THINK TANK: La politica corrotta e il malaffare delle Ong

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think tank : La politica corrotta e il malaffare delle Ong

 

Un think tank è un organismo, un istituto, una società o un gruppo, tendenzialmente indipendente dalle forze politiche (anche se non mancano think tank governativi), che si occupa di analisi delle politiche pubbliche e quindi nei settori che vanno dalla politica sociale alla strategia politica, dall’economia alla scienza e la tecnologia, dalle politiche industriali o commerciali alle consulenze militari.

Il termine viene coniato negli USA durante la II guerra mondiale quando il Dipartimento della Difesa creò delle unità speciali per l’analisi dell’andamento bellico chiamate in gergo proprio think (pensiero) tank (tanica, serbatoio, ma anche carro armato).

In Italia i think tank più conosciuti nel campo della politica internazionale sono ISPI e IAI. Ve ne sono poi altri più generalisti quali Italia Futura e Arel/Associazione TrecentoSessanta presiedute rispettivamente da Luca Cordero di Montezemolo e da Enrico Letta. Oltre a queste troviamo altre “fondazioni di matrice politica” nel panorama italiano quali FareFuturo di Adolfo Urso, ItalianiEuropei di Massimo D’Alema, Nuova Italia di Gianni Alemanno, Magna Carta di Gaetano Quagliariello, Medidea di Giuseppe Pisanu, Liberal di Ferdinando Adornato, ItaliaDecide di Luciano Violante, Folder di Antonio Di Pietro, Sardegna Democratica di Renato Soru, Sudd di Antonio Bassolino e Mezzogiorno Europa nato per volontà dell’ex presidente della rep. Giorgio Napolitano.

Anche se il primo nacque in Inghilterra (Fabian Society, 1884) i think tank sono una peculiarità tutta statunitense. Infatti è stata la cultura pragmatica di cui gli USA sono pervasi a favorirne la nascita, lo sviluppo e infine l’istituzionalizzazione. Tali organismi producono dati, informazioni, consigli e previsioni ai policy makers (coloro che realizzano le politiche pubbliche) tenendo naturalmente conto dello statuto per il quale sono stati fondati e anche dello stato reale delle cose e pertanto valutando le possibilità di una politica pubblica scovandone opportunità, risorse, obiettivi auspicabili e conseguenze effettivamente riscontrabili o riscontrate. Ad oggi la politica (nel senso di politics) statunitense non può evitare di fare riferimento a queste strutture, tanto che negli ultimi anni ne sono sorte anche alcune governative.

Secondo un rapporto di Unitelma Sapienza, soltanto il 20% dell’attività di lobby è riconducibile ad attori come grandi aziende e società di consulenza che si fanno portatrici dei loro interessi presso le sedi istituzionali. Il restante 80% è nell’ombra. Non sappiamo chi ne tesse le fila né come si relaziona coi politici, ad esempio. L’unico e approssimativo spaccato delle lobby italiane ci è offerto dal Registro per la trasparenza dell’Unione Europea, da cui possiamo evincerne a grandi linee categorie e settori d’interesse risalenti al 2014. Il 23%, la porzione maggiore, è composta proprio da Ong, contro il 76% di imprese. Oltre 350 soggetti operano in campo ambientale, che raggiunge il primo posto della classifica, seguito al secondo e al terzo rispettivamente dagli interessi delle imprese e dalla ricerca. Un mondo ampio e variegato, che senza i dovuti controlli può favorire il malaffare e mettere in discussione l’effettiva democraticità dei processi decisionali.

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Esistano tre tipologie di think tank: le università senza studenti, i contract research think tank (chi lavora soprattutto per committenza pubblica) e i partisan think tank ideologicamente orientati. Ognuna di queste tipologie è frutto di una diversa frattura storica avvenuta nel sistema politico americano: per esempio, i contract research think tank (come la Rand Corporation di Washington) sono figli dell’impegno del governo americano nel periodo della guerra fredda. La guerra anticomunista degli anni ’70, che ha prodotto la rivoluzione conservatrice di Ronald Reagan, ha generato istituti come la Heritage Foundation e il Cato Institute; i liberali hanno fatto sì che in questo decennio nascessero centri come il Center for American Progress o il National Security Network…..

Il mondo dei think tank americani è cambiato soprattutto a partire dagli anni ’70 (negli ultimi tre decenni i think tank con base a Washington sono passati da circa 50 a circa 350), per via di due fattori fondamentali: la moltiplicazione dei settori di intervento pubblico (che ha prodotto una miriade di centri “single-issue”) e la creazione di molti centri di orientamento conservatore più aggressivi nello stile e nelle tecniche di marketing delle idee.

Non solo: l’esplosione delle tv via cavo e di internet, poi, ha moltiplicato in modo esponenziale la richiesta di “instant expertise”, trasformando sempre di più i think tank in macchine della comunicazione; il modello di giornalismo avversariale anglosassone ha moltiplicato i confronti televisivi tra esperti di centri che offrono punti di vista opposti; per i finanziatori dei think tank la possibilità di osservare con costanza la presenza mediatica di questi ultimi è divenuto un criterio guida per l’allocazione delle risorse, ponendo fine a quel modello di filantropia che veniva definito “patient money”.

Bruxelles offre un contesto istituzionale ottimale per l’ambiente dei think tank, che sono spesso strumento informale di elaborazione e discussione delle politiche dell’Unione. Quello europeo è un sistema “aperto ma opaco” nel quale la decisione politica è frutto di una discussione infinita tra potere esecutivo, gruppi di pressione, ong, think tank, istituzioni locali e nazionali ecc…, i soggetti che animano la “Bruxelles Belt”.

Un mondo occulto e ambiguo, è l’ambiente dei grandi centri di ricerca di politica internazionale del contesto europeo e internazionale, quella che potremmo definire “l’ala cosmopolita” del mondo dei think tank: il Council on Foreign Relations (organizzò la strategia della tensione in Italia) , l’Institut Français des Relations Internationales, l’European Council on Foreign Relations, Chatham House, l’Swp di Berlino, lo stesso Iai. Anche nel caso italiano è possibile ricostruire una periodizzazione della storia dei think tank. Come per altri paesi europei, sarebbe azzardato immaginare oggi la riproducibilità di un modello anglosassone: possono sì esistere, ma la cornice è quella di un sistema di tassazione non assimilabile a quello americano.

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I grandi think tank italiani sono stati prima un affare di stato (pensiamo all’epoca della programmazione, dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ai centri studi delle grandi aziende pubbliche, passando per la Banca d’Italia), poi un percorso intrapreso da alcuni pionieri (dal Mulino allo Iai, passando per il Censis o i centri nati grazie all’iniziativa di Beniamino Andreatta), infine un affare di partito (dallo Sturzo alla Fondazione Gramsci) . Oggi in Italia si è aperta la stagione del think tank personale, il nuovo modello di consigliere del principe, da ItalianiEuropei a FareFuturo. Questo è avvenuto in concomitanza col processo di personalizzazione della politica (lo stesso è accaduto in altri paesi europei) e di destrutturazione organizzativa dei partiti italiani: i think tank legati ai leader politici nati dopo il 1992 sono ben 11…

 

Rsp (individualità Anarchiche)