23/8/1927: vengono ingiustamente giustiziati Sacco e Vanzetti

Oggi 23 agosto, dopo 95 anni ricordiamo i due compagni Anarchici Sacco e Vanzetti, uccisi ingiustamente e condannati nel 1927 alla sedia elettrica.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti, furono al centro di un clamoroso caso di ingiustizia sociale che si concluse con la condanna a morte di entrambi (14 luglio 1921), accusati di aver ucciso una guardia e un contabile nel corso di una rapina. L’esecuzione della sentenza ebbe luogo il 23 agosto 1927, nonostante migliaia di cittadini avevano protestato contro quello che ritenevano un processo politico, svoltosi in un clima d’isteria antisovversiva e xenofoba.

L’ingiustizia subita da Sacco e Vanzetti, fu vista dalla massa come avvertimento contro il movimento e le loro proteste sociali.

Ma la storia di Sacco e Vanzetti, i due emigrati italiani accusati negli Stati Uniti di aver preso parte ad una rapina uccidendo un cassiere e una guardia, nonostante le prove evidenti della loro innocenza, non si chiudeva con la loro esecuzione.

Bartolomeo Vanzetti comprese che volevano condannarlo anche senza prove e  si rivolse alla giuria dicendo:  «Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». Il destino dei due anarchici italiani, capri espiatori di un’ondata repressiva contro chi si ribellava al capitalismo e alle tante ingiustizie sociali che dovevano subire come prassi gli emigranti di allora (e ancora quelli di oggi), fu amaro.

Bartolomeo Vanzetti nacque nel 1888 a Villafalletto nel Cuneese ed era  figlio di un agricoltore. A vent’anni entra in contatto con le idee socialiste e, dopo la morte della madre Giovanna, decide di partire per l’America, miraggio di una vita migliore per gli italiani dei primi del Novecento. Stabilitosi nel Massachusets, milita in gruppi anarchici e nel 1917, per sfuggire all’arruolamento, si trasferisce in Messico. È qui che stringe amicizia con Nicola Sacco, pugliese, classe 1891. Da allora, Nick e Bart diventano inseparabili e frequentano i circoli anarchici.

Il 5 maggio 1920 Nick e Bart, vengono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi, i due vengono accusati anche di una rapina avvenuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima del  loro arresto, in cui erano stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere della ditta – il calzaturificio ‘Slater and Morrill’ e una guardia giurata.

I due compagni Anarchici facevano parte del collettivo anarchico italo-americano in lotta contro il razzismo.

Solo nel 1977 il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconobbe ufficialmente l’errore giudiziario e riabilitò la memoria di Sacco e Vanzetti.

Dopo la condanna di  Sacco e Vanzetti, fu  subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto nel 1920, inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts, nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, furono lo stesso condannati.

Sacco era un calzolaio, e Vanzetti un pescivendolo, furono  vittime di un’ondata repressiva e  razzista contro gli emigranti  che stava investendo l’America di Woodrow Wilson (il 28º presidente degli Stati Uniti in carica dal 1913 al 1921). Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici.

La pena di morte in America esiste ancora, certe volte perfino per degli innocenti, e il razzismo e la xenofobia sono in aumento. Non è difficile fare un paragone fra quel periodo e questo. Ancora oggi i tribunali fanno errori, errori gravi, come allora quando fu commesso un omicidio a fini esclusivamente politici. E anche il razzismo è  ancora vivo e vegeto, sia in Italia che negli Stati Uniti: non  sono stati fatti grandi passi avanti da allora. Se non fosse per Sacco, Vanzetti e tutti quelli che ancora lottano, sarebbe molto peggio.

Sacco e Vanzetti erano partiti per L’America come tanti loro concittadini che volevano riscattare il loro destino  e che partivano emigranti, per cercare fortuna.

Il caso di Sacco e Vanzetti  divenne presto al centro di una mobilitazione internazionale, con manifestazioni nelle maggiori città nordamericane ed europee ma anche a Buenos Aires, Tokyo, Citta del Messico, Sydney, Johannesburg. La comunità degli immigrati italiani era ovviamente in prima linea.

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“Io voglio un tetto per ogni famiglia, del pane per ogni bocca, educazione per ogni cuore, luce per ogni intelligenza… La mia vita non può assurgere a valore di esempio, comunque considerata. Anonima nella folla anonima, essa trae luce dal pensiero, dall’ideale che sospinge l’umanità verso migliori destini. E questo ideale io riassumo come balena nel mio pensiero” (da “Non piangete la mia morte”). Così scriveva Bartolomeo Vanzetti ai famigliari e amici poche ore prima di essere condannato a morte insieme al compagno pugliese Nicola Sacco. Un messaggio che fa di questa ingiusta condanna una morte simbolo. Fa di Nick e Bart le vittime sacrificali del pregiudizio verso gli immigrati, gli anarchici, gli ultimi. Meccanismo perverso di un sistema che mette in campo ogni strategia per difendere la propria sopravvivenza. Una morte la cui memoria è sempre viva e continua a ispirare nel tempo cantautori, poeti, scrittori e registi.

Sacco e Vanzetti film completo:https://www.youtube.com/watch?v=PdhIMUVfpPM

Terrorista è lo stato: Sacco e Vanzetti innocenti – uccisi ingiustamente come Pinelli

Solidarietà ai compagni/e sognatori e utopisti, rinchiusi nelle carceri lager di stato, in particolare Alfredo Cospito, condannato all’ergastolo e Anna Beniamino condannata a 16 anni e sei mesi, tutte e due condannati  a entrare nelle carceri del 41 bis (creato per i mafiosi), dove vivono in isolamento, in una cella singola, in questi carceri di massima sicurezza non ci sono spazi pubblici e non c’è neanche la possibilità di poter usufruire della tradizionale ‘ora d’aria’.

I due compagni furono accusati di “strage” per gli attentati alla scuola Allievi carabinieri di Fossano nel 2006, con due ordigni a basso potenziale.

Secondo noi Ricercatori Senza Padroni, quella fu solamente un’azione diretta dimostrativa, non come lo vogliono far passare gli stragisti di stato, che (loro si), fecero migliaia di morti nel periodo della ‘strategia della tensione’ (stragi e colpi di stato). Non è stato un eccidio, ma un’azione diretta compiuta senz’altro non per uccidere (come ha fatto lo stato), ma per evidenziare e  rivendicare le stragi, gli orrori, gli intrighi e i depistaggi commessi dalla P2 (loggia massonica  formata da alti gradi dei carabinieri), tra gli anni ‘70 e ‘90…

Giustizie sociale per Anna e Alfredo condannati ingiustamente come Sacco e Vanzetti!

Fuori subito dalle galere!! Vi vogliamo ancora tra Noi Anarchici.

Pinelli, ucciso come Sacco e Vanzetti, vive e lotta sempre insieme a noi.

Viva l’Anarchia!

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“Vidi che l’ingordigia e l’egoismo umano avvelenano ogni boccone di cibo, fan tristi le primavere, oscurano la gloria del sole, traviano e violano le leggi di natura, incitano alla delinquenza, accarezzano la corruzione, seminano l’odio e condannano gran parte dell’umanità a tutte le sciagure, a tutte le vergogne, a tutte le miserie.”

Bartolomeo Vanzetti

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Ennio Morricone Joan Baez:

The ballad of Sacco and Vanzetti:https://www.youtube.com/watch?v=kUAUcPy0tiI

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

La banda armata della Uno bianca era formata da sbirri!

Figurati se noi, Ricercatori senza padroni, ci lasciavamo scappare che il 9 agosto i mass media hanno scritto che  è tornato in carcere Marino Occhipinti (nel riquadro), lo sbirro doppiogiochista infame venduto e bastardo senza scrupoli, componente della ‘banda della Uno bianca’. È accusato di aver picchiato la propria compagna.

Teniamo a precisare prima di andare ad analizzare il problema, che anche tra le varie ‘forze dell’ordine’, c’è una gerarchia sociale: I poliziotti erano composti da proletari e piccola borghesia, mentre i carabinieri facevano parte dell’élite (P2): media e alta borghesia. Precisiamo che erano 962 gli iscritti alla P2, e tra gli iscritti alla loggia massonica, vi erano soprattutto politici, imprenditori, avvocati, dirigenti di impresa (Berluska), ma soprattutto membri delle forze armate italiane e dei servizi segreti italiani.

Ma torniamo indietro nel tempo per analizzare meglio chi sono i componenti della Uno Bianca.

I componenti della banda della Uno Bianca facevano parte della polizia di stato (sbirri), vennero arrestati tutti alla fine del 1994 e successivamente condannati. I processi si conclusero il 6 marzo 1996, con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi e per Marino Occhipinti. Ventotto anni di carcere per Pietro Gugliotta, diminuiti poi a 18. Luca Vallicelli, patteggiò una pena di 3 anni e otto mesi.

fabio,-roberto-e-alberto-savi:-che-fine-hanno-fatto-i-killer-della-uno-bianca

Roberto Savi, faceva parte della ps presso la questura di Bologna, dove rivestiva il grado di assistente capo ed effettuava il servizio di operatore radio nella centrale operativa. Alberto Savi invece, prestava servizio presso il commissariato di Rimini, da giovane militò come attivista nell’organizzazione di estrema destra Fronte della Gioventù, era un fascistone bastardo infatti, nel 1992 venne trasferito (non licenziato ma riciclato) per abuso di potere alla centrale operativa, per aver rasato i capelli a un giovane, trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Roberto Savi, possedeva una collezione di armi, regolarmente registrate. Dopo la strage del Pilastro avvenuta il 4 gennaio 1991, la procura dispose che venisse compilata una lista dei cittadini dell’Emilia-Romagna possessori del fucile d’assalto Beretta AR 70 utilizzato durante la strage. Dalla lista compariva il nome di Roberto, che ne aveva acquistati: uno il 3/1/1989 e l’altro il 27/12/1990 (il secondo, solo 8 giorni prima della strage del Pilastro). Roberto Savi, da buon furbone che te lo compri con quattro soldi, quando la procura gli chiese chiarimenti, consegnò ai suoi colleghi sbirri il fucile che non aveva mai usato. Nessuno andò mai a controllare l’altro fucile regolarmente registrato che deteneva in casa, quello che aveva usato nella strage del Pilastro. Fabio Savi, fece domanda per entrare in polizia, ma un difetto alla vista gli pregiudicò questa carriera (forse non ci vedeva bene, ma la mentalità da sbirro, ce l’aveva nel sangue…).

Puntualizziamo che a noi, Ricercatori senza padroni, non dispiace affatto anzi, siamo contenti quando si ammazzano tra sbirri (come nella strage del Pilastro), non ci sta bene invece quando, tra le altre nefandezze, abusano di potere e fanno i bastardi soprattutto coi manifestanti che sono sempre composti da uomini, donne, anziani e adolescenti (es: G8 di Genova, i compagni NoTav, ecc.) è questo che ci fa odiare profondamente le forze del disordine, soprattutto quando quelle merde bastonano i manifestanti inermi e usano i lacrimogeni che sprigionano sostanze tossiche cancerogene.

Roberto Savi, fu arrestato la sera del 21/11/1994, mentre si trovava in questura a Bologna. Immediatamente dopo l’arresto, disse ai colleghi: «Potevo farvi saltare tutti in aria…», (per poi dare la colpa a noi Anarchici, come è successo ad es. con la strage di Piazza Fontana). La moglie lo definì un uomo strano ed aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, e che passava gran parte del suo tempo libero a giocare ai videogiochi (per capire il suo livello culturale…).

Pietro Gugliotta depone in aula (RomagnaOggi)

Insieme ai fratelli Savi c’era anche lo sbirro Pietro Gugliotta (foto sopra), catanese che  svolgeva la funzione di operatore radio nella questura di Bologna assieme all’amico Roberto Savi. Venne scarcerato nel 2008, con  l’indulto (legge Gozzini).

Marino Occhipinti durante il processo

Poi c’era il compare Marino Occhipinti di Rimini (foto sopra), anche lui sbirro, era vice-sovrintendente della sezione narcotici della squadra mobile di Bologna. Occhipinti, per far vedere che era diventato bravo (tutta apparenza, esteriore cattolico), uscì dal carcere per partecipare ad una Via crucis a Sarmeola di Rubano, nel Padovano. L’11/1/2012 gli venne concessa la semilibertà e lavorò per la cooperativa sociale Giotto (chi aiuta cosa?). Il tribunale decise poi che il suo pentimento era sincero, quindi non era socialmente pericoloso. Venne scarcerato, il 2/7/2018.

Poi c’era Luca Vallicelli (foto sotto), agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena. Patteggiò tre anni e otto mesi in carcere, e attualmente è libero.

Luca Vallicelli / Foto: Corriere

L’unico che ebbe il coraggio di denunciare l’implicazione di apparati dello stato nella vicenda della Banda della Uno Bianca, fu il senatore Libero Gualtieri. Secondo Gualtieri, l’assalto criminale in Emilia Romagna e la scelta di Cesena non era casuale. A Cesena ci abitava anche lui, il presidente della commissione stragi Libero Gualtieri, impegnato a desegretare anche i documenti sulla vicenda Gladio (!!!).

Ma facciamo un po’ di storia: 

La banda della uno bianca non era una storia di mafia ma piuttosto una storia politica, avvenuta alla fine della Prima repubblica, quando comandava ancora la chiesa (partigiani bianchi), insieme ai socialisti e ai comunisti (Dc: Don Sturzo, Alcide De Gasperi, insieme al socialista Pietro Nenni e al comunista Togliatti). Ricordiamoci che la chiesa traditrice (attraverso i partigiani bianchi), nel 1949, pur di conquistare il potere dello stato, aderì al patto Atlantico anticomunista della Nato.

I crimini degli uomini in divisa della banda tra il 1987 e il ‘94, lasciarono una lunga scia di sangue (82 delitti, 23 morti, centinaia di feriti) e un bottino di quasi due miliardi di lire. L’azione criminale della Uno Bianca era eterodiretta e prendeva ordini anche dalla Falange Armata. Il magistrato Spinosa ha documentato le voragini investigative, le bugie, i depistaggi operati dai Savi, soprattutto in relazione ai rapporti che essi ebbero con la mafia catanese e con la camorra cutoliana, che trattò con lo stato per la liberazione di Ciro Cirillo, e casalese (tutti fratelli – tutti compari). Il  magistrato Spinosa dedusse che le imprese militari dei Savi, erano atti di destabilizzazione che facevano parte del piano militare chiamato Strategia della Tensione, e iniziarono nel 1980 con la strage bolognese del 2 agosto, e con numerosi  omicidi tra cui quello del giornalista Walter Tobagi, il caso dell’aereo DC-9 Itavia, abbattuto nei cieli internazionali da un missile. Ma per capire meglio gli intrighi e gli intrecci occulti militari e politici che ci sono dietro alla banda della Uno Bianca, dobbiamo soffermarci ad analizzare l’abbattimento dell’aereo civile DC-9 Itavia:

Strage di Ustica, la verità negata della bomba a bordo del Dc9 Itavia

I mass media scrissero subito prima dei magistrati che l’aereo civile DC-9 Itavia era stato abbattuto nell’ambito di operazioni militari straniere di segno Nato. Solo dopo diversi anni fu approvata anche dai magistrati, che analizzarono il periodo della Guerra fredda  dal 1980 al ‘92, constatando che il caso Ustica rientrava nell’interazione tra poteri nazionale e internazionali in un periodo che comprendeva l’installazione degli euromissili nucleari sia ad Est in Europa orientale, che a Ovest in occidente, con la conseguenza della  disgregazione dell’URSS dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 (fine della guerra fredda? Non si direbbe…). Il muro di Berlino fu costruito nel 1961 dai sovietici per isolare la zona Ovest di Berlino sotto il controllo occidentale (NATO), a quella di Berlino Est, sotto il controllo orientale (Russia).

Col governo Craxi, anche l’Italia servile e subordinata ai poteri forti, acconsentì ad accogliere gli euromissili con testate nucleari nelle basi Nato italiane (lecca culi), per rafforzare l’impegno italiano nel quadro dell’Alleanza atlantica anticomunista. Con la strage di Ustica, emerge ancora di più la complessità della collocazione internazionale dell’Italia inserita nella NATO, che però intratteneva relazioni importanti anche col mondo arabo (con la Libia di Gheddafi), ma questo non piaceva alla Nato. l’Italia quindi, si rese conto del contesto e delle contraddizioni della politica estera italiana, e definì la vicenda di Ustica al confine tra le dimensioni interna ed esterna della politica italiana, permettendo di mettere a fuoco dinamiche inserite non solo nella gestione politica nazionale, ma anche nella sfera internazionale (i rapporti con gli Stati Uniti, la Libia di Gheddafi, e la Francia). La riflessione storica, nell’ambito dello studio del fenomeno terroristico in Italia, si soffermava sullo scivoloso terreno dei cosiddetti “poteri occulti” e del  “doppio stato”.  Nel 2013 la Corte Suprema di Cassazione afferma quanto aveva già detto nel 1999 la procura di Roma: l’abbattimento del DC-9 da parte di un missile, e l’accertamento di attività di depistaggio messe in atto da ufficiali e generali dell’Aeronautica militare. Ma il problema di Ustica non finisce qua, anche l’accesso agli archivi, in particolare alla documentazione prodotta dagli organi statali, sono stati occultati. Infatti in Italia, hanno messo in atto norme più restrittive sulla consultazione degli atti top secret, rispetto a quelle in vigore all’estero. Poi c’è anche la complessa questione degli archivi dei servizi segreti, che nonostante la riforma del 2007, continuano a essere “archivi negati ”. Oggi (2022), parte della documentazione, su Ustica, è stata desegretata, declassificata, digitalizzata e resa consultabile su internet. Le responsabilità politiche di coloro che al tempo del disastro di Ustica ricoprivano rilevanti incarichi di governo, ebbe un rilievo potenzialmente destabilizzante. Attenzione particolare merita il ruolo svolto dal capo del governo in carica nel giugno 1980, Francesco Cossiga, eletto nel giugno 1985 come presidente della Repubblica. Sotto il governo Cossiga era avvenuto l’abbattimento, rimasto impunito, dell’aereo civile. Le indagini dei magistrati, approvarono nel 1980 una mozione che addossava ingiustamente le colpe sulla compagnia Itavia (per un cedimento strutturale), rivelatasi poi infondata. La posizione di Cossiga si presentava ambigua: era infatti lui il presidente del consiglio nel 1980 e capo politico dei servizi segreti  militari (legge 801).

Udienza con il sen. Libero Gualtieri, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, con l'Ufficio di Presidenza della Commissione

Tra il 1989 e il 1990, il ruolo dei servizi militari segreti nel caso Ustica, furono al centro dell’inchiesta della commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi. Il Presidente della Commissione Parlamentare Stragi Libero Gualtieri (nella foto con Cossiga), nel 1989 individuò numerosi responsabili dei servizi segreti che il presidente della commissione stragi definì nella sua relazione trasmessa al Parlamento nel 1992 “ambigui e contraddittori”. Le conclusioni di Gualtieri e della commissione stragi individuarono nell’operato dei servizi segreti, attività di depistaggio e di ostacolo delle indagini, conclusioni che vennero sottoscritte e condivise nella sentenza ordinanza di rinvio a giudizio depositata dal sostituto procuratore Rosario Priore nel 1999. Gli effetti politicamente destabilizzanti del caso Ustica, con le sue vicende di depistaggi e insabbiamenti, arrivarono quindi a coinvolgere anche le più alte carica dello stato. Il magistrato Libero Gualtieri, parlò del rischio che il caso Ustica provocasse una “grave crisi politico-istituzionale” e sottolineò la necessità di “cercare più in alto” le ragioni di 9 anni di bugie e reticenze(vedi:  Massomafia – P2). Nell’estate del 1990 rispuntò fuori ancora il problema della loggia massonica P2 (sempre occultata dalle istituzioni), grazie a un’inchiesta del TG1 che aveva raccolto rivelazioni su legami intercorsi durante gli anni ’70 tra la loggia di Licio Gelli (Gran maestro della P2), e la CIA. Successivamente sarebbe scoppiato il caso dei nuclei clandestini dello stato e della Gladio. Poi a distanza di poco tempo, clamorose novità legate al periodo della guerra fredda tornarono di attualità: dalle inchieste del TG 1 sui legami tra la P2 e la CIA, al ritrovamento dopo anni in via Monte Nevoso, a Milano, di numerose lettere di Aldo Moro (occultate). Questo intreccio tra dimensione internazionale e dimensione interna fu il contesto che portò all’incriminazione di 13 alti ufficiali dell’aeronautica militare per alto tradimento  e alla tematizzazione del caso Ustica nell’ambito delle  relazioni tra Italia e Nato.

Ustica, la storia del giudice Priore raccontata dalla moglie

L’avvento del giudice Priore (nel riquadro), mise in discussione anche il ruolo della Francia. Di questa attività istruttoria tuttavia, si  venne a conoscenza solo in seguito, a causa del segreto di stato vigente sulle indagini. Il ruolo della Francia si pose concretamente all’attenzione dell’opinione pubblica italiana per la prima volta nel  1991, quando fu reso noto che molte parti del DC-9, tra cui la scatola nera dell’aereo, giacevano ancora nei fondali marini. Le prime operazioni di recupero erano state effettuate nel 1987 da una società francese, l’Ifremer, legata ai servizi segreti di Parigi. Anche le stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, dell’Italicus e della stazione di Bologna, rimasero impunite, ed erano state caratterizzate da opacità che avevano messo in luce le connivenze esistenti tra gli ambienti della destra eversiva, (braccio armato – esecutori degli attentati), e alcuni settori dei servizi di segreti (P2?). Le indagini della magistratura avevano incontrato innumerevoli difficoltà nel tentativo di determinare i responsabili delle stragi, anche a causa di depistaggi per i quali erano stati responsabili settori dei servizi segreti (per nulla deviati…). Ustica era una vicenda che rientrava nelle strategie atlantiche dei servizi segreti, una strage riconducibile alla “strategia della tensione”. Ma il momento più cruciale fu piuttosto rappresentato dalla richiesta del magistrato Gualtieri, che nel 1989 inviò 23 avvisi di reato a ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica militare in servizio presso i centri radar di Licola e Marsala la sera del 27 giugno 1980, con le accuse di concorso in falsa testimonianza aggravata, concorso in favoreggiamento personale aggravato e concorso di occultamento dei documenti.

Indro Montanelli (quel fascistone pedofilo), scrisse che se i comandi militari italiani avevano serbato il segreto non poteva essere per “nascondere le proprie responsabilità”, che “nessuna persona sensata” gli avrebbe attribuito, bensì per coprire quella dei “comandi alleati”.

Gladio è una rete clandestina creata nel 1956 in base ad un accordo tra la CIA e il servizio militare italiano, l’allora SIFAR, nell’ambito della complessiva operazione «Stay Behind», portata avanti dagli USA nei paesi del Patto Atlantico anticomunista. Si trattava, come è noto, di una struttura armata composta da civili e militari, avente il compito di difendere il territorio nazionale in caso di aggressione da parte di un esercito straniero, della cui esistenza a livello politico, erano al corrente solamente i Presidenti del Consiglio e i Ministri della Difesa. La rivelazione dell’esistenza di Gladio, rappresentò la prova dell’esistenza effettiva di un servizio segreto ‘parallelo’ che operava nell’ombra. La rete italiana di «Stay Behind», era nata da un accordo stretto, da parte italiana, coi servizi segreti militari: quegli stessi servizi che, secondo le ricostruzioni, erano alla base della mancata individuazione dei responsabili delle gravi stragi verificatesi in Italia dal 1969 in poi.

I lavori della commissione presieduta dal giudice Libero Gualtieri, procedevano non senza difficoltà, dal momento che al suo interno vi erano posizioni diverse in merito alla necessità o meno di convocare in audizione tutti i Presidenti del Consiglio e i Ministri che si erano succeduti dal 1980, anno della strage di Ustica. Dopo iniziali resistenze, anche la DC finì (per convenienza), per concordare sulla necessità di convocare gli ex uomini di governo, tra cui si annoveravano chiaramente numerosi notabili democristiani. Lo scontro tra Cossiga e Gualtieri sul caso Ustica, arrivò a raggiungere alti livelli polemici, si inserì così come “detonatore” nei rapporti tra Quirinale e Parlamento….

E pensare che quelle merde di Salvini e della Meloni hanno proposto in periodo di elezioni, di aumentare i soldi e il numero delle forze dell’ordine…

Basta sbirri: siamo noi civili che dobbiamo controllare loro!!

Ricordiamoci sempre, che a fare le stragi sono stati loro: gli sbirri! Non Noi Anarchici, sognatori e utopisti, che siamo in galera (o siamo stati in galera) perché combattiamo ancora oggi contro tutto il marciume che c’è dentro allo stato, mentre loro invece (gli sbirroidi), rimangono sempre impuniti e sono liberi, nonostante sono stati accusati e condannati per strage (di innocenti).

 

Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza.

Dal “Manifesto internazionale Anarchico contro la guerra” (1915)

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Ne’ con lo stato! Ne’ con la massomafia! Ne’ con la mafia! Anarchia: l’unica Via !!

Siamo stufi di fare la miseria che ci ha portato il Covid e la guerra in Ucraina! Riprendiamoci i nostri diritti che ci hanno tolto! Espropriamo i 250 miliardi del Pnrr, altrimenti se li mangiano tutti (se li distribuiscono equamente) tra: politici, grossi imprenditori e apparati delle forze dell’ordine….

Solidarietà alle compagne e ai compagni Anarchici arrestati e rinchiusi nelle galere, nei lager dello stato!!

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

 

La Nato anticomunista e la strategia della Tensione

Da Piazza Fontana a Piazza della Loggia e alla stazione di Bologna: sono tanti gli elementi storici emersi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali dell’Alleanza atlantica e le stragi di stato. L’ultima inchiesta sulla strage fascista di Brescia del 28 maggio 1974 ha condotto gli inquirenti sulla soglia d’ingresso di Palazzo Carli a Verona, sede del comando Nato. Li ha portati lì un testimone all’epoca interno agli ambienti di Ordine Nuovo (On), il gruppo fondato da Pino Rauti [nella foto con Fini],responsabile dell’eccidio di Piazza Fontana come di quello a Piazza della Loggia.

Chi è Stato Pino Rauti? Breve storia di un moderato al di sopra di ogni sospetto

Per raccontare la storia delle stragi in Italia si deve partire dal «principio di realtà», crudo ma efficace, espresso dal generale Mario Arpino in commissione parlamentare stragi: «C’era una parte politica che per noi [i militari] era quasi rappresentante del nemico. Allora era così». Quella era la cornice storico-politica: la Guerra Fredda tra blocchi militari contrapposti.

In quel quadro in Italia emerse il fenomeno dello stragismo con una continuità e una violenza senza pari nell’Europa dell’epoca. Il Paese era zona di frontiera geopolitica, inserito nella Nato ma «abitato» dalla contraddizione irriducibile: la presenza del più grande partito comunista d’Occidente, fondatore della Repubblica.

I caratteri anticomunisti dell’eversione 1969-1974 indicano quanto le stragi siano «figlie» della divisione bipolare del mondo e come sia ineludibile discutere il ruolo della Nato nel nostro Paese, ovvero un’alleanza militare strumento della Guerra Fredda in funzione anti-sovietica.

La guerra fredda, riassunto di storia per gli alunni del terzo anno della Scuola Sec. di I grado a cura della Prof.ssa Gabriella Rizzo | Homework & Muffin

Nei decenni che hanno visto il lento singhiozzare dei processi per le stragi di stato, sono emersi molti elementi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali della Nato.

L’inchiesta del giudice Guido Salvini su Piazza Fontana ha mostrato come i dirigenti di On, Carlo Digilio (che fabbricava le bombe), Sergio Minetto e Giovanni Bandoli fossero legati al capitano del comando Nato di Verona David Carret. I rapporti dei capi ordinovisti con i servizi segreti (agli atti della commissione parlamentare stragi), configurano On come gruppo inquadrato nei cosiddetti «Stati Maggiori Allargati» ovvero un ambito operativo anticomunista «misto» militari-civili delineato nel convegno dell’Istituto Pollio di Roma nel 1965 (finanziato dal ministero della Difesa) in cui venne teorizzata la strategia stragista.

Marco_Pozzan

Vertici delle forze armate sono stati condannati per fatti relativi alle stragi (Gianadelio Maletti, capo del controspionaggio del Sid, per favoreggiamento di Marco Pozzan [foto sopra] e Guido Giannettini per Piazza Fontana); riconosciuti referenti dei gruppi neofascisti (il generale Giuseppe Aloia commissionò a Rauti e Giannettini l’opuscolo provocatorio «Le mani rosse sulle forze armate»); individuati come responsabili di apprestamenti militari anticomunisti (il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo col «Piano Solo» [perché fatto solo dai carabinieri] del 1964). La più importante figura dell’intelligence italiana Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati, è indicato dalla nuova inchiesta sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 come uno dei mandanti del massacro. A lui è intitolata una sala della sede Nato di Bruxelles. Junio Valerio Borghese per il suo «governo» aveva redatto un programma (agli atti dell’inchiesta sul golpe dell’8 dicembre 1970) che prevedeva l’aumento dell’impegno finanziario e militare dell’Italia nella Nato e una politica filo-atlantica nel Mediterraneo con le dittature di Grecia, Spagna e Portogallo. La commissione Pike del Congresso USA, denunciò nel 1976 i finanziamenti illeciti della CIA alle attività anticomuniste in Italia. 800.000 dollari giunsero a Vito Miceli (capo del SID) e da lui ai gruppi dell’estrema destra e al Msi, come raccontò nel 1993 a «La Stampa» il missino Giulio Caradonna «I soldi del Dipartimento di Stato, che vennero attraverso il generale Miceli allora capo del Sid e quindi alta autorità della Nato, li portò Pierfrancesco Talenti direttamente ad Almirante». Tale complessa dinamica fu sintetizzata dalla formula “strategia della tensione”, per rappresentare la combinazione di 2 fattori: la destabilizzazione della vita civile attraverso l’uso anonimo della violenza e la stabilizzazione politica in senso reazionario come risposta alla democrazia conflittuale disegnata dalla Costituzione. Si aggiornò il conflitto continuità/rottura che aveva già informato il carattere della transizione dell’Italia del dopoguerra. La «continuità [scrive Claudio Pavone] non è sinonimo di immobilismo», essa tende ad esprimersi come un moto dinamico e forte di fronte alle spinte innovatrici di rottura (quelle presenti nell’Italia degli anni 1943-‘45 e ’60-’70), per garantire il perdurare degli equilibri storici e degli assetti sociali dati. La Costituzione antifascista e non anticomunista fu il principale obiettivo di questo moto. Nei “giorni del Quirinale” appena trascorsi è stata evocata con animosità (da stampa e politici) una guida istituzionale saldamente “atlantista”. Obliando il significato di quel termine in Italia negli anni della Guerra Fredda e dimenticando che presidenti della Repubblica e del Consiglio giurano fedeltà alla Carta del 1948 dove non si menzionano alleanze militari e invece si rifiuta la guerra. Varcando la soglia dei comandi Nato a Verona si troverà, forse, qualcuna delle prove che Pasolini non aveva quando spiegava «cos’è questo golpe». Si potrebbe dare, così, soluzione anche all’altro cruccio del poeta: «Il problema è questo: i giornalisti e i politici pur avendo delle prove, e certamente degli indizi, non fanno i nomi».

 

Più di 20 morti sospette a Capo Frasca e nessuna indagine. A Foras: “Raccoglievano bombe senza protezione”

In Sardegna dagli anni ‘50 sperimentano nuove armi all’uranio impoverito (cancerogeno).

Da allora la Sardegna è un territorio segnato dalle bombe, pur essendo sempre stata in pace. In 5 province conta 31 basi militari Nato. Quelle principali si trovano a Capo Frasca ad Ovest, Capo Teulada a Sud-Ovest, e Sartu de Chìrra (Salto di Quirra) a Sud-Est.

La regione Sardegna venne scelta allo scopo, molti anni fa, per la scarsa densità abitativa e per la sua posizione strategica al centro del Mar Mediterraneo. Per 9 mesi all’anno i militari della Nato si esercitano via aria, terra e mare. Qui sperimentano nuove armi prima di immetterle sul campo: missili, razzi e componenti a base di uranio impoverito. Dagli anni ‘50 quindi, la Sardegna ospita poligoni interforze. Una presenza controversa, contestata da molte associazioni della società civile che denunciano effetti negativi su ambiente, uomini e animali. Nel 2020 il governo italiano ha stanziato 46 milioni di euro per la tentata bonifica delle aree interessate…

Nel 1956 a Capo Teulada, nel Sulcis (foto), è stato creato il 2° poligono più grande d’Europa. Si tratta dell’unico poligono che consente di svolgere esercitazioni anche in territorio fuori area ospitando attività addestrative “combined”, cioè condotte in combinazione con forze di altri Paesi alleati. Comprende 7mila ettari di demanio militare e si divide essenzialmente in 4 zone che, in posizione oraria, vengono classificate in alfa, bravo, charlie e delta. Delta è il promontorio finale in cui i militari si esercitano con missili e bombe sperimentali, occupando altri 75mila ettari di zona militare. Alcuni di questi chilometri sono interdetti agli stessi militari, troppo pericolosi anche per loro. Queste cosiddette servitù militari – “zone di restrizione dello spazio aereo e interdette alla navigazione” – sono così impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare.

Sul terreno, restano tracce visibili. Durante l’estate i bagnanti trovano resti di bombe, bossoli e cumuli di rifiuti. Tra le profondità del paradiso terrestre sardo, la realtà non è molto diversa. Si trovano buche che arrivano ad un diametro di 3-4 metri derivate da esplosioni di 500-600 chili di tritolo, bombe inesplose d’aereo lunghe circa 2 metri e altre di 400 chili risalenti ancora agli anni ‘50, anche queste inesplose.

Perdasdefogu, il Poligono Sperimentale Interforze non è recintato e c'è libero accesso a tutti

Tra la provincia di Nùoro e quella del Sud Sardegna, si trova Sartu de Chìrra (Salto di Quirra: letteralmente “campagna di Quirra”), zona storica aragonese nel Sud-Est della regione. L’area comprende 11.6 chilometri quadrati a terra a cui vanno aggiunti 9946 miglia quadrate a mare. Nel Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze, si svolgono attività missilistiche e di collaudo pur essendo sotto inchiesta dal 2011 dalla Procura di Lanusei per via della cosiddetta “sindrome di Quirra”.  La “sindrome” si può sintetizzare come uno stato di vulnerabilità tumorale che da anni affligge, inspiegabilmente, uomini e animali che nascono, vivono e crescono nella zona. I pastori si ammalano di tumori, e le leucemie sono diffuse tra cittadini e militari. Gli animali da allevamento subiscono la stessa sorte e le malformazioni dei nuovi nati non lasciano altri dubbi. La causa si ritiene risieda nell’uranio impoverito, utilizzato nelle munizioni fornite alle unità militari per le esercitazioni. Tre tracce biologiche ne proverebbero la pericolosità: nelle ossa degli animali sono stati trovati valori di torio il triplo più alti del normale; nei polmoni e nei reni residui di piombo e nanoparticelle di cadmio. È diventata molto nota, in località Perdasdefogu, la storia di una famiglia colpita interamente da tumori linfatici. La famiglia era proprietaria di una lavanderia dove i soldati portavano al lavaggio le tute mimetiche. L’inchiesta nel tempo si è arricchita di nuove testimonianze. Gli ex-militari che lavoravano al poligono e che pagano ancora oggi le conseguenze del loro servizio, eseguivano le operazioni di tentata bonifica senza protezione adeguata, ossia con dei semplici guanti in lattice. Se mai venisse riconosciuta la pena di danno ambientale, si potrebbe arrivare ad una sentenza definitiva sul processo sui “veleni di Quirra”

Sentenza Quirra, la parola agli attivisti: le dichiarazioni di Bettina, Teti e Francesco

Per adesso sull’uso di uranio impoverito nelle esercitazioni militari abbiamo solo la denuncia del Presidente della Regione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta.

La Commissione, presieduta dal senatore Paolo Franco, era stata in Sardegna il 17 ottobre del 2005, e durante la permanenza nell’isola aveva ascoltato il Presidente della Regione. Renato Soru in quell’occasione, ha riproposto i temi dell’equilibrio delle servitù militari, della restituzione agli usi civili di Capo Teulada, sollevando per questo territorio anche il problema del tipo di armamenti e munizioni in uso nelle esercitazioni.

Spiega SORU: “Cercherò di inquadrare il problema dal punto di vista della Regione. Intanto comprendo che vi occupiate di problemi legati all’utilizzo dell’uranio impoverito e non direttamente di servitù militari, ma per noi sono una componente dello stesso problema.

Vale la pena ricordare che in Sardegna si spara quasi l’80% di tutte le bombe che si sparano in Italia in tempo di pace, sia da parte dell’esercito italiano che da parte degli eserciti nostri alleati. L’80% dell’attività di Poligono viene svolta nella nostra Regione. Nonostante vi abiti circa il 2,5% della popolazione italiana, viene sparato l’80% di bombe. Ricordo in particolare i Poligoni di Salto di Quirra, di Capo Teulada, di Capo Frasca e di Capo San Lorenzo. Oltre a questi vorrei ricordare anche la base di Santo Stefano presso La Maddalena, nata in maniera segreta nel 1972 per garantire ad una nave appoggio di sommergibili nucleari il diritto di attracco.

Gli enti militari utilizzatori sono unità dell’esercito militare italiano, altre Forze armate o corpi armati dello Stato per proprie esigenze o per esercitazioni in cooperazione con unità terrestri, unità alleate terrestri, navali, aeree. Lo Stato Maggiore dell’Esercito dispone e autorizza inoltre, nel rispetto delle norme per l’utilizzo del Poligono di Capo Teulada, lo svolgimento di particolari esercitazioni (non è chiaro cosa si intenda con «particolari esercitazioni»), o sperimentazioni di interesse nazionale o NATO.

”Non solo (conclude il Presidente della Regione), non ci viene detto che non si utilizza munizionamento contenente uranio impoverito, ma anzi, in base al disciplinare in scadenza nel 2005, risulta che a Capo Teulada in questo momento sono autorizzate particolari esercitazioni o sperimentazioni di interesse nazionale o NATO. Si dice poi che «il Poligono viene autorizzato per l’effettuazione di esercitazioni a fuoco terrestri, esercitazioni navali di tiro contro costa e sbarchi anfibi, esercitazioni a fuoco aeree», sempre con l’indicazione di esercitazioni particolari e sperimentazioni. Cosa accade li esattamente non è dato sapere”.

 L’Ucraina (dove vengono esplose le bombe sperimentate in Sardegna), ha vietato l’utilizzo dell’amianto soltanto nel 2020. Tutti gli edifici sono quindi ancora contaminati e la loro distruzione causa il disperdersi delle sue fibre che sono cancerogene e per questo estremamente dannose per la salute.

L’esperto parla non solo di amianto, ma anche di uranio impoverito, mercurio e arsenico. E ancora idrocarburi ed emissioni.

Tutti elementi che in Ucraina stanno contaminando i terreni, le falde e l’aria. “La guerra (ha detto Baldi), è di per sé un’attività che inquina, non solo dal più banale punto di vista delle emissioni in atmosfera dovute al passaggio di mezzi che bruciano carburante, ma anche e soprattutto delle sostanze nocive rilasciate dalle deflagrazioni o dell’amianto largamente utilizzato nelle costruzioni che sono state distrutte rilasciando le pericolose fibre”.

I mass media nel 2000 dichiarano: Diecimila e ottocento proiettili a uranio impoverito sono stati sparati dagli aerei americani A-10 nella missione in Bosnia tra il 1994 e il ‘95. Lo ammette la Nato e lo dice l’allora ministro della Difesa italiano, Sergio Mattarella, nel corso dell’audizione in commissione difesa della Camera.

Per la prima volta l’Alleanza Atlantica dichiara di avere usato in maniera massiccia quel tipo di munizioni. Lo fa 5 anni dopo, suscitando le perplessità del governo italiano: “Devo manifestare rammarico (disse Mattarella), per il fatto che organizzazioni internazionali interessate forniscano solo ora e per nostra richiesta un’informazione importante per la sicurezza della comunità bosniaca così come per quella internazionale”.

Solo nel 2000 si viene a sapere che i proiettili all’uranio sono stati utilizzati in tre tornate: il 5 agosto e il 22 settembre 1994 nell’operazione Deny Flyght, e tra il 29 agosto e il 14 settembre 1995 nell’operazione Deliberate Force. Troppo tardi, al punto che lo stesso Mattarella chiese “di prevedere in seno all’Alleanza atlantica procedure più adeguate di condivisione delle informazioni e approntare misure comuni su materie così delicate”.

 

Un vero amico della libertà dev’essere

nemico di ogni potere; di ogni autorità,

di ogni comando, di ogni elevazione di uomo

al disopra di altri uomini, dev’essere nemico

di ogni legge, di ogni ordine prestabilito,

dev’essere, in una parola, un anarchista.

C. Cafiero

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte (II parte)

Omicidio di Aldo Moro: una tragedia che cambiò per sempre la storia del nostro Paese - Il Faro Online

15 marzo 2018 Gero Grassi (foto sopra) dichiara ai mass media: “Il caso Moro è un intrigo internazionale con la partecipazione di Cia, Mossad, Kgb, servizi segreti inglesi e francesi”. In tutto questo ci sono anche responsabilità di pezzi della magistratura italiana, delle forze dell’ordine e della cupola maggiore che è la P2″. Buona parte del dramma che paralizzò l’Italia e che si consumò in quei 55 giorni che separano via Fani da via Caetani rimane tuttora avvolto nell’ombra. Un caso contenuto in ben 8 processi Moro, 4 commissioni terrorismo e stragi, 2 commissioni Moro, una commissione Mitrokhin e una commissione P2, che però non sono bastati a far piena luce su una delle pagine più grigie e inquietanti del ‘Belpaese’. Un tassello alla volta, la II Commissione d’inchiesta su Aldo Moro è riuscita però a fare emergere elementi nuovi, smontando pezzo per pezzo la versione conosciuta negli ultimi quarant’anni. Ad animarne il lavoro, in prima linea, Gero Grassi, vicepresidente del gruppo Pd della Camera, autore del libro “Aldo Moro: le verità negate”. Verità che Grassi non ha mai smesso di cercare in tutti questi anni, che passano per depistaggi, cospirazioni, morti sospette e menzogne, parte di un intrigo internazionale capace di tenere assieme tutti i poteri forti: politica, massoneria, servizi segreti, chiesa, criminalità organizzata (presenze costanti che si intersecano e si celano dietro ai più grandi misteri irrisolti della storia italiana). Ora abbiamo la certezza che in via Fani con le Brigate Rosse ci fosse la malavita romana, la Banda della Magliana e i servizi segreti italiani e stranieri. Un dubbio che ancora oggi abbiamo, è che il Bar Olivetti non fosse chiuso al momento della strage (rapimento Moro), come si è scritto invece per 38 anni, ma fu l’epicentro del rapimento Moro, la centrale operativa, frequentata da brigatisti, Nar, uomini della ‘ndrangheta, Frank Coppola (mafia-siculo americana), Tano Badalamenti (mafia siciliana), e Camillo Guglielmi, vice comandante generale di Gladio. Le altre due novità riguardano la prigione di Aldo Moro e la sua morte: la prigione di Moro non si trovava in via Montalcini, ma in via Massimi 91, in un complesso che godeva dunque della extraterritorialità (alla Balduina, poco distante da via Fani) dove è stato ospitato anche il brigatista Prospero Gallinari e dove aveva sede il palazzo dello Ior (la banca mondiale del vaticano che, se donasse tutti i soldi accumulati, non esisterebbe più la povertà!!).

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone

Perfino la ricostruzione della morte di Moro, fatta da quelle merde (perché, se son fatte comprà dagli sbirri alleati: compagni, secondo i partigiani bianchi…) di Germano Maccari e Mario Moretti, oggi non regge rispetto alle ultime prove. Loro dicono che è morto sul colpo e invece Moro è morto dopo 30 minuti di agonia. Loro parlano di 8-9 colpi e i colpi invece sono 12. Loro dicono che Moro era steso nella Renault e noi riteniamo che Moro fosse appoggiato alla Renault, che stesse fuori dalla vettura. Tutto questo ci induce a dire che in via Fani c’erano anche le Br, e che sul luogo della morte invece mancavano le Br!! Giustino De Vuono ‘ndranghetista calabrese, era l’aggancio tra i servizi segreti e la ‘ndrangheta. Quindi ci domandiamo: ma quale è stato il ruolo della ‘ndrangheta e della mafia nel caso Moro? La ‘ndrangheta frequentava anche lei il bar Olivetti, riciclava armi giocattolo che poi diventavano armi vere che sparavano!!

Ma la cosa più ambigua di tutta questa situazione non è Moretti. Il procuratore della rep. di Reggio Calabria e procuratore nazionale antimafia, ha evidenziato in commissione che la ‘ndrangheta seguiva il caso Moro e che partecipava. Ma la situazione più ambigua si riscontra nei viaggi di Moretti, nei 55 giorni, tra la Calabria e la Sicilia. Certamente non sono stati loro a organizzare il rapimento, loro sono stati usati (braccio armato) come i brigatisti, dai servizi segreti della Nato (la Russia nel 1990 faceva parte della Nato…). Ma il problema in Italia sono sempre stati i servizi segreti dell’Ovest e dell’Est che si sono sempre scannati tra di loro (guerra fredda), per creare in Europa un altro ‘ordine mondiale’ col proprio esercito. È questo il problema!!   

Ma facciamo un po’ di storia:

La NATO verso la seconda Guerra Fredda

La Nato viene fondata nel 1949 come patto difensivo contro l’Urss, contro il comunismo. Dagli anni ‘90 cambia approccio e strategia, passando dai 12 membri fondatori agli attuali 30.

La North Atlantic Treaty Organization (Nato) nasce il 4 aprile 1949, nel contesto della Guerra Fredda e dei blocchi contrapposti (Est – Ovest). Il mondo occidentale stringe un patto di reciproca assistenza militare in caso di aggressione da parte sovietica. I Paesi fondatori della Alleanza Atlantica erano 12: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Gran Bretagna e Stati Uniti. Per tutti gli anni della Guerra Fredda ci sono solo 4 nuovi ingressi: quelli di Grecia e Turchia (1952), dell’allora Garmania Ovest (1955) ‘ripulita’ dell’onta nazista e della Spagna? O riciclata attraverso il mondo cattolico? (1982 Francisco Franco).

Con la caduta del Muro di Berlino (foto) e la conseguente dissoluzione del’Urss, avviene il primo radicale cambiamento nell’assetto della Nato. Nel dicembre del 1991 viene creato il Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico, con l’obiettivo di dialogare e cooperare con gli ex rivali del Patto di Varsavia. Il percorso di avvicinamento tra Europa dell’Ovest e dell’Est, che nel frattempo passa da un impegno diretto delle forze Nato nell’ex Jugoslavia dilaniata dalla guerra, culmina nel 1999 con l’ingresso nell’alleanza di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, primi Paesi ex comunisti ad aderire al blocco un tempo rivale. Nel 2004 è la volta di Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia e soprattutto delle tre repubbliche baltiche, Estonia Lettonia Lituania, ingresso estremamente simbolico perché si tratta di ex repubbliche sovietiche. Nel 2009 entrano nell’Alleanza Atlantica anche Albania e Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Oggi sono dunque saliti a 30 i Paesi aderenti alla Nato e presto potrebbero diventare 31 con l’ingresso della Bosnia-Erzegovina che sta partecipando al Piano d’azione per l’adesione.

La Nato, in cui gli Stati Uniti e i partner europei si fanno carico di risolvere crisi e controversie in ogni angolo del mondo (???). Un’evoluzione in un certo senso naturale, con la fine della Guerra Fredda, dalla quale sono tuttavia già passati tre decenni: tanti, nel mondo contemporaneo. Il grande interrogativo sollevato dalla crisi ucraina è dunque se l’ordine mondiale pensato a Washington tra gli anni Novanta e Duemila possa reggere anche in pieno 21° secolo, alla luce dell’ascesa della Cina e del rinnovato protagonismo della Russia. Senza sottovalutare le altre potenze economiche globali, dall’Iran alla Corea…

Il caso Moro è un intrigo internazionale geopolitico, che vede la partecipazione di Cia, Mossad, Kgb, servizi segreti inglesi e francesi. In tutto questo ci sono anche le responsabilità di pezzi della magistratura italiana, pezzi delle forze dell’ordine e della P2, che poi è il governo di tutti questi fenomeni occulti criminali!!.  Ma ci sono due personaggi chiave, su cui permangono ombre e interrogativi: uno è l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga, di cui si sostenne una responsabilità morale dell’omicidio Moro, l’altro è il presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Cossiga riunisce un comitato di emergenza formato da 40 piduisti (comitato dal quale, sosterrà Steve Pieczenik, funzionario della sezione antiterrorismo del Dipartimento di stato americano, avvennero le fughe di notizie).

Pecchioli

Insieme alle 2 merde parlamentari, collaborava con loro anche l’onorevole Ugo Pecchioli (foto sopra), del Partito comunista italiano. Quanto a Giulio Andreotti, lui era il presidente del Consiglio e dagli atti risulta che il suo governo non si è impegnato per la liberazione di Aldo Moro. Andreotti ha le sue responsabilità. La vicenda Moro è stata gestita da Cossiga d’intesa con Andreotti e con Pecchioli dall’altro lato.  Sul caso Moro sono decine i nodi irrisolti.  È emblematica la frase che Henry Kissinger (che non voleva il centrosinistra) rivolse ad Aldo Moro il 25/9/1974: “Presidente, lei deve smettere di perseguire sul piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. O la smette, o la pagherà cara”.

Il 14/3/1978, due giorni prima del rapimento: Moro era all’università a Roma e il suo assistente, Francesco Tritto, gli disse: ‘Presidente, si ricorda che dopodomani ci sarà la sua ultima seduta di laurea?’. ‘Perché l’ultima?, gli chiese Moro. ‘Perché lei a giorni sarà eletto presidente della Repubblica’. E Moro rispose: “La ringrazio, lei è affettuoso ma ingenuo. Io non farò mai il presidente della Repubblica. Mi faranno fare la stessa fine di John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963”.

Lo stesso 16 marzo 1978 il ministro dell’interno Francesco Cossiga istituì due comitati di crisi ufficiali: Un «comitato tecnico-politico-operativo», presieduto dallo stesso Cossiga e, in sua vece, dal sottosegretario Nicola Lettieri, di cui facevano anche parte i comandanti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, oltre ai direttori (da poco nominati) del SISMI e del SISDE, al segretario generale del CESIS, al direttore dell’UCIGOS e al questore di Roma. Un «comitato informazione», di cui facevano parte i responsabili dei vari servizi: SISMI, SISDE, CESIS e SIOS.  Prima Linea veniva considerata una semplice associazione sovversiva (anziché una banda armata), mentre Magistratura democratica (o perlomeno l’ala romana) nutriva ostilità verso lo stato, simpatizzando per i miti rivoluzionari; al punto che il politologo Giorgio Galli affermò che il terrorismo era diventato «un fenomeno storico comprensibile (anche se non giustificabile) in una fase di trasformazione sociale ostacolata da una classe politica corrotta». La brigatista Adriana Faranda citò una riunione notturna tenuta a Milano di poco precedente l’uccisione di Moro, ove ella e altri terroristi (Valerio Morucci, Franco Bonisoli e altri) erano in dissenso, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti. Il 3 maggio…  Dunque l’uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri.

Ferdinando Imposimato (foto sopra), era il giudice istruttore della vicenda del sequestro e dell’uccisione di Moro. “I servizi segreti avevano scoperto dove le Br nascondevano Moro, così come i carabinieri!! Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire coi suoi uomini e la polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell’uccisione ricevettero l’ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia. Quei politici (continuava Imposimato) sono responsabili anche delle stragi: da Piazza Fontana a quelle di Via D’Amelio. Lo specchietto per le allodole si chiama Gladio. A Falcone e Borsellino rimprovero soltanto di non aver detto quanto sapevano, perché avevano capito e intuito tutto, tacendo per rispetto delle istituzioni. Per ucciderli, Cosa Nostra ha eseguito il volere della Falange Armata, una frangia dei servizi segreti”. Lo stesso Imposimato aveva presentato un esposto alla Procura di Roma. Secondo il giudice le forze dell’ordine sapevano dov’era la prigione di Moro…

La commissione Fioroni sul rapimento e la morte di Moro, ha messo in dubbio la versione fornita dai brigatisti. Cosa ha scoperto di nuovo la II Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presieduta dal presidente Fioroni (foto sopra) e terminata nel dicembre 2017? Atti emersi dal lavoro della II commissione Moro, quella presieduta dall’on. Fioroni, che dichiara ai mass media che in via Fani c’è stata una concentrazione di presenze: la banda della Magliana, i servizi segreti italiani e stranieri, le Brigate Rosse… E poi dichiara anche che il bar Olivetti, il 16 marzo era aperto e non chiuso come è stato detto per quasi quarant’anni.

Terroristi rossi, neri e criminalità organizzata insieme?

Quella è stata un’operazione che ha visto incrociarsi Kgb, servizi francesi e tedeschi, Mossad e P2.

Il problema delle nostre generazioni è che non abbiamo ancora discusso (aperto il dibattito pubblico) di queste tante problematiche militari, nonostante che le subiamo ancora!!

Tutte le volte che il movimenti si organizzava per ottenere i propri diritti, rispuntavano e rispuntano  questi gruppi clandestini occulti dello stato che si infiltrano, per depistarne  il movimento (come i gruppi clandestini della Gladio) e noi sognatori siamo ancora qua che sogniamo la lotta civile!! La lotta di classe, che sarebbe una reazione normale per noi dal basso, se non fosse che risvegliamo tutti questi gruppi occulti, anticomunisti creati dalla Nato nel 1949, gruppi che hanno fatto le stragi di stato per incolpare noi come movimento antifascista. Meditate mediocri, meditate!!

Alla P2 era legato Marcinkus (a sin. nella foto), il presidente dello Ior. Lui voleva fortemente la morte di Moro e ostacolò persino la raccolta fondi promossa da Paolo VI presso suoi amici milanesi ebrei nel tentativo di pagare il riscatto per salvare Moro. Nella P2 c’erano: generali, magistrati, politici, imprenditori, tutti acerrimi nemici di Moro. Il 17 gennaio Gelli riunisce un vertice di piduisti a Villa Wanda e dichiara l’intento di interrompere il circuito politico messo in moto da Moro. C’era convergenza tra gli obiettivi della P2 e delle Brigate Rosse.  A proposito dello Ior, alla banca vaticana apparteneva un complesso edilizio che è entrato nella relazione Fioroni, quello in via Massimi n. 91. Infatti. Già il 17 marzo la guardia di finanza arriva in via Massimi, ma non vi può entrare perché quell’edificio godeva di extraterritorialità… Meditate Mediocri, meditate!!

Per la Morte di Moro ci sono responsabilità singole come Cossiga, Andreotti, Pecchioli (deputato del Pci). Non fecero nulla. Il Parlamento non si riunisce neppure una volta per affrontare il caso Moro in quei 55 giorni. Siamo ancora lontani dallo scoprire la verità su via Fani?  No, gran parte della verità oggi (2022) è nota e lo è grazie al lavoro della commissione Fioroni che ci porta anni luce in avanti rispetto alle precedenti ricostruzioni. Oggi siamo vicini alla verità più di quanto si possa immaginare (gli sbirri non sono contenti che saltano fuori i loro altarini, i loro giochi sporchi: hanno ucciso perfino Moro!!).

Ma il problema delle nostre generazioni, è che dobbiamo ancora discuterne di questi enigmi. Enigmi per modo di dire, perché abbiamo una commissione Fioroni che, a fine anni ‘90, toglie il segreto di stato, creato dagli stessi servizi segreti…

Approfondire e discutere assieme questo argomento, per noi compagni, potrebbe essere un bell’attacco, nonviolento ma devastante, alle nostre istituzioni corrotte, autoritarie e repressive!!

Così evitiamo di fare indirettamente il loro gioco sporco, senza dargli la soddisfazione di farci arrestare!! Certo, ce devono tené bboni, non irritarci, sennò so’ ccavoli: ve spariamo alle gambe, anche se sappiamo che abbiamo ragione e così, ci metteremmo pure nella condizione di essere in contraddizione, essendo contro le guerre e le armi… Meditate mediocri, meditate!

Sbirri bastardi: se create la guerra civile, cominciamo da voi!! Pezzi di merda!! Bastardi!!

Se non facevano gli sbirri, facevano i mafiosi: è la stessa cosa, i livelli culturali sono sempre quelli…

 

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte

 

La democrazia è menzogna, è oppressione,

è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi

a beneficio di una classe privilegiata,

ma possiamo combatterla noi in nome

della libertà dell’uguaglianza, e non già

coloro che vi han sostituito o vogliono

sostituirvi qualcosa di peggio.

Errico Malatesta

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche) 

 

Il 16/4/1978 le BR comunicano che l’interrogatorio di Moro è terminato: condannato a morte

Moro

 Il 9 di maggio di 43 anni fa, Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, viene ucciso dalle Brigate Rosse; il suo corpo viene fatto trovare in via Caetani, una strada di Roma che si trova vicino a via delle Botteghe Oscure (sede dell’allora Partito Comunista), e piazza del Gesù (sede della DC).

Il 23 MARZO 2014, l’ex (dal 2011 al 2012) ispettore di polizia Enrico Rossi (foto sotto), fa delle dichiarazioni all’Ansa:

“I Servizi segreti aiutarono le Br in via Fani”, “l’Honda di via Fani resta ancora un mistero”.

Durante la guerra fredda (guerra tra Est e Ovest, creata dalla Nato), eserciti segreti sono stati attivi in tutta l’Europa occidentale. Gladio faceva parte di questa rete, che avrebbe dovuto contrastare un’invasione del Patto di Varsavia. Certamente Gladio ha fatto parte a pieno titolo della guerra fredda che si è combattuta in Italia, ma bisogna evitare l’errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia.

Moro, ex poliziotto in Procura. “Nessun ostacolo alla mia indagine”

In Italia esisteva già una struttura clandestina statunitense anti-invasione, ma il direttore del Sifar aveva preso in considerazione la necessità di costituire a sua volta un nuovo organismo di questo genere e di cercare di arrivare a un coordinamento con quello americano anticomunista. Questa struttura avrebbe dovuto essere capace, in caso di invasione sovietica o jugoslava, di fornire informazioni, sabotare gli impianti dell’occupante e fornire assistenza ai militari rimasti dietro le linee. Gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia avevano già organizzato strutture simili, e non solo nel loro territorio. Successivamente, queste strutture furono fatte nascere in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale, comprese nazioni neutrali come Svezia e Svizzera. Tutte le strutture, inclusa poi Gladio, erano operanti nell’ambito Nato e coordinate dal Clandestine Planning Committee, l’organo multinazionale controllato dallo Shape (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), con sede a Bruxelles in Belgio. Quest’ultima struttura era un organismo di coordinamento tra le diverse nazioni dell’Europa Occidentale già operante dal 1948, anche se col nome di Western Union Clandestine Committee (Commissione clandestina dell’Unione occidentale). Nel 1990, in un articolo del 13 novembre, il giornalista dell’International Herald Tribune Joseph Fitchett, elaborò il termine “Resistenza della Nato”, per spiegare le funzioni di queste reti anticomuniste, finanziate in parte dalla Cia. Queste “armate segrete” ebbero diversi nomi, a seconda del Paese:  in Svizzera erano state denominate in codice “P26”, in Austria “OWSGV”, in Belgio “SDRA8”, in Danimarca “Absalon”, in Germania “TD BJD”, nel Lussemburgo semplicemente “Stay-Behind”, nei Paesi Bassi “I&O”, in Norvegia “ROC”, in Grecia “LOK”, in Turchia “Contro-Guerriglia”, in Portogallo “Aginter”. I nomi in codice degli eserciti segreti in Francia, in Finlandia, in Spagna e in Svezia rimangono tuttavia sconosciuti.

La Stay Behind italiana invece era costituita da 5 unità di pronto impiego in regioni di particolare interesse strategico, denominate: “Stella Alpina” nel Friuli, “Stella Marina” nella zona di Trieste, “Rododendro” nel Trentino Alto Adige, “Azalea” nel Veneto e “Ginestra” nella zona dei laghi lombardi.

La struttura, alle dipendenze dell’Ufficio R del Sifar, era articolata in 40 nuclei, dei quali 6 informativi, 10 di sabotaggio, 6 di propaganda, 6 di evasione e fuga, 12 di guerriglia. Inoltre erano state costituite 5 unità di guerriglia di pronto impiego in regioni di particolare interesse.

L’organizzazione su più livelli rese l’intera struttura più protetta nel caso una unità fosse stata scoperta. Esistevano, infatti, almeno 3 livelli: uno formato da elementi destinati a “durare” nel territorio eventualmente occupato, e quindi non facilmente individuabili in quanto insospettabili; un altro formato da unità di guerriglia di pronto impiego da attivare alle spalle del nemico come vere e proprie bande partigiane; un altro livello era direttivo. Quest’ultimo, il più protetto di tutti, è rimasto occulto anche agli occhi degli stessi “gladiatori”, ed era composto da individui i cui nomi dovevano rimanere ignoti (e che tutt’ora in effetti lo sono).

L’origine di Gladio è fatta risalire all’organizzazione O, la quale era originata da una formazione di partigiana bianchi, la Osoppo, formata da partigiani cattolici (foto sopra), che nel 1949 tradirono la lotta di classe firmando il Patto Atlantico anticomunista!  Meditate mediocri, meditate…

Ecco come hanno fatto a frenare i movimenti antagonisti degli anni ‘70: infiltrando nel movimento anche i partigiani bianchi che stavano con l’anticomunismo della Nato (peggio degli sbirri, da non fidarsi insomma!!). E poi se lamentano perché siamo diventati tutti individualità!! Non ce fidiamo de nessuno!! Che, semo scemi?  Forse ce dobbiamo ancora ripiglià, ma scemi no!! Siamo nati in basso, ecco perché nun ce fidiamo.

A partire dal 1963, ebbe inizio la posa dei contenitori all’interno dei depositi Nasco (materiali di carattere operativo da interrare nelle zone sensibili, nei cosiddetti Depositi Nasco, dove nascondevano armi e materiale Top secret). In totale, secondo le indagini portate avanti dagli inquirenti, i depositi Nasco sono stati 139. Fra i materiali in questione erano comprese armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, coltelli, mortai da 60 mm, cannoncini da 57 mm, fucili di precisione, radiotrasmittenti e così via. Parte del materiale Nasco risulterà essere identico a quello utilizzato per alcune stragi compiute in Italia. Ad esempio, l’esplosivo al plastico C4 ritrovato nel 1972 ad Aurisina, vicino a Trieste, sembra essere identico a quello utilizzato a Peteano per far saltare la Fiat 500 che uccise 3 militi dell’arma (si ammazzano anche tra di loro, non c’è una logica nella cultura militare!).

Il materiale destinato alla rete clandestina non era però solo quello interrato nei Nasco in contenitori sigillati, l’armamento e il materiale per le “Unità di pronto impiego” era anche in superficie, presso alcune caserme di cc e nella base di Capo Marrargiu, in Sardegna.

Il Centro e quartier generale dell’esercito clandestino di Gladio, fu la base militare sarda di Capo Marrargiu, che divenne il Centro Addestramento Guastatori (Gag). All’esterno della base appariva il simbolo della spada Gladio e il motto Silendo Libertatem Servo. La costruzione della “base” iniziò attorno al 1954. Furono innanzitutto acquisiti i permessi necessari, poi si procedette alla costituzione di una società a responsabilità limitata, la “Torre Marina”, costituita pubblicamente presso il notaio De Martino, che ebbe come soci il generale Musco, allora direttore dei Servizi segreti, il colonnello Santini, capo del Sios-Aeronautica, e il colonnello Fettarappa, dirigente dell’Ufficio R del Sifar. Per consentire di derogare alle norme di legge, che vietavano agli ufficiali di possedere quote azionarie e di costituire società, fu necessaria un’autorizzazione speciale del ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani. Per la realizzazione del Centro, la Cia destinò 300 milioni di lire. Il colonnello Renzo Rocca ebbe il compito di sovrintendere alla costruzione della nuova base stay behind italiana. Il Centro fu dotato, oltre delle strutture per l’ospitalità, anche di bunker sotterranei, apparati di radiotrasmissione a lunga distanza, poligoni di tiro, zone per i corsi sull’uso degli esplosivi, aule per le lezioni di carattere ideologico, attrezzature subacquee per l’addestramento di uomini-rana, un piccolo porto, due piste d’atterraggio per aeroplani e una per gli elicotteri.  Nel caso anche la Sardegna fosse stata occupata dal nemico, il Comando si sarebbe trasferito in Inghilterra.

All’interno della scuola di Capo Marrargiu operavano i cosiddetti “interni”, per lo più militari effettivi della 7ª Divisione dei Servizi militari, incaricati di formare e addestrare gli “esterni” (i gladiatori). La base sarda servì anche agli specialisti del Cag: infatti al suo interno si addestravano anche molti altri reparti speciali delle forze armate italiane e alleate. Presso la scuola sarda si tennero corsi di preparazione alle tecniche della “guerra non ortodossa anticomunista”, su temi quali sabotaggio, guerriglia, infiltrazione, esfiltrazione e occultamento e riesumazione di depositi Nasco.

In pratica si trattava di imparare tecniche di sabotaggio, di guerra a bassa intensità, di favorire l’introduzione clandestina di gruppi di reparti speciali alleati sul territorio occupato, di favorire l’uscita senza rischi dal territorio occupato di persone di rilevanza, come politici, scienziati, spie, oltre naturalmente agli elementi dei gruppi entrati clandestinamente. Per quanto riguarda, invece, l’occultamento dei depositi Nasco, tutto rimase nella teoria. Infatti i Nasco furono depositati nel 1963 da personale “interno” e nessuno dei gladiatori conosceva le ubicazioni in quanto, in caso di necessità d’uso, sarebbero state segnalate opportunamente tramite messaggi cifrati.

I servizi segreti, che controllavano le reti stay behind in Italiano, contattarono e protessero giovani neofascisti che furono poi coinvolti in una serie di operazioni terroristiche, di cui furono falsamente accusati anarchici per screditare la sinistra.

Gladio entra anche nella vicenda del cosiddetto “Piano Solo”. Il Piano Solo Un piano militare ideato nel 1964 dall’allora comandante dell‘arma dei cc Giovanni de Lorenzo. fu un tentativo di colpo di stato. Il Piano Solo fu predisposto con l’intenzione di creare una dittatura militare, “tutelare l’ordine pubblico”, e approvato da Antonio Segni, Presidente della Rep.

Il Piano Solo, fu un Colpo di stato organizzato solo dei carabinieri e predisposto dal generale dei carabinieri, partigiano bianco anticomunista, massone, De Lorenzo, capo del Sifar, che elaborò un progetto di golpe da attuarsi nel caso in cui il Governo di centro sinistra (presieduto da Aldo Moro) non ridimensionasse le sue istanze riformiste. Il Piano Solo prevedeva, oltre l’occupazione di obiettivi strategici nelle principali città italiane, anche l’arresto di oltre 700 dirigenti comunisti e socialisti, sindacalisti, intellettuali di sinistra ed esponenti della sinistra Dc da deportare poi in Sardegna, proprio nella base di Capo Marrangiu (dittatura militare). Sulla vicenda il governo pose il segreto di stato.

Nel caso Moro, la presenza di Gladio sembra impressionante. È stato appurato che almeno 14 giorni prima, la struttura Gladio fosse già a conoscenza del rapimento. Inoltre è stato appurato che alcuni proiettili sparati dai brigatisti in via Fani sembrano avere le stesse caratteristiche di quelle presenti nei depositi Nasco. La mattina della strage, in maniera del tutto casuale, il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base Gladio di Capo Marrargiu, si trovò a passare proprio nel momento in cui il Presidente Moro stava per essere rapito dai brigatisti. Anche la stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br per i loro comunicati durante il sequestro Moro, sembra provenisse dall’Ufficio del Raggruppamento Unità Speciali (Rus), ovvero l’ufficio che provvedeva all’addestramento dei gladiatori. Probabilmente Moro parlò di Gladio nel suo “processo” da parte delle Br, per questo la vicenda legata al memoriale che racchiude le rivelazioni dello statista è molto contorta, con smarrimenti di carte e ritrovamenti casuali, sino alla morte del generale Dalla Chiesa (ufficialmente ucciso dalla Mafia), che entrò in possesso di quelle carte.

Italo Toni e Graziella De Palo

Per concludere, anche nella morte della giornalista Graziella De Palo e del redattore Italo Toni sembra entrare la struttura Gladio. I due reporter, rapiti il 2 settembre 1980 in Libano e poi uccisi, stavano svolgendo un’inchiesta giornalistica su un presunto traffico internazionale di armi tra l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e l’Italia e sui campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano. Le inchieste condotte sulla morte dei due giornalisti, furono depistate da parte dei servizi segreti italiani. Il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, e il colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei Servizi a Beirut dal 1972 al 1981, risulteranno entrambi legati a Gladio. La loro improvvisa morte interruppe il processo a loro carico per le attività di depistaggio.

Mentre la Russia, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1986, apriva i suoi archivi segreti, gli Usa aggiunsero altri lucchetti ai loro, rifiutandosi di collaborare con gli organi italiani. In Italia, invece, pensarono bene di distruggere completamente una parte di questi archivi…

Arriva una lettera anonima che segnalava non un covo brigatista, ma “il” covo brigatista. Doverosamente il documento viene portato al ministero dell’Interno, non solo la segnalazione viene ignorata; la lettera sparisce. C’è di che restare basiti…

Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione parlamentare, usa un’espressione che non lascia spazio a equivoci: “La verità su quei giorni è stata tombata”.  Ci sono ancora una quantità di “pagine” oscure, fatti non spiegati…”.

La seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, smonta tutta la versione ufficiale accreditata per una quarantina d’anni. A via Fani (luogo del sequestro), a via Gradoli (covo romano dove si nascondeva il capo delle BR Mario Moretti), a via Montalcini (dove si dice sia stato tenuto prigioniero Moro), e a via Caetani (dove Moro viene fatto trovare morto), cioè i 4 luoghi chiave della vicenda, le cose non sono affatto andate come ce le hanno raccontate:

Romano Prodi

1) Non sappiamo la verità sulla famosa “seduta spiritica” nel corso della quale una “voce” sussurra il nome di Gradoli. I presenti per tutto questo tempo ci hanno raccontato quelle che si possono solo definire “balle”; dai professori Alberto Clò, Mario Baldassarri e Romano Prodi (foto sopra), ancora non è venuta la verità su quella giornata trascorsa nella casa del professor Clò a Zappolino.

2) Non sappiamo la verità sul brigatista che prese parte al rapimento di Moro e non ha fatto un solo minuto di carcere: quell’Alessio Casimirri che, secondo il suo incredibile racconto, riesce a lasciare l’Italia, transita senza documenti per alcuni giorni nella Mosca sovietica, infine riesce a imbarcarsi per il Nicaragua e beneficia di evidenti protezioni che vanno al di là e al di sopra dei governi che si avvicendano in quel paese. Casimirri vive tuttora indisturbato in Nicaragua: ha certamente avuto contatti coi servizi segreti italiani.

3) Non sono state chiarite tutte le dinamiche relative al falso comunicato brigatista, secondo il quale, Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago della Duchessa.

4) Non conosciamo perché, emerso il nome di Gradoli nel corso della famosa “seduta spiritica” si va nel paese, e non nella via a Roma; e anzi si nega alla vedova Moro che esista una via con quel nome, e la stessa vedova, stradario in mano, la indica; ma quella pista viene lasciata cadere; per poi riemergere nel modo in cui (non) sappiamo.

5) Non conosciamo l’esatta dinamica dell’omicidio di due ragazzi milanesi del centro sociale Leoncavallo, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, uccisi da 8 colpi di pistola a opera di estremisti di destra. La “coincidenza” è che Fausto, con la sua famiglia, abitava in via Montenevoso 9; a sette metri di distanza dalla camera di Fausto, al civico n° 8, c’era il famoso “covo” brigatista del “memoriale”. Una “coincidenza”? È “coincidenza” la morte di un giornalista de “l’Unità”, Mauro Brutto, che seguiva con particolare caparbietà la vicenda? Venne travolto da un automobilista “pirata” a Milano, mai individuato…

In quei giorni dopo il rapimento di Moro, Camera e Senato, con procedura d’urgenza, esprimono fiducia al governo: monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti. Per la prima volta il PCI appoggia il governo. Per la fermezza: democristiani, comunisti, repubblicani, missini; per la cosiddetta trattativa: socialisti, radicali, sinistra extraparlamentare.

Paolo VI con Aldo Moro (Foto Sir)

Il ruolo ambiguo (come sempre), giocato dal Vaticano è ancora tutto da spiegare: Papa Paolo VI era  amico di Moro e in un disperato tentativo di liberare Moro, il Vaticano dona una decina di miliardi di lire, per liberare la vita del leader democristiano. E, il 6 maggio del 1978, alle 19,35 arriva una telefonata a Castel Gandolfo, residenza estiva del papa, e luogo dove è custodito il denaro. Risponde monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI. Macchi impallidisce vistosamente. Sospira: “Il dramma è che anche a Sua Santità viene preclusa la possibilità di liberare Moro”. Sembra un dramma di Shakespeare. Quali oscuri interessi condannano Moro, la cui politica certamente dà fastidio a molti: poteri annidati a Washington, a Mosca e chissà dove?

 

Il popolo è sempre il mostro a cui mettere

la museruola, da curare mediante la

colonizzazione e la guerra, da ricacciare

il più possibile fuori dal diritto e dalla politica.

P.J. Proudhon

Fine I parte

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Sentenza di cassazione contro i due sbirri psicopatici che hanno torturato e ucciso Cucchi in caserma

Accadde oggi. 22 ottobre 2009: dieci anni fa Stefano Cucchi moriva ‘nelle mani’ dello Stato

Il 5 aprile la sentenza di cassazione contro i due sbirri sleali e psicopatici, ha diminuito la sentenza di condanna per la morte e le torture subite da Stefano Cucchi, portandola a 12 anni di reclusione anziché 13. La cassazione inoltre ha deciso che ci sarà un altro nuovo processo di appello per i due carabinieri sleali e vili (accusati anche di falso), per le torture e la morte di Stefano Cucchi.

Ilaria, la sorella, dopo la cassazione, dichiara ai mass media di essere soddisfatta finalmente della sentenza: “Giustizia è fatta, l’avevo promesso a Stefano”.  “Si chiude una pagina di vita e si scrive un pezzo di Storia. Il pensiero va ai miei genitori”.

La Cassazione ha deciso anche di riaprire l’appello bis per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere

Il 4 aprile 2022 c’ è stata invece la cassazione, per il ricorso dei carabinieri condannati per il pestaggio di Stefano Cucchi, il giovane romano morto in seguito alle percosse (torture) ricevute nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 nella caserma Casilina a Roma dopo essere stato arrestato e denunciato (per stupefacenti, a uso personale) dai carabinieri.

Questa vicenda processuale con l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo (foto a sinistra), ha restituito fiducia e speranza a tante persone che hanno dovuto subire la repressione e il nonnismo della cultura e della logica sleale, repressiva, razzista, meschina, militare degli ‘uomini in divisa’, soprattutto quella degli anni ‘60/’70.

Anselmo dichiara ai mass media: “Per arrivare a dei diritti ci sono voluti 7 anni, 15 gradi di giudizio, più di 150 udienze; dopo 13 anni si è arrivati a mettere la parola fine su questa vicenda crudele e assurda”.

La famiglia Cucchi chiede due milioni di euro. “Noi carne da macello”…

Secondo la sorella Ilaria: «Non sono avvocato, o esperta di leggi. Sono la sorella di Stefano. Non m’importa se andranno in carcere oppure no, una condanna sarà però un segnale importante”. Poi puntualizza: “quando si sbaglia si è chiamati a rispondere dei propri errori. Bisogna dire basta al senso di impunità. Stefano è morto nel disinteresse generale, dall’arresto alla morte è stato in contatto con ben 140 pubblici ufficiali. Nessuno ha fatto nulla per interrompere la catena letale di eventi”.

“Nel processo per direttissima Stefano è stato circa un’ora con un giudice e un pubblico ministero. Ha cominciato a morire in quell’aula di giustizia (…) e indifferenza”.

Ilaria Cucchi parla ancora di quanto è avvenuto in questi giorni; nessuno restituirà Stefano né a lei né alla famiglia. Ma finalmente emerge, dopo anni di gigantesche menzogne, il profilo della verità; e quelle istituzioni impunite, che troppo a lungo erano apparse ciniche e ostili, finalmente riconoscono l’inaudito crimine, si schierano dalla parte della giustizia.

L’unico che continua a far finta di non capire è il ministro dell’Interno di allora: Salvini.

«Per la prima volta dopo 7 anni, la verità è finalmente entrata anche in un’aula di giustizia. Ho provato una forte emozione nell’ascoltare la requisitoria del procuratore generale Eugenio Rubolino. Non siamo più soli a raccontare la verità. Fino alla sentenza della Cassazione a essere giudicato è stato mio fratello e non gli eventuali responsabili della sua morte: in primo grado, uno dei pubblici ministeri descrisse Stefano come un cafone maleducato; per altri era uno zombie, un drogato che se l’era cercata. Questa volta, invece, ho respirato un’aria nuova; ho sentito parlare di Stefano come di una persona meritevole, al pari di chiunque altro, di rispetto e dignità e soprattutto di quanto gli è stato fatto e delle conseguenze. La nostra lunga battaglia non è stata vana».

Si è vero, la famiglia di Cucchi è riuscita ad avere, in parte, giustizia per la morte e le feroci torture subite da Stefano, ma, purtroppo, non tutti hanno la possibilità di avere i soldi (soprattutto i sottoproletari), per pagare l’avvocato e avere diritti e giustizia sociale.

Massoneria

Noi Rsp, come Anarchici, abbiamo aperto un dibattito sulla classe sociale della massoneria, tenuto nel 2011 all’Università Statale di Milano, quindi mettiamo in discussione anche la classe sociale dei giudici e dei magistrati; siamo sempre disponibili a riaprire il dibattito.

Se non approfondiamo il ruolo della massoneria, non capiamo bene la Storia e le varie fasi della Storia, ma soprattutto non riusciamo a capire l’enormità del potere economico che gestiscono, spesso e volentieri in modo occulto, da secoli.

 Ma torniamo indietro nel tempo: 11 APRILE 2019, dopo 10 anni di processi, crolla il castello di menzogne e depistaggi per le torture e  l’uccisione di Stefano Cucchi.

“Stefano è stato ucciso dai servitori dello Stato, è stato vittima di tortura come Giulio Regeni”.

“Si tratta di stabilire solo il colore delle divise”, ha ribadito il Procuratore Rubolino.

Le foto di Cucchi torturato, esibite dai mass media, fanno pensare alla logica militare repressiva discriminatoria e violenta delle forze dell’ordine e dei soldati, quasi sempre impuniti.

Le foto di quel volto e corpo torturato, di quel fisico esile che era Stefano Cucchi, ci fa vergognare delle forze dell’ordine sleali e viscide.

Giulio Regeni, il messaggio della mamma nel giorno del compleanno: «Ti hanno rubato la vita»

La sorella di Stefano Cucchi disse: “Quando ho saputo che la madre di Regeni [foto sopra], aveva riconosciuto il figlio torturato e ucciso dalla punta del naso, sono tornata indietro al 22 ottobre 2009. Dietro una teca a guardare il cadavere di Stefano sul tavolo di un obitorio, devastato, irriconoscibile. Non somigliava affatto al fratello che avevo salutato appena 6 giorni prima, stava bene, era andato in palestra, mi aveva abbracciato, ci saremmo visti il giorno dopo”.

“Ho fissato a lungo il viso straziato, chiedendomi quale essere umano può fare una cosa del genere a un proprio simile. Nel suo volto ho letto la disperazione, l’abbandono, la solitudine. Allora credevo pienamente nelle istituzioni… La mattina in cui era stata fissata l’autopsia, frastornata, chiamai l’avvocato Fabio Anselmo. Mi consigliò di fotografare il corpo. Ci sono i medici legali, replicai, perché fotografare l’orrore? Dovremo provare tutto, rispose. In quel momento tutto il mio mondo mi è crollato addosso. Ora lo so e lo dico da tempo, Stefano è morto di dolore, lentamente, e nessuno ha fatto nulla per salvargli la vita. La situazione era grave, diveniva sempre più critica, precipitava e i medici non gli hanno neppure preso il polso”.

La sorella di Cucchi prosegue l’intervista ai mass media: Il procuratore generale ha chiesto 4 anni di condanna per i medici del Pertini, accusati di omicidio colposo. Una pena giusta?  «Non sono avvocato, o esperta di leggi. Sono la sorella di Stefano. Non m’importa se andranno in carcere oppure no, una condanna sarà però un segnale importante: quando si sbaglia si è chiamati a rispondere dei propri errori. Bisogna dire basta al senso di impunità. Stefano è morto nel disinteresse generale, dall’arresto alla morte è stato in contatto con ben 140 pubblici ufficiali. Nessuno ha fatto nulla per interrompere la catena letale di eventi. Non intendo un gesto di pietà, ma semplicemente il fare il proprio dovere denunciando quanto era sotto i loro occhi. Nel processo per direttissima Stefano è stato circa un’ora con un giudice e un pubblico ministero. Ha cominciato a morire in quell’aula di giustizia e di indifferenza». Intanto nell’ambito dell’inchiesta bis avviata dalla Procura di Roma, il collegio dei periti nominato dal Gip per stabilire la natura delle lesioni sul corpo di Stefano, aveva chiesto altri 90 giorni per completare l’incarico. Il giudice ne ha accordati 30, fissando l’incidente probatorio al 28 luglio.

Pignatone sotto assedio: preso a bastonate per inchiesta Palamara e scaricato da Travaglio

«Sette anni di perizie e raccolta di documentazioni non sembrano bastare. Mi fido del procuratore Pignatone (foto sopra), del pubblico ministero Giovanni Musarò, del mio avvocato. Ma ho paura. Ho imparato sulla mia pelle e dall’esperienza di altri processi che le consulenze scientifiche condizionano irrevocabilmente i processi. Subentra anche una sorta di “guerra” tra accademici. Per Stefano si è parlato addirittura di una bizzarra caduta accidentale, senza neanche preoccuparsi di renderne credibile la dinamica e gli effetti. In questi 7 anni di infinite udienze, si è detto pure che mio fratello aveva il catetere per comodità, pur di minimizzare le conseguenze di un pestaggio, negato per 7 anni. Ora è la Procura di Roma ad aver aperto un’istruttoria per il violentissimo pestaggio e indagato dei carabinieri».  Alla guida del collegio peritale è Franco Introna, ordinario di Medicina legale all’Università di Bari, ex massone, un passato in Alleanza Nazionale, candidato PdL nel 2009. “Va detto che il nostro consulente storico, il professor Vittorio Fineschi, appresa la nomina di Introna ha rinunciato al mandato. Al momento ai carabinieri vengono contestate lesioni aggravate, un reato con un termine di prescrizione breve”.

“Rispetto a sette anni fa, c’è una diversa sensibilità nelle persone comuni sui diritti fondamentali di ogni essere umano, si è capito che riguarda tutti. La lotta per la verità della madre, del padre, della sorella di Stefano Cucchi e di tante altre famiglie ha scosso la coscienza collettiva di tutti”.

Il gip Elvira Tamburelli capo del collegio dei periti, domanda a Francesco Introna: «Vuole chiarire l’appartenenza alla massoneria?». «Io dal 1980 fino al 1982 ho fatto parte di una loggia che si chiama Saggezza Trionfante».  Introna ammette che il 29/1/2022 (giorno in cui il gip Tamburelli incontra Introna per il conferimento dell’incarico). «Sono andato via dalla massoneria e non sono neanche nella posizione in sonno». «Quindi — ribatte il gip — lei non è in sonno?». «No, neanche in sonno», replica Introna. «Ha qualche legame con la loggia del grande oriente d’Italia collegata alla sede romana?», incalza sempre Tamburelli. «No, dottoressa io non ricordavo nemmeno più l’evento», replica il perito.

L’intenzione dell’Arma è di costituirsi parte civile nel futuro processo per depistaggio, se saranno rinviati a giudizio gli 8 ufficiali indagati…

Si costituirà parte civile anche il ministero della Difesa. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Conte, a nome di tutto il governo. Prendo atto però che c’è ancora chi non vuol capire…

Quel cattofascista, venduto, arrivista  dell’ex ministro dell’Interno Salvini, ha voluto ripetere la frase (come fa ormai da anni), senza nemmeno informarsi meglio, prima di dichiarare ai mass media: “comunque io sono dalla parte delle forze dell’ordine”.

Dal 2018 in poi Salvini ha affiancato alla vecchia Lega Nord un nuovo partito, la Lega per Salvini Premier, rinunciando definitivamente al tema dell’indipendentismo padano e significativamente alla parola “Nord” nel simbolo. Questo diverso indirizzo ha consentito alla nuova Lega di affermarsi come primo partito alle elezioni europee del 2019 (diventando più fascista, arrivista e opportunista).

A seguito delle elezioni politiche del 2018, grazie all’accordo tra Lega e Movimento 5 Stelle che ha portato alla nascita del governo Conte I, quella merda di Salvini ha ricoperto le cariche di Ministro dell’interno e Vicepresidente del Consiglio nel suddetto esecutivo, durato circa 15 mesi.

Dichiara la sorella di Cucchi: “Abbiamo ascoltato in aula il racconto dell’uccisione di mio fratello, l’ho ascoltata io e soprattutto, l’hanno ascoltata i miei genitori, seduti come sempre in fondo all’aula. Dal punto di vista emotivo, non è stato un momento facile. Eppure quelle cose le sapevamo da sempre, le sapevano tutti coloro che avevano deciso di approfondire questa storia, di guardare oltre ciò che si voleva far credere. Però ci sono voluti 10 anni per ascoltarle anche in un’aula di giustizia”.

Ilaria continua: “Mentre ascoltavo Tedesco descrivere dettagliatamente quello che era accaduto quella notte, le spinte, i pugni, i calci in faccia, ricordavo la perizia del professor Arbarello, il consulente medico legale dell’allora pubblico ministero, e poi successivamente quella della dottoressa Cattaneo, nominata dalla Corte d’Assise. Ricordavo i disegnini della consulente, le simulazioni di quella “caduta accidentale”, i paroloni per descrivere, in un’aula di tribunale, come Stefano con un’unica caduta si sarebbe potuto procurare tutte quelle lezioni in più parti del corpo. Era un processo (fin dall’istante successivo la morte di Stefano), scritto a tavolino dai superiori di coloro che oggi sono sul banco degli imputati, gli stessi che avevano già, nero su bianco, le conclusioni della perizia del professor Albarello, addirittura prima che venisse nominato consulente nel primo processo”.

Poi Ilaria dichiara: “Da anni, quando cammino per strada in tanti si fermano, c’è chi mi abbraccia, chi mi ripete “vai avanti”. Io confido sul senso di responsabilità dei giudici. È necessario un segnale, le persone hanno bisogno di fidarsi pienamente delle Istituzioni, in uno Stato democratico, oggi più che mai in un momento tanto difficile e cupo”.

“Molto spesso, purtroppo, quando rappresentanti dello Stato si trovano coinvolti in situazioni di abuso e violazione dei diritti umani (e ci scappa il morto) si nascondono dietro la divisa. Molto spesso è stato constatato che sono stati aiutati da colleghi e sindacati di categoria. Bisogna resistere resistere resistere e aver fiducia”, ha scritto Ilaria su Facebook per commentare la chiusura della nuova inchiesta.  https://www.youtube.com/watch?v=dZblnm2du_0

Stefano Cucchi: Digos infame e boia!!!

Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza, il suo potere.

dal “Manifesto Internazionale anarchico contro la guerra” (1915)

 

Solidarietà a tutti i proletari e sottoproletari che sono stati incarcerati e hanno subito abusi di potere dalle forze del disordine.

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Basta alternanza SCUOLA – (sfruttamento e incidenti sul) LAVORO! Ripristiniamo lo Statuto dei lavoratori

Nella giornata di ieri, i mass media scrivono che è morto sul lavoro un altro ragazzo che stava lavorando con un contratto: scuola lavoro – apprendistato (da sfruttato), in una ditta in provincia di Ancona.

Il giovane aveva solo 16 anni e si chiamava Giuseppe Lenoci (foto), muore mentre era in viaggio a Serra de’ Conti nell’ambito di un corso di accompagnamento al lavoro, che prevedeva una parte di lezioni in aula e una parte pratica come stage presso un’azienda. Corsi organizzati da enti di formazione del territorio e finanziati dalla Regione Marche. Ma il paradosso è che la regione (ente pubblico), paga le imprese per far lavorare (sfruttare) i giovani studenti.

L’incidente mortale ha riaperto le polemiche sull’alternanza scuola lavoro, oggetto della mobilitazione studentesca delle ultime settimane, dopo la morte sul lavoro del giovane 18enne Lorenzo Parelli, colpito da una trave d’acciaio in una fabbrica a Lanuzacco (Udine) dove stava svolgendo un periodo di apprendistato.

Quel pagliaccio del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, dopo aver appreso la notizia della morte del giovane Giuseppe Lenoci, ha dichiarato ai mass media:

“La sicurezza sul lavoro deve essere sempre garantita, a maggior ragione quando sono coinvolti dei ragazzi in formazione. Su questo abbiamo già avviato un confronto con il Ministro del Lavoro Orlando e messo a ragionare i nostri tecnici. Credo sia urgente ritrovarci anche insieme alle Regioni per un percorso che porti a una maggiore sicurezza in tutti i percorsi di formazione dove sono previsti contatti dei nostri giovani con il mondo del lavoro”

Il ministro dell’istruzione (foto sotto), lo abbiamo definito pagliaccio perché finge di non sapere che i politici come lui, ci hanno tolto i diritti sul lavoro togliendoci lo statuto dei lavoratori (compreso l’articolo 18), diritti ottenuti con le lotte degli studenti e dei lavoratori negli anni ‘60/’70, per imporci il libero mercato, fatto di contratti di lavoro subordinati, flessibili, da schiavi. L’aumento degli incidenti e dei morti sul lavoro è una conseguenza molto prevedibile.

Il Ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi a Bergamo - BergamoNews

Il libero mercato, imposto con la legge Biagi (2003) e la riforma Fornero (2012), è servito solo per ingrassare ulteriormente il padrone, non certo per i diritti dei lavoratori anzi, ci ha declassato, ci ha riportato ai tempi del dopo guerra dove i diritti erano un optional…

Ci hanno tolto lo statuto dei lavoratori per imporci il libero mercato con contratti di lavoro al ribasso (da schiavo – da fame). Contratti di lavoro anticostituzionali ma che con le varie riforme del lavoro sono diventati regolari per la costituzione Italiana.

Hanno modificato lo Statuto dei lavoratori per rendere più facili i licenziamenti individuali (art.18) per motivi economici, hanno fatto modifiche ai contratti dei collaboratori e alla durata dei lavoratori a termine, e ci hanno imposto un nuovo sistema al ribasso di ammortizzatori sociali.

scuola occupata darwin

Il 18 febbraio gli studenti saranno in piazza in tutta Italia contro alternanza, maturità e repressione subita, dichiara Luca Redolfi, coordinatore nazionale dell’Unione Degli Studenti che ricorda: “la lunga lista di morti sul lavoro causati da un sistema malato, volto solamente al profitto: vogliamo sicurezza dentro e fuori le scuole, vogliamo che l’alternanza scuola-lavoro e gli stage vadano aboliti a favore dell’istruzione integrata”. “Ci chiediamo quanti altri studenti e giovani debbano morire prima che l’idea di un sistema unicamente volto al profitto e allo sfruttamento, cambi, una volta per tutte”, conclude Redolfi. “Non è possibile morire di lavoro a 16 anni, questo evidentemente ci deve far interrogare profondamente non solo sul rapporto fra scuola e lavoro, ma anche su quanto ci sia urgenza in questo paese di risolvere il problema della sicurezza sul lavoro”, dichiara la Rete degli Studenti. L’Usb torna a chiedere la fine “dell’alternanza scuola lavoro, della scuola azienda, e la revisione totale dei modelli della formazione professionale questa specie di serie B dell’ingresso nel mondo del lavoro riservata ai ragazzi che alle medie ricevono il bollino ‘scarso’, il 6 o giù di lì, e per questo vengono gettati nel calderone del lavoro non qualificato. Un calderone in cui sguazzano le aziende che piegano la formazione alle loro esigenze, con tutto quel che ne consegue per la sicurezza e la salute dei giovani”.

Anche a Torino gli studenti non ci stanno al gioco sporco imposto dallo Stato massomafioso (così lo aveva definito Falcone), e sono scesi in piazza XVIII dicembre per la mobilitazione nazionale contro stage, maturità e repressione (annuncia Federico Bernardini, presidente della Consulta degli studenti di Torino). Questa è la scuola che hanno voluto governi e padroni. Sappiamo cosa fare, nessuno ha più scuse. Attendiamo la prossima conferenza della Lamorgese in cui ci spiegherà di nuovo che queste morti simboleggiano la ripresa del Paese, o parlerà ancora di fantomatici infiltrati nelle proteste degli studenti”.

Torino - Muore a 16 anni durante uno stage, in città esplode la protesta: 20 scuole occupate. La situazione - Torino News 24 - Le news da Torino

A un mese dalla morte a Udine di un altro studente in stage, il 18enne Lorenzo Parelli, salgono a 20 le scuole occupate in tutt’Italia.

Alle manifestazioni studentesche di questi giorni, ci sono state ulteriori occupazioni nelle scuole come: l’istituto Regina Margherita e l’istituto Albe Steiner, sotto la Mole, e a Pinerolo l’istituto Buniva.

Ma ritorniamo indietro nella Storia:

Lo Statuto dei lavoratori nasce con la legge 300 del 20/5/1970, è il risultato delle lotte sindacali degli anni ’60, insieme agli studenti e agli operai. Con esso si è regolato e limitato il potere dei datori di lavoro all’interno delle aziende, in rispetto dell’art. 41, 2° comma della Costituzione italiana e conteneva norme giuridiche sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori.

Lo Statuto dei Lavoratori si compone di 6 Titoli e di 41 articoli. La promulgazione della legge introdusse ingenti modifiche su tutta la sfera che investiva il mondo del lavoro: dalle condizioni sociali in cui il lavoro verteva ai rapporti coi datori. Introdusse e sottolineò anche l’importanza delle rappresentanze sindacali. Al tempo, l’Italia era scossa da manifestazioni e proteste di chi lottava per far sì che i propri diritti fossero riconosciuti: fu proprio quel 20/5/1970 che l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori, divenne fra gli interventi legislativi decisivi in materia di diritti sul lavoro.

Quelle immagini della manifestazione studentesca del 28/1/ 2022 di ragazze e ragazzi picchiati a sangue da agenti delle forze dell’ordine (che rappresentano lo Stato italiano), hanno colpito profondamente tutti, perché ci ricordano i metodi vigliacchi come l’uccisione e le torture fatte al compagno Pinelli ucciso in questura), i metodi repressivi e autoritari che hanno sempre usato le forze del disordine (es: repressione e torture durante G8 di Genova 2001), durante le manifestazioni, dai lontani anni ‘60 fino ad oggi. Tanto più che i cortei del 28, erano pacifici, e gli studenti manifestavano per il caso gravissimo di Lorenzo Parelli, studente di 18 anni, morto sul lavoro e morto, anche a scuola.

La Cub Torino ha dichiarato ai mass media: “piena solidarietà agli studenti” ribadendo l’impegno «per l’abolizione dell’alternanza scuola lavoro, una norma che rende le scuole subalterne al sistema delle imprese ed è volta solo a un addestramento delle giovani generazioni a condizioni di sfruttamento e precarietà”. Colpi violenti sulla testa, sangue e violenza (foto sopra), questo il drammatico bilancio delle cariche della polizia contro gli studenti che manifestavano pacificamente in tante città italiane dopo la morte di Lorenzo.

Samuele, 22 anni (uno degli studenti scesi in piazza a Torino rimasto coinvolto nelle cariche della polizia), ha girato alcuni dei video delle cariche della polizia sugli studenti diventati virali, immagini in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dalla questura. Il ragazzo parla di “narrazioni distorte” riportate dai media. “Noi ci siamo ritrovati in piazza e da lì abbiamo provato a muoverci, ma dopo 5 metri già la polizia ci ha fermati. E ci ha iniziato a caricare da subito.

Solidarietà a compagne e compagni anarchici rinchiusi per aver portato avanti gli ideali utopistici dell’Anarchia in questo mondo ingiusto e crudele.

 

PRESA DIRETTA – LICENZIAMENTI E MORTI SUL LAVORO – Parte 1 (14-02-2022)

https://www.youtube.com/watch?v=3DbfcrwyDWo

PRESA DIRETTA – LICENZIAMENTI E MORTI SUL LAVORO – Parte 2 (14-02-2022)

PRESA DIRETTA 14/02/2022 – STORIA DI LUANA: MORIRE DI LAVORO A 22 ANNI

Storia di Luana: morire di lavoro a 22 anni – Presa Diretta 14/02/2022

 

Alcuni degli schiavi proteggono il padrone,

affinché questi possa continuare a tenere questi

e tutti gli altri in schiavitù.

A. Berkman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Alice finalmente libera dalla repressione del TSO!

La mia infanzia in manicomio, a tre anni legato al termosifone» – MonolituM

Sul nostro articolo dello scorso anno, è riportata la lettera scritta dal papà di Alice che chiedeva disperatamente aiuto per liberare sua figlia da una struttura che la teneva costretta contro la loro volontà. Sembra un incubo, un film del terrore, ma purtroppo è una macabra realtà, una ‘prassi’ che troppo spesso si conclude con una morte violenta delle vittime della psichiatria per mano di sadici aguzzini senza scrupoli:

https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2020/06/11/alice-libera-lettera-di-denuncia-di-un-padre-che-chiede-giustizia-per-la-figlia/

Dalla mail che ci hanno scritto ieri i compagni e amici del collettivo Artaud:
Alice sta bene, sta con il padre come lei ha sempre desiderato e non è più in una struttura contro la sua volontà.
Purtroppo ha ancora l’amministratore di sostegno e per il momento non ha ancora potuto fare l’operazione di rimozione della tracheotomia.
Siamo sempre in contatto con lei e con il padre. Vi ringraziamo per l’interessamento, vi terremo aggiornati e in caso di nuove iniziative vi faremo sapere.
Tanti saluti
il collettivo Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 

Noi (Rsp) ringraziamo loro e tutti quelli che si sono dati da fare per liberare Alice dalla trappola mortale della psichiatria e dai suoi lager.

La Onlus lager di Castelbuono, “Dottoressa mi faccia uscire", i nomi degli arrestati - Diretta Sicilia

Il 17 dicembre a Castelbuono (Palermo), i mass media scrivono che sono stati scoperti gravissimi episodi di maltrattamento a danno di disabili nella casa di cura ‘Suor Rosina La Grua’. Per questi gravi reati sono accusate 35 persone di: tortura, maltrattamenti e sequestro di persona, corruzione, truffa aggravata delle rette pubbliche, malversazione e frode nelle pubbliche forniture. E’ stata messa sotto sequestro la ‘casa degli orrori’ dove avvenivano le torture agli utenti, e i loro profitti finanziari per un valore di oltre 6,7 milioni di euro. Il lager era gestito da una onlus (sigla di: Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale!!!) e accudivano 23 pazienti con disabilità grave, in regime di convenzione pubblica. Gli operatori che dovevano accudire i pazienti erano persone crudeli, disumane, che non hanno avuto pietà nemmeno per delle persone svantaggiate, deboli (che non si possono difendere), sfortunate: per punizione venivano rinchiusi in una stanza di pochi metri quadrati chiamata “relax” dove venivano portati di peso e rinchiusi, sia di giorno che di notte, completamente vuota e senza servizi igienici. Le vittime rimanevano al buio senza alcuna assistenza, supplicando per avere dell’acqua o del cibo, e costretti a fare i propri bisogni sul pavimento. i pazienti in questa stanza venivano picchiati e insultati. Alcuni operatori del lager nazista, oltre a umiliarli, non li accudivano: non li lavavano e il mangiare era scarso e faceva schifo, la struttura in cui vivevano era malsana, sporca e non a norma. L’ amministratore e i soci della onlus avevano speculato e rubato negli ultimi 5 anni alla Regione Sicilia (attraverso le convenzioni con l’Asp di Palermo), 6,2 milioni di soldi pubblici. Ma non è finita qua: 470 mila euro sono stati utilizzati per i loro futili interessi personali, invece di utilizzarli per i fabbisogni dei pazienti, o per la manutenzione della sede fatiscente, venivano invece sottratti e utilizzati per l’acquisto di auto, o di viaggi e soggiorni in alberghi di lusso, o l’acquisto di gioielli preziosi. E’ stato accusato per corruzione anche un funzionario dell’Asp di Palermo, per non aver svolto i controlli necessari per evitare questo degrado umano, in cambio aveva ottenuto l’assunzione del figlio e della nuora. Secondo le indagini, tutto il personale sanitario e paramedico in servizio presso la Onlus, con la compiacenza della proprietà (cattolici), sottoponeva i pazienti a maltrattamenti che gli provocavano gravi sofferenze psicologiche e psichiche. La struttura psichiatrica usava come prassi educativa per l’inserimento sociale: le botte, il digiuno, i calci e gli schiaffi. I pazienti disabili venivano sedati con una terapie farmacologica a base di potenti psicofarmaci (che portavano a lungo termine se non somministrati quotidianamente, all’astinenza e a gravi disturbi comportamentali), che non erano stati prescritti dai medici. Gli utenti erano costretti a vivere in un regime cattofascista, contrario al principio di umanità, in un contesto sociale crudele, che non migliorava di certo la loro condizione psicofisica, ma anzi, aggravava ancora di più la loro condizione mentale. La onlus era convenzionata col Servizio Sanitario e gli operatori, che avrebbero dovuto dare assistenza ai pazienti, si erano comperati coi soldi delle rette, perfino delle automobili, per un valore di 120, centotrentamila euro, tutte pagate dalla casa di cura psichiatrica ‘Suor Rosina La Grua’.

Ma queste situazioni di degrato umano sono destinate ad aumentare: nel 2020 con lo stato di emergenza sanitaria, provocato dal Covid 19, il quadro dei disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva (giovani di età compresa tra 0 e 18 anni), stanno aumentando. Un peggioramentro dovuto all’isolamento, imposto dalle restrizioni sanitarie (dittatura sanitaria). Durante il lockdown si è registrato un aumento di adolescenti con disagi che spesso assumono forme drammatiche: condotte autolesive, crisi di aggressività e disturbi dissociativi. In parallelo crescono anche il rifiuto di andare a scuola e la dipendenza grave da internet che si manifesta già dalle scuole medie. Sono le ragazze ad esibire gli aspetti di sofferenza più importanti. L’isolamento e il desiderio di vita all’esterno che si è ridotto negli adolescenti, fanno emergere aspetti depressivi che mettono in crisi le famiglie. Gli adolescenti si sentono più fragili e soli, ed è preciso dovere di una società che si definisce ‘sana’ averne cura, proponendo luoghi e attività di aggregazione sociale che oggi scarseggiano anzi, quei pochi che si autogestiscono, vengono violentemente sgomberati!

Ma facciamo un po di storia:

Gli ospedali psichiatrici istituiti in Italia dal XV secolo, furono istituzionalizzati per la prima volta con la legge Giolitti del 1904. Qui nasce la forma del manicomio così com’è rimasto per gran parte degli anni successivi. Viene ufficializzata la funzione pubblica della psichiatria e nascono gli ospedali politici giudiziari. Viene definito il potere del direttore del manicomio e, soprattutto, si sancisce il legame tra malattia mentale e pericolosità, con l’introduzione dell’obbligo del ricovero che diventa coatto. L’intervento della famiglia per respingere un ricovero di questo tipo non veniva considerata. Il business dei manicomi avveniva in vecchi conventi, dove venivano tolti i diritti civili e politici agli internati. Il manicomio divenne quindi il più pratico strumento per ‘togliere di mezzo’ persone scomode, bypassando lunghi e complessi iter giuridici. In quel periodo nascevano anche i dispensari, le case di cura cattoliche private, gli istituti per bambini considerati tardivi, orfani (perchè abbandonati dalle famiglie che non potevano mantenerli), chiamati poi centri medico-psico-pedagogici, che accoglievano adulti e minori considerati malati di mente. Nei manicomi si affollavano centinaia di persone, senza nessun tipo di trattamento o programma individuale, semplicemente ci si curava che non disturbassero troppo, e se succedeva, venivano calmati con metodi estremamente brutali. Dalla lobotomia, alla doccia fredda, passando per l’elettroshock, e apparecchi immobilizzatori. I manicomi istituzionalizzati da Giolitti, servivano quindi per escludere chi non rientrava in una ‘norma sociale’, e sottoporlo a misure punitive e a un tragico abbandono sistematico e istituzionalizzato, a qualunque età (adulti e bambini).

Un passato dell’Italia oggi ancora opaco (si vergognano a raccontarlo) e ai più sconosciuto: quello delle storie di bambini e donne rinchiusi in manicomio. Gli individui deboli, diversi, malati ma anche solamente poveri, colpiti da un triste evento, o sfortunati che finivano in strutture psichiatriche, non venivano aiutati e curati, ma abbandonati, privati di diritti e dignità, trattati in modo disumano, con pratiche quali l’elettroshock e la contenzione costante, trasformati negli “ultimi” della società e gettati nel calderone del manicomio. Perfino i più piccoli venivano marchiati da quella moderna inquisizione, con motivi discriminatori e futili come l’ iperattività, la disabilità psicofisica grave, o perchè erano ciechi oppure, semplicemente, perché poveri.

Manicomi, luoghi per donne troppo libere | Roba da Donne

Il fascismo si servì del ricovero coatto come arma politica soprattutto dal 1927 in poi, quando il controllo da parte del regime divenne più forte. Il ricovero coatto veniva applicato a larga parte degli oppositori politici, e con modalità semplicistiche. La condanna non richiedeva una Commissione provinciale, era sufficiente una segnalazione o un’ordinanza di pubblica sicurezza e un certificato medico. Il rifiuto a uniformarsi condannava non solo gli oppositori, ma anche la “classe inferiore” (poveri) che minava l’equilibrio ricercato dal regime. Gli utenti venivano schedati come schizofrenici paranoici, o con schizofrenia latente o schizofrenia indolente. Da qui potrebbe essere nata l’idea della psichiatria come arma di controllo del dissenso. Il dissenso ideologico diventava il sintomo di una grave disfunzione psicologica.

Nel 1948 le cose cambiano. Con la Repubblica e la promulgazione della Costituzione, la privazione di libertà decretata dalla Legge Giolitti non è più accettabile. C’è una nuova sensibilità in materia, più improntata a uno spirito di rispetto dei diritti umani. Ma anche la volontà di considerare l’internato non come un detenuto, ma come un paziente. Questi due principi divennero, negli anni ’70, il centro del pensiero di Franco Basaglia, neurologo e psichiatra di Trieste, che portò modifiche fondamentali all’approccio della malattia mentale. Basaglia si impegnò affinché fossero eliminati il completo isolamento, i metodi drastici e l’abuso del soggetto ricoverato. Un’applicazione dei diritti umani anche nell’ambito psichiatrico. Il 15/5/1978 arriva così la Legge 180 (o Legge Basaglia) che porta l’eliminazione dei manicomi dal sistema nazionale italiano e all’introduzione dei trattamenti volontari per malattia mentale. Il passaggio dalla legge Giolitti alla legge Basaglia è, allora, il risultato di un’evoluzione generale della coscienza della società, anche nei confronti del potere. È possibile che si sia passati da una visione dell’autorità come inavvicinabile e automaticamente assertiva e violenta, come era in epoca fascista, a una nuova lettura in cui i vertici sono messi in discussione. I movimenti degli anni ’70-’80 mirarono a sopprimere l’abitudine di vedere il malato come un caso da isolare più che da curare.

Deputati PD в Twitter: "40 anni fa moriva Franco Basaglia. Rivoluzionò il modo di guardare alla salute mentale. A lui dobbiamo la chiusura dei manicomi, grazie a lui fu restituita dignità ai

Quindi dalla legge Giolitti del 1904, bisogna attendere il 1978 con la legge Basaglia, che si occupò concretamente dello stato dei manicomi italiani e dei pazienti in essi detenuti, gettando le basi, poi proseguite in seguito all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, per la completa chiusura degli istituti psichiatrici e lo spostamento dei loro ospiti negli istituti di servizi di igiene mentale pubblici. Ma i trattamenti, nonostante la legge Basaglia non erano cambiati: le persone erano obbligate alla contenzione e sottoposte al limite della tortura e dell’umanamente accettabile, i metodi usati per trattare i pazienti, più che essere volti al loro effettivo recupero con l’obiettivo di un possibile reinserimento in società, sovente contribuivano a peggiorare l’instabilità psicologica.

Ancora oggi adulti e bambini che molto spesso hanno avuto traumi psicologici e fisici dovuti al contesto familiare e sociale (autistici è uno dei tanti marchi che gli appongono gli psichiatri), possono essere ancora invisibili, schedati e diagnosticati prima che compresi, trattati con farmaci e non ascoltati, valorizzati come esseri umani e rispettati.

Il TSO è l’ultima eredità dei manicomi

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TSO significa Trattamento Sanitario Obbligatorio, ovvero quando una persona viene sottoposta a cure mediche contro la sua volontà (legge del 23/12/1978, articolo 34). Sono 9.102 le persone sottoposte a Tso nel 2014, 3.351 i casi al Nord, 1.698 al Centro, 2.367 al Sud e 1.686 nelle isole, con un record in Sicilia, regione che da sola ha toccato quota 1.336, il 6,8% del totale. A Roma vengono praticati in media 3 Tso al giorno, ed è stata istituita apposta una pattuglia di sbirri per la gestione di Aso e Tso. Persone che si sono risvegliati in un reparto psichiatrico dopo un banale litigio in famiglia, dopo un’incomprensione col fidanzato. Un Tso eseguito senza i pareri clinici di due medici e senza la visita prescritta è di fatto un abuso, sta solo al sindaco e al giudice evitare tali abusi. Questi procedimenti discriminatori non hanno tenuto conto delle condizioni sociali, come la crisi economica degli anni ’90 (che continua ancora oggi), che ha portato inevitabilmente al disagio sociale in forte aumentato, e non mancano situazioni-limite, come la perdita della casa e del lavoro. Per legge il Tso ha una durata di 7 giorni, ma è possibile che il sanitario responsabile chieda una proroga del trattamento informandone il sindaco con proposte banali non motivate. Il sindaco, a sua volta, dovrà informare il giudice tutelare per la convalida della proroga (prassi).

Vi consigliamo di vedere il documentario “87 ore” che mostra ciò che avvenne a Francesco Mastrogiovanni nell’agosto del 2009, durante un TSO. Costanza Quatriglio, regista di 87 ore, ha montato la storia di Mastrogiovanni, conclusasi con la morte del paziente dopo 87 ore, legato al letto. Basaglia, da persona che sapeva prevedere, era contrario al TSO e lo accettò storcendo il naso, il movimento antipsichiatrico, più radicale, da tempo mette in guardia sul ritorno della vecchia psichiatria autoritaria e custodialistica che si infiltra nelle nuove istituzioni post Legge 180, spesso mediante il TSO. Il comportamento del paziente, si può esaminare nei dettagli se lo si studia in rapporto al contesto familiare e sociale di vita: tutto diventa più comprensibile. Sorge l’impressione che nel soggetto non vi sia nulla di veramente “malato”, ma vi sia solo un modo di reagire a una situazione psicologica interpersonale e sociale “non vivibile”. Il problema principale di questi pazienti, molto spesso sono stati i traumi fisici e psicologici subiti da piccoli e la mancanza d’affetto durante l’infanzia, che porta all’instabilità psicofisica di qualsiasi essere umano.

La pedagogia speciale – 4C VAGABONDA

La pedagogia nasce tra il 12° e il 13° secolo, ma è solamente negli anni ’70 che viene umanizzata, grazie alle lotte degli studenti. Prima degli anni ’70 il bambino non veniva considerato, veniva considerato solo quando era adulto, solo allora poteva esprimere il suo pensiero. I metodi educativi erano molto disumani: per esmpio durante il periodo delle due guerre mondiali, i bambini venivano educati con una disciplina crudele e militare che non teneva conto di certo della libera espressione dell’essere umano, in famiglia mancava la relazione coi genitori che molto spesso erano rigidi e inaffettivi, sia i ricchi che i poveri. I figli dei contadini erano obbligati a lavorare nei campi fin da bambini, mentre i figli dei ricchi venivano rinchiusi nei collegi cattolici privati per studiare e subivano una disciplina autoritaria e militare. E’ solo negli anni ’70 che la pedagogia cambia, dando più importanza e attenzione ai bambini, introducendo nella Costituzione il diritto di studiare per tutti, senza discriminazione di classe sociale, ma non solo, viene abolito il lavoro minorile, una grande rivoluzione per quanto riguarda il loro diritto e benessere psicofisico.

Purtroppo però, ancora oggi nelle famiglie manca la relazione, il lavoro sottrae a entrambi i genitori il tempo per stare coi propri figli e seguirli con un bagaglio culturale pedagogico idoneo a farli crescere in un contesto familiare felice e appagante. La scuola ancora oggi usa metodi selettivi rigidi che non danno la possibilità al bambino di imparare ad esprimersi liberamente, si usano i soliti metodi educativi autoritari, freddi e distaccati, senza sentimento, che alimentano la competitività e non la solidarietà tra i compagni.

Il pensiero della scuola libertaria nasce da Tolstòj, nel 1853-1856, ma non è mai stata applicata perchè troppo evolutiva per i vari contesti sociali che si sono susseguiti da allora. L’educazione libertaria non veniva considerata dal potere militare e politico perche insegnava ai bambini a pensare col proprio cervello, senza essere condizionati dal regime cattofascista che si imponeva con la militarizzazione, con la violenza e la sopraffazione del più debole, del ‘diverso’. L’educazione libertaria insegna ai bambini a esprimersi, a relazionarsi e ad interagire coi propri coetanei e col mondo esterno. Insegna la gioia e il piacere di apprendere, studiare, approfondire e conoscere liberamente, senza essere condizionati dal giudizio dell’insegnante, dal voto, dalla pagella, o a essere per forza il primo della classe, ma sopratutto insegna ai bambini cosa è l’affetto e l’amore verso gli altri, attraverso il rispetto e la cura dei compagni più deboli o meno fortunati, della natura e dell’ambiente.

Scuole libertarie: un’utopia concreta Videoconferenza con Francesco Codello

https://www.youtube.com/watch?v=xX2h_VNJtco

 

ALLA SCOPERTA DI TUTTI I SEGRETI D’UN MANICOMIO ABBANDONATO!!

Esplorazione Titanica

https://www.youtube.com/watch?v=277YJrawC0Y

https://www.youtube.com/watch?v=zMiT8R8Cj34

I danni e le torture disumane della psichiatria

 

Lottiamo per un mondo più felice ed equo per tutti, per la distribuzione delle ricchezze e quindi per l’eliminazione delle classi sociali. Solidarietà a tutti i compagni Anarchici incarcerati ingiustamente perchè troppo utopistici per questo mondo senza senso, crudele, senza sentimenti.

Basta guerre! basta armi! basta sbirri! Sbirri carogne, tornate nelle fogne!

Non votare questo regime ancora autoritario, massomafioso, di destra e di sinistra.

Anarchia l’unica via!!

 

Ecco i pazzi. Il disadattati. I ribelli. I facinorosi. Le spine nei fori quadrati. Quelli che vedono le cose diverse.

Non sono appassionati di regole. E non hanno alcun rispetto per lo status quo.

Si possono citare, essere in disaccordo con loro, glorificarli o denigrarli.

L’unica cosa che non si può fare è ignorarli.

Perché cambiano le cose. Spingono la razza umana nel futuro.

Mentre alcuni possono vederli come pazzi, noi li vediamo come geni.

Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, sono quelli che lo fanno davvero.

(Jack Kerouac)

 

Cultura dal basso contro i poteri forti e repressivi

Rsp (individualità Anarchiche)

 

Criminali in divisa…

Non sono mai finite le problematiche degli sbirri cocainomani e psicopatici (perchè subiscono tra di loro gli abusi di potere delle guardie più vecchie – logica militare – nonnismo):

L’8 settembre 2021 si sono concluse le indagini preliminari sulle torture avvenute il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) da parte degli agenti di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti. Tra le accuse tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino. Tra i reati ipotizzati spicca quello di tortura, introdotto nel 2017 e contestato a 41 indagati. In questa inchiesta sono state indagate 120 persone.

Elisabetta Palmieri (non coinvolta nell’inchiesta sulle violenze dell’aprile 2020) venne rimossa dal Dap, alla fine dello scorso mese di luglio, perchè avrebbe consentito l’ingresso del proprio compagno nella struttura penitenziaria, senza autorizzazione, e facendolo presenziare alla visita della senatrice Cinzia Leone, il 23 luglio scorso. Tra questi indagati figurano anche l’allora comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone (tuttora sospeso), e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento.

Per la Procura Hakimi l’algerino ucciso dalle guardie carcerarie, sarebbe stato percosso violentemente dopo essere stato prelevato dalla cella e portato in quella di isolamento, quindi qui avrebbe assunto un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine» che ne avrebbero provocato dopo circa un mese la morte per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha sottolineato che è in corso anche un altro procedimento per individuare agenti provenienti dagli altri istituti penitenziari presenti durante i pestaggi, ma sconosciuti ai detenuti perchè coperti da caschi e mascherina.

L’inchiesta ha dedotto che c’erano guardie carcerarie (poliziotti) che usano metodi mafiosi.

Nessuno degli agenti coinvolti è stato trasferito né sospeso, tutti sono rimasti impuniti e a contatto coi detenuti che li avevano denunciati per torture.

Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria conosceva già da un anno i nomi degli agenti in servizio nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere indagati per i pestaggi ai detenuti del 6 aprile 2020 ma non ha adottato alcun provvedimento, né di sospensione né di trasferimento.

Il 16 ottobre 2020 l’allora sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi pronunciò in Parlamento rispondendo all’interrogazione del deputato di Europa Riccardo Magi sui fatti accaduti nel carcere casertano: «Con riferimento agli agenti attinti dagli avvisi di garanzia e da decreti di perquisizione, si evidenzia che, con nota 3 luglio 2020, il locale provveditore ha trasmesso al Dap l’elenco del personale del Corpo nei confronti del quale è stata data formale comunicazione dell’avvio di procedimento penale da parte della procura». Viene quindi da chiedersi: perché gli indagati rimasero tutti al proprio posto? La motivazione, secondo quanto trapela dal Dap, sarebbe da ricercare nell’impossibilità da parte del dipartimento di conoscere i reati che venivano contestati agli agenti. Dalla Campania era stato mandato l’elenco dei nomi, ma non le singole posizioni. Né chiarimenti in questo senso sarebbero arrivati successivamente, quando tre ulteriori richieste di informazioni inviate, tra luglio e ottobre direttamente ai magistrati inquirenti, rimasero senza alcuna risposta.

Anche per tale ragione, allo stato, non risulta intrapresa alcuna iniziativa, sia di natura cautelare sia disciplinare, a carico del personale coinvolto». Quindi sono rimasti tutti lì, denuncianti e denunciati. E gli spostamenti, solo dei denuncianti.

Dopo gli arresti e le altre misure cautelari emesse dal gip, il dipartimento ha sospeso non soltanto, come era ovvio, chi è finito in carcere o ai domiciliari e che è stato interdetto, ma anche altri 25 appartenenti all’amministrazione penitenziaria coinvolti in questa inchiesta che conta complessivamente più di 150 indagati.

Le torture della polizia penitenziaria sono sempre state la prassi. Durante gli abusi di potere, c’erano detenuti in ginocchio, dove venivano picchiati con pugni e manganellate.

Vincenzo Cacace (foto sopra), ex detenuto in sedia a rotelle nel carcere di Santa Maria, vittima del pestaggio da parte della polizia penitenziaria avvenuto lo scorso aprile, ha dichiara ai mass media: «Ci hanno massacrato», «Mentalmente mi hanno ucciso, voglio denunciarli. Hanno ammazzato un detenuto». “Secondo me erano drogati, erano tutti con i manganelli. Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella, perché sono sulla sedia a rotelle. Ci hanno massacrato di botte. Hanno abusato di un detenuto con un manganello. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta. “Sono loro i malavitosi perché vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, è giusto ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Voglio denunciarli perché voglio i danni morali”.

Nelle indagini saltano fuori anche le frasi shock nelle chat degli agenti, dopo le torture e gli abusi di potere ai detenuti. “Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”.

Ma ritorniamo a quei giorni drammatici.

È il 6 aprile 2020 e, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, si attua una grave spedizione punitiva a danno dei carcerati. Doveva essere una “perquisizione straordinaria”, si è trasformata in una “orribile mattanza”.

Didier Reynders, Commissario Ue alla Giustizia dichiara ai mass media: “L’Ue è contro tutte le violenze.

So che questa è una competenza nazionale ma ci aspettiamo una inchiesta trasparente e indipendente per capire cosa sia davvero successo. È dovere delle autorità nazionali proteggere tutti i cittadini dalla violenza. In ogni circostanza e quindi anche durante la detenzione”. “Dobbiamo tutti ricordarci che la detenzione non può essere una tortura”. Il Commissario, dunque, si riferisce alle violenze subite da alcuni detenuti a opera di chi avrebbe dovuto badare alla loro rieducazione e risocializzazione.

Detenuti torturati nel carcere di S. M. Capua Vetere, gli audio e i video choc che hanno incastrato gli agenti violenti

Secondo l’Associazione Antigone (www.antigone.it), che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie del sistema penale e penitenziario, dichiara ai mass media: “Quella che si è consumata il 6 aprile 2020 nell’istituto penitenziario “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, è stata tra le più gravi violazioni dei diritti umani del nostro Paese, effettuata sulla pelle dei detenuti da parte della polizia penitenziaria. Un pestaggio di massa premeditato contro persone inermi e disarmate (come confermato dalle carte dei magistrati), organizzato nei minimi dettagli e prontamente sottoposto a riusciti mezzi di depistaggio. “Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti. È qualcosa che ci porta dentro l’antropologia della pena e della tortura”.

Chi è Francesco Basentini

Tutto è iniziato a marzo del 2020, c’erano state delle proteste a causa delle restrizioni previste per l’emergenza Covid-19 che avevano causato la morte di 14 detenuti, ufficialmente per intossicazioni da metadone e psicofarmaci sottratti negli ambulatori. La situazione era aggravata dalla gestione del Dap allora guidato da Francesco Basentini (foto sopra), poi dimessosi a seguito delle polemiche. A questo si aggiungevano la scarcerazione di molti boss mafiosi e la carenza, all’inizio della pandemia, di dispositivi di protezione, come le mascherine, di biancheria e acqua potabile. Vi è una prima protesta e, in seguito, alla sezione Tamigi (dove ci sono i reclusi con reati associativi), il primo caso di contagio. Prima delle 20, orario di chiusura delle celle al reparto Nilo, alcuni detenuti si rifiutano di rientrare, rimanendo in corridoio. In alcune sezioni del reparto vengono poste, al di fuori delle celle, alcune brande da usare come barricate per impedire agli agenti l’accesso ai corridoi. Circa 22 persone, infatti, nel pomeriggio avevano chiesto di parlare coi responsabili del carcere ma non avevano ricevuto alcuna risposta. Nella notte, a seguito di un confronto rassicurante, la situazione migliora. Le barricate vengono rimosse, i corridoi e le celle riordinati.

Il giorno dopo alle 12.36, le guardie psicopatiche e cocainomani si danno appuntamento in una chat della polizia penitenziaria composta da 110 persone. Così ha inizio uno dei più tragici abusi di potere del nostro Paese, un raid punitivo, paragonabile alla macelleria messicana della scuola Diaz di Genova durante le manifestazioni contro il G8, nel 2001. Dopo le 13.30, Manganelli scrive a Fullone che, in realtà, non vi è stata alcuna rivolta e che “tutti i detenuti sono rientrati dai passeggi”. Nonostante questo, la spedizione si farà lo stesso. “4 ore di inferno…per loro”, dirà Colucci a un suo collega. I registi di questa pagina buia della storia della democrazia italiana sono accusati dai pm di aver depistato le indagini con fotografie “oggetto di manipolazione informatica” per “creare ulteriori elementi calunniatori nei confronti dei detenuti”. “Ci hanno distrutti”, afferma un ex detenuto che ora, da uomo libero, ricostruisce i fatti. “Mi hanno interrogato, qualche mese fa, e mi hanno mostrato i video, in quelle immagini mi sono rivisto, ho rivissuto quel giorno”, ha continuato, “mi creda, non ho mai preso così tanti colpi, manganellate e botte in vita mia e non avevamo fatto nulla”. Come si può vedere dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza si è trattato di un’azione impressionante di forza e violenza vendicativa a danno di corpi indifesi e deboli.

Nel corridoio delle celle sono 20 contro 1. Nel vano scala sono 3 contro 1. Nell’area socialità tutti sono in ginocchio, con la faccia contro il muro. A compiere la perquisizione arbitraria (più che straordinaria) sono circa 300 agenti tra la polizia penitenziaria del carcere e molti esterni (sovrintendenti, ispettori, commissari e appartenenti al Gruppo di supporto agli interventi).

Io mi sono attenuto alle indicazioni. E dopo qualche minuto sono stato portato nel corridoio, con la testa contro il muro. E le mani alzate. Diversi detenuti si trovavano nella stessa posizione: erano nudi, però. E li colpivano con i manganelli sulle gambe e sui glutei”. Nel corridoio su cui si affacciano le celle della sesta sezione vi erano tanti agenti penitenziari che avevano formato una sorta di corridoio umano, costringendo i detenuti ad attraversarlo, colpendolo con schiaffi, pugni e manganellate, come dimostrano i filmati che gli indagati erano fermamente convinti sarebbero spariti ma che, invece, sono stati recuperati. La scena che riprende l’area di socialità mostra un biliardino rovesciato al centro, un tavolo da ping pong e alcune sedie ai lati, e alcuni poliziotti in tenuta antisommossa.

Le guardie hanno manganellato anche un disabile e gli urlavano: ‘ti mettiamo il pesce in bocca, non conti nu cazzo qua dentro e neanche fuori’”, ha continuato il detenuto che stava subendo le torture. Quest’ultimo ha riconosciuto la commissaria di reparto: “Guardava mentre ci massacravano, ma non interveniva, un ragazzo detenuto di vent’anni mi ha detto ‘poteva essere mia madre, ma non ha mosso un dito’”.

Ma non è finita qua, ricordiamoci anche del vecchio vizio degli sbirri: Il 30/6/2020, c’è stata un’idagine, svolta dalla questura di Torino e dai carabinieri di Cuneo, che riguardava l’attività di una “locale” autonoma di ‘ndrangheta riconducibile alla famiglia Luppino, originaria di Sant’Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria).

Nell’indagine sono stati indagati a piede libero (impuniti come sempre), tre carabinieri e due agenti di polizia penitenziaria. L’inchiesta ha portato a 12 ordini di custodia cautelare (8 in carcere e 4 ai domiciliari) e a decine di perquisizioni. L’indagine riguardava l’attività di una “locale” di ‘ndrangheta a Bra (Cuneo) riconducibile alla famiglia Luppino.

L’attività principale era il traffico di stupefacenti anche se non mancavano casi di estorsione e tentativi di infiltrazione nel tessuto politico e imprenditoriale. Sono emersi contatti con la ‘ndrina degli Alvaro di Sinopoli. Secondo le indagini si tratta di un gruppo che permea il territorio in maniera silente, esercitando una forza che si fonda in gran parte sulla provenienza geografica dei suoi componenti”. Sono persone, capaci di ottenere grande credito senza nemmeno ricorrere a intimidazioni specifiche: a volte basta il nome”.

Due dei tre carabinieri sono indagati per episodi avvenuti all’epoca in cui prestavano servizio in provincia di Cuneo. Si procede per favoreggiamento e rivelazione di segreti di ufficio aggravati dall’agevolazione mafiosa per avere passato (secondo gli inquirenti) informazioni riservate alla famiglia Luppino. Il terzo carabiniere, che, invece, era di stanza a Villa San Giovanni, avrebbe offerto ai Luppino delle notizie riservate: per lui, oltre al favoreggiamento e alla rivelazione di segreti di ufficio, si aggiunge l’accesso abusivo ai sistemi informatici.

I due agenti di polizia penitenziaria invece, lavoravano nel carcere di Saluzzo dove era rinchiuso una delle figure al centro dell’inchiesta, Salvatore Luppino, al quale avrebbero fatto avere bevande alcoliche e altri beni non permessi. Sono ora indagati per corruzione aggravata dall’agevolazione mafiosa.

Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome di “Cheese”, una delle maggiori rassegne enogastronomiche in Italia che si tiene ogni due anni a inizio autunno a Bra. Una serie di intercettazioni telefoniche indicherebbe che due dei personaggi chiave, i fratelli Salvatore e Vincenzo Luppino, fossero percepiti come delle figure capaci di condizionare l’assegnazione di posti e stand a chi voleva prendere parte alla manifestazione internazionale. Si tratta secondo gli inquirenti, di un risvolto che testimonia come i presunti ‘ndranghetisti fossero capaci di condizionare la vita economica e politica del territorio e, soprattutto, di farsi “percepire” come persone influenti.

Stiamo tornando al ventennio fascista: torture nel carcere di Caserta

Giustizia dalla parte dello Stato-mafia

Religione, il dominio della mente umana;

proprietà, il dominio dei bisogni umani;

e governo, il dominio della condotta umana,

rappresentano le roccaforti della schiavitù umana,

e tutti gli orrori che questa comporta.

Emma Goldman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)

Droni armati da esportazione (illegale)

Il 2 SETTEMBRE 2021 la guardia di finanza di Pordenone ha denunciato 6 persone (tre di nazionalità italiana e tre di nazionalità cinese) all’autorità giudiziaria per la violazione della legge sulla movimentazione di materiali di armamento, in relazione alla vendita di una azienda italiana a una società di Hong Kong dietro la quale si celerebbero invece due società cinesi di proprietà statale.

La società italiana oggetto dell’indagine opera nella fabbricazione di aeromobili e di veicoli spaziali, nonchè nella progettazione e produzione di droni militari, “Unmanned aerial vehicle”, certificati agli standard “tanag” Nato Atlantica. In particolare, la fornitura di droni è oggetto di un contratto sottoscritto col ministero della Difesa per le forze armate italiane.

La gdf ha rilevato che il 75% del capitale della società italiana nel 2018 è stato acquistato da una società di Hong Kong per quasi 4 milioni di euro. L’acquirente, tuttavia, è risultata costituita ad hoc prima dell’acquisto delle quote e autonomamente priva di risorse finanziarie, nonostante l’operazione di compravendita e i conseguenti aumenti di capitale abbiano richiesto, nella provincia di Pordenone, investimenti per oltre 5 milioni di euro. E’ stata quindi individuata la reale proprietà, riconducibile a due importanti società di proprietà governativa della Repubblica popolare cinese. Tale cambio di controllo è stato perfezionato con ‘modalità opache’ tese a non farne emergere la riconducibilità del nuovo socio straniero.

L’acquisto del 75% della società italiana non aveva scopi speculativi e/o di investimento ma, esclusivamente, l’acquisizione del suo know-how tecnologico e produttivo, anche militare, per la quale veniva dato corso a progetti per il trasferimento nella Repubblica popolare cinese, anche pianificando una delocalizzazione della struttura produttiva aziendale, nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio dell’intelligenza artificiale cinese situata a meno di 150 chilometri.

Gli indagati sono Moreno Stinat, Massimo Tammaro,Corrado Rusalen e i 3 manager cinesi (Jianhua Wei, QI Rong e Li Xia).

L’inchiesta riguarda la Alpi Aviation di San Quirino che produce droni militari, aeromobili e veicoli spaziali la cui maggioranza è stata rilevata, attraverso una società offshore, da due importanti società statali cinesi. L’azienda fornisce tra l’altro le forze armate italiane, è dunque soggetta a specifici controlli e vigilanza.

L’azienda (che tra l’altro progetta e produce sistemi U.A.V. «Unmanned Aerial Vehicle» di tipo militare e certificati per gli standard «stanag» NATO) è già stata oggetto di indagine per una presunta violazione dell’embargo internazionale nei confronti dell’Iran per una vendita di droni militari alla Repubblica islamica. Successivi approfondimenti hanno accertato che l’azienda, nel 2018, è stata acquistata, per il 75%, da una società estera di Hong Kong, e valutata con un valore delle quote notevolmente rivalutato rispetto a quello nominale (90 volte superiore: 3.995.000 euro contro 45.000 euro).

Un subentro societario perfezionato in modo da non far emergere il nuovo socio, con ritardi nelle comunicazioni amministrative e omettendo di informare preventivamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’acquisto della maggioranza dell’azienda, violando la cosiddetta «Golden Power» che attribuisce speciali poteri alle autorità italiane sugli assetti societari di realtà strategiche in vari settori. L’acquisto non avrebbe avuto scopi di investimento ma l’acquisizione di know-how tecnologico e militare, che ha spinto a pianificare il trasferimento della struttura produttiva nel polo tecnologico di Wuxi, città-laboratorio dell’intelligenza artificiale cinese vicina a Shanghai.

L’interesse degli imprenditori cinesi che fanno capo alla Repubblica Popolare e che hanno rilevato l’azienda italiana produttrice di droni militari si è manifestata anche in altri settori ritenuti strategici e che ricadono nella disciplina del Golden power. Si tratterebbe, secondo quanto si è appreso, di aziende anche piuttosto note: la prima, con sede a Segrate (Milano) operante nel settore del trattamento di rifiuti e generazione di energia dagli stessi; la seconda, con sede a Roma, che si occupa di attività di servizi connessi a tecnologie informatiche.

Il tetro business militare internazionale dei droni armati

L’esercito è una scuola, soprattutto.

E’ questo il suo compito di tutti i giorni:

educare, persuadere, plasmare, convincere, abituare.

Abituare a sopportare i soprusi,

ad obbedire senza discutere, ad accettare

le umiliazioni sol che provegano da uno

che sulla manica della giacca

ha un pezzo di stoffa in più.

Armando Manni

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

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