Allarme: quel massomafioso – banchiere – pezzo di merda di Draghi, partecipa al vertice Nato!

Mercoledì 29 e giovedì 30 giugno, quell’opportunista del presidente del consiglio Draghi, partecipa al Vertice Nato Atlantico anticomunista a Madrid.

Il problema più grosso, è che l’Alleanza Atlantica vuole aumentare il suo potere e la sua strategia di controllo militare e sociale e vuole proporre di rafforzare il fianco sud dell’Europa Mediterranea.

Cosa ci vogliono combinare i super esperti di MAGNA MAGNA, i traditori venduti?

Negli anni ‘60 e ‘70 per combattere il comunismo, la politica e i poteri forti (la Nato), hanno attuato la strategia militare chiamata Strategia della Tensione, fatta di colpi di stato militari e stragi di stato.

Quel massone troglodita del presidente Draghi (che vorrebbe ritornare al potere monarchico), potrebbe aver già deciso per “Isola Capo Rizzuto” il comune in provincia di Crotone, per dislocare nuove basi Nato (assedio militare).

La cosa più assurda, dopo lo scoppio dello scontro tra Nato e Russia, è rappresentata dal fatto che l’Unione Europea sta per abbandonare il sogno di una autonomia strategica e indipendenza militare, in breve di una difesa comune a stemma Ue, per aggregarsi definitivamente sotto le insegne e le bandiere della NATO, optando definitivamente per un modello P2: Gladio – Osoppo – contractor (la logica del potere militare). La sfida russa all’egemonia anglo-americana ha accelerato i tempi del cambiamento, tanto che il nuovo Concetto Strategico, frutto della riflessione avviata a suo tempo, col titolo ‘NATO 2030’ dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg (foto sotto), è sulla pista di decollo della prossima conferenza di Madrid, dove si approveranno le linee operative del futuro dell’Alleanza con l’obiettivo prioritario di rafforzare l’apparato della NATO in Europa, sia in ambito militare che politico, per affrontare gli scalpitanti big player di un nuovo ordine mondiale non più americanocentrico, ma basato sul nuovo protagonismo planetario della colossale catena che unisce Asia-Medio Oriente-Africa- Mediterraneo. La paura dell’isolamento terrestre da parte occidentale si fa sempre più evidente e tale da suscitare febbrili attese di giganteschi stravolgimenti dei vecchi schemi bellici, superando i logori e consueti quadranti delle élite militari del vecchio continente.

Protagonisti del nostro tempo: Jens Stoltenberg

Con la guerra ucraina l’attualità della difesa in area euro mediterranea è tornata impellente per costruire una strategia di sicurezza da parte dell’Unione Europea nel Mediterraneo, un mare sempre più assediato non solo dalla pressione migrante di enormi masse di uomini e donne in fuga dal sottosviluppo, ma sempre più incandescente con lo scoppio di crisi del tipo medio-orientale, irakeno, afgano e ora in ultimo ucraina. Il centro radar era un’area militare e quasi sicuramente tornerà a esserlo. Con un decreto pubblicato il 23 marzo in Gazzetta Ufficiale, il governo guidato da Mario Draghi ha deciso di costruire qui, in una zona protetta all’interno del parco regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, il quartier generale del gruppo interventi speciali (GIS), del reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania e del nucleo cinofili dell’Arma. Il decreto non era stato annunciato né dal ministero della Difesa, né dal governo: di fatto la nuova base militare è stata imposta e non sembrano esserci possibilità di ripensamenti o modifiche al progetto. L’attuale area recintata è grande 54mila metri quadrati e al suo interno sono rimasti alcuni edifici abbandonati dove fino a due decenni fa lavoravano i militari statunitensi della vicina Camp Darby, una base italiana sotto la responsabilità dell’esercito italiano, dove però operano unità militari statunitensi.

Secondo i piani del ministero, l’area militare dismessa nei campi di Coltano si allargherà fino a 730mila metri quadrati, oltre dieci volte tanto rispetto a oggi. È stata individuata presumibilmente in quanto si può considerare un’area militare abbandonata, quindi da riqualificare, e per la vicinanza all’aeroporto militare di Pisa, ma finora nessun esponente del governo è intervenuto per chiarire le ragioni di questa scelta. Verranno costruiti i comandi dei reggimenti, due poligoni di tiro, edifici per l’addestramento del personale militare, magazzini e uffici, un laboratorio, autolavaggi, una palestra e una mensa, 18 villette a schiera, una pista di atterraggio per gli elicotteri. Il governo ha scavalcato le consuete procedure previste per autorizzare un progetto di questo tipo attraverso il ricorso a un decreto approvato a fine maggio 2021 nell’ambito del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza. Il decreto era stato approvato per accelerare alcuni progetti particolarmente complessi, solitamente già condivisi dagli enti locali e presentati agli abitanti.

Le decisioni sull’area di Coltano invece, sono state prese senza preavviso: quando la notizia è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, in pochi a Pisa avevano visto il progetto della nuova base militare. Lorenzo Bani, il presidente del parco regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, pensava che ormai non se ne facesse più nulla. Il parco regionale che governa è stato istituito nel 1979: si estende prevalentemente nella fascia costiera tra Lucca e Pisa e comprende il lago di Massaciuccoli, le foci dei fiumi Serchio e Arno, le foreste di Tombolo, di Migliarino e della macchia Lucchese, l’area marina protetta Secche della Meloria. L’area di Coltano è tra quelle più a sud, verso la provincia di Livorno.

Bani (foto sopra), è stato nominato presidente nel giugno dello scorso anno e si è insediato a luglio. Dopo essere diventato presidente ha saputo che il 4 aprile i vertici dell’arma dei cc, avevano inviato un progetto della nuova base per chiedere all’ente parco un parere ambientale da inviare al Comipar, il Comitato misto paritetico per la regolamentazione delle servitù militari stato-regione. «Il parere ambientale realizzato dai tecnici è molto chiaro: in sostanza dice che l’impatto sarà devastante», dice Bani. «Siamo in un’area protetta, a rischio alluvioni, con un vincolo paesaggistico e un vincolo ambientale. È assurdo fare una nuova base qui, tra l’altro con un notevole consumo di suolo». A ottobre, quando Bani ha ricevuto nel suo ufficio alcuni rappresentanti dell’arma, aveva detto loro che il progetto non sarebbe stato sostenibile. Da quel momento nessuno si è fatto sentire. La valutazione negativa dei tecnici e dello stesso Bani non ha fermato i vertici dei cc, il ministero della Difesa e il governo che, grazie al percorso rapido garantito dal decreto approvato per il PNRR, ha potuto scavalcare qualsiasi richiesta di autorizzazione e soprattutto il dibattito con gli enti locali e la cittadinanza. «C’erano tantissimi altri luoghi adatti a costruire una base militare: aree demaniali abbandonate, caserme in disuso. Mi infastidisce molto che abbiano scelto un’area protetta, senza un percorso di partecipazione con le istituzioni e la cittadinanza». Bani ha invitato Federparchi, la federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali, a prendere una posizione ufficiale. Al momento la regione Toscana non ha commentato la decisione del governo, così come il comune di Pisa guidato dal sindaco leghista Michele Conti (nella foto con Salvini). Alcuni partiti e associazioni ambientaliste, invece, si sono schierati contro la nuova base militare. Legambiente Pisa ha scritto in una nota che l’area agricola è una risorsa «fragile e non abbastanza considerata».

Rifondazione Comunista e il gruppo Una Città in Comune e Potere al Popolo hanno definito la nuova base una “cittadella per la guerra”: «Le risorse del PNRR non si investono per tutelare e potenziare le riserve naturali, ma per cementificarle e riempirli di attrezzature belliche. Le nuove edificazioni dentro il territorio protetto del Parco si realizzano con procedure eccezionali che scavalcano i livelli decisionali territoriali e derogano da ogni norma, comprese quelle della tutela ambientale, e cancellano la partecipazione dei cittadini», soprattutto in questo periodo oscuro e cupo, dove il cittadino non ha più capacità decisionali: come condizione sociale e diritti, stiamo tornando al dopo guerra!

La costituzione rifiuta la guerra, eppure siamo invasi militarmente:

ABBIAMO BASI MILITARI sparse in quasi tutte le regioni Italiane, alcune ospitano migliaia di soldati, altre anche testate nucleari, e sono utilizzate ancora oggi, anche per la guerra in Ucraina.

L’invasione della Russia in Ucraina da parte di quella merda senza scrupoli di Putin, ha riportato in discussione la presenza e il ruolo delle basi e strutture della NATO, l’alleanza militare di parte dei paesi europei e di quelli del Nord America, e di quelle statunitensi sul territorio italiano.

Le strutture sono in tutto 120, a cui si aggiungono una ventina di basi segrete americane, non riconosciute ufficialmente per motivi di sicurezza. In Italia ci sono alcune decine di testate nucleari, dislocate tra Aviano, in Friuli Venezia Giulia, e Ghedi, in Lombardia: si stima che siano un centinaio in tutta Europa.

Nel 2005 furono resi noti vecchi piani militari del patto di Varsavia che avevano ipotizzato un ipotetico scenario di Terza guerra mondiale, prevedendo in caso di attacco da parte della NATO una serie di bombardamenti sulle aree strategiche di Veneto e Lombardia, e un piano d’invasione che ipotizzava di arrivare a Bologna in 13 giorni. Sempre nel 2005, in una trasmissione televisiva condotta da Carlo Lucarelli, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga disse che invece il piano della NATO in caso di guerra prevedeva che all’Italia toccasse il compito di bombardare Praga e Budapest. Per decenni la NATO svolse un ruolo strategico di deterrenza. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 sembrava che le basi in Italia avessero perso la loro funzione fondamentale, ma l’organizzazione fu mantenuta in vita rinsaldando i rapporti di collaborazione con l’ONU, che attribuì alla NATO funzioni di peacekeeping in aree considerate instabili. Le prime vere operazioni militari furono organizzate proprio negli anni ‘90, prima in Kuwait durante l’invasione irachena e poi soprattutto nelle guerre nella ex Jugoslavia, prima in Bosnia e poi in Kosovo. Tra il 1998 e il ‘99, secondo i dossier ufficiali pubblicati al termine della guerra, l’Italia contribuì per il 10% alle azioni belliche decise dalla NATO per fermare l’aggressione della Serbia del presidente Slobodan Milošević. Fu il momento in cui il ruolo dell’Italia nella NATO subì le maggiori critiche e ostilità, specialmente da parte dei movimenti pacifisti. L’esercito italiano contribuì utilizzando 54 aerei in 1.300 missioni operative, e molti dei voli che bombardarono obiettivi in Serbia, uccidendo anche centinaia di civili, partirono proprio dalle basi aeree italiane, in particolar modo da quella di Aviano (foto).

Oggi, nuovamente, in tutte le basi NATO in Europa, e quindi anche in Italia, si sono attivate le procedure per un eventuale stato di pre-allerta operativa. Lo stesso presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, parlando delle basi presenti sull’isola, ha detto: «Il sistema di difesa in Sicilia assume un ruolo strategico proprio per la posizione geografica, come sbocco nel Mediterraneo. Abbiamo la base NATO di Sigonella e quella di Trapani Birgi, è normale che questo sistema di difesa sia in stato di allerta già da diversi giorni».

Una base NATO gode di extraterritorialità: non è soggetta ai poteri giuridici della nazione in cui si trova e quello che avviene all’interno è coperto da segreto. In generale, vengono svolti l’addestramento di uomini e le esercitazioni coi mezzi, pianificata l’attività di spionaggio, controspionaggio e sabotaggio e la sperimentazione di nuovi sistemi bellici. Quale sia la consistenza numerica delle forze all’interno delle basi sul territorio italiano è un segreto: la NATO ha comunque pochissime forze armate permanenti, contando sugli eserciti dei 30 paesi aderenti al patto. Le basi in Italia di NATO e Stati Uniti sono di 4 tipi: una parte furono concesse agli USA in base a due accordi firmati negli anni ’50, e rimangono sotto comando italiano, mentre gli USA detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni; poi ci sono le basi NATO vere e proprie; poi le basi italiane messe a disposizione della NATO in base agli accordi dell’alleanza atlantica; e infine ci sono le basi promiscue, condivise da Italia, Stati Uniti e NATO. La base forse più importante per la NATO in Italia è a Sigonella, in Sicilia, celebre peraltro per la crisi del 1985, quando ospitò una tesa situazione di stallo tra forze dell’ordine italiane e militari americani, sviluppata intorno alla gestione dei miliziani palestinesi atterrati lì dopo il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro.

Sigonella è una base aerea italiana che ospita anche la Naval air station dell’aviazione della marina statunitense ed è utilizzata anche, appunto, per le operazioni della NATO. A Sigonella si trova, dal 2017, l’Alliance ground surveillance, il programma che dal 2017 fornisce dati in tempo reale ai paesi membri dell’alleanza atlantica, grazie a un sistema di radar e utilizzo di droni. Il sistema è utilizzato per fornire protezione alle truppe e mantenere il controllo aereo delle frontiere e la sicurezza in mare. È da Sigonella che partono i droni Global Hawk (foto), che sorvolano i confini dell’Ucraina e controllano lo spostamento delle truppe russe.

La NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) esiste dal 1949 e fu fondata da Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti con l’obiettivo di controbilanciare il potere dell’Unione Sovietica coi suoi paesi satelliti. L’idea era di creare una sorta di deterrente alle eventuali velleità espansionistiche dell’URSS, che dopo la II guerra mondiale ambiva a un nuovo ordine internazionale che la vedesse protagonista, perseguendo interessi diversi da quelli degli Stati Uniti. Nel 1955, l’URSS e gli altri stati socialisti del cosiddetto “blocco orientale” sottoscrissero il Patto di Varsavia, un’alleanza militare che aveva a sua volta lo scopo di fare da deterrente, dopo l’ingresso della Germania Ovest nella NATO. Di questa alleanza faceva parte anche l’Ucraina, essendo una delle repubbliche dell’Unione Sovietica. Le due organizzazioni militari non si scontrarono mai in Europa durante il periodo della Guerra fredda, ma furono coinvolte comunque in attività in altre aree del mondo dove USA e URSS cercavano di espandere le loro aree di influenza, dal Vietnam all’Afghanistan. Il Patto di Varsavia fu poi sciolto all’inizio del 1991, in seguito alla fine dell’Unione Sovietica. Nel 2008, con gli accordi di Bucarest, la NATO promise anche all’Ucraina che un giorno sarebbe entrata nell’alleanza. Fu una promessa molto vaga, che non aveva un limite di tempo e che non dava l’avvio a nessun meccanismo di ammissione. Come ha scritto di recente il New York Times, fu anche una promessa azzardata, forzata dall’allora presidente americano George W. Bush mentre gli altri paesi membri erano scettici. La promessa di accogliere l’Ucraina nella NATO era azzardata anche perché avrebbe significato portare l’alleanza occidentale in un paese che condivide un ampio confine con la Russia, e che la Russia ha sempre considerato come parte della propria sfera d’influenza. Putin stesso lo ha detto più volte, e lo ha scritto in un lungo articolo pubblicato quest’anno: per lui, russi e ucraini (e anche i bielorussi) sono lo stesso popolo, e dovrebbero tutti vivere in un unico stato (a guida russa). Nel 2008, nell’ambito degli accordi di Bucarest, la NATO fece la stessa promessa di ammissione anche alla Georgia. Tre mesi dopo, il paese fu invaso dalla Russia nell’ambito della guerra per l’indipendenza dell’Ossezia del Sud. La promessa della NATO all’Ucraina, comunque, era volutamente vaga, non è mai stata mantenuta e ancora oggi nessun paese membro della NATO intende davvero mantenerla. Anche Biden, di recente, ha detto che l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza per ora è «fuori discussione». Attualmente l’Ucraina è un paese “partner” della NATO: significa che gode di un rapporto di vicinanza e di vari benefici, ma non dei diritti dei membri a pieno titolo, compreso il celebre articolo quinto del Trattato NATO, che obbliga i componenti dell’alleanza ad andare in soccorso dei propri alleati in caso di aggressione.

 

Io ritengo fermamente che un uomo può

e deve rifiutarsi di assassinarne altri.

Non ubbidendo alle ingiunzioni della soldataglia,

rifiutando di lasciarmi militarizzare,

agisce in conformità al mio ideale anarchico.

L. Lecon

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)