Criminali in divisa…

Non sono mai finite le problematiche degli sbirri cocainomani e psicopatici (perchè subiscono tra di loro gli abusi di potere delle guardie più vecchie – logica militare – nonnismo):

L’8 settembre 2021 si sono concluse le indagini preliminari sulle torture avvenute il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) da parte degli agenti di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti. Tra le accuse tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino. Tra i reati ipotizzati spicca quello di tortura, introdotto nel 2017 e contestato a 41 indagati. In questa inchiesta sono state indagate 120 persone.

Elisabetta Palmieri (non coinvolta nell’inchiesta sulle violenze dell’aprile 2020) venne rimossa dal Dap, alla fine dello scorso mese di luglio, perchè avrebbe consentito l’ingresso del proprio compagno nella struttura penitenziaria, senza autorizzazione, e facendolo presenziare alla visita della senatrice Cinzia Leone, il 23 luglio scorso. Tra questi indagati figurano anche l’allora comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone (tuttora sospeso), e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento.

Per la Procura Hakimi l’algerino ucciso dalle guardie carcerarie, sarebbe stato percosso violentemente dopo essere stato prelevato dalla cella e portato in quella di isolamento, quindi qui avrebbe assunto un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine» che ne avrebbero provocato dopo circa un mese la morte per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha sottolineato che è in corso anche un altro procedimento per individuare agenti provenienti dagli altri istituti penitenziari presenti durante i pestaggi, ma sconosciuti ai detenuti perchè coperti da caschi e mascherina.

L’inchiesta ha dedotto che c’erano guardie carcerarie (poliziotti) che usano metodi mafiosi.

Nessuno degli agenti coinvolti è stato trasferito né sospeso, tutti sono rimasti impuniti e a contatto coi detenuti che li avevano denunciati per torture.

Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria conosceva già da un anno i nomi degli agenti in servizio nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere indagati per i pestaggi ai detenuti del 6 aprile 2020 ma non ha adottato alcun provvedimento, né di sospensione né di trasferimento.

Il 16 ottobre 2020 l’allora sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi pronunciò in Parlamento rispondendo all’interrogazione del deputato di Europa Riccardo Magi sui fatti accaduti nel carcere casertano: «Con riferimento agli agenti attinti dagli avvisi di garanzia e da decreti di perquisizione, si evidenzia che, con nota 3 luglio 2020, il locale provveditore ha trasmesso al Dap l’elenco del personale del Corpo nei confronti del quale è stata data formale comunicazione dell’avvio di procedimento penale da parte della procura». Viene quindi da chiedersi: perché gli indagati rimasero tutti al proprio posto? La motivazione, secondo quanto trapela dal Dap, sarebbe da ricercare nell’impossibilità da parte del dipartimento di conoscere i reati che venivano contestati agli agenti. Dalla Campania era stato mandato l’elenco dei nomi, ma non le singole posizioni. Né chiarimenti in questo senso sarebbero arrivati successivamente, quando tre ulteriori richieste di informazioni inviate, tra luglio e ottobre direttamente ai magistrati inquirenti, rimasero senza alcuna risposta.

Anche per tale ragione, allo stato, non risulta intrapresa alcuna iniziativa, sia di natura cautelare sia disciplinare, a carico del personale coinvolto». Quindi sono rimasti tutti lì, denuncianti e denunciati. E gli spostamenti, solo dei denuncianti.

Dopo gli arresti e le altre misure cautelari emesse dal gip, il dipartimento ha sospeso non soltanto, come era ovvio, chi è finito in carcere o ai domiciliari e che è stato interdetto, ma anche altri 25 appartenenti all’amministrazione penitenziaria coinvolti in questa inchiesta che conta complessivamente più di 150 indagati.

Le torture della polizia penitenziaria sono sempre state la prassi. Durante gli abusi di potere, c’erano detenuti in ginocchio, dove venivano picchiati con pugni e manganellate.

Vincenzo Cacace (foto sopra), ex detenuto in sedia a rotelle nel carcere di Santa Maria, vittima del pestaggio da parte della polizia penitenziaria avvenuto lo scorso aprile, ha dichiara ai mass media: «Ci hanno massacrato», «Mentalmente mi hanno ucciso, voglio denunciarli. Hanno ammazzato un detenuto». “Secondo me erano drogati, erano tutti con i manganelli. Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella, perché sono sulla sedia a rotelle. Ci hanno massacrato di botte. Hanno abusato di un detenuto con un manganello. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta. “Sono loro i malavitosi perché vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, è giusto ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Voglio denunciarli perché voglio i danni morali”.

Nelle indagini saltano fuori anche le frasi shock nelle chat degli agenti, dopo le torture e gli abusi di potere ai detenuti. “Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”.

Ma ritorniamo a quei giorni drammatici.

È il 6 aprile 2020 e, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, si attua una grave spedizione punitiva a danno dei carcerati. Doveva essere una “perquisizione straordinaria”, si è trasformata in una “orribile mattanza”.

Didier Reynders, Commissario Ue alla Giustizia dichiara ai mass media: “L’Ue è contro tutte le violenze.

So che questa è una competenza nazionale ma ci aspettiamo una inchiesta trasparente e indipendente per capire cosa sia davvero successo. È dovere delle autorità nazionali proteggere tutti i cittadini dalla violenza. In ogni circostanza e quindi anche durante la detenzione”. “Dobbiamo tutti ricordarci che la detenzione non può essere una tortura”. Il Commissario, dunque, si riferisce alle violenze subite da alcuni detenuti a opera di chi avrebbe dovuto badare alla loro rieducazione e risocializzazione.

Detenuti torturati nel carcere di S. M. Capua Vetere, gli audio e i video choc che hanno incastrato gli agenti violenti

Secondo l’Associazione Antigone (www.antigone.it), che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie del sistema penale e penitenziario, dichiara ai mass media: “Quella che si è consumata il 6 aprile 2020 nell’istituto penitenziario “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, è stata tra le più gravi violazioni dei diritti umani del nostro Paese, effettuata sulla pelle dei detenuti da parte della polizia penitenziaria. Un pestaggio di massa premeditato contro persone inermi e disarmate (come confermato dalle carte dei magistrati), organizzato nei minimi dettagli e prontamente sottoposto a riusciti mezzi di depistaggio. “Quella che abbiamo visto è una pratica pianificata di violenza machista di massa che coinvolge decine e decine di poliziotti. È qualcosa che ci porta dentro l’antropologia della pena e della tortura”.

Chi è Francesco Basentini

Tutto è iniziato a marzo del 2020, c’erano state delle proteste a causa delle restrizioni previste per l’emergenza Covid-19 che avevano causato la morte di 14 detenuti, ufficialmente per intossicazioni da metadone e psicofarmaci sottratti negli ambulatori. La situazione era aggravata dalla gestione del Dap allora guidato da Francesco Basentini (foto sopra), poi dimessosi a seguito delle polemiche. A questo si aggiungevano la scarcerazione di molti boss mafiosi e la carenza, all’inizio della pandemia, di dispositivi di protezione, come le mascherine, di biancheria e acqua potabile. Vi è una prima protesta e, in seguito, alla sezione Tamigi (dove ci sono i reclusi con reati associativi), il primo caso di contagio. Prima delle 20, orario di chiusura delle celle al reparto Nilo, alcuni detenuti si rifiutano di rientrare, rimanendo in corridoio. In alcune sezioni del reparto vengono poste, al di fuori delle celle, alcune brande da usare come barricate per impedire agli agenti l’accesso ai corridoi. Circa 22 persone, infatti, nel pomeriggio avevano chiesto di parlare coi responsabili del carcere ma non avevano ricevuto alcuna risposta. Nella notte, a seguito di un confronto rassicurante, la situazione migliora. Le barricate vengono rimosse, i corridoi e le celle riordinati.

Il giorno dopo alle 12.36, le guardie psicopatiche e cocainomani si danno appuntamento in una chat della polizia penitenziaria composta da 110 persone. Così ha inizio uno dei più tragici abusi di potere del nostro Paese, un raid punitivo, paragonabile alla macelleria messicana della scuola Diaz di Genova durante le manifestazioni contro il G8, nel 2001. Dopo le 13.30, Manganelli scrive a Fullone che, in realtà, non vi è stata alcuna rivolta e che “tutti i detenuti sono rientrati dai passeggi”. Nonostante questo, la spedizione si farà lo stesso. “4 ore di inferno…per loro”, dirà Colucci a un suo collega. I registi di questa pagina buia della storia della democrazia italiana sono accusati dai pm di aver depistato le indagini con fotografie “oggetto di manipolazione informatica” per “creare ulteriori elementi calunniatori nei confronti dei detenuti”. “Ci hanno distrutti”, afferma un ex detenuto che ora, da uomo libero, ricostruisce i fatti. “Mi hanno interrogato, qualche mese fa, e mi hanno mostrato i video, in quelle immagini mi sono rivisto, ho rivissuto quel giorno”, ha continuato, “mi creda, non ho mai preso così tanti colpi, manganellate e botte in vita mia e non avevamo fatto nulla”. Come si può vedere dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza si è trattato di un’azione impressionante di forza e violenza vendicativa a danno di corpi indifesi e deboli.

Nel corridoio delle celle sono 20 contro 1. Nel vano scala sono 3 contro 1. Nell’area socialità tutti sono in ginocchio, con la faccia contro il muro. A compiere la perquisizione arbitraria (più che straordinaria) sono circa 300 agenti tra la polizia penitenziaria del carcere e molti esterni (sovrintendenti, ispettori, commissari e appartenenti al Gruppo di supporto agli interventi).

Io mi sono attenuto alle indicazioni. E dopo qualche minuto sono stato portato nel corridoio, con la testa contro il muro. E le mani alzate. Diversi detenuti si trovavano nella stessa posizione: erano nudi, però. E li colpivano con i manganelli sulle gambe e sui glutei”. Nel corridoio su cui si affacciano le celle della sesta sezione vi erano tanti agenti penitenziari che avevano formato una sorta di corridoio umano, costringendo i detenuti ad attraversarlo, colpendolo con schiaffi, pugni e manganellate, come dimostrano i filmati che gli indagati erano fermamente convinti sarebbero spariti ma che, invece, sono stati recuperati. La scena che riprende l’area di socialità mostra un biliardino rovesciato al centro, un tavolo da ping pong e alcune sedie ai lati, e alcuni poliziotti in tenuta antisommossa.

Le guardie hanno manganellato anche un disabile e gli urlavano: ‘ti mettiamo il pesce in bocca, non conti nu cazzo qua dentro e neanche fuori’”, ha continuato il detenuto che stava subendo le torture. Quest’ultimo ha riconosciuto la commissaria di reparto: “Guardava mentre ci massacravano, ma non interveniva, un ragazzo detenuto di vent’anni mi ha detto ‘poteva essere mia madre, ma non ha mosso un dito’”.

Ma non è finita qua, ricordiamoci anche del vecchio vizio degli sbirri: Il 30/6/2020, c’è stata un’idagine, svolta dalla questura di Torino e dai carabinieri di Cuneo, che riguardava l’attività di una “locale” autonoma di ‘ndrangheta riconducibile alla famiglia Luppino, originaria di Sant’Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria).

Nell’indagine sono stati indagati a piede libero (impuniti come sempre), tre carabinieri e due agenti di polizia penitenziaria. L’inchiesta ha portato a 12 ordini di custodia cautelare (8 in carcere e 4 ai domiciliari) e a decine di perquisizioni. L’indagine riguardava l’attività di una “locale” di ‘ndrangheta a Bra (Cuneo) riconducibile alla famiglia Luppino.

L’attività principale era il traffico di stupefacenti anche se non mancavano casi di estorsione e tentativi di infiltrazione nel tessuto politico e imprenditoriale. Sono emersi contatti con la ‘ndrina degli Alvaro di Sinopoli. Secondo le indagini si tratta di un gruppo che permea il territorio in maniera silente, esercitando una forza che si fonda in gran parte sulla provenienza geografica dei suoi componenti”. Sono persone, capaci di ottenere grande credito senza nemmeno ricorrere a intimidazioni specifiche: a volte basta il nome”.

Due dei tre carabinieri sono indagati per episodi avvenuti all’epoca in cui prestavano servizio in provincia di Cuneo. Si procede per favoreggiamento e rivelazione di segreti di ufficio aggravati dall’agevolazione mafiosa per avere passato (secondo gli inquirenti) informazioni riservate alla famiglia Luppino. Il terzo carabiniere, che, invece, era di stanza a Villa San Giovanni, avrebbe offerto ai Luppino delle notizie riservate: per lui, oltre al favoreggiamento e alla rivelazione di segreti di ufficio, si aggiunge l’accesso abusivo ai sistemi informatici.

I due agenti di polizia penitenziaria invece, lavoravano nel carcere di Saluzzo dove era rinchiuso una delle figure al centro dell’inchiesta, Salvatore Luppino, al quale avrebbero fatto avere bevande alcoliche e altri beni non permessi. Sono ora indagati per corruzione aggravata dall’agevolazione mafiosa.

Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome di “Cheese”, una delle maggiori rassegne enogastronomiche in Italia che si tiene ogni due anni a inizio autunno a Bra. Una serie di intercettazioni telefoniche indicherebbe che due dei personaggi chiave, i fratelli Salvatore e Vincenzo Luppino, fossero percepiti come delle figure capaci di condizionare l’assegnazione di posti e stand a chi voleva prendere parte alla manifestazione internazionale. Si tratta secondo gli inquirenti, di un risvolto che testimonia come i presunti ‘ndranghetisti fossero capaci di condizionare la vita economica e politica del territorio e, soprattutto, di farsi “percepire” come persone influenti.

Stiamo tornando al ventennio fascista: torture nel carcere di Caserta

Giustizia dalla parte dello Stato-mafia

Religione, il dominio della mente umana;

proprietà, il dominio dei bisogni umani;

e governo, il dominio della condotta umana,

rappresentano le roccaforti della schiavitù umana,

e tutti gli orrori che questa comporta.

Emma Goldman

 

Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)