Ricordare per non dimenticare: aperte le indagini sugli sbirri della Uno bianca

Uno Bianca, 25 anni e nessuna certezza

L’11 settembre i mass media scrivono che l’avvocato dei familiari delle vittime della Uno bianca Gamberini, ha dichiarato che “la banda agiva non per lucro ma per alimentare la strategia della tensione”, che faceva parte del patto Atlantico anticomunista della Nato firmato anche dall’Italia nel 1949, un piano militare che comprendeva colpi di stato e stragi di stato per destabilizzare i movimenti in lotta. Secondo il gruppo dei familiari delle vittime della Uno bianca c’era un collegamento con Ustica, e  a maggio han fatto un esposto alla Procura di Bologna, chiedendo di riaprire le indagini per trovare mandanti e complici della banda che tra il 1987 e il ‘94 uccisero 23 persone e ne ferirono oltre 100. Il filo tra le due vicende riguarda la figura dello sbirro fascista psicopatico Roberto Savi (foto sotto con Fabio e Alberto), che secondo l’esposto dei familiari, aveva a disposizione informazioni che dimostrerebbero i suoi rapporti con mondi legati ai servizi di sicurezza.

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Un’indagine, quella del gruppo terrorista della Uno bianca, che hanno ostacolato con depistaggi, errori, sviste e sottovalutazioni. Furono arrestate persone che con quella vicenda non c’entravano nulla mentre gli indizi che avrebbero potuto portare all’individuazione dei reali colpevoli, furono ignorati. Sullo sfondo della Uno Bianca, l’ombra dei servizi segreti e i misteri della Falange Armata. È quanto contenuto in un esposto depositato da un gruppo di familiari delle vittime, sugli indagati, seguendo una lunghissima scia di sangue su cui l’esposto vuole tornare a fare luce, ipotizzando una strategia stragista e il coinvolgimento di servizi segreti.  L’esposto è stato depositato dall’avvocato Alessandro Gamberini (foto sotto) alla Procura di Bologna, alla Procura nazionale antiterrorismo e, per conoscenza, a quella di Reggio Calabria, che ha indagato sulla Falange armata, tornata d’attualità nel recente processo ’Ndrangheta stragista.

Uno Bianca, l'esposto: "Era terrorismo, con complici nei Carabinieri" -  DIRE.it

Il 26/1/2023 si è conclusa la digitalizzazione dei fascicoli processuali sulla Banda della Uno Bianca, con  277 faldoni e 11 allegati, in un arco di tempo che va dal 1990 al 2000. Il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini dichiara ai mass media: “Ricordare per costruire un futuro migliore”. Materiale di straordinario valore storico e giudiziario sottratto all’usura del tempo, che ora potrà essere messo a disposizione di quanti vorranno approfondire una delle pagine più drammatiche e oscure della storia della Repubblica. La digitalizzazione dei documenti è stata resa possibile da specifici accordi tra l’Archivio di stato e la Procura da un lato e tra lo stesso Archivio e il Tribunale e la Corte d’Assise di Bologna dall’altro, per il versamento anticipato, rispetto a quanto fissato dal Codice dei Beni culturali, del materiale relativo alle fasi delle indagini e del dibattimento del processo alla banda della Uno bianca. Si rinnova così la proficua collaborazione già formalizzata nel 2011 e che aveva allora consentito il versamento anticipato della documentazione processuale relativa agli episodi di eversione, terrorismo e strage giudicati dalla Corte d’Assise di Bologna a partire dal 1971, consentendo la digitalizzazione di 17 fascicoli processuali per un totale di 972 faldoni, tra cui anche quelli relativi alla strage della Stazione di Bologna del 2/8/1980 e all’attentato al treno Italicus. Un impegno tanto più urgente oggi, in tempi in cui davvero la memoria appare troppo spesso fragile e confusa. Invece ricordare è fondamentale, per capire il tempo in cui viviamo, trarre lezioni dal passato e costruire un presente e un futuro migliori o, quantomeno, consapevoli. Ma secondo l’avvocato Gamberini, gli «interrogativi percorrono alcuni corpi dello Stato, in particolare polizia, carabinieri e i servizi (Sismi e Sisde)», attraverso figure che ebbero ruoli differenti nelle lunghe e tormentate indagini.

Francesco Cossiga e il giorno in cui fummo “fucilati” per la nostra inchiesta su Cia-P2

Secondo Ganberini: «Non si è trattato solo di una banda di rapinatori sanguinari, ma di terroristi, il cui obiettivo era spargere panico nella popolazione. Ciò vale non solo per tutti i crimini commessi tra la fine del 1990 e il ‘91, come  gli assalti omicidi ai campi nomadi e il ferimento e l’uccisione di cittadini extracomunitari del dicembre 1990, nell’esposto si parla di depistaggi organizzati «con visibili appoggi esterni» per «rompere il tessuto politico comunista della regione». Depistaggi che iniziano sin dai tempi della banda della Regata, come veniva chiamata la banda all’inizio, quando per le rapine ai caselli usava una Regata di Alberto Savi. «Tutti i crimini della uno bianca non sono mai stati approfonditi, ricorda l’avvocato Gamberini, che ventila anche l’ombra di ambienti massonici. Il 2/7/1990: nel corso di una trasmissione televisiva, il Tg1 manda in onda un’intervista con Richard Brenneke, un ex agente della Cia, che denuncia le responsabilità del servizio segreto americano che faceva parte della Nato e della P2 nel finanziamento del terrorismo italiano. E’ una trasmissione che manderà su tutte le furie il capo dello stato Francesco Cossiga (foto sopra), il quale chiederà e otterrà la testa dei direttore del telegiornale, Nuccio Fava. Il 20 luglio il giudice istruttore di Venezia Felice Casson, chiede ed ottiene il permesso di mettere il naso negli archivi del Sismi, il servizio segreto militare. Un ex ufficiale del servizio gli ha infatti rivelato che proprio nel 1972 i servizi segreti militari smantellarono 139 depositi clandestini di armi ed esplosivo, denominati “nasco” (da nascondigli). Quei depositi erano stati sistemati in Italia in accordo con la Cia. Il 30/7/1990 Cossiga si dice vittima di un complotto a causa di una serie di articoli di stampa che riprendono i suoi incontri col maestro della P2 Licio Gelli. Ma non è finito qua l’enigma: il 9 ottobre a Milano, mentre sta lavorando alla ristrutturazione di un appartamento, un operaio, nel demolire un piccolo pannello situato sotto un termosifone, scopre una nicchia in cui sono custoditi documenti delle Brigate rosse. Dodici anni prima quell’appartamento era stato un covo del gruppo delle Br e quei documenti contenevano  una parte inedita del memoriale del presidente della DC Aldo Moro. In quei fogli Moro, tra l’altro, racconta del doppio Sid e della Gladio, strutture armate clandestine facente capo ai servizi segreti. Si tratta della stessa struttura, rimasta segreta per quasi 40 anni. Come mai quei documenti riappaiono dopo 12 anni? Il 23/10/1990 la struttura di Gladio viene resa di pubblico dominio. Ufficialmente secondo il governo, si tratterebbe di una struttura costituita nel 1956 in ambito NATO per fronteggiare una possibile invasione dei Paesi del Patto di Varsavia. Composta da 622 civili, essa avrebbe potuto disporre di armi ed esplosivi interrati in diverse zone del Nord d’Italia, ma anche nel Sud. Col passare del tempo si scoprirà invece che Gladio è stata creata di comune intesa dai servizi segreti italiani e da quelli statunitensi che facevano parte della Nato. Che il suo scopo era quello di impedire in ogni modo l’ascesa del Partito comunista al governo. Che dietro la facciata legale dei 622 civili, esistevano altre strutture occulte ben più agguerrite. Che oltre ai 139 nasco, Gladio poteva disporre di armamenti nascosti in almeno 50 caserme dei carabinieri e in una base USA. Che quella struttura disponeva di una base segreta in Sardegna e soprattutto che era stata coinvolta nelle stragi e negli episodi più oscuri della nostra storia repubblicana. Il 28/11/1990 il presidente della Commissione stragi Libero Gualtieri dichiara che la base di Gladio, quella sarda di Capo Marrargiu, era anche il luogo dove sarebbero dovuti essere trasferiti i militanti comunisti che nel 1964 avrebbero dovuto essere catturati sulla base del Piano Solo di De Lorenzo (colpo di stato organizzato solo dai carabinieri). Sempre in quel periodo l’ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi, e il suo capo di stato maggiore, il generale Paolo Inzerilli, sono formalmente indagati per le deviazioni di Gladio e la sua possibile compromissione con le stragi. Nel 1991 a seguito dell’esplodere del caso Gladio, vennero accusati le massime istituzioni dello Stato: la presidenza della Repubblica, la presidenza del Consiglio, l’Arma dei carabinieri e la parte più rilevante dei servizi segreti, il Sismi, cioè l’intero apparato militare dell’intelligence. Ma proprio in quel periodo, nel momento in cui le massime istituzioni del Paese sono travolte dalla bufera, ecco apparire sulla scena due nuovi giocatori: un gruppo di misteriosissime persone che sono i telefonisti della Falange armata e la Banda della Uno Bianca,  una banda, composta nella maggior parte da poliziotti, che comincia a giocare una terrificante partita di terrore proprio nel periodo in cui il potere politico era in mano ai comunisti. In quel particolare periodo della storia italiana che va dall’estate 1990 all’estate successiva del ‘91, quando alla fine si smorzano i clamori dell’affare Gladio, decida di contrastare la campagna di polemiche che sta investendo i servizi segreti italiani. Quella di decapitare i servizi segreti, senza mai rinnovarli effettivamente, è infatti una tradizione tutta italiana.

Audio Rai.TV - Wikiradio Archivio 2017 - L'arresto di Vito Miceli -  Wikiradio del 31/10/2017

Nel 1964, quando esplose l’affare del Piano Solo (colpo di stato organizzato solo dai carabinieri), il Sifar cambiò semplicemente nome in Sid – doppio Sid. Nel 1974, a seguito dello scandalo per il golpe Borghese e alla scoperta della Rosa dei Venti, il capo del Sid Vito Miceli (foto sopra), venne arrestato. Nel 1978, con la riforma dei servizi segreti, il Sid cambiò nome in Sismi. Quando nel 1981 scoppiò lo scandalo della P2, si scoprì che i capi dei due servizi segreti, il Sismi e il Sisde, erano iscritti alla loggia massonica di Licio Gelli. Ogni mutamento all’interno dei servizi, provoca una serie di controspinte particolari, perché i subordinati, perdendo i loro abituali punti di riferimento e, molto spesso, anche i loro padrini politici, vedono le loro carriere messe in gioco. Nel Sismi un gruppo, inserito a livelli medio alti, che di Gladio si è nutrito, anche economicamente, che in Gladio ha anche creduto politicamente, che con la struttura superclandestina di Gladio ha fatto la sua fortuna, decide che così non si può più andare avanti e terrorizza l’Italia. La loro ideologia è indubbiamente un’ideologia di destra nel senso più classico: ordine e disciplina. Hanno un loro modo di agire, certamente sottoposto alle logiche della politica, che però ritengono essere al servizio della nazione, giustificano i loro atti terroristici convinti che sempre e comunque il fine giustifichi i mezzi. E siccome il loro fine è un fine di conservazione degli equilibri esistenti e non sono assolutamente pronti ad un’apertura trasparente e democratica nella gestione dei servizi segreti, ecco l’idea perversa: dimostriamo che il caos, il sangue ed il terrore possono imperare indisturbati. Ecco allora entrare in azione una sigla minacciosa, quella della Falange armata, pronta a rivendicare ogni cosa oscura si muova nel Paese. Ed ecco che una ben individuata banda di poliziotti rapinatori può servire  per il loro perverso piano militare autoritario anticomunista (Patto Atlantico), fatto di stragi e colpi di stato istituito dalla Nato nel 1949. Insomma sempre lo stesso giochetto perverso di sempre, già collaudato con la strategia della tensione e la stagione dello stragismo: spingere attraverso la paura per evitare che il comunismo entrasse dentro il potere politico.

Il 29/11/1990 uno stranissimo furto avviene in quello che è considerato “il santuario” dei servizi segreti italiani, Forte Braschi, sede degli uffici del Sismi, il servizio di sicurezza militare, ma anche dei riservatissimi laboratori del bunker che ospita gli archivi della intelligence italiana e dove vengono custoditi i fascicoli che portano la dicitura “Segreto di Stato”. Il Forte si trova a Roma, nella zona di Boccea, nella parte occidentale della capitale, quella che conduce verso Cerveteri e Santa Severa, dove hanno sede altre due strutture del servizio. Dal parcheggio blindato e sorvegliatissimo di Forte Braschi sparisce una Fiat Uno bianca, in dotazione alla VII divisione, quella a cui faceva capo la struttura segreta di Gladio, ufficialmente sciolta soltanto il giorno prima, mercoledì 28 novembre. Quando il furto viene scoperto, a Forte Braschi scoppia il finimondo. L’ammiraglio Fulvio Martini, è stato accusato di impiegare la struttura di Gladio nella lotta alla mafia e al narcotraffico.

Qui comincia il mistero chiamato Falange armata con più di 500 telefonate in tre anni e mezzo. Sono i telefonisti della FaIange armata. «Terroristi della disinformazione che lavorano in orario di ufficio», come li definì Nicola Mancino quando era ministro dell’Interno, «gente che ha la piena disponibilità di una rete informativa all’interno dell’apparato pubblico», come ritiene la magistratura. Secondo il sostituto procuratore di Roma Pietro Saviotti, la Falange armata è un gruppo terroristico che chiama per attribuirsi la paternità anche di delitti di mafia, come è avvenuto dopo l’assassinio di Salvo Lima o dopo la strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. Da quando sono di scena i terroristi della Uno bianca, la telefonata della Falange armata non manca mai. Il linguaggio della Falange non ha nulla di politico nel senso al quale ci avevano abituato le Br o i neofascisti dei Nar. La fraseologia è contorta, burocratica, spesso indecifrabile. I termini sono spesso tecnici. Sembra di ascoltare un funzionario statale o peggio ancora un militare di grado intermedio nell’adempimento delle sue funzioni. L’inchiesta di Saviotti ha prodotto fino ad ora un solo arresto, quello di Carmelo Scalone, 56 anni, operatore carcerario che ha lavorato a lungo nei penitenziari di Messina e di Giarre. Scalone, siciliano, avrebbe fatto diverse telefonate, comprese alcune dirette al ministero della Giustizia, in cui si minacciava di morte da solo, allo scopo di ottenere una scorta.

Ma sul mistero della Falange armata un piccolo squarcio era sembrato aprirsi nell’ottobre del ‘93, quando alla Procura di Roma fu consegnato un foglietto autografo dell’ambasciatore Francesco Paolo Fulci (foto sopra), che per un certo periodo diresse il Cesis, l’organismo di coordinamento tra gli 007 militari del Sismi e i civili del Sisde. In quel foglietto, temendo per la sua vita, Fulci aveva elencato 16 nomi e mostrandolo al presidente della Commissione stragi Libero Gualtieri, gli aveva confidato: «Se mi uccidono, sarà stato uno di loro». Secondo l’ambasciatore quelle 16 persone rappresentavano il cuore pulsante del servizio segreto militare. Tutti paracadutisti formati nelle scuole di guerriglia e sabotaggio; tutti appartenenti alla VII divisione del Sismi, quella da cui dipendeva Gladio; tutti arruolati da Pietro Musumeci, legatissimo a Licio Gelli, condannato a 8 anni di carcere per aver depistato l’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna del 1980. Tra questi nomi, rivelati dal giornalista Michele Gambino sul settimanale Avvenimenti, compare quello di un ufficiale di grosso spessore, Bruno Garibaldi, ultimo responsabile tra il 1987 e il ‘90 della sezione addestramento speciale di Gladio e membro (secondo la magistratura bolognese), della famigerata sezione K del Sismi, formata da uomini addestratissimi, con licenza di uccidere, adibiti alle “operazioni sporche” del servizio, con a disposizione molto denaro. Della sezione K avrebbero fatto parte altri nomi compresi nella lista dell’ambasciatore, come Gaetano Marcoccio, Antonio Bonanni, Carlo Caporali, Carlo Marchionni, Antonio Nicolella e Mauro Morandi. Sarebbero loro (secondo Fulci) assieme a Roberto Scrocco, Giulivo Conti, Mauro Giannella, Luigi Masina, Paolo Martinello, Giuseppe Passero, Alessio Scaglietta, Giorgio Tolu e Giorgio De Santis i telefonisti della Falange armata. Il loro scopo? Seminare la disinformazione, e tenere il Paese sotto tiro, sotto pressione, per far sì che la struttura di potere di cui loro stessi fanno parte non perda potere, ma anzi lo aumenti. Bisogna aggiungere, per completezza, che però contro queste 16 persone indicate da Fulci, la magistratura non ha ritenuto di dover prendere alcun provvedimento. Ma ai magistrati romani e bolognesi è rimasto un sospetto che, anche in questo caso, nasce da una coincidenza: l’inizio dell’attività della Falange armata (aprile 1990) avviene contestualmente con la scoperta da parte del giudice veneziano Felice Casson dei depositi clandestini di Gladio (Nasco), scoperta che prelude alla scioglimento della struttura da parte del Governo, alla decapitazione del Sismi e ad una stretta di maggior controllo, almeno sul piano formale, da parte del potere politico. Secondo il giudice Felice Casson la Falange armata si annida nei servizi segreti e l’attività della Uno bianca (almeno nel periodo che va dall’ottobre del 1990 all’estate del 1991) è stata aiutata dall’esterno. In altre parole la Falange potrebbe aver offerto coperture ai poliziotti assassini, attraverso le strutture di intelligence dei servizi segreti.  

Con l’uscita di scena della banda della Uno bianca cessa anche l’attività frenetica dei telefonisti della Falange armata. L’ultimo colpo messo a segno è dell’1/12/1994. La banda dei poliziotti killer è stata appena catturata quando un messaggio, uno stranissimo messaggio, appare sui terminali dell’agenzia di stampa Adn Kronos. Qualcuno è riuscito a penetrare nel sistema informatico centrale dell’agenzia, qualcuno è riuscito a bloccare il sistema ed ha inserito un testo farneticante a firma, appunto, Falange armata. In esso l’organizzazione prende le distanze dagli uomini della Uno bianca, che definisce “terroristi idioti e incapaci con cui la nostra organizzazione non ha niente a che vedere”. Messaggio delirante che distrugge due interi dischi di memoria dell’agenzia di stampa. Il messaggio prosegue vantando alla Falange armata contatti «con ambienti politico-militari al di fuori di ogni immaginazione» e una «consistenza delle nostre strutture logistiche di supporto, come strumenti informatici di servizi segreti stranieri». Per il sostituto procuratore di Roma Pietro Saviotti, quell’attentato informatico non è da prendere sottogamba.

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http://www.studiogamberiniassociati.it/news/uno-bianca-l-avvocato-dei-familiari-gamberini-impegnato-nella-riapertura-delle-indagini.html

https://www.riminitoday.it/cronaca/in-arresto-il-figlio-di-roberto-savi-boss-della-banda-della-uno-bianca.html

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Liberate subito il compagno Anarchico individualista Alfredo Cospito che, in confronto ai tanti delitti e stragi di stato attuati dagli sbirri e dai servizi segreti, non ha fatto morti ma solo azioni dirette per puntualizzare le tante problematiche che ci sono dietro al business del nucleare che produce inquinamento e cancro ai civili disinformati e puntualizzando anche il problema delle forze dell’ordine autoritarie, che abusano di potere  e lavorano per i servizi segreti che hanno realizzato tante stragi di stato per fermare il movimento in lotta, facendo migliaia di morti innocenti. Vogliamo dentro al 41 bis gli sbirri P2isti e gli sbirri della falange armata e della Uno Bianca!! Liberate subito Cospito e tutti i compagni/e anarchici ingiustamente detenuti!!!

Terrorista è lo stato, non l’Anarchia.

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La democrazia è menzogna, è oppressione,

è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi

a beneficio di una classe privilegiata,

ma possiamo combatterla noi in nome

della libertà e dell’uguaglianza, e non già

coloro che vi han sostituito o vogliono

sostituirvi qualcosa di peggio.

Errico Malatesta

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Cultura dal basso contro i poteri forti

Rsp (individualità Anarchiche)