la loro condizione mentale. La onlus era convenzionata col Servizio Sanitario e gli operatori, che avrebbero dovuto dare assistenza ai pazienti, si erano comperati coi soldi delle rette, perfino delle automobili, per un valore di 120, centotrentamila euro, tutte pagate dalla casa di cura psichiatrica ‘Suor Rosina La Grua’.

Ma queste situazioni di degrato umano sono destinate ad aumentare: nel 2020 con lo stato di emergenza sanitaria, provocato dal Covid 19, il quadro dei disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva (giovani di età compresa tra 0 e 18 anni), stanno aumentando. Un peggioramentro dovuto all’isolamento, imposto dalle restrizioni sanitarie (dittatura sanitaria). Durante il lockdown si è registrato un aumento di adolescenti con disagi che spesso assumono forme drammatiche: condotte autolesive, crisi di aggressività e disturbi dissociativi. In parallelo crescono anche il rifiuto di andare a scuola e la dipendenza grave da internet che si manifesta già dalle scuole medie. Sono le ragazze ad esibire gli aspetti di sofferenza più importanti. L’isolamento e il desiderio di vita all’esterno che si è ridotto negli adolescenti, fanno emergere aspetti depressivi che mettono in crisi le famiglie. Gli adolescenti si sentono più fragili e soli, ed è preciso dovere di una società che si definisce ‘sana’ averne cura, proponendo luoghi e attività di aggregazione sociale che oggi scarseggiano anzi, quei pochi che si autogestiscono, vengono violentemente sgomberati!

Ma facciamo un po di storia:

Gli ospedali psichiatrici istituiti in Italia dal XV secolo, furono istituzionalizzati per la prima volta con la legge Giolitti del 1904. Qui nasce la forma del manicomio così com’è rimasto per gran parte degli anni successivi. Viene ufficializzata la funzione pubblica della psichiatria e nascono gli ospedali politici giudiziari. Viene definito il potere del direttore del manicomio e, soprattutto, si sancisce il legame tra malattia mentale e pericolosità, con l’introduzione dell’obbligo del ricovero che diventa coatto. L’intervento della famiglia per respingere un ricovero di questo tipo non veniva considerata. Il business dei manicomi avveniva in vecchi conventi, dove venivano tolti i diritti civili e politici agli internati. Il manicomio divenne quindi il più pratico strumento per ‘togliere di mezzo’ persone scomode, bypassando lunghi e complessi iter giuridici. In quel periodo nascevano anche i dispensari, le case di cura cattoliche private, gli istituti per bambini considerati tardivi, orfani (perchè abbandonati dalle famiglie che non potevano mantenerli), chiamati poi centri medico-psico-pedagogici, che accoglievano adulti e minori considerati malati di mente. Nei manicomi si affollavano centinaia di persone, senza nessun tipo di trattamento o programma individuale, semplicemente ci si curava che non disturbassero troppo, e se succedeva, venivano calmati con metodi estremamente brutali. Dalla lobotomia, alla doccia fredda, passando per l’elettroshock, e apparecchi immobilizzatori. I manicomi istituzionalizzati da Giolitti, servivano quindi per escludere chi non rientrava in una ‘norma sociale’, e sottoporlo a misure punitive e a un tragico abbandono sistematico e istituzionalizzato, a qualunque età (adulti e bambini).

Un passato dell’Italia oggi ancora opaco (si vergognano a raccontarlo) e ai più sconosciuto: quello delle storie di bambini e donne rinchiusi in manicomio. Gli individui deboli, diversi, malati ma anche solamente poveri, colpiti da un triste evento, o sfortunati che finivano in strutture psichiatriche, non venivano aiutati e curati, ma abbandonati, privati di diritti e dignità, trattati in modo disumano, con pratiche quali l’elettroshock e la contenzione costante, trasformati negli “ultimi” della società e gettati nel calderone del manicomio. Perfino i più piccoli venivano marchiati da quella moderna inquisizione, con motivi discriminatori e futili come l’ iperattività, la disabilità psicofisica grave, o perchè erano ciechi oppure, semplicemente, perché poveri.

Manicomi, luoghi per donne troppo libere | Roba da Donne

Il fascismo si servì del ricovero coatto come arma politica soprattutto dal 1927 in poi, quando il controllo da parte del regime divenne più forte. Il ricovero coatto veniva applicato a larga parte degli oppositori politici, e con modalità semplicistiche. La condanna non richiedeva una Commissione provinciale, era sufficiente una segnalazione o un’ordinanza di pubblica sicurezza e un certificato medico. Il rifiuto a uniformarsi condannava non solo gli oppositori, ma anche la “classe inferiore” (poveri) che minava l’equilibrio ricercato dal regime. Gli utenti venivano schedati come schizofrenici paranoici, o con schizofrenia latente o schizofrenia indolente. Da qui potrebbe essere nata l’idea della psichiatria come arma di controllo del dissenso. Il dissenso ideologico diventava il sintomo di una grave disfunzione psicologica.

Nel 1948 le cose cambiano. Con la Repubblica e la promulgazione della Costituzione, la privazione di libertà decretata dalla Legge Giolitti non è più accettabile. C’è una nuova sensibilità in materia, più improntata a uno spirito di rispetto dei diritti umani. Ma anche la volontà di considerare l’internato non come un detenuto, ma come un paziente. Questi due principi divennero, negli anni ’70, il centro del pensiero di Franco Basaglia, neurologo e psichiatra di Trieste, che portò modifiche fondamentali all’approccio della malattia mentale. Basaglia si impegnò affinché fossero eliminati il completo isolamento, i metodi drastici e l’abuso del soggetto ricoverato. Un’applicazione dei diritti umani anche nell’ambito psichiatrico. Il 15/5/1978 arriva così la Legge 180 (o Legge Basaglia) che porta l’eliminazione dei manicomi dal sistema nazionale italiano e all’introduzione dei trattamenti volontari per malattia mentale. Il passaggio dalla legge Giolitti alla legge Basaglia è, allora, il risultato di un’evoluzione generale della coscienza della società, anche nei confronti del potere. È possibile che si sia passati da una visione dell’autorità come inavvicinabile e automaticamente assertiva e violenta, come era in epoca fascista, a una nuova lettura in cui i vertici sono messi in discussione. I movimenti degli anni ’70-’80 mirarono a sopprimere l’abitudine di vedere il malato come un caso da isolare più che da curare.

Deputati PD в Twitter: "40 anni fa moriva Franco Basaglia. Rivoluzionò il modo di guardare alla salute mentale. A lui dobbiamo la chiusura dei manicomi, grazie a lui fu restituita dignità ai

Quindi dalla legge Giolitti del 1904, bisogna attendere il 1978 con la legge Basaglia, che si occupò concretamente dello stato dei manicomi italiani e dei pazienti in essi detenuti, gettando le basi, poi proseguite in seguito all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, per la completa chiusura degli istituti psichiatrici e lo spostamento dei loro ospiti negli istituti di servizi di igiene mentale pubblici. Ma i trattamenti, nonostante la legge Basaglia non erano cambiati: le persone erano obbligate alla contenzione e sottoposte al limite della tortura e dell’umanamente accettabile, i metodi usati per trattare i pazienti, più che essere volti al loro effettivo recupero con l’obiettivo di un possibile reinserimento in società, sovente contribuivano a peggiorare l’instabilità psicologica.

Ancora oggi adulti e bambini che molto spesso hanno avuto traumi psicologici e fisici dovuti al contesto familiare e sociale (autistici è uno dei tanti marchi che gli appongono gli psichiatri), possono essere ancora invisibili, schedati e diagnosticati prima che compresi, trattati con farmaci e non ascoltati, valorizzati come esseri umani e rispettati.

Il TSO è l’ultima eredità dei manicomi

10426605_637944279646135_5024946332662252393_n

TSO significa Trattamento Sanitario Obbligatorio, ovvero quando una persona viene sottoposta a cure mediche contro la sua volontà (legge del 23/12/1978, articolo 34). Sono 9.102 le persone sottoposte a Tso nel 2014, 3.351 i casi al Nord, 1.698 al Centro, 2.367 al Sud e 1.686 nelle isole, con un record in Sicilia, regione che da sola ha toccato quota 1.336, il 6,8% del totale. A Roma vengono praticati in media 3 Tso al giorno, ed è stata istituita apposta una pattuglia di sbirri per la gestione di Aso e Tso. Persone che si sono risvegliati in un reparto psichiatrico dopo un banale litigio in famiglia, dopo un’incomprensione col fidanzato. Un Tso eseguito senza i pareri clinici di due medici e senza la visita prescritta è di fatto un abuso, sta solo al sindaco e al giudice evitare tali abusi. Questi procedimenti discriminatori non hanno tenuto conto delle condizioni sociali, come la crisi economica degli anni ’90 (che continua ancora oggi), che ha portato inevitabilmente al disagio sociale in forte aumentato, e non mancano situazioni-limite, come la perdita della casa e del lavoro. Per legge il Tso ha una durata di 7 giorni, ma è possibile che il sanitario responsabile chieda una proroga del trattamento informandone il sindaco con proposte banali non motivate. Il sindaco, a sua volta, dovrà informare il giudice tutelare per la convalida della proroga (prassi).

Vi consigliamo di vedere il documentario “87 ore” che mostra ciò che avvenne a Francesco Mastrogiovanni nell’agosto del 2009, durante un TSO. Costanza Quatriglio, regista di 87 ore, ha montato la storia di Mastrogiovanni, conclusasi con la morte del paziente dopo 87 ore, legato al letto. Basaglia, da persona che sapeva prevedere, era contrario al TSO e lo accettò storcendo il naso, il movimento antipsichiatrico, più radicale, da tempo mette in guardia sul ritorno della vecchia psichiatria autoritaria e custodialistica che si infiltra nelle nuove istituzioni post Legge 180, spesso mediante il TSO. Il comportamento del paziente, si può esaminare nei dettagli se lo si studia in rapporto al contesto familiare e sociale di vita: tutto diventa più comprensibile. Sorge l’impressione che nel soggetto non vi sia nulla di veramente “malato”, ma vi sia solo un modo di reagire a una situazione psicologica interpersonale e sociale “non vivibile”. Il problema principale di questi pazienti, molto spesso sono stati i traumi fisici e psicologici subiti da piccoli e la mancanza d’affetto durante l’infanzia, che porta all’instabilità psicofisica di qualsiasi essere umano.

La pedagogia speciale – 4C VAGABONDA

La pedagogia nasce tra il 12° e il 13° secolo, ma è solamente negli anni ’70 che viene umanizzata, grazie alle lotte degli studenti. Prima degli anni ’70 il bambino non veniva considerato, veniva considerato solo quando era adulto, solo allora poteva esprimere il suo pensiero. I metodi educativi erano molto disumani: per esmpio durante il periodo delle due guerre mondiali, i bambini venivano educati con una disciplina crudele e militare che non teneva conto di certo della libera espressione dell’essere umano, in famiglia mancava la relazione coi genitori che molto spesso erano rigidi e inaffettivi, sia i ricchi che i poveri. I figli dei contadini erano obbligati a lavorare nei campi fin da bambini, mentre i figli dei ricchi venivano rinchiusi nei collegi cattolici privati per studiare e subivano una disciplina autoritaria e militare. E’ solo negli anni ’70 che la pedagogia cambia, dando più importanza e attenzione ai bambini, introducendo nella Costituzione il diritto di studiare per tutti, senza discriminazione di classe sociale, ma non solo, viene abolito il lavoro minorile, una grande rivoluzione per quanto riguarda il loro diritto e benessere psicofisico.

Purtroppo però, ancora oggi nelle famiglie manca la relazione, il lavoro sottrae a entrambi i genitori il tempo per stare coi propri figli e seguirli con un bagaglio culturale pedagogico idoneo a farli crescere in un contesto familiare felice e appagante. La scuola ancora oggi usa metodi selettivi rigidi che non danno la possibilità al bambino di imparare ad esprimersi liberamente, si usano i soliti metodi educativi autoritari, freddi e distaccati, senza sentimento, che alimentano la competitività e non la solidarietà tra i compagni.

Il pensiero della scuola libertaria nasce da Tolstòj, nel 1853-1856, ma non è mai stata applicata perchè troppo evolutiva per i vari contesti sociali che si sono susseguiti da allora. L’educazione libertaria non veniva considerata dal potere militare e politico perche insegnava ai bambini a pensare col proprio cervello, senza essere condizionati dal regime cattofascista che si imponeva con la militarizzazione, con la violenza e la sopraffazione del più debole, del ‘diverso’. L’educazione libertaria insegna ai bambini a esprimersi, a relazionarsi e ad interagire coi propri coetanei e col mondo esterno. Insegna la gioia e il piacere di apprendere, studiare, approfondire e conoscere liberamente, senza essere condizionati dal giudizio dell’insegnante, dal voto, dalla pagella, o a essere per forza il primo della classe, ma sopratutto insegna ai bambini cosa è l’affetto e l’amore verso gli altri, attraverso il rispetto e la cura dei compagni più deboli o meno fortunati, della natura e dell’ambiente.

Scuole libertarie: un’utopia concreta Videoconferenza con Francesco Codello

https://www.youtube.com/watch?v=xX2h_VNJtco

 

ALLA SCOPERTA DI TUTTI I SEGRETI D’UN MANICOMIO ABBANDONATO!!

Esplorazione Titanica

https://www.youtube.com/watch?v=277YJrawC0Y

https://www.youtube.com/watch?v=zMiT8R8Cj34

I danni e le torture disumane della psichiatria

 

Lottiamo per un mondo più felice ed equo per tutti, per la distribuzione delle ricchezze e quindi per l’eliminazione delle classi sociali. Solidarietà a tutti i compagni Anarchici incarcerati ingiustamente perchè troppo utopistici per questo mondo senza senso, crudele, senza sentimenti.

Basta guerre! basta armi! basta sbirri! Sbirri carogne, tornate nelle fogne!

Non votare questo regime ancora autoritario, massomafioso, di destra e di sinistra.

Anarchia l’unica via!!

 

Ecco i pazzi. Il disadattati. I ribelli. I facinorosi. Le spine nei fori quadrati. Quelli che vedono le cose diverse.

Non sono appassionati di regole. E non hanno alcun rispetto per lo status quo.

Si possono citare, essere in disaccordo con loro, glorificarli o denigrarli.

L’unica cosa che non si può fare è ignorarli.

Perché cambiano le cose. Spingono la razza umana nel futuro.

Mentre alcuni possono vederli come pazzi, noi li vediamo come geni.

Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, sono quelli che lo fanno davvero.

(Jack Kerouac)

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e repressivi

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Criminali in divisa…

Non sono mai finite le problematiche degli sbirri cocainomani e psicopatici (perchè subiscono tra di loro gli abusi di potere delle guardie più vecchie – logica militare – nonnismo):

L’8 settembre 2021 si sono concluse le indagini preliminari sulle torture avvenute il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) da parte degli agenti di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti. Tra le accuse tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino. Tra i reati ipotizzati spicca quello di tortura, introdotto nel 2017 e contestato a 41 indagati. In questa inchiesta sono state indagate 120 persone.

Elisabetta Palmieri (non coinvolta nell’inchiesta sulle violenze dell’aprile 2020) venne rimossa dal Dap, alla fine dello scorso mese di luglio, perchè avrebbe consentito l’ingresso del proprio compagno nella struttura penitenziaria, senza autorizzazione, e facendolo presenziare alla visita della senatrice Cinzia Leone, il 23 luglio scorso. Tra questi indagati figurano anche l’allora comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone (tuttora sospeso), e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento.

Per la Procura Hakimi l’algerino ucciso dalle guardie carcerarie, sarebbe stato percosso violentemente dopo essere stato prelevato dalla cella e portato in quella di isolamento, quindi qui avrebbe assunto un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine» che ne avrebbero provocato dopo circa un mese la morte per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha sottolineato che è in corso anche un altro procedimento per individuare agenti provenienti dagli altri istituti penitenziari presenti durante i pestaggi, ma sconosciuti ai detenuti perchè coperti da caschi e mascherina.

L’inchiesta ha dedotto che c’erano guardie carcerarie (poliziotti) che usano metodi mafiosi.

Nessuno degli agenti coinvolti è stato trasferito né sospeso, tutti sono rimasti impuniti e a contatto coi detenuti che li avevano denunciati per torture.

Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria conosceva già da un anno i nomi degli agenti in servizio nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere indagati per i pestaggi ai detenuti del 6 aprile 2020 ma non ha adottato alcun provvedimento, né di sospensione né di trasferimento.

Il 16 ottobre 2020 l’allora sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi pronunciò in Parlamento rispondendo all’interrogazione del deputato di Europa Riccardo Magi sui fatti accaduti nel carcere casertano: «Con riferimento agli agenti attinti dagli avvisi di garanzia e da decreti di perquisizione, si evidenzia che, con nota 3 luglio 2020, il locale provveditore ha trasmesso al Dap l’elenco del personale del Corpo nei confronti del quale è stata data formale comunicazione dell’avvio di procedimento penale da parte della procura». Viene quindi da chiedersi: perché gli indagati rimasero tutti al proprio posto? La motivazione, secondo quanto trapela dal Dap, sarebbe da ricercare nell’impossibilità da parte del dipartimento di conoscere i reati che venivano contestati agli agenti. Dalla Campania era stato mandato l’elenco dei nomi, ma non le singole posizioni. Né chiarimenti in questo senso sarebbero arrivati successivamente, quando tre ulteriori richieste di informazioni inviate, tra luglio e ottobre direttamente ai magistrati inquirenti, rimasero senza alcuna risposta.

Anche per tale ragione, allo stato, non risulta intrapresa alcuna iniziativa, sia di natura cautelare sia disciplinare, a carico del personale coinvolto». Quindi sono rimasti tutti lì, denuncianti e denunciati. E gli spostamenti, solo dei denuncianti.

Dopo gli arresti e le altre misure cautelari emesse dal gip, il dipartimento ha sospeso non soltanto, come era ovvio, chi è finito in carcere o ai domiciliari e che è stato interdetto, ma anche altri 25 appartenenti all’amministrazione penitenziaria coinvolti in questa inchiesta che conta complessivamente più di 150 indagati.

Le torture della polizia penitenziaria sono sempre state la prassi. Durante gli abusi di potere, c’erano detenuti in ginocchio, dove venivano picchiati con pugni e manganellate.

Vincenzo Cacace (foto sopra), ex detenuto in sedia a rotelle nel carcere di Santa Maria, vittima del pestaggio da parte della polizia penitenziaria avvenuto lo scorso aprile, ha dichiara ai mass media: «Ci hanno massacrato», «Mentalmente mi hanno ucciso, voglio denunciarli. Hanno ammazzato un detenuto». “Secondo me erano drogati, erano tutti con i manganelli. Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella, perché sono sulla sedia a rotelle. Ci hanno massacrato di botte. Hanno abusato di un detenuto con un manganello. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta. “Sono loro i malavitosi perché vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, è giusto ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Voglio denunciarli perché voglio i danni morali”.

Nelle indagini saltano fuori anche le frasi shock nelle chat degli agenti, dopo le torture e gli abusi di potere ai detenuti. “Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”.

Ma ritorniamo a quei giorni drammatici.

È il 6 aprile 2020 e, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, si attua una grave spedizione punitiva a danno dei carcerati. Doveva essere una “perquisizione straordinaria”, si è trasformata in una “orribile mattanza”.

Didier Reynders, Commissario Ue alla Giustizia dichiara ai mass media: “L’Ue è contro tutte le violenze.

So che questa è una competenza nazionale ma ci aspettiamo una inchiesta trasparente e indipendente per capire cosa sia davvero successo. È dovere delle autorità nazionali proteggere tutti i cittadini dalla violenza. In ogni circostanza e quindi anche durante la detenzione”. “Dobbiamo tutti ricordarci che la detenzione non può essere una tortura”. Il Commissario, dunque, si riferisce alle violenze subite da alcuni detenuti a opera di chi avrebbe dovuto badare alla loro rieducazione e risocializzazione.

Detenuti torturati nel carcere di S. M. Capua Vetere, gli audio e i video choc che hanno incastrato gli agenti violenti

Secondo l’Associazione Antigone (www.antigone.it), che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie del sistema penale e penitenziario, dichiara ai mass media: “Quella che si è consumata il 6 aprile 2020 nell’istituto penitenziario “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, è stata tra le più gravi violazioni dei diritti umani del nostro Paese, effettuata sulla pelle dei detenuti da parte della polizia penitenziaria. Un pestaggio di massa premeditato contro persone inermi e disarmate (come confermato dalle carte dei magistrati), organizzato nei minimi dettagli e prontamente sottoposto a riusciti mezzi di depistaggio. “Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti. È qualcosa che ci porta dentro l’antropologia della pena e della tortura”.

Chi è Francesco Basentini

Tutto è iniziato a marzo del 2020, c’erano state delle proteste a causa delle restrizioni previste per l’emergenza Covid-19 che avevano causato la morte di 14 detenuti, ufficialmente per intossicazioni da metadone e psicofarmaci sottratti negli ambulatori. La situazione era aggravata dalla gestione del Dap allora guidato da Francesco Basentini (foto sopra), poi dimessosi a seguito delle polemiche. A questo si aggiungevano la scarcerazione di molti boss mafiosi e la carenza, all’inizio della pandemia, di dispositivi di protezione, come le mascherine, di biancheria e acqua potabile. Vi è una prima protesta e, in seguito, alla sezione Tamigi (dove ci sono i reclusi con reati associativi), il primo caso di contagio. Prima delle 20, orario di chiusura delle celle al reparto Nilo, alcuni detenuti si rifiutano di rientrare, rimanendo in corridoio. In alcune sezioni del reparto vengono poste, al di fuori delle celle, alcune brande da usare come barricate per impedire agli agenti l’accesso ai corridoi. Circa 22 persone, infatti, nel pomeriggio avevano chiesto di parlare coi responsabili del carcere ma non avevano ricevuto alcuna risposta. Nella notte, a seguito di un confronto rassicurante, la situazione migliora. Le barricate vengono rimosse, i corridoi e le celle riordinati.

Il giorno dopo alle 12.36, le guardie psicopatiche e cocainomani si danno appuntamento in una chat della polizia penitenziaria composta da 110 persone. Così ha inizio uno dei più tragici abusi di potere del nostro Paese, un raid punitivo, paragonabile alla macelleria messicana della scuola Diaz di Genova durante le manifestazioni contro il G8, nel 2001. Dopo le 13.30, Manganelli scrive a Fullone che, in realtà, non vi è stata alcuna rivolta e che “tutti i detenuti sono rientrati dai passeggi”. Nonostante questo, la spedizione si farà lo stesso. “4 ore di inferno…per loro”, dirà Colucci a un suo collega. I registi di questa pagina buia della storia della democrazia italiana sono accusati dai pm di aver depistato le indagini con fotografie “oggetto di manipolazione informatica” per “creare ulteriori elementi calunniatori nei confronti dei detenuti”. “Ci hanno distrutti”, afferma un ex detenuto che ora, da uomo libero, ricostruisce i fatti. “Mi hanno interrogato, qualche mese fa, e mi hanno mostrato i video, in quelle immagini mi sono rivisto, ho rivissuto quel giorno”, ha continuato, “mi creda, non ho mai preso così tanti colpi, manganellate e botte in vita mia e non avevamo fatto nulla”. Come si può vedere dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza si è trattato di un’azione impressionante di forza e violenza vendicativa a danno di corpi indifesi e deboli.

Nel corridoio delle celle sono 20 contro 1. Nel vano scala sono 3 contro 1. Nell’area socialità tutti sono in ginocchio, con la faccia contro il muro. A compiere la perquisizione arbitraria (più che straordinaria) sono circa 300 agenti tra la polizia penitenziaria del carcere e molti esterni (sovrintendenti, ispettori, commissari e appartenenti al Gruppo di supporto agli interventi).

Io mi sono attenuto alle indicazioni. E dopo qualche minuto sono stato portato nel corridoio, con la testa contro il muro. E le mani alzate. Diversi detenuti si trovavano nella stessa posizione: erano nudi, però. E li colpivano con i manganelli sulle gambe e sui glutei”. Nel corridoio su cui si affacciano le celle della sesta sezione vi erano tanti agenti penitenziari che avevano formato una sorta di corridoio umano, costringendo i detenuti ad attraversarlo, colpendolo con schiaffi, pugni e manganellate, come dimostrano i filmati che gli indagati erano fermamente convinti sarebbero spariti ma che, invece, sono stati recuperati. La scena che riprende l’area di socialità mostra un biliardino rovesciato al centro, un tavolo da ping pong e alcune sedie ai lati, e alcuni poliziotti in tenuta antisommossa.

Le guardie hanno manganellato anche un disabile e gli urlavano: ‘ti mettiamo il pesce in bocca, non conti nu cazzo qua dentro e neanche fuori’”, ha continuato il detenuto che stava subendo le torture. Quest’ultimo ha riconosciuto la commissaria di reparto: “Guardava mentre ci massacravano, ma non interveniva, un ragazzo detenuto di vent’anni mi ha detto ‘poteva essere mia madre, ma non ha mosso un dito’”.

Ma non è finita qua, ricordiamoci anche del vecchio vizio degli sbirri: Il 30/6/2020, c’è stata un’idagine, svolta dalla questura di Torino e dai carabinieri di Cuneo, che riguardava l’attività di una “locale” autonoma di ‘ndrangheta riconducibile alla famiglia Luppino, originaria di Sant’Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria).

Nell’indagine sono stati indagati a piede libero (impuniti come sempre), tre carabinieri e due agenti di polizia penitenziaria. L’inchiesta ha portato a 12 ordini di custodia cautelare (8 in carcere e 4 ai domiciliari) e a decine di perquisizioni. L’indagine riguardava l’attività di una “locale” di ‘ndrangheta a Bra (Cuneo) riconducibile alla famiglia Luppino.

L’attività principale era il traffico di stupefacenti anche se non mancavano casi di estorsione e tentativi di infiltrazione nel tessuto politico e imprenditoriale. Sono emersi contatti con la ‘ndrina degli Alvaro di Sinopoli. Secondo le indagini si tratta di un gruppo che permea il territorio in maniera silente, esercitando una forza che si fonda in gran parte sulla provenienza geografica dei suoi componenti”. Sono persone, capaci di ottenere grande credito senza nemmeno ricorrere a intimidazioni specifiche: a volte basta il nome”.

Due dei tre carabinieri sono indagati per episodi avvenuti all’epoca in cui prestavano servizio in provincia di Cuneo. Si procede per favoreggiamento e rivelazione di segreti di ufficio aggravati dall’agevolazione mafiosa per avere passato (secondo gli inquirenti) informazioni riservate alla famiglia Luppino. Il terzo carabiniere, che, invece, era di stanza a Villa San Giovanni, avrebbe offerto ai Luppino delle notizie riservate: per lui, oltre al favoreggiamento e alla rivelazione di segreti di ufficio, si aggiunge l’accesso abusivo ai sistemi informatici.

I due agenti di polizia penitenziaria invece, lavoravano nel carcere di Saluzzo dove era rinchiuso una delle figure al centro dell’inchiesta, Salvatore Luppino, al quale avrebbero fatto avere bevande alcoliche e altri beni non permessi. Sono ora indagati per corruzione aggravata dall’agevolazione mafiosa.

Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome di “Cheese”, una delle maggiori rassegne enogastronomiche in Italia che si tiene ogni due anni a inizio autunno a Bra. Una serie di intercettazioni telefoniche indicherebbe che due dei personaggi chiave, i fratelli Salvatore e Vincenzo Luppino, fossero percepiti come delle figure capaci di condizionare l’assegnazione di posti e stand a chi voleva prendere parte alla manifestazione internazionale. Si tratta secondo gli inquirenti, di un risvolto che testimonia come i presunti ‘ndranghetisti fossero capaci di condizionare la vita economica e politica del territorio e, soprattutto, di farsi “percepire” come persone influenti.

Stiamo tornando al ventennio fascista: torture nel carcere di Caserta

Giustizia dalla parte dello Stato-mafia

Religione, il dominio della mente umana;

proprietà, il dominio dei bisogni umani;

e governo, il dominio della condotta umana,

rappresentano le roccaforti della schiavitù umana,

e tutti gli orrori che questa comporta.

Emma Goldman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Droni armati da esportazione (illegale)

Il 2 SETTEMBRE 2021 la guardia di finanza di Pordenone ha denunciato 6 persone (tre di nazionalità italiana e tre di nazionalità cinese) all’autorità giudiziaria per la violazione della legge sulla movimentazione di materiali di armamento, in relazione alla vendita di una azienda italiana a una società di Hong Kong dietro la quale si celerebbero invece due società cinesi di proprietà statale.

La società italiana oggetto dell’indagine opera nella fabbricazione di aeromobili e di veicoli spaziali, nonchè nella progettazione e produzione di droni militari, “Unmanned aerial vehicle”, certificati agli standard “tanag” Nato Atlantica. In particolare, la fornitura di droni è oggetto di un contratto sottoscritto col ministero della Difesa per le forze armate italiane.

La gdf ha rilevato che il 75% del capitale della società italiana nel 2018 è stato acquistato da una società di Hong Kong per quasi 4 milioni di euro. L’acquirente, tuttavia, è risultata costituita ad hoc prima dell’acquisto delle quote e autonomamente priva di risorse finanziarie, nonostante l’operazione di compravendita e i conseguenti aumenti di capitale abbiano richiesto, nella provincia di Pordenone, investimenti per oltre 5 milioni di euro. E’ stata quindi individuata la reale proprietà, riconducibile a due importanti società di proprietà governativa della Repubblica popolare cinese. Tale cambio di controllo è stato perfezionato con ‘modalità opache’ tese a non farne emergere la riconducibilità del nuovo socio straniero.

L’acquisto del 75% della società italiana non aveva scopi speculativi e/o di investimento ma, esclusivamente, l’acquisizione del suo know-how tecnologico e produttivo, anche militare, per la quale veniva dato corso a progetti per il trasferimento nella Repubblica popolare cinese, anche pianificando una delocalizzazione della struttura produttiva aziendale, nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio dell’intelligenza artificiale cinese situata a meno di 150 chilometri.

Gli indagati sono Moreno Stinat, Massimo Tammaro,Corrado Rusalen e i 3 manager cinesi (Jianhua Wei, QI Rong e Li Xia).

L’inchiesta riguarda la Alpi Aviation di San Quirino che produce droni militari, aeromobili e veicoli spaziali la cui maggioranza è stata rilevata, attraverso una società offshore, da due importanti società statali cinesi. L’azienda fornisce tra l’altro le forze armate italiane, è dunque soggetta a specifici controlli e vigilanza.

L’azienda (che tra l’altro progetta e produce sistemi U.A.V. «Unmanned Aerial Vehicle» di tipo militare e certificati per gli standard «stanag» NATO) è già stata oggetto di indagine per una presunta violazione dell’embargo internazionale nei confronti dell’Iran per una vendita di droni militari alla Repubblica islamica. Successivi approfondimenti hanno accertato che l’azienda, nel 2018, è stata acquistata, per il 75%, da una società estera di Hong Kong, e valutata con un valore delle quote notevolmente rivalutato rispetto a quello nominale (90 volte superiore: 3.995.000 euro contro 45.000 euro).

Un subentro societario perfezionato in modo da non far emergere il nuovo socio, con ritardi nelle comunicazioni amministrative e omettendo di informare preventivamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’acquisto della maggioranza dell’azienda, violando la cosiddetta «Golden Power» che attribuisce speciali poteri alle autorità italiane sugli assetti societari di realtà strategiche in vari settori. L’acquisto non avrebbe avuto scopi di investimento ma l’acquisizione di know-how tecnologico e militare, che ha spinto a pianificare il trasferimento della struttura produttiva nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio dell’intelligenza artificiale cinese vicina a Shanghai.

L’interesse degli imprenditori cinesi che fanno capo alla Repubblica Popolare e che hanno rilevato l’azienda italiana produttrice di droni militari si è manifestata anche in altri settori ritenuti strategici e che ricadono nella disciplina del Golden power. Si tratterebbe, secondo quanto si è appreso, di aziende anche piuttosto note: la prima, con sede a Segrate (Milano) operante nel settore del trattamento di rifiuti e generazione di energia dagli stessi; la seconda, con sede a Roma, che si occupa di attività di servizi connessi a tecnologie informatiche.

Il tetro business militare internazionale dei droni armati

L’esercito è una scuola, soprattutto.

E’ questo il suo compito di tutti i giorni:

educare, persuadere, plasmare, convincere, abituare.

Abituare a sopportare i soprusi,

ad obbedire senza discutere, ad accettare

le umiliazioni sol che provegano da uno

che sulla manica della giacca

ha un pezzo di stoffa in più.

Armando Manni

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Terrorista è lo stato: Sacco e Vanzetti innocenti – uccisi ingiustamente come Pinelli

Sacco e Vanzetti

Ieri 23 agosto 2021, c’è stato il 94° anniversario della ingiusta morte dei compagni anarchici Sacco e Vanzetti, giustiziati il 23 agosto 1927 a Boston, negli Usa. Sacco e Vanzetti nonostante fossero innocenti, furono processati e uccisi dallo stato liberale cattofascista.

Ferdinando Nicola Sacco era nato in Puglia il 22 aprile 1891, mentre Bartolomeo Vanzetti era piemontese, era nato l’11 giugno 1888. Entrambi erano emigrati negli Stati Uniti in cerca del sogno americano (attirati da un piano di marketing che garantiva: lavoro, giustizia e libertà). Vanzetti aveva trovato lavoro in una fabbrica di scarpe, dove veniva sfruttato e sottopagato, perchè immigrato, per 10 ore al giorno.

Sacco invece aveva lavorato in trattorie e cave. Ma dopo aver organizzato uno sciopero per i diritti degli immigrati, nessuno voleva più farlo lavorare, quindi si mise a fare il pescivendolo in proprio.

Allo scoppio della I guerra mondiale i due anarchici si trasferirono in Messico come molti altri anarchici, per sfuggire alla leva militare. Quando tornarono negli Usa furono considerati terroristi perchè non avevano fatto i soldati, non erano andati a uccidere persone come loro, inoltre si consideravano anarchici e per questo sono stati controllati e perseguitati dai servizi segreti e dalle forze dell’ordine.

Il 14 luglio 1921 una giuria ‘popolare’ negli Usa accusò Sacco e Vanzetti per rapina e per l’omicidio (durante una rapina a un negozio di scarpe), di due persone: un contabile e una guardia, così vennero condannati a morte.

Da allora Sacco e Vanzetti, come Pinelli, sono diventati un simbolo dell’ingiustizia sociale (provocata dal terrorismo organizzato dallo stato razzista), condannati perchè erano immigrati, stranieri e per giunta portatori di rivendicazioni sociali. Erano considerati nemici per l’America negli anni della “paura rossa”, la paura del comunismo. Nonostante i due italiani fossero anarchici antifascisti e contro la dittatura di Stalin.

Dopo la mezzanotte del 23/8/1927, alle 00:19, dopo 7 anni di udienze, Sacco e Vanzetti furono giustiziati sulla sedia elettrica, a distanza di 7 minuti l’uno dall’altro. Prima Sacco e poi Vanzetti. Entrambi facevano parte del collettivo anarchico italo-americano in lotta contro il razzismo. A nulla valse la confessione di un detenuto che aveva partecipato alla rapina e che disse di non averli mai visti.

Vanzetti rivolgendosi alla giuria che lo condannò alla pena di morte, disse: «Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». Il destino amaro dei due anarchici italiani, che furono capri espiatori di un’ondata repressiva e razzista, fu lanciata dal presidente Woodrow Wilson.

Quando Sacco e Vanzetti furono condannati a morte, il loro caso divenne presto al centro di una mobilitazione internazionale, con manifestazioni nelle maggiori città nordamericane ed europee ma anche a Buenos Aires, Tokyo, Città del Messico, Sydney, Johannesburg. La comunità degli immigrati italiani era in prima linea.

Quando il verdetto di condanna a morte fu reso noto, esplose una manifestazione di protesta che durò ben 10 giorni, la polizia e la guardia nazionale, controllava con le mitragliatrici puntate i manifestanti: terrorismo di stato!! Come successe anche a Genova nel 2001, quando si protestava contro il G8 (i signori piu ricchi del mondo), quando i manifestanti furono massacrati, terrorizzati e torturati dagli sbirri cocainomani e fascisti.

Anche oggi gli immigrati vengono a lavorare in occidente, attirati dall’illusione del sogno americano

ed europeo. Un sogno fatto di illusioni e grandi ideali che include nozioni di diritti individuali, libertà, democrazia e uguaglianza, incentrato sulla convinzione che ogni individuo ha il diritto e la libertà di cercare prosperità e felicità, indipendentemente dalla classe sociale o da dove o in quali circostanze è nato.

La manifestazione degli immigrati a Foggia (Foto Sir)

Un elemento chiave del sogno americano ed europeo (marketing) è la convinzione che attraverso il duro lavoro e la perseveranza (sfruttamento), chiunque possa elevarsi “dagli stracci alla ricchezza”.

Oggi, nel 2021, esiste ancora il razzismo e gli immigrati vengono continuamente sfruttati attraverso il lavoro nero e il caporalato (situazioni di grave sfruttamento lavorativo, senza diritti). Gli emigrati vengono sfruttati nell’edilizia, sia in piccole che in grandi opere edili; nell’agricoltura, soprattutto quella intensiva e di serra. Poi vi sono ambiti lavorativi più ristretti e marginali, carico e scarico merci nei mercati ortofrutticoli, e altre piccole ma gravose occasioni di lavoro offerte dall’ambiente urbano, contesti in cui gli immigrati offrono piccoli servizi di guardiania e vigilanza, negli impianti sportivi e nei garage del centro e della periferia della capitale. Un altro contesto lavorativo in cui si registrano forme di sfruttamento intensivo, fatto di vessazione psicologiche, è quello domestico. Si tratta di un lavoro prestato quasi esclusivamente da donne, per lo più provenienti dall’Europa dell’est, dall’America del sud; ma c’è anche una parte di donne provenienti dai paesi del sud est asiatico che possiamo identificare come servitù domestica, in questo caso si tratta di personale domestico dei corpi diplomatici di questi paesi, alle quali vengono sottratte, in alcuni casi sembra essere una prassi, i documenti di identità, e viene vietato di uscire dal contesto ristretto dell’abitazione di rappresentanza.

Nelle zone del Lazio in cui si pratica l’agricoltura intensiva che si estendono dalla zona di Aprilia fino a Terracina, sul mare e più nell’interno fino a Fondi, si concentrano la maggior parte delle aziende agricole di tipo intensivo. In particolare per la coltura di frutta ed ortaggi, e per l’utilizzo intensivo delle serre nella zona Borgo Piave, San Michele e Borgo Faiti. Molti degli immigrati che vi lavorano provengono dal nord Africa, ma anche dall’India. Trattandosi di contesti lavorativi soggetti alla stagionalità, si tratta di lavoratori che arrivano durante i periodi di lavoro primaverile e estivo, ma che rimangono oltre la scadenza del permesso di soggiorno a lavorare presso le stesse aziende agricole, che non usano rinnovare il contratto. La maggioranza di loro condivide case affittate nei paraggi dei campi coltivati, spesso in situazioni di sovraffollamento; una piccola parte di loro vive in case abbandonate, cascine o vecchie stalle presso i campi in cui lavorano.

Nei contesti di agricoltura intensiva stagionale e in quelli in cui si pratica la coltura in serre, dove quindi l’azienda agricola, avendo accordi coi grandi distributori orto-frutticoli, ha tempi di raccolta e lavoro molto ristretti per evitare che i prodotti deperiscano, prevale il lavoro di intermediazione dei caporali. Il costo della loro intermediazione varia in base al tipo di lavoro ottenuto: il lavoratore deve pagare il caporale che, davanti ad un contratto relativamente stabile, vessa il lavoratore sottraendogli circa metà stipendio. I caporali non sono solo coloro che mettono in relazione domanda ed offerta di lavoro, coloro che chiamano i braccianti a giornata, sono anche coloro che si «occupano» dei lavoratori, «prendendosi cura» delle loro mansioni lavorative, disponendo le squadre di lavoro. Da loro dipendono i modi, i tempi ed i ritmi di lavoro, ma non solo, sono i caporali che forniscono acqua e cibo ai braccianti: 5 euro per un bicchiere d’acqua e altrettanti per un panino. Se non hanno i soldi, vengono scalati dalla paga di fine giornata.

Un’altra forma di sfruttamento largamente praticata è quella che prevede il reclutamento di lavoratori direttamente nel loro paese d’origine, in base ad accordi bilaterali con l’intermediazione di cooperative locali. Questo fenomeno è molto diffuso tra i lavoratori provenienti dalla Romania e dalla Polonia. La retribuzione è assolutamente a discapito dei lavoratori, i quali percepiscono il salario nella valuta del loro paese, al contrario della cooperativa che li ha reclutati, pagata in euro dall’azienda italiana.

La condizione di lavoratori gravemente sfruttati, coinvolge moltissimi immigrati in Italia, eppure di questo si parla poco, evitando di soffermarsi a riflettere sulle condizioni in cui vivono e lavorano molti migranti, le cui dinamiche di sfruttamento sfuggono da una definizione reale.

Tutto questo avviene in un contesto culturale e sociale che sembra approvare e mantenere un tacito consenso rispetto all’opportunità, offerta dalla presenza di una classe di lavoratori stranieri resi deboli dalla loro condizione giuridica, di reperire lavoro a bassissimo costo, a tutti i livelli.

Giustizia sociale per tutti i lavoratori sfruttati anche a causa dalla nuova riforma del lavoro che ci ha tolto lo statuto dei lavoratori e l’articolo 18!! Grazie alla politica sinistroide, viene incentivato lo sfruttamento dei più poveri. Contro il capitalismo borghese massomafioso, per i diritti dei poveri e degli sfruttati: pagherete caro pagherete tutto!! Anarchia: l’unica via.

Il capitalismo Deruba l’uomo dei suoi diritti di nascita,

ne frena lo sviluppo, ne avvelena il corpo, lo mantiene nell’ignoranza,

nella povertà e nella dipendenza, ed organizza poi

le istituzioni caritatevoli che distruggono

l’ultima traccia di dignità dell’uomo

Emma Goldman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Condannati i carabinieri arrestati nel 2000 a Piacenza per spaccio di droga

Immagine

Il 1° giugno i mass media scrivono che, i carabinieri della caserma di Piacenza “Levante”, arrestati nel 2000 per spaccio di droga all’interno della caserma, oggi, al processo di primo grado sono stati condannati a 12 anni per Giuseppe Montella, l’appuntato dei carabinieri considerato il leader del gruppo della caserma, 8 anni per Salvatore Cappellano, 6 anni per Giacomo Falanga e 4 anni per Marco Orlando.

Il caso della caserma di Piacenza se lo ricordano ancora tutti, perché, per la prima volta in Italia, oltre ai 5 carabinieri condannati, ci furono numerosi altri arresti e l’intera caserma fu messa sotto sequestro! Le indagini, avevano fatto emergere un sistema che ruotava intorno allo spaccio di droga sequestrata agli spacciatori “concorrenti”, oppure direttamente acquistata e rivenduta attraverso una rete di intermediari alle dipendenze dei carabinieri stessi (operazione militare Blu Moon)

I 5 carabinieri hanno scelto il rito l’abbreviato, (perché la pena si riduce subito di un terzo), e vengono condannati per traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico.

Questi sbirri P2isti, sono uguali ai loro colleghi rivali, le polizie parallele occulte, fondate da Sayo nel 1970.

IL 2 GIUGNO INVECE I MASS MEDIA SCRIVONO CHE A BOLOGNA è stata sentita la testimonianza del generale dei carabinieri Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, che ha dichiarato che non intendeva rispondere alle domande del giudice, nell’ambito del nuovo processo sulla strage del 2/8/1980, che vede come principale imputato l’ex Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini.

Il generale dei carabinieri (P2) Mori è stato indagato anche per falsa testimonianza, non può ammettere che loro come loggia segreta, come servizio segreto, hanno portato avanti il piano militare firmato dai paesi più ricchi della Nato – anticomunista, firmato e istituito, anche dai servizi segreti Italiani nel 1949, per attuare la strategia della tensione fatta di colpi di stato e stragi di stato per non far salire la sinistra al potere politico economico militare.

Ricordiamoci che il gen. dei cc Mori, è talmente sporco, che è imputato a Palermo anche nel processo sulla trattativa stato-mafia, dove è stato condannato in primo grado a 12 anni.

E non dimentichiamoci anche di quel pagliaccio di Salvini (il leccaculo di Berluska), che ha dichiarato a Milano il 4 maggio ai mass media, che sta mettendo assieme il centrodestra partendo da Roma, per poi accordarsi anche coi politici cattosinistroidi di Milano, Bologna e Napoli e costituire la squadra (loggia segreta). Milano è stata la prima a dare la sua disponibilità per gli inciuci del centrodestra, incentivati dalle imprese, e da Albertini, imprenditore italiano, ex sindaco di centrodestra a Milano.

Matteo Salvini mentre inaugura con due parroci la sezione della Lega a Sedrina

Uomini di cultura di centrodestra, cattofascisti col crocifisso o le statuine della Madonna in casa, come Totò Rina, perché hanno capito (esteriore cattolico) che garantiva una certa impunità, da parte di questa cultura arretrata, che pensa solo a rubare i soldi pubblici come i 250 miliardi arrivati dall’Europa per il Recovery Plan, cultura arretrata non interessata ai diritti e all’uguaglianza per tutti gli esserei umani, tanto meno all’eliminazione delle classi sociali, anzi, vogliono aumentare la loro supremazia anche sui paesi considerati, da loro, 3° mondo, militarizzando il territorio per rubargli le risorse prime, e arricchirsi sempre più a scapito dei più poveri.

Il 2 luglio i mass media scrivono che sono stati rinviati a giudizio, quattro agenti della Polizia Penitenziaria di Monza, accusati di atti di violenza nei confronti di un detenuto nel carcere di Monza.

Monza e la lotta all’Isis  in carcere della Polizia penitenziaria (che ha compiuto 200 anni)

Gli accusati sono tre guardie carcerarie e un ispettore della penitenziaria brianzola, che devono rispondere a vario titolo di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia. Gli stessi accusati sono rimasti però impuniti (perché è stata chiesta l’archiviazione – hanno pagato per andare in scadenza termini), per il reato di tortura, relativa ad un altro episodio dove erano stati indagati per tortura nei confronti di altri detenuti (la prassi).

Il 5 luglio invece i mass media scrivono che a Torino, i parlamentari insieme agli imprenditori di centrodestra e centrosinistra (alla faccia che la destra per la costituzione antifascista è illegale), si sono messi d’accordo (inciuci) per ospitare la gigafactory di batterie elettriche di Stellantis, una società holding in cui si sono fusi insieme i marchi di FCA (Fiat Chrysler Automobiles) e Groupe PSAm( Peugeot, Citroen, DS e Opel).

MIRAFIORI.JPEG

I politici e i sindacati hanno pubblicizzato la holding dei poteri politici economici e militari del centrodestra (Ovest) e del centrosinistra (Est).

Oltre ai sindacalisti, hanno partecipato agli accordi massomafiosi, anche il rettore del Politecnico Guido Saracco, in rappresentanza del comitato dei parlamentari piemontesi, Stefano Lepri (Pd) e Claudia Porchietto (Forza Italia).

Sbirri P2isti massomafiosi: peggio della mafia analfabeta!

https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2021/04/03/sbirri-p2isti-massomafiosi-peggio-della-mafia-analfabeta/

Stazione Bologna 2 agosto 1980: STRAGE DI STATO!

https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2019/08/03/stazione-bologna-2-agosto-1980-strage-di-stato/

Solidarietà agli Anarchici e alle Anarchiche, repressi e incarcerati, dallo stato atlantico, ottuso e cattosinistroide. Arrestati per aver difeso l’ambiente dove viviamo, per aver difeso i poveri dalle tante e inutili speculazioni (che ingrassano solo loro) che la chiesa fa da secoli sulle disgrazie della povera gente di tutto il mondo, contro il militarismo, il consumismo e il capitalismo militare geopolitico che vuole imporci le sue regole militari, fatte di stragi (uccidere civili) e razzia delle risorse prime, per imporci il loro cibo spazzatura!!..

Solidarietà a tutti gli Anarchici arrestati ingiustamente dagli sbirri terroristi e massomafiosi: prima o poi pagheranno caro!! Pagheranno tutto!

 

Questi assassini, questi ladri, si fanno un nome.

raggiungono i gradi più alti, diventano senatori,

vengono coperti di decorazioni,

e qualcuno arriva perfino ad avere un

monumento. Sono eroi della guerra.

Senza la guerra non salirebbero. Senza la guerra

rimarrebbero ignoti. Se uccidessero e rubassero

fuori dal mondo guerresco sarebbero ritenuti

assassini ferocie ladri volgari.

C. Berneri

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Stiamo tornando al ventennio fascista: torture nel carcere di Caserta

Carcere di Santa Maria Capua Vetere

Il 28 giugno i mass media scrivono che il gip del tribunale di Caserta, ha eseguito 52 misure cautelari nei confronti di appartenenti al corpo della polizia penitenziaria coinvolti negli scontri coi detenuti che avvennero il 6/4/2020, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)

La rivolta è scattata dopo la notizia della morte di alcuni detenuti che morivano di Covid-19, all’interno delle celle, senza nessuna assistenza.

Per reprimere la rivolta, il direttore delle carceri di Caserta chiamò anche i reparti speciali della penitenziaria di Napoli Secondigliano e di Avellino.

Le violenze e le torture iniziarono durante le perquisizioni disposte sempre da quella merda insensibile del direttore, dopo la rivolta dei detenuti.

Il tribunale ieri ha notificato complessivamente per le guardie fasciste: 8 arresti in carcere, 18 arresti ai domiciliari, 3 obblighi di dimora e 23 interdizioni dall’esercizio del pubblico ufficio.

I reati contestati alle guardie cattofasciste, sono: concorso in torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio.

Le perquisizioni sono iniziate nel Reparto Nilo dell’istituto penitenziario casertano. Erano state 4 ore di inferno iniziate durante e dopo la perquisizione, non si è salvato nessuno dalle orrende torture delle guardie carcerarie.

Detenuti costretti a passare in un corridoio di agenti, con caschi e manganelli, fatti inginocchiare e colpiti di spalle per tutelare l’anonimato dei torturatori.

Nell’ordinanza, il gip definisce l’episodio una “orribile mattanza” ai danni dei carcerati: alcuni sono stati denudati e 15 anche portati in isolamento con modalità del tutto irregolari e senza alcuna legittimazione. Tra i detenuti in isolamento, uno perse la vita, il 4 maggio, un mese dopo la perquisizione, una conseguenza delle torture subite.

All’inizio il giudice aveva chiesto misure cautelari per oltre 110 indagati, ma ha riconosciuto la gravità indiziaria solo per 52 guardie penitenziarie, che però non sono state messe in carcere insieme agli altri detenuti, ma sono ancora quasi tutti in servizio, i bastardi!!

Nell’inchiesta, sono oltre 110 le persone indagate, ma quell’ipocrita senza etica e morale della Ministra Marta Cartabia e i vertici del Dap, dichiarano ai mass media che nonostante tutto, rinnovano la fiducia nel corpo della polizia penitenziaria…

Le immagini delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Ma non solo, anche quella merdaccia pagliacciona della presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni (ciellina cattofascista ambiziosa), ha dichiarato ieri ai mass media:

“Fratelli d’Italia ha piena fiducia nella polizia penitenziaria, negli agenti e nei funzionari del Dap intervenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per reprimere la gravissima rivolta organizzata dai detenuti durante il lockdown. A loro va la nostra solidarietà e vicinanza”….

Dobbiamo preoccuparci? Siamo in pieno periodo dittatoriale fascista e le merde, oltre a essere dentro il potere politico economico militare, sono tutti coesi e daccordo tra di loro!

Solidarietà ai detenuti che si sono ribellati alle tante ingiustizie e alle continue torture che il carcere da sempre ti fa subire, siamo fieri di Voi e della vostra coraggiosa azione di rivolta.

Siamo sempre dalla vostra parte, contro la repressione fascista delle guardie carcerarie di tutto il mondo!! Coraggio e sempre avanti! Non bisogna mai abbassare la testa ma lottare per i propri diritti!!

Per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, delle loro speculazioni e sfruttamenti e gli abusi di potere delle guardie, escludendo gli omicidi seriali, i mafiosi, gli ‘ndraghetisti che hanno fatto il patto con lo stato, i condannati per violenza sessuale e gli sbirri corrotti, gli altri dovrebbero stare agli arresti domiciliari.

https://www.youtube.com/watch?v=R3S0U40iVq8

Solidarietà anche a tutti i compagni Anarchici e Anarchiche incarcerati, per aver difeso l’ambiente e il più debole!

 

La bandiera nazionale copre ogni ingiustizia,

inumanità, menzogna, oltraggio, delitto.

La responsabilità collettiva della nazione uccide

il senso di giustizia dell’individuo e conduce l’uomo

ad un punto in cui egli trascura l’ingiustizia che pur

viene compiuta, la quale anzi può perfino apparirgli

un atto meritorio se gli è presentata come commessa

nell’interesse della nazione.

R. Rocker

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

 

 

Gaetano Saya: neofascista e fondatore della polizia parallela…

Il 9 giugno 2021 a Genova i mass media scrivono che è stato denunciato Gaetano Saya, neofascista messinese di 66 anni, che fondò la polizia parallela (loggia massonica formata dai servizi segreti occulti) e nel 2011 fondò il nuovo Msi.

A casa sua è stato trovato l’armamentario del “perfetto” agente segreto: Tesserini, divise, distintivi di una polizia parallela e, ancora, effigi della massoneria oltre a un teaser e un manganello, alcune sue foto giovanili, in divisa da poliziotto, una mentre regge l’ombrello all’allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini, un biglietto di «stima e solidarietà» di Licio Gelli gran maestro della loggia P2.

Ma chi è Gaetano Saya?

Laureato in Legge e Scienze politiche diventa Cavaliere dell’Ordre International de la Paix.

A Milano l’1/12/2002 è stato nominato presidente onorario dell’ U.N.F.P. (Unione Nazionale Forze di Polizia), il primo sindacato di polizia interforze. Di recente ha assunto la Direzione Generale dell’Ente denominato: Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo ( Interforze di polizia in funzione antiterrorismo islamico).

Fin da giovanissimo simpatizza per il Movimento Sociale Italiano, Destra Nazionale e nel 1970 appena quattordicenne partecipa alle giornate di Reggio Calabria (rivolta fascista per il capoluogo), a 18 anni si arruola nel disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, dopo l’addestramento, viene ingaggiato dai Servizi Segreti della N.A.T.O. Esperto in ISPEG (Informazioni, Sabotaggio, Propaganda e Guerriglia), controspionaggio e antiterrorismo. Raggiunti i massimi livelli si congeda nel 1997. Saya fu Cooptato nel 1975 dal Generale P2 Giuseppe Santovito, allora Capo del SISMI e viene iniziato in una loggia massonica riservata; da Apprendista di primo grado in breve diviene Maestro Venerabile della Loggia Divulgazione 1 a carattere internazionale. Nel Novembre 1997, congedatosi dai Servizi, e messosi in sonno massonico, decide di dar vita al movimento politico voluto da Almirante.

Nel 2004 decide di costituire un corpo speciale a sostegno delle forze di polizia. Tra i suoi collaboratori, ex poliziotti ormai in pensione con esperienza nella lotta al terrorismo, ex faccendieri dei servizi segreti, sempre pronti a rubare informazioni dalle banche dati e offrire (vendere) i loro servizi d’Intelligence internazionale.

sspp.jpg

A Genova nel 2005 Saya è stato arrestato insieme al suo compare Riccardo Sindoca, capi della Dssa e personaggi legati alla massoneria, alla destra extraparlamentare e ai servizi segreti (naturalmente sono stati privilegiati e messi agli arresti domiciliari, non in galera insieme agli altri!). Decine sono stati gli indagati di questa polizia parallela formata da appartenenti alla stessa polizia di stato, ai carabinieri, alla guardia di finanza e alla polizia penitenziaria. Saya e la sua polizia parallela (nuclei clandestini dello stato), facevano investigazioni illegali per la Dssa, e tutto questo grazie alla complicità degli appartenenti alle forze dell’ordine, che gli fornivano anche notizie riservate. A Saya e Sindoca sono stati contestati i reati di associazione per delinquere, in sostanza, gli inquirenti ritengono che lo scopo della Dssa fosse quello di usufruire di finanziamenti da parte di organismi nazionali e internazionali. Il simbolo della «Polizia parallela» costituita da Saya, rappresenta 2 serpenti attorcigliati a una spada che sul manico ha una rosa dei venti in stile Nato. Quella era l’unica modifica al disegno originale, che invece aveva una svastica, lo stemma delle SS croato-bosniache create da Adolf Hitler…

Saya e Riccardo Sindoca facevano parte anche dell’organizzazione Gladio, un’organizzazione paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay-behind organizzata in ambito NATO.

Francesco Cossiga era sottosegretario alla difesa, e fu uno dei fondatori.

Saya nel 1970 venne abilitato nella polizia dai suoi compari P2. I suoi primi incarichi consistevano nello scortare i politici come Giovanni Spadolini e ne divenne suo fedele portaborse.

Quattro anni dopo fu arruolato dalla NATO.

Il DSSA dopo l’attentato dell’11/3/2004 a Madrid, si era rivelato in realtà una congrega di spie, neofascisti, poliziotti, carabinieri, ex-gladiatori e depistatori di professione. Il gruppo fondato da Saya chiamato “Destra Nazionale” aveva assunto come simbolo lo stemma della CIA leggermente modificato, e qualificava i propri aderenti come ex-agenti segreti, con un passato da ‘gladiatori’, in rapporti di collaborazione con la NATO ed il Mossad israeliano. Il DSSA poteva accedere alla banca dati del Viminale, ed aveva rapporti coi vertici degli apparati di sicurezza come il SISMI e con uomini politici, come il vice-premier Gianfranco Fini.

Questo intreccio tra neofascisti, forze militari e servizi segreti, non è nuovo. Proviene dall’immediato dopoguerra e dalle trame della “strategia della tensione”.

L'operazione criminale che ha terrorizzato l'Italia: La storia segreta della falange armata

Ma nessuno si ricorda più della ‘Falange Armata’? Fu attiva nei primi anni ’90, costituita come agenzia segreta, nata per alimentare un clima di tensione (con lettere, bossoli spediti e telefonate minacciose), promossa da ufficiali della settima divisione del SISMI, che organizzavano anche i traffici internazionali di armi.

E il “Progetto Arianna” nel 2000, ce lo siamo dimenticati? Fu un’organizzazione antidroga (…) clandestina costituita a Latina da appartenenti alle forze dell’ordine, formata da ex militari e poliziotti (alcuni ancora in servizio) che avevano messo in piedi una struttura clandestina (operazione militare Blue Moon). Un’operazione sotto copertura, messa in atto dai servizi dei paesi del blocco occidentale (Nato) a partire dall’inizio degli anni ’70, finalizzata in realtà a diffondere l’uso di droghe pesanti tra gli attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, al fine di distoglierli dalla lotta politica.

Poi c’erano gli “Elmetti Bianchi”, una fondazione a carattere internazionale alimentata soprattutto da ex-poliziotti, spuntata a lato del caso Telekom-Serbia. I “caschi bianchi” erano (ufficialmente) impegnati nel soccorso alla popolazione civile nelle zone devastate dalla guerra in Siria, ma in realtà sostenevano (per manovrarli), con l’appoggio di Israele, i gruppi jihadisti (al-Qaeda).

E del gruppo clandestino della Uno bianca ci siamo dimenticati? Un gruppo di sbirri attivo tra il 1987 e il ’94, che agiva tra le Marche e l’Emilia-Romagna dove uccisero 24 persone e fecero oltre cento feriti. Dopo 7 anni di rapine, morti e indagini, scoprirono i fratelli Savi, tutti membri della polizia di stato. Il capo della polizia occulta era Roberto Savi, all’epoca assistente capo della questura di Bologna, dove svolgeva il servizio di operatore radio.

boviosene

Tra i suoi complici c’erano i fratelli Fabio, artigiano ed autotrasportatore, e Alberto, poliziotto che prestava servizio presso la questura di Rimini, Pietro Gugliotta (operatore radio alla questura di Bologna), Marino Occhipinti (vice-sovrintendente della sezione narcotici della squadra mobile della questura di Bologna e consigliere provinciale del Sap – Sindacato autonomo di polizia, e Luca Vallicelli (all’epoca agente scelto presso la sezione polizia stradale di Cesena – CAPS).

Ma il gruppo (razzista) non faceva solo le rapine: nel 1990 feriscono un immigrato tunisino; il 10 Dicembre assaltano il campo nomadi di Santa Caterina di Quarto ferendo 9 persone; il 22 dello stesso mese sparano contro dei lavavetri extracomunitari, ferendone due; il giorno dopo fecero un assalto al campo nomadi di via Gobetti, uccidendo 2 persone e ferendone altrettante…

Qualcuno si ricorda della “Legione Brenno”? è nata in coincidenza con lo scoppio della guerra serbo-croata per difendere la nuova frontiera dell’occidente (Nato), venuta alla luce nel 1998. La “Legione Brenno”, ispirata ai cavalieri di antichi ordini religioso-militari come i Templari, si scoprì presto essere stata fondata da alcuni ex-carabinieri interessati al business della sicurezza e dell’assoldamento di milizie private nelle guerre in corso. Esattamente come il DSSA. Ma il problema, che la guerra che c’è all’interno degli apparati di polizia e dei servizi segreti italiani per assicurarsi posizioni di comando, nella prospettiva della costituzione di una sorta di “superpolizia” e di un’unica centrale di intelligence, è ancora attiva.

Il 14/6/2021, a Bruxelles, ha avuto luogo il summit della NATO, il primo con la partecipazione del banchiere massone Mago Draghi (Presidente del consiglio dei ministri della rep. italiana), e del Presidente USA Joe Biden.

La Nato vuole ricominciare la guerra fredda contro la Russia e la Cina, due potenze economiche che fanno paura ai poteri della Nato.

Natos generalsekretær Jens Stoltenberg taler på Stiklestad torsdag 26. juli. 

Il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg (foto sopra), dichiara ai mass media che “bisogna affrontare insieme, come alleanza Atlantica, l’ascesa della Cina come potenza economica”.

Un giudizio, quello di Stoltenberg, condiviso anche dal premier britannico Boris Johnson.

L’Alleanza atlantica, ha definito per la prima volta la Cina come “una minaccia” (terrorismo psicologico).

Il Presidente del Consiglio Draghi, durante il Vertice Nato, ha dichiarato ai mass media l’importanza del summit, definendola una “continuazione del G7 (cooperazione internazionale tra i paesi più industrializzati del mondo): “Siamo qui anche per la riaffermazione dell’Ue. L’Unione europea più forte significa una Nato più forte”, ha detto.

Il Segretario generale della NATO Stoltenberg dichiara ai mass media che un attacco al Trattato atlantico è un attacco contro tutti. Tutto questo significa “aumentare il nostro livello d’ambizione”, ha detto Stoltenberg, un obiettivo che richiede “più risorse” su tre livelli: civile, militare e infrastrutturale”. Come per esempio la missione in Iraq, che la Nato ha già deciso di potenziare e per il cui comando si è proposta l’Italia.

La Nato vuole sconfiggere la Cina e la Russia perché ha paura della sua potenza in campo spaziale, cyber, ed in generale tecnologico e industriale.

Il prossimo summit della Nato è previsto in Spagna nel 2022.

Ma facciamo un po’ di storia:

Nel 1949 in Italia, entrò in vigore il Patto Atlantico anticomunista fatto di colpi di stato e stragi di stato. Nel 1955, in risposta alla stipula del Patto Atlantico, venne costituito il Patto di Varsavia e si istituì la guerra fredda (Ovest contro Est). Il patto di Varsavia fu sciolto nel 1991 in concomitanza della caduta dell’Urss. Dopo la caduta dell’Impero sovietico è cominciato un accerchiamento militare della Nato che è arrivato alle porte di Mosca.

La Nato ha sempre avuto un ruolo aggressivo e non certo difensivo. Un’aggressività che non ha nulla a che vedere col diritto alla difesa, ma al controllo geopolitico.

Gli attacchi della Nato, negli ultimi 20 anni, sono stati 7. In ordine cronologico si è cominciato nel 1991 con la prima guerra del Golfo, l’anno successivo in Somalia, nel 1995 in Bosnia, nel 1999 in Serbia, nel 2001 in Afghanistan, due anni dopo una nuova guerra all’Iraq e poi nel 2011 l’aggressione alla Libia di Gheddafi.

SCENARI/ Dalla Serbia all'Afghanistan, così la Nato ha "aiutato" Cina e Russia

La guerra fredda è ufficialmente finita, ma le azioni portate avanti dalla Nato con la sua avanzata verso est, dimostrano che sta perseguendo politiche di offesa e non di difesa…

 

Bisogna pure che la verità venga su

dai tuguri perché dall’alto non vengono

altro che menzogne

Louise Michel

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

13 anni agli sbirri torturatori di Cucchi

Il 7 maggio i mass media scrivono che i giudici della Corte di Assiste d’Appello di Roma, hanno condannato a 13 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di avere picchiato a morte Stefano Cucchi.

Nel processo d’appello del 2009 per il pestaggio subìto da Stefano Cucchi, il carabiniere Roberto Mandolini ha avuto uno sconto di pena passando da 4 anni e mezzo a 4 anni, mentre Francesco Tedesco ha visto confermata la condanna a due anni e sei mesi. Per loro l’accusa è di falso.

STEFANO CUCCHI: DIGOS INFAME E BOIA!!!

Stefano Cucchi: Digos infame e boia!!!

Sbirri P2isti massomafiosi: peggio della mafia analfabeta!

Sbirri P2isti massomafiosi: peggio della mafia analfabeta!

Processo Cucchi, il carabiniere Tedesco: “Calci sul corpo e in faccia a Stefano”

Solidarietà al compagno Giuseppe Pinelli ucciso a botte dagli sbirri in questura, per aver dichiarato spontaneamente che la strage di Piazza Fontana era stata una strage eseguita ed organizzata dallo stato per incolpare gli anarchici (strategia della tensione – Patto Atlantico).

Sbirri infami, prima o poi pagherete caro, pagherete tutta la vostra arroganza e il vostro nonnismo!!

 

L’esercito è una scuola, soprattutto.

E’ questo il suo compito di tutti i giorni:

educare, persuadere, plasmare, convincere, abituare.

Abituare a sopportare i soprusi,

ad obbedire senza discutere, ad accettare

le umiliazioni sol che provengono da uno

che sulla manica della giacca

ha un pezzo di stoffa in più.

A. Manni

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)