I danni e le torture disumane della psichiatria

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Sabato 13 febbraio 2021 c’è stato a Bergamo un evento per ricordare la morte di Elena Casetto, una ragazza di 19 anni morta il 13 agosto 2019, perchè legata e carbonizzata in un incendio divampato nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. L’evento è stato organizzato dal Comitato Città libere da contenzione di Bergamo: “Per non dimenticare”. All’evento hanno partecipato numerose associazioni che operano nell’area della salute mentale e dei diritti umani. Obiettivo dell’incontro è promuovere l’impegno delle istituzioni affinché dalla morte di Elena prenda avvio un cambiamento nella presa in carico delle persone con problemi, causati dal contesto e disagio sociale. Perché la pratica della contenzione è una tortura vera e propria attuata per schiacciare la dignità dell’essere umano, è un atto inumano e degradante per chi lo subisce, bisogna lottare perchè sia abolita la contenzione come soluzione alle problematiche e ai traumi sociali.

Ma andiamo sullo specifico per spiegare il problema.

La psichiatria è un potere che opprime e tortura le persone che hanno bisogno di un supporto psicologico, e in pochi decidono di mettere in discussione questo potere…

La ragazza aveva dato segni di depressione nel contesto sociale in cui era stata sbattuta, aveva evidenziato un istinto suicida e l’ospedale, invece di chiamare uno psicologo/a, ha risolto con gli psicofarmaci, quando lei aveva bisogno solo di qualcuno con cui confidare i suoi problemi, hanno preferito affidarla a una psichiatra e legarla ad un letto di contenzione. La contenzione come terapia per risolvere le tante problematiche sociali: quanta disumanità.

Purtroppo gli psicologi nei reparti psichiatrici non contano quasi nulla e devono ingegnarsi per seguire, privatamente, le persone che molto spesso hanno avuto delle violenze fisiche o psicologiche, oppure delle delusioni o traumi sociali, dovuti alle condizioni e al contesto sociale.

Nelle strutture psichiatriche, ancora così chiuse e occulte, bisognerebbe far entrare almeno i familiari, per accudire i pazienti in stato di bisogno, invece preferiscono tenere tutto nascosto. Bisognerebbe far entrare gli psicologi e i filosofi, invece preferiscono risolvere il problema sociale con gli psicofarmaci per annientarli, come ai tempi del fascismo, dove la cultura era accessibile a pochi e l’etica, il sentimento e la morale non sapevano cosa farsene. Oggi come allora vengono etichettati come matti i dissidenti (come il compagno anarchico Mastrogiovanni), che si ribellano al regime dittatoriale fascista, poi vengono rinchiusi nei manicomi.

Anche i testimoni di mafia (massomafia) sono stati etichettati come malati mentali, è un metodo per eliminare chi aveva il coraggio di evidenziare le speculazioni, l’arroganza e le tante ingiustizie sociali che in questo mondo disumano e crudele devi subire…

Il 30 dicembre 2020 i mass media scrivono il risultato della sentenza di cassazione su quanto accaduto il 13 agosto 2019 a Elena Casetto, una ragazza di 19 anni. La ragazza morì bruciata nella stanza dove era ricoverata: legata a un un letto, a causa di alcuni disturbi psicologici (traumi) per i quali era stata ricoverata.

Secondo quanto ipotizzato dal pubblico ministero Letizia Ruggeri, 40 anni, di Lissone (Milano) a uccidere Elena sarebbero stati i fumi, i vapori bollenti e lo shock termico.

Il rogo all'ospedale Papa Giovanni

Una morte atroce quella della 19enne che, nonostante la giovane età, aveva trascorso dei momenti piuttosto difficili che l’avevano portata anche a un tentativo di suicidio. Nata a Milano, aveva anche la cittadinanza brasiliana, nazionalità della madre. Il padre della ragazza, italo-svizzero, era morto nel 2012 mentre la 19enne cresciuta in Brasile, a Salvador de Bahia, dove aveva studiato, era tornata poi in Italia.

Secondo la procura di Bergamo, la ragazza servendosi di un accendino, avrebbe dato fuoco al letto dov’era stata poco prima contenuta (legata) dal personale infermieristico.

Elena era una ragazza come tante altre della sua età che sognava un mondo equo, un mondo diverso più comprensivo e sentimentale, invece ha dovuto confrontarsi con un mondo crudele, disumano, classista e competitivo. Elena scriveva poesie e sognava di studiare filosofia a Londra. Elena era una ragazza giovane che chiedeva aiuto per il suo dolore, invece è morta carbonizzata in un letto, sola, imbottita di psicofarmaci, legata mani e piedi, in una stanza chiusa a chiave (peggio di così…).

Il 13 agosto 2019, dopo che il personale medico le aveva tolto la libertà, ha provveduto anche a mettere in atto le procedure (torture) di contenzione nei confronti dell’utente Elena, lei dalla disperazione per non essere capita si è data fuoco al letto e a se stessa con un accendino.

Le indagini hanno condannato due operatori dell’antincendio, portando a giudizio l’ultimo anello più debole, di una catena di responsabilità che hanno portato alla morte di Elena. In qualche modo legittimando tutti i passaggi precedenti di crudeltà usati per schiacciare la personalità e la dignità della ragazza in stato di bisogno.

Elena era stata legata al letto perchè si stava ribellando al metodo disumano usato nel Tso dall’équipe del reparto e aveva avuto momenti di agitazione, secondo i medici che avevano definito così il suo disagio sociale. La ragazza era stata legata mani e piedi, fissata al letto con una fascia toracica e sedata, dopo che era stata trovata che tentava il suicidio stringendosi un lenzuolo attorno al collo.

Sembra impossibile e inaccettabile, che operatori della salute, possano rispondere alla sofferenza, ad una richiesta di aiuto (quale è un tentativo di autosoppressione), con un gesto di di violenza che toglie la libertà e i diritti e che hanno portato ad una morte atroce. Invece di accogliere, supportare e farsi carico di quella sofferenza psicologica, dargli attenzione, ascolto e comprensione, ha ricevuto solo violenza e torture fisiche e psicologiche.

La contenzione, cioè il legare, fissare, bloccare una persona in cura per impedirle il movimento volontario, viola l’art.13 della Costituzione e l’art.15 della Convenzione dei Diritti delle persone con disabilità, invece gli ospedali psichiatrici usano ancora metodi fascisti coi pazienti (con rette consistenti), che dovrebbero accudire. Eppure è una tortura ancora diffusa nella maggior parte dei sevizi psichiatrici ospedalieri italiani.

Secondo la Corte giudiziaria, la contenzione meccanica non rientra in nessuna delle categorie che definiscono l’atto medico, “trattandosi di un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente” e che al contrario “può concretamente provocare, lesioni anche gravi all’organismo”, fino alla morte.

Ma non è finita qua: il 18 Dicembre 2020 i mass media scrivono che al Centro medico di San Patrignano di Rimini è morta una paziente, soffocata dalla fascia di contenimento che avrebbe dovuta proteggerla da una eventuale caduta. La vittima è una donna di 54 anni di origine brasiliana, residente nel ferrarese, aveva contratto e superato da poco il Covid ed era uscita da qualche giorno da uno stato di coma farmacologico, indotto dagli stessi medici. Non era in condizioni di alzarsi, ma aveva ripreso a muoversi.

Per impedirle di cadere era stata legata al letto da una cintura di contenimento, una procedura autorizzata per iscritto dal marito e autorizzata dalla costituzione fascista e dai protocolli sanitari standard. A un certo punto però, la paziente deve aver cercato di scendere dal letto e si è lasciata scivolare al di sotto della cintura, per liberarsi della costrizione che non le lasciava libertà di movimento, ma è rimasta incastrata nelle spondine laterali del letto, a mezza altezza, si è trovata con lo sterno schiacciato, da non riuscire più nemmeno a respirare ed è morta.

Il certificato, redatto dal medico di San Patrignano, parla di “soffocamento”.

Ma andiamo a vedere i metodi cattofascisti che usava Muccioli per schiacciare la personalità dei giovani caduti nel tunnel delle droghe pesanti (operazione militare Blue Moon, portata avanti anche come business dalla mafia e dai servizi segreti).

Vincenzo Muccioli, il figlio Andrea e i Moratti

Muccioli era un imprenditore italiano che credeva come i suoi amici borghesi Moratti all’esoterismo (massomafia), a un certo punto fonda anche il business sui tossicodipendenti, costituendo la Comunità di San Patrignano.

Muccioli fu denunciato per i metodi violenti e repressivi, che usava sui giovani ragazzi per non farli scappare: durante i processi emerse che Muccioli incatenava i ragazzi.

Nel 1993 ci fu la rivelazione di un ex ospite, Franco Grizzardi, che raccontò i metodi cattofascisti e coercititivi che usava Muccioli per sciacciare i diritti dei giovani tossicodipendenti che erano caduti nelle droghe pesanti. Franco Grizzardi l’ex ospite di San Patrignano, ha rivelato che un ragazzo palermitano, Roberto Maranzano, dato per disperso dal 1989 dopo essersi allontanato in circostanze mai chiarite dalla comunità, in realtà era stato ucciso dagli eccessi di un pestaggio subito (prassi) nella porcilaia della struttura perché aveva alzato lo sguardo mentre si mangiava, quando invece nelle regole della comunità era proibito alzare lo sguardo mentre si mangiava. Il cadavere di Maranzano fu ritrovato poi in un secondo tempo dentro una discarica presso Napoli.

Vennero pure allo scoperto alcuni misteriosi suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell’89, e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sarebbero suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all’interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano stati rinchiusi.

Il colossale business di San Patrignano è stato gestito prima da Vincenzo Muccioli, poi da suo figlio Andrea e adesso dalla massona esoterica Letizia Moratti (ale, se magna!).

 

Ma per capire meglio il problema vi consigliamo di guardare questo video: Eroina di Stato.

Servizi Segreti Operazione “Blue Moon” la storia che nessuno racconta.

https://www.youtube.com/watch?v=KXCVKNZgnu0

L’operazione “Blue Moon” non è ancora finita molti giovani stanno ancora cadendo nella trappola:

Iniziato il processo agli sbirri spacciatori e terroristi!

https://ricercatorisenzapadroni.noblogs.org/post/2020/12/27/iniziato-il-processo-agli-sbirri-spacciatori-e-terroristi/

 

Il 21 giugno 2018 i mass media pubblicano il risultato della cassazione, di un processo durato 9 anni, per la morte crudele subita dal maestro anarchico Francesco Mastrogiovanni.

Francesco Mastrogiovanni (foto Acad)

La sentenza della Cassazione, riduce la condanna per medici e infermieri coinvolti nell’omicidio di Stato. La Corte ha ritenuto responsabili i medici e gli infermieri del reparto psichiatrico del “San Luca” di Vallo della Lucania, per sequestro di persona, annullando però la sentenza d’appello per il reato di omicidio.

Francesco Mastrogiovanni di 59 anni muore il 4 agosto 2009, dopo più di 80 ore di contenzione chimica e meccanica, a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio (TSO).

La morte fu provocata da una crisi di EPA (edema polmonare acuto). Le condanne che riguardano i medici (che sono i veri colpevoli della morte) ne vede solo due condannati (Raffaele Basso e Rocco Barone), ad un anno e tre mesi di reclusione. Altri due medici (Anna Angela Ruberto e Amerigo Mazza), sono stati condannati solo a 10 mesi, mentre è stata confermata la pena a 13 mesi per il medico Michele Della Pepa. Condannandoli a pene troppo lievi rispetto al reato che hanno commesso.

Per la morte di Mastrogiovanni sono stati condannati anche gli infermieri: a 8 mesi (Massimo Scarano, Nicola Oricchio, Giuseppe Forino, Alfredo Gaudio), a 7 mesi (Mario D’Agostino Cirillo, Antonio Tardio, Maria Carmela Cortazzo, Antonio De Vita, Raffaele Russo e Massimo Minghetti).

Al processo di primo grado gli infermieri non erano stati condannati, mentre in appello erano state ridotte le pene per i medici ed invece condannati anche gli infermieri.

Quel giorno un vigile vede passare Mastrogiovanni sulla sua Fiat Punto e chiama i carabinieri che iniziano l’inseguimento sulla litorale fino a S. Mauro del Cilento dove Francesco parcheggia e dopo aver raggiunto la spiaggia del villaggio turistico camping che lo ospita, si tuffa in mare per due ore per non farsi prendere. Chiamano anche la capitaneria di porto che invia una motovedetta, Mastrogiovanni viene circondato da terra e da mare dagli sbirri psicopatici e dai medici senza etica e nemmeno un briciolo di umanità. Il TSO a Mastrogiovanni fu firmato dal sindaco e non da un medico.

Il tenente dei vigili del comune di Pollica, Graziano Lamanna, ha riferito, sotto giuramento, che il sindaco di Pollica, gli aveva telefonato la notte precedente per dargli il comando di incastrare e fargli il Tso a Mastrogiovanni senza nessun certificato medico.

Ma perchè il sindaco cattofascista ce l’aveva con Mastrogiovanni? Forse perchè era un anarchico?

Il 20 novembre 2019 i mass media scrivono che Nicola Oricchio uno degli infermieri che ha attuato le torture disumane subite da Francesco, ha scritto una lettera alla sorella di Mastrogiovanni: “Abbiamo commesso una barbarie, non abbiamo capito la richiesta di aiuto di Francesco, strappandolo al vostro affetto. Vi esprimo la mia vicinanza”. Sono passati 10 anni dalla morte di Franco Mastrogiovanni, il maestro elementare deceduto in ospedale, dopo essere rimasto legato mani e piedi a un letto per più di 80 ore, senza essere alimentato e idratato.

Nicola Oricchio l’infermiere che doveva accudire Mastrogiovanni dichiara ai mass media che “Francesco è morto invano, perché ancora oggi nei reparti psichiatrici degli ospedali italiani gli utenti ricoverati in trattamento sanitario obbligatorio, continuano a morire a causa della contenzione meccanica”. L’infermiere ricorda così il calvario del maestro elementare: “Durante quei giorni noi mettemmo in atto una barbarie che durò dalle ore 12:30 del 31 luglio fino al 4 agosto durante la quale furono commessi una catena di errori ed una serie ininterrotta di reati gravissimi nei quali prevalsero l’inerzia, la sciatteria e il lassismo. Fu sconfitta l’umanità della parola rinunciando al compito di una psichiatria umana e civile. Così concorremmo a uccidere Mastrogiovanni e io mi ritrovai a essere un omicida”.

Grazia Serra la nipote di Franco Mastrogiovanni dichiara ai mass media: “il 30 luglio 2009 mio zio Francesco Mastrogiovanni morì di fame e di sete, legato a un letto d’ospedale, io non capisco tutta quella disumanità subita da mio zio, una persona buona e innocua”.

“Mio zio è rimasto legato a quel letto per più di 87 ore, perché lo hanno tenuto così per un po’ anche da morto. Non lo hanno alimentato. Il personale del reparto lasciava il vassoio col cibo lì accanto al letto, ma lui, essendo legato, non poteva muoversi. Dopo qualche ora, gli toglievano quel vassoio, anziché aiutarlo a mangiare”.

La psichiatria è un business statale, la retta per gli utenti è cara e varia dai 2000 ai 3000 euro al mese, ecco perchè vengono discriminate facilmente le persone, ecco perchè non risolvono con un supporto psicologico, perchè renderebbe meno della psichiatria, anche se più utile per le persone che chiedono aiuto.

La morte di Francesco Mastrogiovanni 1/2

 

Vi consigliamo di consultare anche il sito del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa:

https://artaudpisa.noblogs.org/

 

Eliminiamo gli sbirri e la psichiatria!

Solidarietà ai compagni Anarchici arrestati.

Basta galere!

 

Non sono i delitti punibili dalla legge quelli a cui

bisogna imputare i peggiori mali del mondo.

Sono i torti legalizzati, i crimini che godono

di impunità, giustificati e protetti

dalle leggi e dal governo.

A. Berkman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)