STATO DI POLIZIA: costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore…

STATO DI POLIZIA:

costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore…

8 luglio 2015

La madre di Federico Aldrovandi Patrizia Moretti, annuncia il ritiro delle querele per diffamazione nei confronti del senatore Carlo Giovanardi, dell’agente di polizia Paolo Forlani, condannato in via definitiva per la morte del figlio, e del segretario del Coisp Franco Maccari. “Non è un perdono – ha spiegato Moretti – ma sono convinta che una sentenza di condanna non potrebbe cambiare persone che, da quanto capisco, costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore” (stato di polizia). Giovanardi in particolare rischiava il processo per aver affermato che la macchia rossa, ritratta dietro alla testa di Aldrovandi in una foto delle ore successive al decesso, non sarebbe stata sangue ma un cuscino….

MA ANDIAMO A RICORDARE COSA SUCCESSE QUEL GIORNO …

Il 27 marzo 2013 gli agenti del Coisp a Ferrara organizzarono un sit-in per manifestare solidarietà ai quattro poliziotti condannati in quel giorno per LA MORTE DEL GIOVANE Aldrovandi. Durante la manifestazione la sbirraglia va a sostare (provocazione mafiosa) sotto la finestra dove lavora Patrizia Moretti la mamma di Federico.

La madre irritata dalla loro spregiudicatezza e arroganza, esce in piazza con la foto del figlio morto, torturato e ucciso.

Davanti all’esposizione dell’immagine del diciottenne privo di vita i manifestanti sbirroidi hanno voltato le spalle….

Carlo Giovanardi (cattofascistoide (Udc) il giorno dopo rilascia a un intervista shoccante ai mass media:  “Quella macchia rossa dietro la testa di Federico Aldrovandi non è sangue, è un cuscino”. …

Ma andiamo a vedere chi è quella merdaccia di Giovanardi !!!

Carlo Giovanardi è nato nel 1950 a Modena. Laureato in giurisprudenza, ha prestato servizio militare presso l’arma dei carabinieri…..

È presidente dell’Associazione massonica Nazionale Insigniti Onorificenze Cavalleresche (ANIOC).

I suoi parenti fanno parte della massoneria cattolica (Templari, Rosa Croce, Opus Dei, Rotary club, Sea Organization, con gradi e uniformi tipici della Marina militare, ecc …) .

Giovanardi è il fratello gemello di Daniele Giovanardi, presidente, della Confraternita della Misericordia ( mafia capitale) che gestisce alcuni centri di identificazione ed espulsione (CIE) a Modena e Bologna (massomafia).

La sua esperienza politica comincia nel 1969, quando si iscrive alla mafiosa e corrotta Democrazia Cristiana.

Dopo la diaspora democristiana, nella II Repubblica aderisce al Centro Cristiano Democratico (CCD) guidato da Pier Ferdinando Casini e membro della coalizione del centrodestra.

Alle elezioni politiche del 2001 viene eletto deputato nel collegio uninominale di Lecco per la coalizione della Casa delle Libertà e confluisce, insieme a tutto il partito, nell’Unione dei Democratici Cristiani e di Centro (UDC). In questa fase ricopre l’incarico di Ministro per i rapporti con il Parlamento, nei governi Berlusconi II e III tra 2001 e 2006.

Nel febbraio 2006 riesce ad inserire la nuova legge sulle droghe (cosiddetta Legge Fini-Giovanardi) all’interno del pacchetto sicurezza per le olimpiadi invernali di Torino 2006….

Con tale legge le droghe leggere, come la cannabis, vengono equiparate a droghe pesanti quali eroina o cocaina; vengono inoltre introdotte sanzioni penali anche per i consumatori, sanzioni che erano state cancellate dal referendum popolare del 18-19 aprile 1993 in cui si sancì la non punibilità dei consumatori. Tale normativa viene giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, per via della sua incongruenza con l’obiettivo del decreto olimpiadi, e quindi annullata il 12 febbraio 2014.

Alle elezioni amministrative del 2014 è candidato alla carica di Sindaco di Modena sua città per il NCD, ottenendo il 3,96% dei consensi pari a 3.790 preferenze.

Il 9 novembre 2009 l’ignobile Giovanardi afferma che la morte di Stefano Cucchi, (giovane deceduto in carcere a seguito di un arresto per possesso di 20 grammi di cannabis, le foto del cui cadavere dopo l’autopsia, diffuse dai genitori, ne mostrano il corpo torturato, segnato da evidenti lesioni, traumi e fratture, sia avvenuta a causa “della droga”, in quanto “anoressico, drogato e sieropositivo” ….

Ma andiamo a capire come morì il giovane Aldrovandi !!

Aldrovandi quella notte del 25 settembre 2005, si fece lasciare dagli amici in una via vicino per tornare a casa a piedi. Mentre camminava fu fermato da una pattuglia di sbirri, che gli chiesero i documenti che non aveva con sé.

Aldrovandi quella notte subì lo stesso trattamento che gli sbirri usano con gli extracomunitari dopo la mezzanotte a Ferrara e non solo….

Lo scontro tra i quattro poliziotti (Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri) e il giovane Federico, diventa molto violento (durante la colluttazione due manganelli si spezzano) e porta Federico alla morte, sopraggiunta per “asfissia da posizione”, col torace schiacciato sull’asfalto dalle ginocchia dei poliziotti….

La pattuglia di sbirri era già conosciuta in citta (ancora prima della morte di Federico), come persone razziste, che usavano metodi fascistoidi, (frustrati che si vendono al più forte per 4 soldi).

Da anni erano conosciuti dalla cittadinanza come persone arroganti , violente e meschine , che abusavano di potere coi cittadini inermi….

La famiglia venne avvertita solamente alle 11 del mattino, quasi 5 ore dopo la constatazione del decesso. I genitori, di fronte alle 54 lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, ritennero poco credibile la morte per un malore….

Il 10 gennaio 2007 venivano formalmente rinviati a giudizio, per omicidio colposo, gli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, per aver ecceduto i limiti dell’adempimento di un dovere, per aver procrastinato la violenza anche dopo aver vinto la resistenza del giovane e per aver ritardato l’intervento dell’ambulanza.

Il 6 luglio 2009 i quattro poliziotti vengono condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione, per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. Il 21/6/2012, dopo l’iter giudiziario, la Corte di cassazione ha confermato la condanna.

Il 5 marzo 2010 altri tre poliziotti sono stati condannati nel processo Aldrovandi bis sui presunti depistaggi nelle indagini mentre un quarto è stato rinviato a giudizio. La decisione sui depistaggi conferma l’ipotesi accusatoria dell’intralcio alle indagini fin dal primo momento. Le condanne sono state per:

Paolo Marino, dirigente dell’Upg all’epoca, a un anno di reclusione per omissione di atti d’ufficio, per aver indotto in errore il PM di turno, non facendola intervenire sul posto.

Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa, a dieci mesi per omissione e favoreggiamento.

Marco Pirani, ispettore di polizia giudiziaria, a otto mesi per non aver trasmesso, se non dopo diversi mesi, il brogliaccio degli interventi di quella mattina….

Luca Casoni, il quarto poliziotto coinvolto, che non ha scelto il rito abbreviato, è sottoposto a processo a partire dal 21 aprile di quell’anno.

Nel 2012 la quarta sezione penale ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dei quattro agenti contro la condanna che era già stata emessa dalla Corte d’Appello di Bologna. I poliziotti torturatori però rimangono impuniti, beneficiando dell’indulto, che copre 36 dei 42 mesi di carcerazione previsti dalla condanna….

Nel 2013 Monica Segatto, l’unica donna del gruppo, viene scarcerata sulla base del decreto Severino (lo “svuota-carceri”) dopo un mese di detenzione e ammessa al regime degli arresti domiciliari….

Tre dei 4 poliziotti (eccetto Forlani, a causa di una cura per “nevrosi reattiva”) ritornano in servizio nel gennaio 2014, destinati a servizi amministrativi. …

Il sindacato di polizia Coisp, l’altro giorno ha indetto per il 20 luglio 2015 una manifestazione in piazza Alimonda “per ricordare la verità del G8 genovese e non solo le storpiature di qualcuno”.

Piazza Alimonda, insieme alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto, è uno dei luoghi simbolici delle drammatiche giornate di contestazioni al summit internazionale, quello in cui il 20 luglio 2001, nel corso di durissimi incidenti fra manifestanti e forze dell’ordine, Carlo Giuliani rimase ucciso a causa di un colpo di pistola.

I5/5/2003 il processo per l’omicidio Giuliani viene archiviato per “legittima difesa” e “uso legittimo delle armi in manifestazione”. Ai sindacalisti del Coisp questo però non basta perché, come spiega il loro sanguigno segretario regionale, Matteo Bianchi, il loro vero obiettivo è la memoria di Carlo e i simboli che l’accompagnano. A partire dal cippo di granito posizionato nel 2013 in un’aiuola di piazza Alimonda che ricorda il giorno della sua uccisione.

 

Rsp (individualità Anarchiche)

STATO DI POLIZIA: La”tortura moderata” della polizia fascista

 

25 giugno 2015: Agenti di polizia fuori dall’Expo per distribuire volantini contro la legge sul reato di tortura…

A spiegare le ragioni della manifestazione c’è quell’ ipocrita merdaccia di Stefano Paoloni, segretario del Sap, sindacato autonomo di polizia: “Gli agenti si scagliano contro i numeri identificativi. “L’introduzione del reato ingesserebbe l’operato delle forze di polizia” . …

Gli sbirri hanno inscenato una manifestazione allegorica perché sono preoccupati per la loro impunità, che verrebbe a meno se si attiva la legge sul reato di tortura. Le loro violenze e torture fatte alla povera gente o a cittadini comuni verrebbero processate, non finirebbero facilmente in galera, ma almeno si darebbe nome e cognome agli “abusi di potere”.

Ora torniamo indietro nella Storia per capire da dove nasce l’ignobile abitudine sbirresca di usare la sopraffazione e la violenza sul più debole:

Risultati immagini per polizia tortura

STATO DI POLIZIA

La “tortura moderata” della polizia fascista

Nel 1953 l’Unione nazionale di polizia, non volendo “rimanere inerte di fronte all’attuale situazione che minaccia di precipitare il Paese nella guerra civile” denunciò all’autorità giudiziaria LeIio Basso, “visionario parlamentare estremista” autore di “un indegno libello […] nel quale ha fatto strazio degli organi di polizia […] accusandoli di atrocità, di sevizie e di delitti gravissimi con la connivenza del governo, contro il quale scaglia le più volgari contumelie. La reputazione, la morale, l’onore degli appartenenti alla polizia, sono coscientemente lesi, al punto che essi, nel libello, appaiono una associazione mafiosa, che attua i più svariati sistemi di barbarie e terroristica tortura inquisitoria, per strappare una confessione, o per procurarsi le prove di un delitto, o per imbastire un procedimento penale a carico di innocenti”.

La tortura oggi in Italia: Basso, Lelio

Nessuna più efficace e sintetica descrizione della nostra polizia di quella testé data dalla rivista ufficiosa “Ordine Pubblico.” Il libello in questione (La tortura oggi in Italia) aveva costituito una delle più significative iniziative seguite allo scandalo suscitato dal caso Egidi, dal quale prese anche le mosse una commissione ministeriale d’inchiesta. Nel processo Egidi (gennaio 1952) furono portate alla ribalta, clamorosamente, tutte le caratteristiche dei metodi “di indagine” della pubblica sicurezza. Guidata da un questore senza scrupoli (Polito) e diretta da un commissario ex torturatore fascista (Barranco) la squadra mobile romana, trovandosi con l’assassinio della piccola Annarella Bracci al suo 26° delitto impunito, decise che il malcapitato Lionello Egidi avrebbe dovuto essere il “reo confesso” che avrebbe risollevato le sorti malmesse della polizia criminale della capitale. “Egidi deve confessare,” ordinò il questore: Barranco si incaricò di eseguire le direttive di Polito. Ed Egidi “confessò”; ma sopravvennero clamorose ritrattazioni dell’imputato, rese più credibili dalle evidenti tracce di violenza subita, e, malgrado l’appassionata serie di arringhe del p.m. tese a dimostrare che la confessione di Egidi era valida, anche se si fosse adoperata qualche “tortura blanda” per estorcergliela, Egidi andò prosciolto, sia pure per insufficienza di prove. Al di là del banale caso in sé, il processo Egidi rappresentò una data: in esso, oltre alla rivelazione esplicita dei mezzi e dei metodi meschini di azione della polizia italiana nello svolgere indagini: violenze psicologiche e fisiche, abuso di potere ecc. Gli sbirri sono colpevoli inoltre di connivenza con la magistratura, soprattutto nell’organismo del pubblico ministero, costruzioni di prove e testimonianze false, ecc. (come esempio contemporaneo ricordiamo le torture fatte dallo stato di polizia al G8 di Genova 2001 e alla scuola Diaz). Col processo Egidi si era avuto per la prima volta un’ammissione pubblica nel Paese che la tortura veniva correntemente impiegata, in quanto (“può essere considerata tortura forse un cazzotto?”, si domandò arrogantemente il p.m.) “tutti i detenuti, più o meno, vengono percossi, specie se si ostinano a negare … , e la tortura, se è ‘moderata’, non si vede perché non debba esser cosa lecita”.

Dal caso Egidi prese il via anche una commissione ministeriale d’inchiesta, nominata dal guardasigilli Zoli il 28/2/1952, la quale consegnò la sua relazione il 22/3/’54 al guardasigilli De Pietro. Poco dopo l’insediamento della commissione un penalista, con acuto spirito profetico, aveva scritto: “…la cosa peggiore che potrebbe attualmente succedere sarebbe proprio che la Commissione d’inchiesta dovesse, per mancanza di materiale concreto su cui portare il proprio giudizio, giungere a conclusioni contrarie a quelle di tutti gli esperti e i conoscitori della realtà della vita giudiziaria. Allora si che la polizia si sentirebbe impunita e autorizzata ad insistere nei deprecati metodi fascisti”. Difatti, la commissione finì col fare un lavoro meno inutile che dannoso, scoprendo soltanto 315 casi (dal 1945 al ’52); tale numero venne ulteriormente assottigliato per effetto di doppioni o di limiti di competenza fino a ridursi a 144 casi. La commissione si stimò quindi nelle condizioni di poter concludere che “il fenomeno di eccessi e abusi, da parte della polizia giudiziaria e a danno di persone indiziate di delitti, indubbiamente esiste, ma non con la frequenza e la gravità talvolta denunciate, forse sotto la spinta della polemica”. E, rincarando la dose, la relazione finale della commissione ritenne di “escludere che l’abuso abbia mai assunto l’importanza e la gravità di un vero e proprio sistema, come tale imputabile ad iniziativa e direttive di organi centrali o periferici. Trattasi invero di casi fortunatamente isolati, consistenti nella maggior parte in percosse, e quindi dovuti alla intemperanza dei singoli, la quale può trovare la sua spiegazione nell’ambiente e nel carattere individuale oltre che nella inadeguata preparazione di alcuni degli elementi…” La verità invece è tutt’altra; e ci si domanda che cosa abbia mai potuto accertare una commissione (per l’esattezza: “commissione ministeriale per accertare lo svolgimento della fase preliminare di procedimenti già definiti”) che adottò come metodo di indagine la richiesta scritta ad alcune autorità e organismi dello stato (parlamento, corti d’appello, direzione della PS, comando dei carabinieri, ministero della giustizia, ordini degli avvocati), limitando la propria attività ad aspettare che da tali organismi ed autorità (e dal privato che ne avesse il desiderio) fosse eventualmente pervenuta una segnalazione. È chiaro allora che la commissione fu boicottata (d’altronde già i fini e i poteri conferiti ad essa non potevano lasciar sperare in un effettivo lavoro a fondo di inchiesta); basti dire che la direzione della PS rispondeva con un secco rifiuto alla richiesta avanzata dalla commissione di fornire indicazioni sui casi riguardanti il personale del corpo delle guardie di pubblica sicurezza, adducendo di non potere “esercitare un continuo controllo tecnico sull’attività svolta dagli organi di polizia giudiziaria”. Quando – fu osservato – con una certa qual ingenuità “la più sospettata” a torto o a ragione, era la Pubblica sicurezza. Sembrava dunque che, essa stessa, per prima, avesse dovuto sentirsi felice di potersi, forse doverosamente, certo signorilmente, sottoporre ad ogni possibile rilievo e controllo. È apparso chiaro, per contro, che essa non ha affatto gradito la nomina e l’intervento della Commissione, e che non ha inteso per nulla di facilitare quella sua opera di investigazione e di ‘accertamenti’ che, pure, le era stata demandata dal suo stesso Governo” – ammettendo cosi, aggiungiamo noi, implicitamente di avere non poco da perdere da un accertamento anche minimo, quale poteva essere quello “su richiesta” della commissione, dei fatti che la riguardavano. Altra prova dell’assoluta inattendibilità delle conclusioni della commissione risiede nella non-collaborazione degli avvocati, i quali non segnalarono nessun caso, confermando col loro silenzio la giustezza delle affermazioni che Piero Calamandrei aveva fatto alla camera nei giorni 27-28 ottobre 1948. Dopo aver ricordato del caso Fort il modo “con cui l’imputata era stata indotta a confessare, interrogandola ininterrottamente per 80 ore di seguito, impedendole di dormire, di distrarsi, di mangiare e di bere, tenendola inchiodata 4 giorni e 4 notti e più, sotto la luce accecante delle lampade concentrate su di lei” aggiunse: “ma il caso Fort […] non è isolato. […] una specie di inchiesta privata e discreta fra gli avvocati e magistrati: […] ha raccolto materiali impressionanti […]. Gli avvocati interpellati mi hanno risposto in via confidenziale, ma mi hanno fatto promettere di non dir pubblicamente i loro nomi, perché essi sanno che se, nel rivelare quei metodi, precisassero dati e circostanze, verrebbero a danneggiare i loro patrocinati: li esporrebbero a rappresaglie, a persecuzioni, forse a imputazioni di calunnia, perché di fronte alle loro affermazioni non si troverebbe il testimone disposto a confermare che quanto dice l’imputato è vero. Accade così che il difensore, anche quando sa che il suo patrocinato è stato oggetto di vera e propria tortura per farlo confessare, lo esorta a sopportare e a tacere, a non rivelare in udienza quei tormenti ai quali, in mancanza di prove, i giudici non credono”.

Con Piero Calamandrei concordava pienamente anche Lelio Basso, nel sostenere che i casi di cui si era venuti, in un modo o nell’altro, a conoscenza non erano casi isolati; cosi l’allora deputato del PSI scriveva all’allora deputato del PSDI, inserendo, giustamente, il discorso sulla tortura nel suo legittimo contesto, l’oppressione di classe: “Tu, che segui con diligente amore le vicende della vita giudiziaria italiana, sai che anche sulla base della legislazione vigente, quando sia arrestata per motivi comuni una persona appartenente a ceti sociali privilegiati, e uso la parola in senso molto lato, può avere la sicurezza di andare esente da mezzi coercitivi, anche se si ostinasse a negare. Ti immagini tu un diplomatico G., o una contessa B., o un monsignor L., o un industriale X, o un funzionario Y, sottoposti a questo trattamento? E questa sicurezza deriva ad essi dal costume millenario, che è sopravvissuto alla Rivoluzione Francese e sopravvive anche alla nostra Repubblica democratica, che la tortura per i reati comuni si applica solo agli humiliores e non agli honestiores, mentre per il crimen majestatis (oggi, in senso più lato, per i reati politici) come per l’eresia, che è reato di lesa maestà divina, omnes torquentur. […] come potrebbe […] il Governo prendere seriamente posizione contro l’impiego di metodi che costituiscono uno specifico mezzo di lotta contro i suoi avversari politici e sul cui impiego nei confronti di questi ultimi esso non ha mai avuto nulla da ridire? Si deve riconoscere, in sostanza, che la tortura, o se si preferisce l’uso di mezzi coattivi, è uno degli elementi particolari che concorrono a determinare quel tessuto di continuità storica della storia di uno stato poliziesco qual è quello italiano. La dichiarazione ormai famosa, di un funzionario della PS ad un intervistatore: “Non c’è bisogno di congressi. La polizia funziona abbastanza: bastano i confidenti e qualche mazzata ... ” trova riscontro in queste altre – raccolte – di un anziano appunto di PS: “Non ho mai sentito un criminale confessare, e allora se non si usano certi mezzi, anche che non lascino segni, i delitti non si scoprirebbero mai… sotto il fascismo si poteva fare quello che si voleva… ma oggi si deve stare molto attenti… bisogna trovare quei mezzi che non lascino segni…”. Molto più esplicito un ex questore, il quale, oltre 100 anni or sono scriveva: “È raro il caso che un individuo venga arrestato e non lo si percuota in modo orribile. La parte del corpo preferita dagli agenti di PS per offendere l’infelice, sono i fianchi. Quivi si danno pugni e calci terribili, senza timori che vengan fuori ecchimosi ed enfiazioni […]. Bisogna essere negli uffici di Questura e sentire quali grida, quali lamenti e quanti gemiti escono dalle camere di custodia dei detenuti! Una guardia prende l’arrestato per la testa e gli ottura possibilmente la bocca; un’altra lo tien stretto pei piedi, e due o tre altre, a seconda del bisogno che sentono di sfogare le loro frustrazioni ( pronti ad obbedire, senza usare il cervello…) che li divora, menan giù eroicamente pugni nel ventre e nei fianchi dell’infelice! Costui si dibatte, cerca di svincolarsi, soffre, si scuote ad ogni colpo come agitato dall’elettrico, ma tutto è inutile! Ogni resistenza è impossibile , a far cessare l’infame tortura […]. Agli spasimi di quei meschini le guardie rispondono con delle risate saporitissime e con delle bestemmie da trivio. Se poi all’arrestato non si chiude la bocca e quindi piange e grida, è ancora più maltrattato: riceve ceffoni, tirate d’orecchie, morsicature e bastonate.”

Oggi come ieri e ieri l’altro, la polizia tortura, bastona, maltratta. Regolarmente, ma non costantemente, non già perché non usi sempre questo trattamento (dipendendo la cosa dal temperamento del funzionario o del militare singolo), ma piuttosto perché non la pratica a tutti gli inquisiti. A uscirne indenni del tutto dalle caserme e questure d’Italia sono solamente gli honestiores di cui parla Basso: l’alta borghesia, i depositari stessi del potere che i poliziotti per loro amministrano. Tutti gli altri subiscono un certo grado di violenza nel contatto con la polizia, quando questa ne abbia una motivazione (che può essere la più varia, la più labile: raggiungere un successo, avere deciso un colpevole a priori ecc.): è solo questione di gradi. Difficilmente si adopreranno mezzi di torture vere e proprie ai danni di esponenti delle classi medie, mentre i predestinati ai trattamenti inquisitori sono i figli del sottoproletariato, coloro che, loro malgrado, “sono di casa” in questura o in commissariato, coloro che quando non siano pregiudizialmente classificati come delinquenti da poliziotti e magistrati, sono visti come conniventi e omertosi, la “plebaglia” in una parola (= “una massa di miserabili, oziosi, ignoranti, corrotti ed insieme astutissimi, che non sono i delinquenti propriamente detti, ma pericolosi quanto costoro, i quali per le loro abitudini grossolane ed abbiette, riescono di continua molestia e di pericolo agli abitanti onesti” -voce dell’Enciclopedia di Polizia). Del resto i nemici della polizia sono di 3 categorie: i sovversivi e facinorosi, i delinquenti, i poveri. Alla prima categoria appartengono tutti coloro che attentano all’ordine costituito, coloro che mettono in pericolo di rivolgimento la società, o più modestamente turbano (o li si giudica capaci di turbare) l’ordine pubblico: una categoria quindi interclassista. Perciò nella quiete della questura romana si picchiano due giornalisti dell’ Espresso perché rappresentanti di una rivista considerata “di sinistra (anticomunismo atlantico) “; o, sempre nel buio della questura della capitale, si tortura -sic et simpliciter- lo studente Antonino Russo, indiziato di reato per un attentato alla Boston Chemical, perché il padrone americano non si tocca; o, ancora, si ammazza di botte un ferroviere in una stanza della questura milanese e lo si butta giù da una finestra, in seguito ad “incidente tecnico”, perché anarchico. Certo non si arriva sempre alla violenza selvaggia, alle lesioni, alle percosse; dato che l’uso della violenza (prescindendo da un grado minimo di violenza e sopruso che si può dire connaturato all’esercizio stesso del mestiere di poliziotto in un paese in cui le leggi difendono solo chi le fa) è sempre legato al fine di ottenere un’ammissione, di estirpare una confessione, di ascoltare una rivelazione, non è sempre necessario per la polizia ricorrere a mezzi così brutali, che, oltre tutto, possono lasciare tracce; spesso basta la somministrazione accorta di una violenza diversa qualitativamente. Un dirigente della questura milanese -il capo dell’ufficio politico- che sarebbe di li a qualche mese divenuto celebre, nel maggio ’69 si sentiva muovere queste contestazioni da una giornalista nel corso di una “chiacchierata” (subdolamente utilizzata come intervista): “Gli interrogatori, poi, che sono chiacchieratine punteggiate da andate in trattorie, calcio, affari familiari, per 3, 5, 8 ore interrotte e riprese, e il poveretto costretto in tensione tutto il tempo. A volte un altro sbirro che invece arriva truce e fa: adesso se non canti ti mando a San Vittore, poi se la squaglia subito e il dattilografo commenta: dai, fai il bravo, dicci qualcosa, se no lui diventa un bruto, è un po’ nervoso. Il sonno che non vien concesso, seduti sulla sedia tutta la notte, con gli agenti che entrano, escono, fischiettano, battono a macchina ma senza darsi la pena di mascherare la finzione perché non infilano il foglio, o mi sbaglio? Che ne dice dottor Allegra?”, rispondendo con imbarazzato savoir faire: “Non sono verità, tutt’al più pause negli interrogatori per controllare un alibi. Preferirei che si dicesse che diamo schiaffoni. Io ho usato sempre molta considerazione, dopo due ore faccio sempre arrivare il caffè, sarà che sono generoso di natura, neppure dico chi lo offre. Dicono che siamo civili: ebbene, noi riteniamo di trovarci in un ambiente più civile qui al nord e perciò operiamo più civilmente…”. Assai meno interclassista, nella misura in cui la delinquenza può non essere un fatto di classe, la categoria seconda, i delinquenti, o meglio coloro che la polizia decide che debbano o possano essere tali; chiarissimamente, non rientrano fra i delinquenti tutti coloro che a causa di errori pacchiani e di sviste clamorose pur essendo parte della classe dominante finiscono per sbaglio incriminati da qualche giudice che non farà carriera. Per il resto, come la straordinaria vicenda (si deve ammettere che si trattava di un caso particolarmente ben riuscito di organizzazione della tortura) dei carabinieri di Bergamo illustra, anche esponenti della piccola e media borghesia possono -una volta che siano finiti nelle mani di questurini e carabinieri in caccia di colpevoli a confessione- venire -ma non tranquillissimamente, come gli sviluppi della vicenda hanno mostrato- strapazzati dai tutori dell’ordine e della legge, nei cui confronti per lo più nutrono servile paura e riverenziale timore. A Bergamo i torturati (27 persone in totale) dalla banda criminale del maggiore -promosso nel tempo trascorso, forse per i meriti acquisiti, a colonnello Siani, appartenevano appunto alla piccola e media borghesia oltre che al proletariato: vi si trovano infatti operai, impiegati, agricoltori, e vari “onorati cittadini e onesti professionisti” tra i quali, come raccontò in udienza il deputato Patrini, imperversando nella zona la banda Siani dell’arma benemerita, “non ve n’era uno che reputasse di essere sicuro. […] Nemmeno al tempo delle SS erano capitate cose del genere”. In effetti gli 11 carabinieri di Bergamo, decisi a far bella figura e verso il comando dell’arma (siamo nel 1964: De Lorenzo, dunque), e verso le “superiori autorità”, sottoposero tutti i malcapitati finiti sotto le loro grinfie, presi a casaccio nei paesi del bergamasco e del cremonese, ad un campionario di torture seicentesche riuscendo ad ottenere tutte le confessioni ambite, tanto che perfino la televisione portò alla ribalta il segugio di Bergamo che grazie alle sue personali capacità, validamente coadiuvato dai suoi subalterni, era riuscito a sgominare una pericolosa banda di malviventi… “Finii col dire che potevano accusarmi anche dell’assassinio di Kennedy, purché la smettessero”, dichiarerà al processo uno dei “malviventi”. Ma quello di Bergamo rappresentò un caso limite, non tanto per il sadismo degli inquisitori, quanto per il largo arco di classe toccato dal procedimento confessionalistico dei carabinieri: non è senza significato che i carabinieri siano stati scoperti, denunciati, condannati. Ciò è dovuto proprio, prima di ogni ulteriore considerazione, alla collocazione di classe dei torturati; ben altrimenti si è concluso il contemporaneo processo di Perugia, dove chi aveva subito le torture della polizia- pressoché identiche a quelle di Bergamo: il che dimostra che PS e carabinieri, al di là delle rivalità e delle diversità hanno studiato alle stesse scuole -essendo pastore e non, dunque, cittadino onorato e onesto professionista, non ha potuto godere del credito di cui hanno beneficiato i cittadini perbene del bergamasco (per i quali si è scomodato un deputato della DC: si trattava, con tutta probabilità di suoi elettori). Gli stessi atti di tortura, accertati dai giudici, contano assai diversamente a seconda che si sia infierito, com’è normale, sui servi-pastori della Sardegna (per la quale vicenda l’anormalità consisteva nel rinvio a giudizio deciso dai giudici isolani “in caccia di popolarità”, probabilmente avrà pensato molta gente perbene) o sui laboriosi cittadini della grassa Lombardia. Si possono ancora nutrire dubbi sul significato di classe della tortura, cosi come della giustizia e del potere di polizia?

Lo scatto

Coi poliziotti torturatori di Sassari, siamo quindi nell’ambito della terza categoria, quella dei diseredati. Una vicenda estremamente significativa a tale proposito è quella che risale al 1945 quando un portiere di Napoli, Leone Savarese, presentò una denuncia contro un commissario di PS, il quale lo aveva fatto arrestare accusandolo di un duplice omicidio commesso in città. Nell’accusa del portinaio era scritto: “i funzionari e gli agenti, durante tutto questo periodo di tempo, nonostante che io confermassi la mia innocenza, mi sottoposero a sevizie e maltrattamenti inauditi. Sembrava una danza infernale. Tutti i mezzi coercitivi furono usati contro di me: un bastone di nerbo di bue, l’immissione di sale e pietre nella bocca, abluzioni continuate di acqua fredda, percosse a sangue, legature di mani e piedi. Ma il supplizio più atroce e feroce fu di cospargermi benzina sui piedi. Io strillavo come un ossesso ma le sevizie aumentavano. Anche della carta bruciata mi veniva messa sotto il naso e vicino le guance”. Per conseguenza, come dichiarava la sentenza del tribunale (ottobre 1946), “al suo ingresso nel carcere giudiziario […] il Savarese […] presentava una scottatura di 3° grado al piede destro […]. Interrogato dal Procuratore della Repubblica il Savarese lamentava di essere stato sottoposto a sevizie fasciste e maltrattamenti inauditi da parte di funzionari ed agenti della Questura […] culminate con le scottature al piede …”. Ma, prosegue la sentenza, pur non sussistendo “alcun dubbio sulla natura delle lesioni denunziate dal Savarese” poiché “il Savarese accusa, l’imputato [il commissario di PS] nega […] manca del tutto la prova che l’accusa del Savarese sia calunniosa; ma, nel contempo, difetta assolutamente anche la prova che l’assunto del denunciante risponda a verità”.

Ricordiamo anche il compagno Anarchico Giuseppe Pinelli ucciso dalla violenza sbirresca nel 1969.

Pinelli fu ucciso perché quel giorno, in questura, dichiarò che la strage di piazza fontana era stata fatta dagli apparati occulti dello stato (piano militare: strategia della tensione…).

La morte di Pinelli quindi fu causata dal tentativo di trovare un capro espiatorio per gli attentati di piazza Fontana.

Pinelli vive e lotta insieme a noi, le nostre idee non cambieranno mai !!

W L’Anarchia

28 giugno 2015: Allerta! Allerta! In Francia il parlamento ha approvato la legge sulla sorveglianza di massa che limita la libertà di espressione e di critica, una legge che dà più potere alle forze del disordine (trame geopolitiche…).

Questo testo non è sottoposto ad alcun copyright, persistendo nell’inimicizia verso ogni tipo di proprietà, soprattutto quella del sapere.

CULTURA DAL BASSO CONTRO I POTERI FORTI E I LORO SERVI INFAMI

 

Lo Stato è nato dalla forza militare;

si è sviluppato servendosi della forza militare;

ed è ancora sulla forza militare che

logicamente deve appoggiarsi per mantenere

la sua onnipotenza.

Dal “Manifesto internazionale anarchico contro la guerra” (1915)

 

Rsp (individualità Anarchiche)

G8: Alfano il discepolo (doppiogiochista) di Licio Gelli e… gli intrallazzi politici ed economici della massomafia

G8: Alfano il discepolo (doppiogiochista) di Licio Gelli e…

gli intrallazzi politici ed economici della massomafia

23 giugno 2015

A due mesi dall’approvazione da parte del Parlamento del reato di tortura, quella merda (massomafiosa e P2ista) del ministro dell’Interno Angelino Alfano, intervenendo a un convegno sulla sicurezza organizzato da Siulp e Fns-Cisl, è ritornato sul G8 di Genova di 14 anni fa, dopo la condanna all’Italia della Corte di Strasburgo: “Il caso Diaz è un capitolo chiuso – ha chiarito- la polizia è sana, è un corpo democratico che abbiamo difeso e difenderemo sempre”.

In proposito Alfano ha rivendicato che in una congiuntura di tagli e di spending review il suo ministero non ha ridotto le risorse per le forze dell’ordine….

“In questa situazione – ha sottolineato – noi non solo non abbiamo il segno meno nel nostro comparto ma nel 2015 abbiamo fatto interventi (business per il controllo – repressione sociale) che superano abbondantemente i cento milioni di euro” (mafia capitale)….

L’odierna CISL, fondata il 30 aprile 1950, ha le sue origini nella CGIL (LCGIL). La LCGIL fu costituita il 15/9/1948 da una scissione della corrente cattolica guidata dalle ACLI.

Il sindacato della CISL è di ispirazione cristiana-cattosinistroide….

Il G8 di Genova si svolse dal 19 al 22/7/2001, in quei giorni ci fu una militarizzazione della città di Genova per la riunione dei capi di governo dei maggiori paesi industrializzati. In quei giorni ci fu anche una grande manifestazione con 700 mila persone che protestavano il loro malcontento per lo strapotere economico e militare dei ‘poteri forti’. La manifestazione e le proteste miravano a portare all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il problema del controllo dell’economia da parte di un gruppo ristretto di potenti che, forti del peso economico, politico e militare dei loro paesi, si ponevano come autorità mondiale rispetto alle sovranità nazionali dei singoli paesi. Inoltre si contestavano le politiche e le ideologie neoliberiste adottate dalle organizzazioni sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e il Fondo Monetario Internazionale. In questi giorni di dittatura militare (stato di polizia) che provocò abusi di potere da parte delle forze del disordine, trovò la morte il manifestante Carlo Giuliani, ucciso da una pallottola che proveniva da un arma in dotazione solo alle alte cariche militari di polizia.

scuola diaz g8

Nei sei anni successivi, lo stato italiano subì alcune condanne in sede civile per gli abusi e le torture commessi dalle forze dell’ordine. Nei confronti di funzionari pubblici furono inoltre aperti procedimenti in sede penale per i medesimi reati contestati.

Circa 250 dei procedimenti, originati da denunce nei confronti di esponenti delle forze dell’ordine per lesioni, furono archiviati a causa dell’impossibilità di identificare personalmente gli agenti responsabili…; la magistratura, tuttavia, pur non potendo perseguire i colpevoli, ritenne in alcuni casi effettivamente avvenuti i reati contestati.

 

Ma andiamo a capire chi è quella merdaccia (mellifluo) schifosa di Alfano:

Angelino Alfano nasce ad Agrigento, 31/10/1970 ed è un politico italiano di destra, mediocre e ambizioso.

Nel 2002 i mass media pubblicano la foto di Alfano al matrimonio (avvenuto nel 1996) della figlia di Croce Napoli, indicato dagli inquirenti come boss mafioso di Palma di Montechiaro.

Nell’ottobre del 2009 il pentito di mafia, Ignazio Gagliardo, ha accusato Alfano di aver chiesto aiuti elettorali alla mafia, per mezzo del padre anch’egli politico.

Il 17/4/2015 Alfano querela l’Espresso per aver pubblicato un articolo riguardante consulenze e appalti andati alla moglie Tiziana Miceli (tra cui le 5 consulenze avute dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia) e ad altre persone vicine al Ministro come gli avvocati Angelo Clarizia e Andrea Gemma (appalto da 630.000 euro per i servizi legali dell’Expo) con quest’ultimo che è anche membro del CdA dell’Eni.

Lo stesso giorno Carmelo D’Amico, ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto e oggi diventato super testimone dell’inchiesta sulla Trattativa Stato e Cosa Nostra, accusa Alfano e Renato Schifani di essere stati messi in politica da Cosa Nostra secondo quanto è venuto a sapere dal suo compagno di carcere Nino Rotolo, boss di Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano. In seguito Alfano avrebbe voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei beni e così l’organizzazione non avrebbe più votato per Forza Italia.

Alfano si è laureato in giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha iniziato la sua esperienza politica con la Democrazia Cristiana di Andreotti, per la quale è stato, tra l’altro, segretario provinciale del Movimento giovanile DC di Agrigento. Nel 1994, a seguito della trasformazione della Democrazia Cristiana nel Partito Popolare Italiano, decide di aderire al neonato partito Forza Italia, che vincerà le elezioni politiche del 27 e 28 marzo dello stesso anno….

Dal 2005 è nominato coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia. Succede a Gianfranco Miccichè, guidando la corrente maggioritaria di Forza Italia alleata con l’allora Presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro….

Nelle elezioni politiche italiane del 2006, che vedono la vittoria dell’Unione di Romano Prodi (centrosinistra), Alfano è rieletto alla Camera dei deputati nella circoscrizione XXIV (Sicilia 1). Durante la XV Legislatura è componente della Commissione Bilancio di Montecitorio. Nelle elezioni politiche italiane del 2008 è rieletto alla Camera dei deputati con il Popolo della Libertà. Nelle grazie del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il coordinatore siciliano diventa ministro della Giustizia .

Il ministro della Giustizia Alfano è stato indagato dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio, ma successivamente il procedimento è stato archiviato…..

Nel giugno 2008 Alfano firma l’impunita per Berluska (lodo Alfano) con un disegno di legge riguardante l’immunità alle alte cariche (stavolta solo le prime 4, facendo cioè rientrare il Presidente del Consiglio ma escludendo quello della Corte Costituzionale).

La legge è stata dichiarata incostituzionale con pronuncia della Corte costituzionale del 7/10/2009 (sentenza 262\2009).

Il 28/4/2013 viene nominato ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio dei ministri del governo Letta.

Alfano entra nel nuovo governo Renzi il 22/2/2014, dove mantiene la carica di ministro dell’Interno….

 

Ma andiamo indietro con la Storia per ripercorrere il periodo in cui nasce la politica liberale di destra:

Nel 1861 nasce In Italia la repubblica monarchica, istituita dalla nobiltà liberale e reazionaria, di centro-destra, che compare per la prima volta in Italia attorno al 1850, in seguito all’operazione detta del “connubio” operata da Camillo Benso Conte di Cavour. L’operazione del “connubio” consisteva nel favorire un’alleanza politica fra la parte più progressista della Destra, il cosiddetto centro-destra, di cui il Cavour stesso era capo, e l’ala più moderata della Sinistra, il centro-sinistra, con a capo Urbano Rattazzi. Si è sostenuto che questa manovra politica contenesse in sé i fondamenti del trasformismo…..

Col termine centro-destra si è poi indicato, a partire dagli anni ‘60, la collocazione di alcuni governi retti dalla Dc, in particolare il Governo Tambroni che si sostenne grazie all’appoggio esterno del Movimento Sociale Italiano e quelli formati assieme al Partito Liberale Italiano.

Dal 1994 il termine centro-destra si riferisce alle aggregazioni guidate da Silvio Berlusconi, il Polo delle Libertà e la Casa delle Libertà. Quest’ultima, nata nel 2000, è l’alleanza tra Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord, Unione dei Democratici Cristiani e di Centro e altri partiti minori.

Nel 2001, i partiti del centro destra formarono assieme alla Lega Nord, ai Cristiani Democratici Uniti (che insieme al CCD diedero vita all’UDC nel 2002) e al Nuovo PSI, una nuova alleanza denominata Casa delle Libertà che vince le elezioni e governa l’Italia per i successivi anni stabilendo il record come legislatura più lunga della storia italiana. Il leader della Casa delle Libertà è Silvio Berlusconi.

Alle elezioni politiche del 2013 il neo-rieletto presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incarica l’esponente del Partito Democratico Enrico Letta, di trovare una maggioranza in grado di sostenerlo a capo del governo.

Nel centrodestra, Lega Nord e Fratelli d’Italia decidono di stare all’opposizione, mentre Il Popolo della Libertà parteciperà alla formazione con 5 ministeri, 2 viceministri e 12 sottosegretari.

Il 27 novembre 2013 il Senato della Repubblica Italiana, con 192 voti favorevoli, 113 contrari e 2 astenuti, approva con voto palese la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, per effetto della “Legge Severino”, in seguito alla condanna di Berlusconi del 1º agosto 2013 per frode fiscale con sentenza passata in giudicato. Silvio Berlusconi perde così la carica di parlamentare della Rep. dopo 19 anni di dittatura militare (P2) ……

Il centro-destra è sempre stato uno schieramento politico di orientamento prevalentemente democristiano, conservatore e liberale.

 

Andiamo ora ad analizzare quali sono i partiti di centro-destra in Europa che si riconoscono nel Partito Popolare Europeo (PPE).

Nato come contenitore di matrice democristiana, alla fine degli anni ‘90 il PPE si apre a nuovi soggetti di ispirazione liberale e conservatrice. Tra i Popolari europei entrano, tra gli altri, Forza Italia, il Partito Popolare spagnolo e il Raggruppamento per la Repubblica francese, tutti e tre partiti che hanno al loro interno cospicue componenti di matrice liberale, autoritaria e cattolica integralista. Il PPE ha poi creato, rapporti più stretti con Democratici Europei, movimento politico composto da partiti conservatori, e segnatamente col Partito Conservatore britannico, dando origine al gruppo parlamentare PPE-DE.

Oggi il PPE è il principale partito del centro-destra europeo e si vuole proporre come riferimento unico per tutti i centristi, democristiani e conservatori europei. Aderiscono al PPE, tra gli altri, i principali partiti di centro e di centro-destra di Germania, Italia, Spagna, Francia e Polonia: l’Unione Cristiano-Democratica, Forza Italia, il Partito Popolare, l’Unione per un Movimento Popolare e Piattaforma Civica. Nel parlamento Europeo più a destra del PPE compaiono altri gruppi di centro-destra, come il gruppo ECR (conservatori e riformisti europei) cui aderiscono tuttora i conservatori britannici, della repubblica Ceca e i nazionalisti polacchi…..

Il Cancelliere tedesco Angela Merkel è leader dell’Unione Cristiano Democratica.

 

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Ricomincia la ʹGuerra Freddaʹ, lo scontro spionistico militare tra Usa e Urss per il controllo dellʹEuropa…

Ricomincia la ʹGuerra Freddaʹ, lo scontro spionistico militare tra Usa e Urss per il controllo dellʹEuropa…

 

WASHINGTON – Il Pentagono sarebbe pronto a dispiegare mezzi pesanti nell’Est Europa per impedire eventuali aggressioni da parte della Russia.

Il piano militare prevede anche il dispiego di 5000 soldati in paesi baltici e dell’Est Europa. Se il piano militare fosse approvato, si tratterebbe della prima volta dalla Guerra Fredda che Washington insedia forze militari nei nuovi stati membri della Nato, un tempo parte della sfera sovietica.

Il 16 giugno 2015 Vladimir Putin ha dichiarato ai mass media: “La Russia aggiungerà quest’anno più di 40 nuovi missili balistici al suo arsenale nucleare”, precisando che i nuovi Icbm “saranno in grado di superare anche il più tecnicamente sofisticato sistema di difesa missilistico. Le dichiarazioni di Putin arrivano in un momento di particolare tensione tra Mosca e l’Occidente per la crisi ucraina e l’annessione della Crimea, e conseguenti sanzioni economiche di Stati Uniti e paesi europei. La Russia teme in particolare lo spiegamento di mezzi pesanti nelle ex repubbliche sovietiche del Baltico: Estonia, Lituania e Lettonia, invece chiedono lo schieramento permanente di truppe di terra come deterrente contro la ‘pressione’ russa….

Ma andiamo a vedere cosa è stata la guerra fredda e le sue conseguenze (guerra militare sotterranea tra anticomunismo atlantico e comunismo – partigiani bianchi contro partigiani rossi)

Risultati immagini per guerra fredda

La Guerra Fredda è iniziata alla fine della II Guerra Mondiale e si è conclusa solo nel 1989 col ritiro dellʹArmata Rossa da Berlino e col conseguente crollo del ʹMuroʹ.

Ora torniamo indietro nella storia per capire meglio il problema:

Subito dopo la fine della II Guerra Mondiale le due superpotenze vincitrici, Usa e Urss, avevano diviso il globo in due parti, ciascuna delle quali era direttamente controllata o si trovava sotto l’influenza di uno dei due giganti. La Guerra Fredda, ovvero la contrapposizione tra i due blocchi che si erano così formati, ha dominato la scena politica internazionale per tutta la seconda metà del XX secolo. Fu guerra perché il pianeta intero viveva con terrore l’esplosione, sempre possibile, di un conflitto nucleare ( Piano militare – guerra psicologica).

I governi di entrambe le superpotenze accettarono la divisione stabilita al termine del conflitto mondiale. L’URSS controllava le zone occupate dall’Armata Rossa o da altre forze militari comuniste alla fine della guerra e gli USA controllavano il resto del mondo capitalista.

Il conflitto militare, quindi, pur rimanendo latente (politico) e nonostante si sia manifestato più volte nell’arco di 50 anni, non fu la conseguenza più importante della guerra fredda. Le due potenze nucleari furono, infatti, impegnate in tre guerre, ma mai l’una contro l’altra. Nei conflitti in Corea, in Vietnam ed in Afghanistan la sofisticata tecnologia bellica messa a punto dai due giganti non si rivelò decisiva. Di ben altra entità furono, invece, le conseguenze politiche che portarono a una spartizione e a una polarizzazione in due campi nettamente distinti del mondo e che fecero sentire i propri effetti in tutte le nazioni, in Occidente i comunisti scomparvero dal governo diventando emarginati politici permanenti….

All’inizio degli anni ‘60, tuttavia, la guerra fredda sembrava muovere qualche passo verso una soluzione durante il periodo della distensione. Questa parola si era affacciata sullo scenario internazionale verso la fine degli anni ‘50, quando Chruscěv, l’unico statista di origine contadina che abbia mai governato una superpotenza, aveva stabilito la sua supremazia nell’unione Sovietica post-stalinista.

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L’elezione di J.F. Kennedy nel 1960 coincise con un periodo in cui al mondo capitalista sembrava di perdere terreno contro le economie comuniste, cresciute molto rapidamente durante gli anni ‘50.

L’URSS, da parte sua, era preoccupata dalla grave rottura con la Cina, che accusava Mosca di scivolare lentamente ma inesorabilmente verso il capitalismo. Tale posizione di Pechino costrinse Chruscěv ad adottare una politica più intransigente verso l’Occidente capitalista e le due superpotenze si fronteggiarono a Berlino, nel Congo e a Cuba. Nel 1961 venne eretto il Muro di Berlino, che chiuse in Europa l’ultima frontiera che era rimasta incerta tra l’Oriente comunista e l’Occidente capitalista. Gli Stati Uniti accettarono un paese comunista come Cuba a poche miglia di distanza dalla Florida, dopo che, in un primo momento, si era rischiata l’esplosione della guerra quando Cuba aveva accettato di “ospitare” dei missili sovietici e i focolai accesi in America Latina dalla rivoluzione cubana ed in Africa dal processo di decolonizzazione sembrarono estinguersi. Ancor più indicativi del processo di distensione in atto furono alcuni provvedimenti che avevano come obiettivo la limitazione delle armi nucleari e il fiorire del commercio tra Usa e Urss. Le prospettive per il futuro sembravano positive ma due eventi destabilizzarono l’equilibrio finalmente raggiunto: dapprima la guerra del Vietnam (1965 – ‘75), che portò ad un progressivo isolamento degli Stati Uniti e che vide l’emergere, in tutto il mondo, di numerosi movimenti pacifisti contro l’intervento militare e, successivamente, nel 1973, la guerra dello Yom Kippur, combattuta tra Israele, che gli USA avevano scelto come alleato, l’Egitto e la Siria, militarmente rifornite dai Sovietici…..

La Guerra psicologica consiste nell’uso pianificato della propaganda ed altre azioni psicologiche allo scopo principale di influenzare opinioni, emozioni, atteggiamenti e comportamento di gruppi ostili in modo tale da favorire il raggiungimento degli obiettivi nazionali. È nota anche col termine infowar, che intende enfatizzare l’importanza tattica dello sfruttamento delle informazioni a fini bellici.

I modi con cui viene attuata la guerra psicologica sono detti operazioni psicologiche o manovre psicologiche (in inglese PSYOPS, Psychological operations). Queste sono un moderno metodo utilizzato da istituzioni militari definibile come un complesso di attività psicologiche messe in atto mediante l’uso programmato delle comunicazioni, pianificate in tempo di pace, crisi e guerra, dirette verso Gruppi Obiettivo amici, neutrali o nemici (governi, opinioni pubbliche, organizzazioni, gruppi o individui), al fine di influenzarne gli atteggiamenti e i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici e militari.

La guerra psicologica può essere assimilata alla guerra non convenzionale, sotto il profilo che essa tende ad infiltrarsi e a influenzare la mente del nemico, anziché distruggerne l’apparato militare….

 

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Stato di polizia: Al G8 del 2001 ci fu una sospensione dei diritti umani (dittatura militare)

Stato di polizia: Al G8 del 2001 ci fu una sospensione dei diritti umani (dittatura militare)

Roma 8 giugno 2015

Il capo della Polizia, Alessandro Pansa, sentito il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ha chiesto al ministro della Giustizia Orlando “di valutare eventuali profili disciplinari” nei confronti del sostituto procuratore generale di Genova Enrico Zucca. Ieri il magistrato ha dichiarato che dopo il G8 di Genova la polizia non é guarita e che teme “ancora una nuova Diaz“….

Pansa il capo della polizia c’è l’ha con Zucca perché aveva DIFESO LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA, che condannò L’ITALIA per le TORTURE e le violenze sbirresche DEL G8 2001 a Genova ed ebbe il coraggio anche di condannare i vertici della polizia (impuniti da sempre), che quel giorno fecero una mattanza, massacrando e umiliando manifestanti inermi (donne giovani e anziani), ospitati all’interno della scuola Diaz. La trovata di Pansa sembra più una vendetta, un ricatto contro il magistrato Zucca che SVELO’ LE TORTURE E RESE PUBBLICHE LE PROVE FALSE COSTRUITE DAI VERTICI DELLA POLIZIA…..

Lo stato non condanna se stesso e nemmeno i suoi servi più infami, piuttosto, anche davanti all’evidenza, occulta le violenze e le torture della polizia, rimasta fascista …..

Carlo Giuliani è vivo e lotta insieme a Noi le nostre idee non cambieranno mai ……

Roma 09 giugno 2015

Il Viminale vuole chiudere una cinquantina di uffici diventati del tutto inutili. E inutilmente costosi.

La lista dei possibili tagli studiata dal Viminale è lunghissima, ma si tratta di risparmi impossibili da ottenere per l’opposizione dei sindacati di polizia ….

Il Viminale vuole togliere i posti di polizia ferroviaria dove non passano più treni….., uffici inutili e costosi situati in zone a rischio frana….., presidii di frontiera resi inutili dagli accordi di Schengen…

Come per esempio il posto della Polizia Ferroviaria di Livorno San Marco “non operativo dal marzo del 1986”. Da trent’anni è un ufficio fantasma….. Stessa scena per la Polfer di Palermo Brancaccio, “inattiva dal 1997”, e di Roma Trastevere, “non operativa da gennaio 1999″….

La polizia rappresenta l’autorità militare, al servizio dell’ingorda borghesia e a difesa dello stato massomafioso …. Shakespeare saggiamente diceva: ma con tutti questi sbirri da mantenere, chi controlla poi il controllore?

Le forze di polizia (del disordine) sono un esercito di 94mila agenti che ci tocca mantenere, attraverso le tasse che lo stato tiranno ci impone. Insieme alle altre 4 forze dell’ordine, carabinieri, polizia penitenziaria, guardia di finanza e corpo forestale, è l’elemento cardine del sistema di potere dello “stato di polizia”. Una macchina da 300mila uomini che costa complessivamente 20 miliardi di euro annui!!!

 

STATO DI POLIZIA:

La nascita del tutore dell’ordine 1814-1918

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Spetta a Vittorio Emanuele I (francese) re di Sardegna il ‘merito storico’ della fondazione del Corpo dei Carabinieri Reali con le “Regie Patenti” del 13/7/1814. La nascita dei carabinieri è direttamente collegata all’esigenza delle forze feudali, rappresentate dalla monarchia sabauda e dalla stragrande maggioranza dell’aristocrazia, di ricostituire le condizioni della propria esistenza e del proprio predominio, sconvolte nel profondo dall’invasione francese (rivoluzione borghese). Quella che entra in scena è dunque una forza che è espressione e sostegno di un ordine sociale in gravi difficoltà di sopravvivenza: un disegno destinato a caratterizzare l’intera storia dell’arma, fino ai giorni nostri.

La creazione di una forza di polizia professionale e militare, per la prima volta strutturata organicamente e capillarmente distribuita (5 divisioni alle quali nel 1815 se ne aggiunse una sesta), relativamente numerosa (776 uomini saliti a 1.200 nel 1816; mentre il corpo militare di polizia, fondato da Vittorio Amedeo III nel 1791 e disciolto dai Francesi nel 1800, contava 44 uomini), dotata di un regolamento rigido e dettagliato (promulgato da Carlo Felice il 12/10/1822), e, infine, inserita nell’esercito, non si può certamente dire mirasse alla pura restaurazione di un ordinamento amministrativo e istituzionale. Mirava, piuttosto, alla ricomposizione di un ordine sociale messo in forse dall’ondata napoleonica; nella sua Premessa al regolamento, l’ispettore del corpo, generale D’Oncieu, rivela a chiarissime lettere quale sia la duplice funzione di una forza di polizia in una società in cui la dialettica delle classi comincia a porre seri problemi ai gestori del potere. Infatti i carabinieri reali “se per una parte sono armati per raffrenare i cattivi, devono per l’altra parte garantir e proteggere i buoni”, dove i buoni sono “i pacifici abitanti i quali o si danno a legittimi passatempi, o si occupano dei loro affari commerciali”, mentre i cattivi sono “i facinorosi di qualsivoglia specie i quali oppongono resistenza”. Del resto le regie patenti del 1814 non rappresentarono l’unica iniziativa in fatto di provvedimenti nuovi di natura poliziesca nella restaurazione nel regno di Sardegna: la costituzione per la prima volta di un ministero di polizia (detto “del buon governo”), avvenuta con le regie patenti del 15/10/1816, dimostra come la restaurazione non consistesse soltanto nel risuscitare gli antichi istituti, ma anche nel predisporre nuovi organismi e strumenti in grado di difendere l’assetto politico dall’assalto che nuove forze politiche venivano con sempre maggiore insistenza muovendo.

Già nel 1821 le forze della borghesia riuscirono ad imporre l’abolizione del ministero “del buon governo”, grazie a un moto di rivolta degli ufficiali liberali e di una fetta della nobiltà, il controllo della forza di polizia, cioè dei carabinieri, fu affidato al segretario degli interni.

L’avanzata di un liberalismo borghese, contrastato dalle forze reazionarie, si fece più decisa sotto il regno di Carlo Alberto (1831-1849). Nel 1841 l’organizzazione di polizia ritornava sotto la giurisdizione del ministero della guerra, ma 7 anni più tardi prevaleva nuovamente la dimensione civile su quella militare, con l’abolizione della carica militare di governatore generale della provincia e il susseguente trasferimento dei poteri di polizia nelle mani degli intendenti generali, civili: prefetti, questori, delegati, assessori, rappresentanti di Ps e sindaci. Interessante è notare che lo stesso Carlo Alberto tentò invano di opporsi all’eliminazione dei governatori militari: ma l’ascesa delle classi borghesi appariva inarrestabile…..

La vittoria più consistente fu la creazione, con l’editto reale del 4/3/1848, di una guardia nazionale, che, costituita sul modello francese, esercitando un contrappeso alla forza armata dell’aristocrazia nobiliare (i carabinieri), rappresentava tangibilmente che la rivoluzione borghese nell’anno dello statuto albertino era oramai vincente. Già nel 1852 Cc e guardia nazionale lasciavano il posto ad una nuova forza di polizia, il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (legge 11/7/1852, n. 1404): la guardia nazionale perdeva d’importanza e i carabinieri si caratterizzavano come polizia militare e a dislocamento rurale, mentre alla neonata Ps erano affidate le funzioni di polizia nelle città.

La borghesia, giunta al potere, incomincia insomma a preoccuparsi di amministrarlo e difenderlo: la forte carica democratica presente nella creazione della guardia nazionale è assopita, e il 1° compito della nuova forza poliziesca diventa il mantenimento dell’ordine. Al fine della conservazione e del consolidamento del potere appena raggiunto, serve anche l’accentuazione del processo di centralizzazione delle strutture politico-amministrative dello stato; gli intendenti generali diventano sempre di più veri e propri agenti governativi, soggetti alle mutazioni di un regime in quel periodo assai instabile e (particolare importante, in quanto caratterizzerà la successiva funzione dei prefetti nel regno d’Italia) incominciano a svolgere il ruolo di agenti elettorali del governo. Tra il 1859 e il 1865 vengono emanate le prime leggi di unificazione dell’amministrazione di Ps e nuovi regolamenti del corpo: si giunge a definire con precisione i compiti istituzionali della polizia. Controlli sulle persone ridotte alla miseria: mendicanti, delinquenti contadini, briganti e prostitute sono le categorie più perseguitate, ammonizioni, arresti, processi penali, condanne: il tutto sulla semplice base del sospetto.

E’ infine questa l’epoca in cui si adottano le prime misure di polizia tendenti a porre sotto controllo restrittivo il mondo del lavoro: nascono le licenze per esercizi e stabilimenti pubblici, e, riprendendo un’analoga istituzione francese nata con chiari fini antioperai, nasce il libretto personale in dotazione ad ogni operaio.

L’accentuazione della funzione preventiva su quella repressiva è “un prodotto peculiare dell’assolutismo”. La prevenzione di Giolitti fu tuttavia un po’ diversa da quella sinora descritta: l’esperimento giolittiano di collaborazione fra le classi e di pacificazione, realizzava più compiutamente la prevenzione rispetto ai governi conservatori precedenti, ma intendendola come integrazione degli oppositori; la prevenzione in tal senso è la strategia ideale per le fasi di crescita produttiva di un paese e di sviluppo industriale delle sue strutture. In tal senso preventiva sarebbe stata, mezzo secolo dopo, l’attività di polizia per la conservazione della nuova pace sociale, durante la prima fase del centrosinistra (1962-1968).

La repressione che non ha mai assunto significato giuridico ha assunto spesso però carattere politico; essa è stata la politica preferita dei momenti di prevalenza delle fasce più retrive del capitalismo sia terriero che commerciale, sia finanziario che industriale. L’avvento del fascismo nel periodo compreso tra la fine della guerra e il 1926 (anno delle leggi speciali, dell’arrivo di Bocchini [nella foto sopra] alla direzione della Ps, di Mussolini al ministero dell’interno) ha rappresentato l’esaltazione massima di tale fase, che significa il tentativo di esclusione violenta degli oppositori; altri momenti repressivi nella politica dell’ordine pubblico italiana sono stati lo scelbismo (1947-1953), il breve ma intenso luglio di Tambroni, e infine, il periodo che va dalla seconda metà del 1968 a oggi.

Contemporaneamente allo sviluppo delle misure di prevenzione, si sviluppa il processo di accentramento, ponendosi le basi della “prefettocrazia” contro cui si scaglierà il governatore Salvemini; nel 1859 diventa il rappresentante in sede locale del potere esecutivo; alle sue dipendenze vengono posti gli intendenti generali, che assumono il titolo di vicegovernatori, con mere funzioni amministrative, mentre le necessità politiche son coperte dai governatori. Questi, nel 1861, acquisiscono, col titolo di prefetti, la gran parte delle funzioni che li caratterizzerà per oltre un secolo; le attribuzioni dei prefetti (ulteriormente precisate nel 1865) e degli intendenti per i circondari, i sottoprefetti, danno al regno un’impronta centralizzatrice fortissima, che scaturisce dai timori di sabotaggio al sistema politico liberal-conservatore giunto al potere con l’unità del paese da parte dei gruppi dissidenti (soprattutto i democratici mazziniani) e, ancor più, dalla paura di una vera e propria rivoluzione sociale che partisse dalle diseredate campagne del Mezzogiorno. Cosi nel 1865 il senatore Carlo Cadorna (più tardi ministro dell’interno), preoccupato per il “radicale e permanente indebolimento dell’azione del Governo sul Paese”, illustrava la funzione imprescindibile di questo rappresentante dell’esecutivo in sede locale.

I tempi erano certamente difficili per i nuovi rappresentanti della borghesia assetata di potere, che dovevano lottare contro le vecchie forze reazionarie interne (clero e aristocrazia) e le forze ostili esterne alleate delle prime, e, soprattutto, dovevano tenere a bada le tendenze democratiche e la spinta potenziale delle masse: la Ps e i Cc servivano esplicitamente a questo ultimo scopo. Il primo decennio di esistenza del regno unitario è un duro banco di prova per la nuova classe dirigente, la quale tenta di uscire dalle difficoltà instaurando un sistema combinato di potere giudiziario, esercito e polizia che già da allora le forze politiche d’opposizione definirono STATO DI POLIZIA. È significativo che all’inizio del decennio in questione il corpo dei carabinieri reali divenne arma, “la prima arma dell’esercito”, potenziata e suddivisa in legioni: essa, come è detto in un’agiografica opera di un suo generale, doveva vigilare sulla “grande fiumana”, che, “gonfia d’acque scorre cercando un più ampio alveo. Spetta ai Carabinieri arginarla, contenerla, perché l’assestamento avvenga senza scosse brusche, senza violenti straripamenti. Ma la fiumana, gonfia d’acque limpide viene spesso ad arte agitata da interessati e le acque si fanno allora torbide e la fiumana nel suo corso si fa impetuosa, ha ondate violente che sradicano, schiantano e travolgono or qua, or là …”. Il fenomeno della renitenza alla leva in Sicilia (1861-’62), la rivolta di Palermo (1865-’66), i moti contro la tassa sul macinato nel nord, che da soli causarono oltre 250 morti, 1000 feriti e quasi 4000 arresti (1869-’70), e il brigantaggio meridionale, che mise a nudo per l’intero decennio la reale portata dello scontro di classe nella società italiana postunitaria: sono gli eventi più clamorosi di questo periodo, di fronte ai quali lo stato di polizia ha modo di sperimentare e perfezionare la sua capacità repressiva e la sua tenuta politica per i cimenti futuri, che gli daranno la capacità di reggere con gli stessi metodi di governo fino ad oggi; la differenza sostanziale va vista nel diverso ordine di composizione della summa che oggi definiamo potere repressivo. Mentre oggi la forza d’urto della repressione armata è costituita proprio dalle forze di polizia, svolgendo l’esercito una funzione di copertura, sostegno e riserva, nel periodo in esame, che giunge fino alla I guerra mondiale compresa, è ancora l’esercito la forza principale dell’attacco armato dello stato borghese contro le masse contadine e operaie. Protagoniste dell’occupazione militare della Sicilia furono le truppe, cosi come furono le truppe lo strumento precipuo della feroce repressione del brigantaggio; la guardia nazionale in più di un caso, come ad esempio, in occasione dell’insurrezione contadina in Basilicata nel 1861, uno dei grandi momenti del brigantaggio, o all’epoca dei primi scontri contro l’imposta sul macinato nel gennaio 1869 in Emilia. Un ruolo particolare era quello svolto dall’arma dei carabinieri, che in quanto arma dell’esercito e forza di polizia, costituiva il tramite tra un settore e l’altro, assumendo ora la veste di forza d’assalto (nella lotta al brigantaggio l’apporto dei carabinieri fu determinante, anche in fatto di crudeltà e di violenze), ora quella di forza di controllo; un ruolo, in certa misura, ancora valido oggi. Un posto fondamentale, il suo, comunque, nell’organizzazione e nell’esecuzione del complessivo disegno di difesa-attacco delle classi al potere contro le classi sottoposte.

 

Questo testo non è sottoposto ad alcun copyright, persistendo nell’inimicizia verso ogni tipo di proprietà, soprattutto quella del sapere.

 

Ricordiamoci che lo stato di polizia negli anni ‘60 organizzò ed eseguì il piano militare atlantico (anticomunista) della strategia della tensione, dove usò ed addestrò la destra per eseguire le stragi di stato e incolpare gli anarchici o i comunisti (il comunismo ambiva a entrare nello stato per conquistare il potere politico, finanziario, amministrativo , economico e militare) di terrorismo per imporre poi le leggi speciali inventate da Cossiga per reprimere il movimento operaio e studentesco che si stavano organizzando per far valere i loro diritti, molto spesso calpestati dal business spietato e arrogante della borghesia capitalista e industriale ….

I movimento del 1968 e del ‘77 hanno dovuto subire anche l’infiltrazione di personaggi ( partigiani bianchi antifascisti e anticomunisti) doppiogiochisti che stavano con un livello superiore alla base (servizi segreti di Yalta e di Stay behind). Un lato oscuro nella storia della lotta di classe e che ancora oggi non si può discutere ….

Se l’Italia è passata, alla fine del ‘900, dalla prima alla seconda repubblica, lo deve anche a quella mummia troglodita di Francesco Cossiga. Il più giovane presidente della nostra storia, eletto plebiscitariamente nel 1985 a soli 57 anni. I partiti di governo (la Democrazia Cristiana, il Partito Socialdemocratico, il Partito Repubblicano, il Partito Liberale e il Partito Socialista), rafforzati dal sostegno del Partito Comunista, trovarono l’intesa politica per elaborare una serie di leggi repressive per far fronte alla situazione di crisi che il paese stava vivendo (strategia della tensione-stragi di stato) .

La cosiddetta emergenza terrorismo provoca una involuzione poliziesca dello stato italiano, con una diminuzione delle libertà costituzionali ed un ampliamento del potere delle forze di polizia.

L’ampliamento del ricorso ai reati associativi o di pericolo presunto, fu l’ossatura normativa di un’emergenza che poi in Italia non è mai terminata, saldandosi infine con l’evoluzione sicuritaria post 11 settembre 2001….

Emblematica è in questo senso la legge Reale (n. 152 del 22/5/1975), che autorizzava la polizia a sparare nei casi in cui ne ravvisasse necessità operativa….

La legge in questione suscitò molte polemiche e fu sottoposta a referendum, attuato l’11/6/1978, da cui emerse il favore da parte dell’opinione pubblica: il 76,5% votò per il mantenimento e il 23,5% per l’abrogazione.

Nel 1978 seguirà l’istituzione di corpi speciali con finalità antiterrorismo: il GIS (Gruppo Intervento Speciale, usati anche durante il G8 del 2001) dei Carabinieri ed il NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza) della Polizia.

Nel 1980 verrà emanata la cosiddetta “Legge Cossiga” (legge n. 15 del 6 febbraio), che prevede condanne sostanziali per chi venga giudicato colpevole di “terrorismo” ed estende ulteriormente i poteri della polizia. A suo tempo alcuni avevano osato contestare l’incostituzionalità, di fronte alla Corte Costituzionale, che tuttavia respinse queste istanze.

Anche questa legge fu sottoposta a referendum popolare, tenuto il 17/5/1981, da cui risultò il favore dell’opinione pubblica per questa legge: l’85,1% votò per il mantenimento e il 14,9% per l’abrogazione.

Francesco Cossiga apparteneva al correntone ambiguo della sinistra democristiana……, quella che negli anni del compromesso storico (Dc-Pc: comunisti e anticomunisti) e del patto Atlantico, firmato da Berlinguer, avevano conquistato il potere politico e militare. Per la sinistra extraparlamentare , negli anni ’70, era “Kossiga” con le due esse del cognome scritte come quelle delle SS tedesche: una trovata grafica che negli anni della contestazione era stata già utilizzata per il segretario di stato Usa Kissinger.

Cossiga era il capo della gladio e dei servizi segreti era tra l’altro cugino di secondo grado di Berlinguer.

Cossiga era presidente del Senato e la sua appartenenza alla sinistra democristiana lo rendeva un candidato con un certo appeal anche nel Pci, anche se da presidente del consiglio era stato lui a far votare la legge che aveva consentito l’installazione a Comiso degli euromissili puntati contro l’unione sovietica….

Cossiga ebbe una carriera ambigua, a causa delle coperture e degli scandali di episodi oscuri ….. (De Lorenzo, Moro,Ustica, P2, Gladio).

Cossiga era il capo dei servizi segreti e questo l’ha sempre reso un candidato naturale per vari incarichi politici: da fiduciario presidenziale di Segni tenne i rapporti col Sifar, da sottosegretario alla Difesa appose i famosi “omissis” all’indagine sulle deviazioni dello stesso Sifar…., da ministro degli Interni istituì i corpi speciali dei Carabinieri (Gis) e della Polizia (Nocs), e da presidente della repubblica prese le difese di Gladio….

La storia insegna che c’è sempre stato qualcuno che speculava sulle nostre disgrazie, sulle lotte per i diritti, creando più gerarchie e più potere. Il poveraccio impegnato a sopravvivere, deluso e pessimista, evita di “andare a cercarsele” (la vita è già dura così…), evitando che i suoi ideali vengano usati per incrementare infiltrazioni nei movimenti, avanguardie e gerarchie intellettuali, allo scopo di deviare gli obbiettivi di lotta di classe e incrementare più autoritarismo sbirresco, torture e repressione (dittatura militare) violazione e sospensione dei diritti e conflitti militari geopolitici internazionali…..

Roma 11/6/2015

I pagliacci di casapound e il movimento 5 stelle si sono trovati in piazza assieme per fare propaganda allegorica. In piazza c’erano lavoratori di Multiservizi (mafia) e attivisti del Movimento 5 Stelle, Casapound, Noi con Salvini e Fdi che gridano “via i mafiosi”……

Giù la testa – La rivoluzione

CULTURA DAL BASSO CONTRO I POTERI FORTI E I LORO SERVI REPRESSIVI

Rsp (Individualità Anarchiche)

Gugliotta, pestato dalla polizia dopo Roma-Inter: condannati 4 agenti

Gugliotta, pestato dalla polizia dopo Roma-Inter: condannati 4 agenti

Quando si fa buon uso della tecnologia, uno smartphone può essere strumento prezioso nella ricerca della verità, occultata proprio da chi dovrebbe lavorare per la giustizia… La sera del 5 maggio 2010, un residente nei pressi (ma non troppo) dello stadio Olimpico di Roma riprese il pestaggio di un ragazzo che nulla aveva a che fare con le violenze perpetrate al termine della partita della Coppa Italia, giocata tra Roma e Inter. Stefano Gugliotta non ebbe modo nemmeno di mettere piede nello stadio per godersi il match, visto in televisione: bloccato quando si trovava in moto con un amico in viale del Pinturicchio, fu raggiunto dal pugno di un poliziotto, elargitore di calci e manganellate, con la complicità di otto colleghi. Quindi, pestato dalla polizia, fu tradotto in carcere, “senza nessun motivo”.

A distanza di cinque anni dall’accaduto – la violenza si consumò in una manciata di minuti, secondo quanto ricostruito dalla Procura – a processo in corso, arriva un’altra condanna per i 4 agenti della polizia, già precedentemente condannati (insieme ad altri 5 colleghi) per il pestaggio a 4 anni di reclusione. Si tratta di Guido Faggiani, Adriano Cramerotti, Andrea Serrao e Roberto Marinelli. Dovranno difendersi dall’accusa di calunnia, e di falso verbale di resistenza a pubblico ufficiale, che il giovane venticinquenne fu costretto a firmare, prima di passare una settimana in carcere. Per questa mortificazione, oltre alle grandi ecchimosi riportate, dovrà essere risarcito: su disposizione del giudice del tribunale di Roma Clementina Forleo, c’è la richiesta per 100mila euro, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i quattro uomini colpevoli di aver “riportato dati non corrispondenti a quanto realmente accaduto”. Così, all’assurdità della “guerra sportiva” (rimase ferito un carabiniere, e accoltellato un tifoso nerazzurro), negli annali della cronaca si aggiunge un altro caso di accanimento su un innocente, che attende di ricevere giustizia…

Sono troppi i casi di accanimento immotivato (se mai esistesse un “valido motivo”) e crudele su persone indifese, eppure negli annali della cronaca, ci finiscono molti meno del numero ufficiale, tra chi non ha soldi per gli avvocati, chi non crede nella giustizia, chi teme ritorsioni o chi non ha amici o parenti che vogliono o possono andare fino in fondo.

Com’è il caso, pochi mesi fa, di Ilaria Cucchi e Guido Magherini, che non si limitano a difendere i propri cari:

“Abbiamo visto tre agenti pestare un uomo ammanettato”:

l’incubo di Cucchi e Magherini

Strano scherzo del destino per Guido Magherini, papà del giovane morto a Firenze durante un fermo, e Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. I due, secondo quanto denunciano, avrebbero assistito a un pestaggio violento e immotivato

1 agosto 2014

Un manifesto per ricordare Stefano Cucchi

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ROMA – Per loro sarà stato come assistere dal vivo a quelle scene che hanno potuto solo immaginare o guardare grazie a un video amatoriale. A quelle scene che mai dimenticheranno perché, ne sono convinti, è così che sono morti i loro cari. Strano scherzo del destino per Guido Magherini e Ilaria Cucchi che mercoledì pomeriggio a Roma – insieme all’avvocato “di chi è morto due volte”, Fabio Anselmo – avrebbero assistito a un pestaggio di tre agenti di polizia penitenziaria su un uomo già ammanettato e immobilizzato a terra.

A rendere il tutto ancora più “incredibile”, il fatto che il papà di Riccardo Magherini, l‘uomo morto a Firenze lo scorso tre marzo durante un fermo dei carabinieri, e la sorella di Stefano Cucchi, il geometra romano morto nell’ottobre del 2009 al Pertini dopo una settimana di detenzione durante la quale potrebbe aver subito violenze, stessero tornando da una cerimonia per il terzo anniversario della morte di Dino Budroni, il quarantenne morto dopo un inseguimento e una sparatoria sul Gra con la polizia.

A raccontare quanto visto, è la stessa Ilaria Cucchi. “Eravamo in auto di ritorno da una cerimonia religiosa, all’altezza del Verano, Guido, che era seduto dietro, ha improvvisamente strillato: “Ferma, ferma guarda che gli fanno”, indicando un uomo a terra con tre agenti della polizia penitenziaria che lo pestavano con calci e ginocchiate”. Una scena da brividi vista da Ilaria, che ha poi fermato l’auto con la quale stava accompagnando il padre di Riccardo alla stazione per prendere il treno e tornare a Firenze.

Magherini, racconta ancora la sorella di Stefano Cucchi, si è quindi precipitato sul luogo del “pestaggio”. “Ci siamo avvicinati al ragazzo che era sdraiato in terra a pancia in giù con le braccia ammanettate dietro la schiena ed il volto sanguinante. Guido era sconvolto e ripeteva agli agenti di metterlo seduto perché il figlio era morto così”.

“Guido si è subito avvicinato al ragazzo per vedere se respirava, notando sul suo volto un espressione e un sorriso di speranza che il pestaggio potesse essere finito” ricorda la donna. Poi la risposta degli agenti: “Non siamo stati noi a ferirlo, sappiamo quello che dobbiamo fare”.

Ilaria Cucchi ha poi chiamato il 118 richiedendo aiuto per il ragazzo. “Giovedì – conclude la donna – sono andata al commissariato Porta Maggiore ed ho sporto denuncia”.

Ma nel resto del Mondo, le cose non vanno certo meglio….

Baltimora: Agenti violenti, nuovo scandalo

11 maggio 2015

A seguito di un’indagine indipendente, condotta dal quotidiano Baltimore Sun, per il periodo che va da giugno 2012 ad aprile 2015, 2.600 sono state le persone portate alla prigione di Baltimora per essere incarcerate ma non ammesse a causa del loro stato di salute, per le gravissime ferite riportate mentre erano in custodia della polizia.

Il Baltimore Sun avrebbe avuto accesso a telecamere nell’area, ottenendo documentazione mostrante il carcere e comprovante la troppa violenza della polizia.

 

Alessandria d’Egitto, qualche mese dopo l’omicidio Cucchi:

Tutte le volte che le garanzie e le tutele costituzionali dei cittadini vengono meno, per reali o millantate esigenze di sicurezza o per la disinvolta emanazione di leggi speciali giustificate da situazioni di emergenza, a rimetterci sono sempre cittadini indifesi….. 

 Il ragazzo delle foto si chiamava Khaled Mohammed Said. Era in un internet cafè ad Alessandria d’Egitto, giovedì 10 giugno. Vivo. Almeno fino a quando non è entrata la polizia egiziana e, con la scusa della legislazione speciale, non ha iniziato a indulgere in maltrattamenti, vessazioni, controlli di qualsiasi tipo con la stessa probabile attitudine di un branco di gatti che si divertono a palleggiarsi un topo.

 

Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci.
La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima.
Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato.
Èlie Wiesel

 

Rsp (individualità Anarchiche)

9 maggio 1978: l’omicidio Moro

Guerre sotterranee tra comunisti e anticomunisti per il potere politico finanziario economico e militare 

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Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito e il 9 maggio di 37 anni fa, fu ucciso. In quei 55 giorni accadde di tutto, al vertice del ministero dell’Interno si insediò un Comitato di iscritti alla Loggia P2. La loggia massonica P2 era formata dai vertici delle 3 principali organizzazioni militari dello stato (servizi segreti): marina, esercito aeronautica, ed era gestita dal massone Licio Gelli, antifascista, repubblichino monarchico. Il piano Solo, fu un colpo di stato militare organizzato dai democristiani di centrodestra nel ‘64, e attuato dalla brigata carabinieri per impedire che la sinistra conquistasse il potere politico. Moro si era accorto che nella democrazia cristiana quasi tutti avevano la tessera della loggia P2 atlantica, anticomunista, golpista e di destra e nel ‘64 decise di fondare il primo partito democristiano di centrosinistra.

Moro quando arrestarono Edgardo Sogno, mise il segreto di stato, intimorito dai diversi colpi di stato attuati in Italia (Piano Solo 1964, Golpe Borghese 1970, Golpe bianco 1972 , Golpe rosa dei venti 1973, rapimento Moro 1978).

Quello fu il suo grande sbaglio che gli causò la morte: aver protetto gli autori dei colpi di stato.

Dopo la fine della II Guerra Mondiale e l’avvento della Guerra Fredda, l’Italia era diventata parte della NATO (stay behind) e in questo modo risultava una colonia statunitense.

Anche l’Unione Sovietica era interessata allo Stivale e difatti le maggiori formazioni politiche del periodo, dipendevano perlopiù da una o dall’altra parte in gioco: la Democrazia Cristiana e buona parte dell’élite della destra conservatrice era sostenuta e finanziata dagli USA , il PCI e buona parte dell’élite della sinistra progressista e radicale dall’URSS.

La “strategia della tensione” è stata considerata come il tentativo (riuscito) di mantenere l’Italia sotto l’orbita statunitense rafforzandone la dipendenza e bloccando una possibile rivoluzione comunista.

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Giovanni Senzani,( brigatista alto borghese e criminologo), rapì Moro e fu anche consulente del ministero di Grazia e Giustizia contro il terrorismo durante il sequestro. A Roma usufruiva in via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un regista di film porno, che era però anche un informatore del Supersismi (doppio Sid) , la tecnostruttura di stampo piduista. La tipografia utilizzata dai brigatisti per la stampa dei comunicati (da quasi un anno prima del rapimento), era gestita da un brigatista (Enrico Triaca) e finanziata da Mario Moretti, erano stati precedentemente di proprietà dello Stato: si trattava di una stampatrice AB-DIK260T, che era di proprietà del Raggruppamento Unità Speciali dell’Esercito (facente parte del SISMI) e che, seppur con un pochi anni di vita ed un elevato valore, era stata venduta come rottame ferroso, e di una fotocopiatrice AB-DIK 675, precedentemente di proprietà del Ministero dei trasporti, acquistata nel 1969 e che, dopo alcuni cambi di proprietario, era stata venduta a Enrico Triaca.

Anche l’appartamento di Via Gradoli 96 (diversi appartamenti erano intestati ad uomini del SISMI) fu affittato da Moretti sotto lo pseudonimo di Mario Borghi nel 1975.

Ma andiamo a capire in che contesto nacquero le Br….

L’organizzazione delle Br nacque dal CPM, il Collettivo Politico Metropolitano fondato da Renato Curcio e Corrado Simioni (alto borghese), un ex iscritto al PSI di Milano con Craxi, che tenne nel novembre 1969 un convegno a Chiavari. A questo gruppo si avvicinò quello di Alberto Franceschini, i ragazzi dell’“Appartamento”di Reggio Emilia, fondato da un altro alto borghese, Corrado Corghi di azione cattolica. Nella primavera del 1970 le discussioni sul passaggio alla clandestinità erano sempre più vive e contornate da serie intenzioni. Nel CPM c’era anche Margherita “Mara” Cagol, moglie di Curcio la quale costituirà il trio originario delle BR. La donna faceva parte delle cosiddette “zie rosse”, un’ organizzazione semiclandestina all’interno del CPM fondata da Simioni. Nove mesi dopo la strage di Piazza Fontana, nel convegno di Pecorile, vicino Reggio Emilia, nell’agosto del 1970, avvenne l’unione tra quelli dell’Appartamento e il CPM, dando così vita al collettivo Sinistra Proletaria. Entrambe le organizzazioni, ormai unite , volevano la lotta armata ma ciò non significa che non ci fossero divergenze. Franceschini, infatti, racconta che lui (Simioni) «proponeva di colpire in alto. Noi pensavamo a piccoli atti di “giustizia proletaria”, legati alla realtà delle fabbriche e alle lotte operaie. Per lui, invece, il punto chiave era la lotta antimperialista, da condurre con azioni eclatanti» in collaborazione con organizzazioni internazionali….

La rottura arrivò col rifiuto di Franceschini, di sottoporsi a un questionario ( test psicologici, per la guerra psicologica) molto intimo e privato (si chiedeva addirittura se si praticasse la masturbazione) col fine di creare una struttura clandestina tutta sua, da egli gestita e controllata. Nel settembre del 1970 il collettivo tenne una riunione in Liguria, ospite di Savina Longhi, presentata da Simioni come l’ex segretaria di Manlio Brosio, ambasciatore italiano e dal 1964 al 1971 segretario generale della NATO. Il posto dunque non pareva certamente adeguato a ospitare aspiranti terroristi comunisti. Simioni giustificò il tutto dicendo che la donna era stata una sua amante, infiltrata in quell’ufficio; l’ex socialista non solo organizzò un attentato all’ambasciata americana ad Atene nel quale perse la vita una donna senza dir nulla agli altri compagni, in Grecia invece (in quel periodo al potere c’era la dittatura fascista dei colonelli) aveva dei soldi depositati in una cassetta di sicurezza…. A quel punto Franceschini, la Cagol e Curcio decisero che avrebbero preso strade diverse da Simioni.

Nella primavera del 1971 Gallinari (stalinista) e Maurizio Ferrari (cattocomunista, adepto di abbè Pierre) spariscono per poi ritornare (erano andati in Francia insieme all’ambiguo Simioni) con delle scuse contorte nel gruppo di Curcio e Franceschini. Franceschini è fermamente convinto che il loro ritorno non fosse né casuale né spontaneo: «fu Simioni – dice – che non aveva accantonato il suo progetto di egemonizzare il gruppo, a rimandarli».

Giugno 1973: il dirigente dell’Alfa di Arese Michele Mincuzzi entra nel mirino delle BR. Il suo sequestro è un’operazione gestita quasi totalmente da Moretti che realizza anche la classica foto del prigioniero con il simbolo dell’organizzazione su un cartello. Nulla di anomalo, se non fosse che quella stella delle BR non ha cinque punte ma sei, come quella di Davide, simbolo dell’ebraismo e dello Stato d’Israele.

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Il confronto tra le opposte linee guida di Simioni e di Curcio, e le questioni di carattere organizzativo e politico di come definire la propaganda armata, stavano provocando delle fratture in seno a Sinistra Proletaria sempre più marcate.

Le azioni proposte da Simioni erano in alcuni casi anche sanguinarie, come la proposta di fare uccidere il principe nero Valerio Borghese o di far colpire gli americani a Napoli, uccidendo due ufficiali, ma furono rifiutati da tutti gli altri. Simioni non demorde e cerca di proporre ai singoli di partecipare alle azioni che lui sta organizzando senza consultare la direzione, il suo intento era quello di organizzare una struttura parallela. Curcio e Franceschini sembrano accorgersene.

Il primo segnale si ha quando si é scoperto che dietro al fallito attentato all’ambasciata USA di Atene, fu Simioni a organizzare il tutto. Pochi giorni prima, Simioni aveva proposto a Mara Cagol di eseguire un attentato in Grecia. Questo aveva fatto infuriare Curcio che era rimasto all’oscuro di questa vicenda che aveva coinvolto la moglie, la faccenda era venuta fuori durante una riunione del collettivo di direzione di Sinistra Proletaria, che si era tenuta in Liguria, nel settembre 1970, a casa di Savina Longhi, una delle partecipanti al convegno di Costaferrata. A questo punto la maggioranza di Sinistra Proletaria inizia a isolare il gruppo di Simioni.

La rottura definitiva tra le nascenti BR e Simioni avviene subito dopo l’attentato incendiario alla vettura di Ermanno Pellegrini, Simioni chiese spiegazioni a Curcio sul fatto che non era stato informato, Curcio gli rispose di non aver più interesse a discutere con lui avendo ormai opinioni diverse, Simioni lo ammonì sostenendo che le BR sarebbero state rapidamente individuate perché prima di agire, dovevano creare una organizzazione ristretta e ben strutturata (come quelle fondate da lui – superclan- Hiperion). Simioni abbandonò definitivamente il gruppo di Sinistra Proletaria, che di lì a poco sarebbe scomparso, portandosi dietro i suoi servi fedeli: Moretti, Duccio Berio, Vanni Mulinaris, Franco, Troiano, Innocente Salvioni, Francois Tuscher (nipote di abbè Pierre) , Sandro D’Alessandro, Prospero Gallinari, Ivan Maletti, Maurizio Ferrari e gli ingegneri dell’IBM.

Per i brigatisti era alquanto inquietante quello che era emerso nel fallito attentato di Atene all’ambasciata americana del 2 settembre 1970, Maria Elena Angeloni era un’amica della moglie di Simioni, Gabriella Giuliani (zia di Carlo), inoltre sia lei sia il suo compagno di disavventura George Christous Tsikouri avevano 4 passaporti falsi, due italiani, uno svedese e uno cipriota, che li collegavano ad Ezio Maria Seveso, a Laura Sapienza e a suo marito Giorgio de Monte, che conoscevano Simioni dagl’inizi degli anni ’60, da poco iscritti alla sezione comunista “Oreste Ghirotti” di Milano.

Altro fatto strano è il timer della bomba, che essendo difettoso, aveva innescato l’esplosivo troppo presto, uccidendo gli attentatori, il timer apparteneva alla stessa partita che provocherà la morte di Giangiacomo Feltrinelli a Segrate per mano dei Mar (Movimento di azione rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli…..

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Il 30 marzo un nucleo del Superclan (gruppo clandestino fondato da Simioni) rapina Primo Fubei portavalori della Savoia Assicurazioni, bottino 30 milioni di lire. Per questa rapina sono arrestati Igine Laghi e Francesco Ravizza Garibaldi, quest’ultimo un pupillo di Simioni, verrà coinvolta anche Sabina Longhi, la segretaria di Simioni, ex collaboratrice di Manlio Brosio alla NATO, ed impiegata della Savoia Assicurazioni, sparita dalla circolazione poco prima della rapina. Con questi soldi il 21 aprile 1971, un mese dopo la rapina viene comprata una cascina vicino ad Aqui Terme, la Cascina Beghina, che verrà utilizzata dal gruppo come base di addestramento e poligono di tiro, la cascina verrà intestata a Rosalba Buccianti, legata sentimentalmente a Simioni. Oltre a questa base, alla cui sistemazione partecipò anche Prospero Gallinari, l’organizzazione poteva disporre; di una villa a Barzio, sopra Lecco, una villa a Bellano, una villa ad Arpino, vicino a Stresa sul lago Maggiore, una villa vicino ad Erba, tra Lecco e Como, una villa vicino a Tortona e infine di alcuni appartamenti a Milano.

Altro fatto misterioso erano i legami tra Simioni e Roberto Dotti, ex partigiano ed ex comunista, che custodiva gli archivi dell’organizzazione e le schede coi test psicologici, di molti attivisti della sinistra extra parlamentare che gli erano consegnate da Margherita Cagol in più incontri.

Il fatto sconcertante che Roberto Dotti fosse il presidente del Comitato di Resistenza Democratico fondato da Edgardo Sogno, un partigiano bianco, monarchico, repubblichino, liberale. Sogno era un acceso anticomunista che aveva creato questo comitato per contrastare l’ascesa elettorale del PCI.

Un altro infiltrato era Duccio Berio uno dei fedelissimi di Simioni, suo padre un noto professionista era legato al MOSSAD, il servizio segreto israeliano. Duccio Berio entra in contatto coi servizi durante la leva nel 1972, era un ufficiale di collegamento, e passava al SID informazioni sulle organizzazioni della sinistra extra parlamentare.

Il tentativo di Simioni di creare una forma di consenso popolare a Milano e a Torino fallisce. Il Superclan più che un gruppo rivoluzionario si sta trasformando in una Duccio setta in cui Simioni esercitava un potere quasi assoluto sui militanti, ben presto senza una base ideologica il Superclan si sciolse verso la fine del 1972, il gruppo dirigente Simioni, Mulinaris, Berio, Troiano, Salvoni e Tuscher, andarono a vivere in una villa nel Veneto, per evitare nuove indagini della polizia, il gruppo si sposterà in seguito a Parigi, dove fonderà le associazioni culturali Agorà e Kiron e poi la scuola di lingue Hyperion.

Le tante strategie militari occulte, messe in atto da Moretti, sono state collegate al piano militare “Field Manual”, un documento americano top-secret del 1970 che vede i terrorismi di diversi colori come un ottimo strumento da utilizzare per fini egemonici e di equilibri. Equilibri di Guerra fredda, ovviamente. L’importante documento definisce il terrorismo un «fattore interno stabilizzante» profilando una nuova teoria dell’anticomunismo, quella di «destabilizzare ai fini di stabilizzare», controllando e orientando i vari gruppi eversivi, pilotandoli con l’inserimento di infiltrati nei loro “organi” decisionali. Se davvero quanto previsto dal documento abbia trovato attuazione in Italia significherebbe che le BR, italiane di nascita, abbiano poi preso una strada diversa (o meglio, questa strada sarebbe stata fatta prendere) in direzione atlantica, divenendo strumento in mani americane.

A Israele sarebbe convenuto avere un paese come l’Italia (al centro del mediterraneo, con un forte partito comunista da controllare) instabile. Gli USA, nella gestione del Medioriente, si sarebbero affidati più ai sionisti.

La data 8 settembre 1974 è una cesura nella storia delle BR. Curcio e Franceschini furono arrestati alla stazione di Pinerolo, in provincia di Torino, traditi dall’infiltrato Silvano Girotto, un ex francescano missionario cattolico comunista che nei suoi soggiorni sudamericani negli anni precedenti ebbe floridi contatti con guerriglieri e per questo motivo era chiamato “Frate Mitra”….

Nel 1975 le BR sequestrarono il produttore di spumante Gancia. I carabinieri intercettarono i brigatisti e in questa operazione Mara Cagol rimase uccisa con un’«esecuzione». Quando la brigatista era già ammanettata e in ginocchio, un carabiniere in borghese le si avvicinò, le puntò una pistola sotto l’ascella e sparò un colpo mortale. Il proiettile le perforò i polmoni. La morte di Mara fu un avvertimento per Curcio di non parlare dell’organizzazione ambigua di Simioni….

Giorgio Semeria, un brigatista della prima ora, l’anno successivo rischiò di essere vittima della stessa (esecuzione) sorte. Fu arrestato alla stazione di Milano, sotto gli occhi della gente, solo che Semeria non morì e fu successivamente trasportato in ospedale. Dopo fu portato in carcere e da lì scrisse a Curcio che «Mario Moretti, è una spia».

Nel 1974 Curcio fu arrestato insieme a Franceschini a Pinerolo. Nel 1975 riuscì a evadere dal carcere di Casale Monferrato grazie a Francesco Marra, uno degli informatori dell’Ufficio affari riservati del Ministero degli Interni e collaboratore del superclan di Simioni. Durante la sua latitanza Curcio tenne una riunione di esecutivo con Semeria e Moretti che allora viveva a Genova. A fine riunione Mario Moretti domandò a Curcio se potesse ospitarlo e dopo qualche esitazione, accettò. Il giorno dopo Curcio fu arrestato di nuovo.

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Quando Curcio ricevette la lettera di Semeria (che Moretti era una spia), era rinchiuso alle Nuove di Torino con Franceschini e rivelò a questi: «Giorgio ha ragione, sono certo che Moretti è una spia». Affermazione dovuta con molta probabilità all’esperienza vissuta col suo secondo arresto.

Perché Semeria doveva morire? Semeria avrebbe potuto essere il nuovo capo delle Brigate rosse, aveva posto il problema di Moretti, che lui considerava una spia…..

Corrado Simioni fonda la famosa scuola di lingue Hyperion, da sempre sospettata di avere avuto un ruolo attivissimo, soprattutto durante il sequestro Moro, nel manovrare i gruppi eversivi di sinistra, italiani e non, in realtà era un centro della CIA che lavorava sia per i servizi segreti di Yalta che per i servizi segreti del Patto atlantico….

Con l’Hyperion Simioni e Moretti riuscirono a creare una struttura clandestina al di sopra delle clandestine Br.

Corrado Simioni, fiancheggiò le Br all’atto della loro nascita col suo Superclan, poi le infiltrò inviando nel gruppo un proprio rappresentante: Mario Moretti, che dal ’74 (anno dell’ arresto di Curcio e Franceschini) prese in mano la guida dell’organizzazione. Moretti restò al vertice e condusse le Br al sequestro e all’ omicidio Moro: Come nel 1974, quando le Br rapirono il giudice Sossi e Moretti voleva uccidere l’ostaggio anziché rilasciarlo. Sossi si salvò perché raccontò ai suoi prigionieri un segreto nazionale (top secret): l’esistenza del doppio sid, mentre moro fu ucciso perché raccontò un segreto internazionale (gladio e i nuclei clandestini dello stato). Per Sossi ci fu anche una trattativa col Vaticano condotta tramite l’ex democristiano di Reggio Emilia Corrado Corghi (adepto di Azione cattolica). Fondatore dell’appartamento di Reggio Emilia insieme a Franceschini.

Ma chi era Simioni?

Era un collaboratore del l’USIS (United States Information Service: strutture americane ed inglesi per la guerra psicologica). In seguito si trasferì a Monaco di Baviera per approfondire gli studi di latino e teologia, per poi ritornare a Milano all’inizio del ‘68.

L’ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità sul territorio italiano, Simioni la compì all’inizio degli anni ‘70 come redattore (assieme a Mulinaris e Curcio) di alcuni numeri della rivista “Sinistra proletaria”, l’ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di 14 mitra (lo stesso simbolo usato anche da Senzani). Trasferitosi in Francia nel 1976, fondò a Parigi (assieme a Duccio Berio e Vanni Mulinaris) la scuola di lingue Hyperion dove insegnò come docente anche Toni Negri. A Parigi Simioni si inserì nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli ambienti cattolici progressisti e divenendo vicepresidente della “Fondazione Abbé Pierre“. E proprio quale accompagnatore dell Abbè Pierre, nel novembre 1992 venne ricevuto da papa Giovanni Paolo II in udienza privata. Successivamente si avvicinò al buddismo tibetano.

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La scuola Hyperion era una struttura di riferimento per organizzazioni militari come OLP, IRA, ETA e BR, e contemporaneamente manteneva rapporti con CIA, KGB e Mossad. Padre Andrew Felix Morlion, ex agente della CIA era il direttore dell’Hiperion. Felix fondò, negli anni del dopoguerra la prima università ecclesiastica formata dai servizi segreti del vaticano, la Pro-Deo, attraverso la quale fece scappare tanti nazisti, criminali di guerra, vestiti da preti….

Quella che è oggi diventata la Luiss – Libera Università degli Studi Sociali.…

Hyperion era un punto d’incontro tra i servizi segreti delle nazioni contrapposte nella Guerra Fredda, necessario nella logica di conservazione degli equilibri derivanti dagli accordi di Yalta. Hyperion quindi sarebbe stato un mezzo per azioni comuni contro eventuali sconvolgimenti dell’ordine di Yalta. Proprio la politica di apertura al PCI attuata da Moro, poteva considerarsi una minaccia degli stessi equilibri politici consolidatisi fino a quel momento…

 

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7 maggio 1889: sollevazione popolare a Milano

7 maggio 1889: SOLLEVAZIONE POPOLARE A MILANO

Passano i secoli ma la strategia di repressione militare, dello stato di polizia (per difendere i poteri forti), è sempre la stessa: occulto, violento e vigliacco, sempre pronto a usare qualsiasi mezzo meschino pur di reprimere il dissenso ed etichettarlo come terrorismo, per imporre l’autoritarismo e la (finta) pace sociale.

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Nel 1898, l’assetto formale del Regno d’Italia era quello tipico dello Stato liberale ottocentesco(repubblica monarchica), così come si era delineato anche mediante l’esperienza risorgimentale. In particolare, la partecipazione alla vita politica era ancora riservata ad una minoranza di cittadini, appartenenti ai ceti agiati della nobiltà: la scelta del suffragio censitario, adottata per motivazioni varie e talora contrastanti, era stata poi conservata, pur con progressive estensioni, anche dai governi della Sinistra storica, nonché sostenuta da un fervente repubblicano quale Francesco Crispi, soprattutto in ragione delle gravi condizioni di analfabetismo in cui, ancora alla fine del secolo, versava gran parte della popolazione italiana…..

Milano all’epoca, con quasi mezzo milione di abitanti, era la seconda città italiana più popolata dopo Napoli e già era la capitale finanziaria della nazione: la città più importante dove sperimentare nuovi modelli di una società semi-industrializzata in una fase cruciale di sviluppo ed emancipazione del ceto popolare eterodiretto da un ceto borghese milanese intellettuale e illuminato.

La situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa fu l’aumento del costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti agrari e, in parte, all’aumento del costo dei cereali d’importazione dovuto alla guerra Ispano-Americana. Alcuni politici tentarono di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico, ma il malessere popolare era tale che il movimentismo spontaneo di tendenza anarchica, radicale e socialista prevalse: pur non essendoci un progetto rivoluzionario, nel 1898 l’avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e coloro che le rappresentavano toccò il suo apice in Italia.

Le prime rivolte popolari si verificarono in Romagna e Puglia il 26 e 27 aprile, e in seguito in tante città e paesi: nei tumulti diversi rivoltosi morirono. Il 2 maggio 1898, il Ministero dell’Interno, considerata la situazione generale del regno

(insurrezioni popolari), aveva autorizzato i Prefetti ad affidare, in caso di necessità, il ristabilimento dell’ordine all’autorità militare (dittatura) . Il 5 maggio, il Prefetto di Milano, barone Antonio Winspeare, comunicò al generale Fiorenzo Bava Beccaris che per il giorno seguente si temevano gravi disordini in città. Il generale provvide così a richiamare in città anche il 5º Reggimento Alpini.

Il 6 maggio 1898 verso mezzogiorno, alcuni agenti di polizia s’infiltrarono tra gli operai della Pirelli di via Galilei; approfittando della pausa pranzo, in fabbrica venivano distribuiti volantini di protesta, su cui fra l’altro stava scritto che il governo era il vero responsabile della carestia che travagliava il Paese. La polizia arrestò sindacalisti e operai: dovette muoversi Filippo Turati, deputato dal 1896, per farli rilasciare quasi tutti, e in questura ne restò solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamarono la liberazione del compagno e la loro protesta ebbe la solidarietà degli operai di altre fabbriche cittadine.

Il giorno seguente, 7 maggio, venne proclamato uno sciopero generale di protesta al quale la cittadinanza aderì in massa riversandosi nelle strade principali della città. Agli operai provenienti dagli stabilimenti della periferia milanese, si aggiunsero quelli delle attività presenti in città, oltre a un’imponente massa di popolazione appartenente alle più varie categorie, dalle tabacchine ai macchinisti ferrotramviari. Massiccio fu anche il concorso di giovani e comunque di cittadini non organizzati, oltre alla ovvia e cospicua presenza di attivisti anarchici, c’erano anche i repubblicani, i socialisti, aderirono anche i cattolici intransigenti (per detenere, infiltrare e manovrare le masse), sostenitori del potere temporale del papa, il cui punto di riferimento era don Davide Albertario, direttore dell’Osservatore Cattolico.

Quel 7 maggio 1889 ci fu una sollevazione popolare contro le dure condizioni di vita e il generale Bava-Beccaris, ordinò all’esercito di sparare sulla folla (donne, anziani, bambini e padri di famiglia) che manifestavano a Milano contro l’aumento del prezzo del pane. Fu una delle prime stragi di stato, i morti furono più di 300.

In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava-Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un seggio al Senato. Aderì al movimento interventista che propugnava la partecipazione dell’Italia alla I guerra mondiale. Favorevole al fascismo, nel 1922 fu tra i generali che consigliarono al re Vittorio Emanuele III di affidare il governo dell’Italia a Benito Mussolini. Numerosi disordini e tumulti si susseguirono in altrettanti comuni italiani sino alla I guerra mondiale. L’eco della violenza sbirresca nelle manifestazioni contro i civili, (stragi di stato), sollevò grande impressione nelle numerose comunità italiane all’estero, formate dai milioni di emigranti che, nell’ultimo quarto del XIX secolo, erano espatriati in cerca di lavoro, costretti dalle disastrose condizioni economiche nazionali.

La 1 strage di stato fu nel 1861, con la morte di Ippolito Nievo e la sparizione della nave a vapore Ercole. La nave subì un attentato alla caldaia e affondò, nascondendo in fondo al mare documenti scottanti che non dovevano vedere la luce, perché avrebbero rivelato l’ingerenza pesante del Governo corrotto di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie …..

Dietro le trame oscure del governo londinese, c’era il regno dei Savoia, Crispi e Cavour, che sovvenzionavano la milizia armata dei garibaldini contro i borboni, per l’unità d’Italia.

I poteri che dominavano il regno delle due Sicilie, prima del 1861, erano Austria e Russia.

 

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26 aprile 1933: nasce in Germania la polizia segreta di stato: GESTAPO

26 aprile 1933: nasce in Germania la polizia segreta di stato: GESTAPO

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La GESTAPO fu la temibile polizia politica del regime nazista, creata da Hermann Göring, il 26 aprile di 82 anni fa; se le SS rappresentarono il braccio armato del nazional-socialismo, la GESTAPO ne fu la mano invisibile, un macabro spettro che trasformò la vita dell’Europa occupata in un drammatico incubo.

La famigerata polizia segreta era infiltrata in tutti gli ambienti, attraverso una rete capillare che la vedeva presente negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, tra gli operai, pronta a colpire e a materializzarsi in qualsiasi momento, comparendo dal nulla, assolvendo il compito di individuare, arrestare e deportare gli oppositori, veri o presunti, del regime; era sufficiente una semplice denuncia, anche anonima, per vedersi confinati nei campi di concentramento.

Nell’aprile del 1934 la GESTAPO entrò nell’orbita delle SS, passando sotto il controllo di Himmler, che divenne, nel giugno 1936, comandante incontrastato di tutte le polizie tedesche; una volta assunta tale carica il reichsfuhrer delle SS, ristrutturò tutto l’apparato, suddividendolo in due grandi arterie, la polizia di sicurezza (Sicherheitspolizei, diretta da Reinhard Heydrich) e la polizia d’ordine (Ordnungspolizei, diretta da Kurt Daluege); sulla base di tale riforma, se la polizia d’ordine inglobava la polizia di vigilanza (Shutzpolizei), la polizia municipale ( Gemeindepolizei) e la gendarmeria, la GESTAPO venne ricompresa, insieme alla polizia criminale (Kriminalpolizei), nella polizia di sicurezza.

Il 10/2/1936 fu il giorno del famigerato decreto Goring, che consentiva alla GESTAPO di agire su vasta scala e soprattutto nessun giudice aveva il diritto di intraprendere azioni legali contro i suoi membri; la polizia segreta si trovò quindi ad operare nell’assoluta illegalità, forte di un potere sconfinato e di un arbitrio assoluto, immune dal giudizio dei tribunali; era, di fatto, la legalizzazione del terrore.

Dotata, quindi, di un potere illimitato, la GESTAPO aveva la sua sede centrale nella Prinz-Albrechtstrasse di Berlino, ma poteva contare su sedi ramificate in ogni angolo, in ogni luogo, in ogni regione degli sterminati territori caduti sotto la dominazione della svastica.

Simbolo della feroce persecuzione del nazional-socialismo, fu messa al bando durante il congresso di Norimberga, al pari delle altre, macabre, strutture di potere create dal delirio nazional-socialista.

 

EUROGENDFOR, la nuova polizia europea con poteri illimitati

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Praticamente non ne ha parlato nessuno. Praticamente la ratifica di Camera e Senato è avvenuta all’unanimità. Praticamente stiamo per finire nelle mani di una superpolizia dai poteri pressoché illimitati. Che sulla carta è europea, ma che nei fatti è sotto la supervisione statunitense (stay behind). Tanto è vero che la sede centrale si trova a Vicenza, la stessa città dove c’è il famigerato Camp Ederle delle truppe USA.

Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Il raggio d’azione: «EUROGENDFOR potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5). La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza. Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR» (art. 3).

La Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.

Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 28); i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.

Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano….

La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono.

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STATO DI POLIZIA 4° parte: IL FASCISMO DI RITORNO (1943-1960)

STATO DI POLIZIA 4° parte:

IL FASCISMO DI RITORNO (1943-1960)

Uno dei primissimi atti legislativi del governo Badoglio, il governo dei 45 giorni, fu la “concessione delle stellette” al corpo di PS, ovvero, la sua integrazione nelle forze armate (d.l. 31/7/1943, n° 687), un gesto significativo che testimoniava una precisa volontà di gestione della politica dell’ordine pubblico con la maniera forte. Un decreto dell’anno seguente restituiva all’organismo il nome primigenio di Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (d.Ut. 2/11/1944, n° 365). In una situazione politica confusa oltre che assai precaria (in cui oltre alla PS e ai carabinieri, organismi peraltro scompaginati, specialmente i secondi, entravano in azione numerose polizie più o meno private e segrete, tutte in reciproco contrasto e facenti un regolare uso della tortura nei loro ‘trattamenti’), l’esigenza del governo provvisorio era quella del rafforzamento della PS che era la forza di polizia conservatasi più intatta, giacché a differenza dei CC, ‘arma’ dell’esercito, non aveva partecipato agli eventi bellici. Sulla polizia poi, si poteva fare maggiore affidamento in ragione del suo tenersi relativamente ‘al di fuori della mischia’ al fine di ritardare, se era proprio impossibile evitare, gli orrori della guerra civile. La scelta di stare in mezzo alle parti in contesa, fu dovuta al fatto che “c’erano ragioni per accettare la tesi monarchica e la contraria, la fascista e l’antifascista, la tesi della fedeltà all’Asse e quella favorevole agli Alleati” mentre i carabinieri si erano in certa parte schierati dalla parte degli anglo-americani, per spirito di fedeltà alla monarchia e non per solidarietà con la resistenza, verso la quale svolsero anzi funzione di freno e di controllo. La PS sarebbe passata così dai 17.565 uomini nel 1938, ai 25.059 nel 1942, ai 31.900 nel 1943, ai 51.367 nel 1946. Nel 1945 (d.l.lt. 13 febbraio, n° 43) nelle file della PS era assorbito anche il personale del famigerato corpo della ‘polizia dell’Africa italiana’ (PAI), polizia tra le polizie adusa ai metodi più biecamente razzisti e colonialisti, guidata da alcuni tra i peggiori elementi del regime fascista. Ma nella PS entrarono anche molti partigiani, mentre i CLN riuscivano a nominare e a insediare numerosi prefetti e questori e sindaci nelle zone liberate; con la fine dell’AMG (il governo militare alleato) tutti i funzionari di nomina resistenziale vennero posti davanti alla scelta ricattatoria, accettata da comunisti e socialisti (ministro dell’interno era il ‘socialista’ Romita), di entrare nel servizio di carriera, e quindi di farsi passivi esecutori delle disposizioni che sarebbero loro venute dall’alto e che certamente non sarebbero state le più gradite ad eseguirsi per dei ‘combattenti della libertà’; oppure di abbandonare le cariche conquistate armi in pugno: la quasi totalità scelse la seconda via, tanto che, al 1/1/1947, si contavano solo 8 prefetti su 133 immessi in carriera dopo la caduta del fascismo. Alla fine del 1946 un nuovo provvedimento, in apparenza tecnico-amministrativo, purgava anche a livello di truppa la polizia dai ‘rossi’. I provvedimenti del decreto (entrato in vigore il 27/12/1946) formalmente parlavano di ‘riorganizzazione’ del corpo delle guardie di PS, ma si trattava, come si esprime una fonte ufficiale, di “ricomporre, nell’assoluta legalità, le file di un organismo che, per cause di forza maggiore, aveva perduto la fisionomia di una forza ordinata ed inquadrata su adeguate basi normative. A sostituire i poliziotti partigiani vengono richiamati in servizio vecchi arnesi sui 60, quasi tutti pratici di manette, ma che sanno pochino a leggere e scrivere, e quel che è peggio vengono presi in servizio elementi della PAI, vengono riassunti i repubblichini, i fucilatori, i collaborazionisti, persino quelli che sono stati finora in galera per crimini fascisti e che l’amnistia ha rimesso in circolazione con relativi assegni arretrati”.

Ancora una volta lo strumento precipuo della ricostruzione del regime di polizia fu il prefetto. L’assemblea costituente (comitato sul decentramento) aveva votato all’unanimità la soppressione dell’istituto prefettizio. Ma “i prefetti non furono soppressi subito, non furono soppressi in seguito, non saranno soppressi mai più”, almeno come tutori supremi dell’ordine e della sicurezza pubblica in provincia. Fu appunto questo, d’altronde, il ruolo che dell’istituto i nuovi governi repubblicani furono subito portati ad accentuare, nel clima quarantottesco dominato dalla convulsa paura del comunismo e dell’anachismo, che la chiesa e la DC inculcavano in larga parte delle masse, soprattutto piccolo-borghesi, e di fronte al quale la strategia del gruppo dirigente del PCI, rigidamente chiusa ad ogni possibilità rivoluzionaria, si rivelava assolutamente impotente.

Agli inizi degli anni ’50, nel prefetto si rifletteva il regime restaurazionista democristiano. Il maggior requisito per giudicare la capacità professionale del prefetto, divenne la sua abilità a mantenere con fermezza il controllo della sua provincia, di dominare gli agitatori anarchici e di sinistra, distribuendo equamente minacce e repressioni violente. Il 2° dopoguerra richiama per troppi versi il 1°: come nel periodo 1918-’20, tra il ’45 e il ’48 le masse chiedono “diritti”, l’atmosfera politica del paese è surriscaldata dalla tensione sociale crescente, e, mentre si ricostruiscono gli apparati della “prevenzione” appresi dal fascismo (le spese per i confidenti di polizia passano da 8 milioni, nel 1948, a 112 milioni, nel 1949!), la repressione, intesa come attacco brutale contro il movimento operaio (dunque non come la intendeva uno Zanardelli quasi un secolo avanti), diviene la nuova tattica del governo di uno stato che è irrimediabilmente rimasto poliziesco. “Ignoranza e polizia” sono le armi decisive del nuovo regime. L’attacco contro contadini, operai, studenti e tutti i militanti del movimento di classe che l’Italia degasperiana consuma in questo scorcio di anni a cavallo tra le due metà del secolo, ripete, in una certa misura, l’attacco che polizie e fascismo squadrista scatenarono tra il 1921 e il ’24 contro socialisti, comunisti, repubblicani e anarchici di allora; cosi come la riorganizzazione dei reparti celeri della PS, operata proprio in questi anni del primo dopoguerra, ricorda, nei fini perseguiti dal governo come nei metodi adottati dal “corpo mercenario,” la costituzione della guardia regia nel 1919.

 

Le imponenti lotte sociali che dalle città e dalle campagne scuotono il paese vedono ripetuti scontri, anche a carattere di massa, tra forze dell’ordine e contadini, operai, popolani; la polizia non è ancora ‘riorganizzata’ e spesso subisce l’iniziativa dei manifestanti, come a Catanzaro (gennaio 1946), dove la folla assale la prefettura e l’esattoria; ad Andria (marzo), dove la popolazione tiene per alcuni giorni in mano la città, avendo preso in ostaggio CC e agenti; a Caccamo (agosto), dove una sorta di battaglia tra popolazione e carabinieri ha come esito una dozzina di morti e un centinaio di feriti; a Roma (ottobre), punto culminante di questa fase di agitazioni a carattere insurrezionale, dove alcune migliaia di disoccupati e di lavoratori edili minacciati di licenziamento, assaliti da carabinieri a cavallo e da reparti celeri, reagiscono ingaggiando uno scontro con le forze dell’ordine che vedrà queste ultime retrocedere, lasciando via libera ai manifestanti che assalgono il Viminale riuscendo a penetrare fin nello studio di De Gasperi, che si salva fortunosamente.

Ma il 1946 rappresenta una trincea arretrata della linea padronale-governativa; solo dal 1947 in poi (anno di nascita dei reparti ‘celeri’) eliminati gli ‘alleati’ scomodi del PCI, organizzata la scissione saragattiana di

Palazzo Barberini preannuncio di quella, decisiva, dei sindacati cattolici e socialdemocratici dalla CGIL che sarebbe avvenuta poco dopo e, con tali garanzie, ottenuto l’appoggio incondizionato degli americani, la repressione e l’assassinio di lavoratori divengono premeditata norma e programma di governo. I grossi capitalisti, ritornati nuovamente al comando e ancora pieni di paura, impongono la linea politica del terrorismo di classe. La ‘celere’, la più potente organizzazione di polizia, è lo strumento principe della repressione; il ministro Scelba ne è il protagonista. Nel gennaio del 1948 un arruolamento speciale assumeva temporaneamente in servizio 18.000 guardie di PS, 2.000 sottufficiali e 300 ufficiali, sulla base di requisiti straordinariamente lati. Una circolare del capo della polizia dell’8/7/1947 indirizzata a tutti i questori della repubblica, a nome del ministro, vietò ogni comizio o assemblea all’interno delle fabbriche. I prefetti proibiscono qualsiasi forma di assembramento nelle piazze, sciolgono con la forza ogni riunione non autorizzata, impediscono qualsiasi forma di critica al governo e al ministro dell’interno in particolare (giungendo sino al ridicolo, secondo il buon costume fascista), sciolgono tutta una serie di amministrazioni comunali e provinciali rette dalle sinistre “per ragioni di ordine pubblico“. Cominciano arresti in massa dei militanti del movimento, gli stessi parlamentari comunisti e socialisti non vengono risparmiati: 172 sono i procedimenti penali intrapresi contro i parlamentari del PCI, 37 contro quelli del PSI, accusati ora per fatti relativi alla lotta partigiana, ora per “attentati all’ordine costituito”, come istigazione a delinquere (per aver esclamato un parlamentare, davanti allo scioglimento violento di un comizio, che i cittadini possono riunirsi “dove e quando avessero voluto non essendo necessario alcun permesso”) o istigazione a disobbedire alle leggi. Rinasce altresì il tristo fenomeno dello squadrismo agrario, finanziato e organizzato dai proprietari terrieri e appoggiato dalle forze dell’ordine: Il nemico principale è infatti in questo periodo il, risorgente movimento contadino, che assume, negli anni tra il 1945 e il 1950, il valore di continuazione storica nel mezzogiorno della resistenza al nazifascismo, fenomeno pressoché esclusivamente settentrionale.

Davanti alla politica del binomio Scelba -De Gasperi (come non rammentarsi di altre ‘coppie’ divenute famose nel mantenimento dell’ordine pubblico? Depretis-Nicotera, Mussolini-Bocchini), fondata sull’abuso e sulla violenza, la costituzione cominciò ad apparire a qualche mente illuminata quello che effettivamente era: “una pura e semplice esercitazione accademica che 500 sciagurati costituenti decisero di scrivere per loro passatempo, ma di cui non si tiene nessun conto!” Significativa la frase di un capitano dei carabinieri che alla domanda postagli nel corso di un dibattimento per uno dei tanti processi montati dallo scelbismo, se non avesse mai sentito nominare la costituzione, rispose: “Nessuno mi ha mai detto che io debbo conoscere la costituzione. Io conosco il codice penale e le leggi di polizia”. Lo stesso Scelba, in un’intervista concessa al Corriere della Sera l’1/9/1949, aveva precisato senza reticenze: “Quando divenni ministro dell’interno, mi resi subito conto che per fare la dittatura in Italia non occorrono leggi speciali; basta interpretare in un dato modo quelle vigenti.” Ciononostante il Partito comunista rimaneva arroccato sulla linea della difesa ad oltranza della costituzione, linea che i suoi dirigenti non furono disposti ad abbandonare neanche in seguito all’attentato del 14/7/1948 a Palmiro Togliatti. Intanto crescono gli effettivi di polizia (nel 1948 la PS contava 68.378 uomini, nel 1949, 75.604; mentre gli organici dei CC e della guardia di finanza raggiungono, le 180.000 unità complessive, si dilatano i bilanci della sicurezza pubblica (PS+CC: dai 9:8 miliardi del 1944 – ’45 ai 79,3 miliardi del 1947-’48, ai 93,3 miliardi del 1949-’50).

Tre diverse fonti danno queste cifre, sulle persone uccise da parte delle forze di polizia nel corso delle manifestazioni di piazza, delle occupazioni di terre, degli scioperi rivendicativi e politici: 60 morti nel periodo 1947- ’50; 62 morti nel periodo 1948-’50; 75 morti nel periodo 1948-’54.

La celere, è una creazione postbellica basata su una tradizione fascista e il loro metodo di lavoro è stato usato dalla polizia scelbiana. I suoi uomini credono, obbediscono, combattono. La sua funzione secondo le direttive segrete è quella di ‘garantire l’ordine pubblico, allo stato presente e in prospettiva’. Questa formula consente la più comoda interpretazione. Essa organizza ‘preventivamente’ nei minimi particolari le cariche e le sparatorie; anche ‘preventivamente’ vengono preparate ad uso della stampa governativa e indipendente le versioni relative alle armi in possesso dei lavoratori, versioni che dovranno poi giustificare l’uso delle armi da parte della polizia. La politica dell’ordine pubblico dello scelbismo: la repressione come sublimazione della prevenzione.

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Due episodi, meglio di ulteriori argomenti, serviranno a esplicitare la prassi poliziesca dello scelbismo. Il 1° è esemplarmente illustrativo della rabbiosa reazione padronale al grandioso moto di occupazione delle terre, che riuscì a strappare decine di migliaia di ettari all’assenteismo dei baroni agrari: Melissa, 30/10/1949. All’alba di quella domenica un nutrito gruppo di contadini, accompagnati dalle famiglie, si incolonna verso le terre incolte del feudo Fragalà, proprietà del marchese Berlingieri: 21.000 ettari di incolto cespuglioso. Il marchese, soltanto una settimana avanti, aveva espresso, nel corso di un incontro col prefetto della provincia di Catanzaro, la propria opinione, chiara e definitiva, che non poteva che essere accolta come un ordine dal rappresentante della pubblica autorità: “Sulle mie terre”, aveva detto il marchese “quei pezzenti non ce li voglio.” Ma i pezzenti calabresi del territorio circumvicino a Melissa quell’ultima domenica di ottobre si dirigono decisi e semplici, con la coscienza di chi è nel suo diritto, proprio sulle terre Berlingieri. Vi arrivano dopo 3 ore di marcia, e subito si pongono al lavoro, con la gioia di chi suda sulla sua terra, con la fermezza che deriva loro da una miseria antica. I contadini di Melissa iniziano senza frapporre indugi a preparare il terreno per il dissodamento. Dopo una breve pausa a metà della giornata, nel primissimo pomeriggio il lavoro riprende. Sono le 14 quando un ragazzo si precipita giù dalla collina annunciando “la celere!” I contadini continuano tranquilli nella loro opera; dirà un bracciante dopo la tragedia: “Quando ho visto i poliziotti mi sono sentito tranquillo. Temevamo solo l’aggressione di qualche campiere del barone, qualche provocazione. Ora la polizia ci difenderà, mi sono detto”. I camion della celere aggirano la collina, e poco dopo un centinaio di poliziotti arrivano alle spalle dei contadini, ricurvi sulla terra. “Gettate le armi!” intima il tenente che guida il reparto. Un attimo dopo i suoi agenti ubriachi del vino appena abbondantemente tracannato in un’osteria lungo il cammino aprono il fuoco coi mitragliatori e le bombe a mano. Un ragazzo di 15 anni, Giovanni Zito, e un bracciante di 29, Francesco Nigro, muoiono subito; altre 15 persone rimangono sul terreno, tutte colpite alle spalle; Angelina Mauro, 25 anni, morirà dopo un’agonia durata 9 giorni. Non vale nemmeno la pena di raccontare lo sviluppo successivo della strage di Melissa (completata, aggiungiamo, da una brutale caccia prolungatasi nella campagna circostante per un’ora, nella quale gli sbirri si accanirono contro gli anziani, i bambini, i feriti), con le ciniche versioni della polizia, accreditate dal ministro (“I contadini ci hanno aggredito con lancio di bombe a mano che ha provocato feriti tra gli stessi dimostranti”), e con la montatura imbastita attraverso la corruzione di un medico (al fine di ottenere un certificato attestante una “ferita provocata da arma da fuoco” in un agente), e, infine, conclusa, inutile specificarlo, dall’impunità per gli assassini. Lo stesso piano militare usato al G8 di Genova nel 2001 per difendere i potenti, che quel giorno decidevano non solo i piani di business del capitale globale, ma anche a chi toccava il ruolo principale della sicurezza europea; ecco il motivo per cui è scattata la trappola degli sbirri, con metodi fascisti e sleali, studiati a tavolino per terrorizzare migliaia di manifestanti: hanno picchiato e insultato donne, anziani e bambini e torturato e umiliato i giovani, fino ad uccidere il ventenne Carlo Giuliani. E poi il solito alone di impunità secolare: dopo i processi, tutti assolti.

Il 2° episodio storico illumina l’attacco antioperaio portato avanti da Scelba e i suoi uomini: Modena, 9/1/1950, è il corrispettivo esatto di Melissa; al Sud i poliziotti assalgono i contadini schierandosi dalla parte degli agrari, al Nord attaccano gli operai schierandosi al fianco degli industriali. Il padrone questa volta è l’industriale Orsi, titolare delle omonime fonderie. In seguito alla minaccia di licenziamento di 560 operai, tra i quali è compresa la componente politica e sindacale della fabbrica. Le maestranze nell’ultimo mese del ’49 danno vita a una dura e combattiva lotta; per battere la resistenza operaia Orsi attua la serrata. Il 9 gennaio, a un mese dall’inizio della serrata, a Modena viene dichiarato lo sciopero generale a sostegno della lotta operaia. Il lungo corteo di lavoratori si dirige verso le fonderie; un impressionante schieramento di polizia lo attende. Gli operai si fermano davanti ai cancelli presidiati dalla forza pubblica. (Quale ironia definire pubblica una forza armata che funziona soltanto come presidio del potere delle classi dominanti: a Modena la polizia difendeva l’illegale serrata di un padrone e aggrediva i lavoratori esercitanti un legittimo diritto di sciopero). Non appena il corteo si arresta, la polizia incomincia a far fuoco; cadono i primi morti, i primi feriti. Un gruppo di parlamentari e sindacalisti si precipita in questura per far cessare il massacro; li attendono le due supreme autorità di pubblica sicurezza. Il prefetto assale gli arrivati accusandoli, in quanto “caporioni” degli scioperanti, dell’uccisione di 2 uomini della forza “pubblica” (naturalmente si tratta di una volgare provocazione) e conclude minaccioso: “Ritirate immediatamente tutti i vostri dalle fonderie, o qui succederà una strage! Abbiamo tante forze da sterminarvi tutti!”; “sarà un macello”, sentenzia il questore. La commissione non ha il tempo di ritornare: il macello è già avvenuto. Agli ordini di un vicequestore imbizzarrito, che da una camionetta segnala ai suoi uomini quali sono i “facinorosi” su cui indirizzare i colpi delle armi, mentre altri agenti appostati sui tetti delle case si divertono a giocare al tiro a segno, le forze dell’ordine capitalistico ammazzano 6 operai e ne feriscono 50. Per evitare la diffusione di notizie che precedano la versione ufficiale degli “scontri”, il ministro dell’interno dispone il blocco della città: il comunicato della questura, accolto naturalmente dal ministro e dalla stampa “indipendente”, affermerà che “alcune migliaia di operai assaltavano le forze di polizia presidianti gli stabilimenti, usando armi da fuoco, bombe a mano, martelli, sassi e bastoni”. Una versione davvero plausibile, codesta, se si pensa che un tale “assalto” operaio contro la polizia aveva come frutto la contusione di 3 agenti! Con spirito meno sofistico la piazza, individuando in Mario Scelba l’espressione corporea del terrorismo borghese contro gli operai in quegli anni, cantava: “ministro dell’interno è un certo Mario Scelba che spara sulla folla e poi prega il padreterno…”.

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Il problema fondamentale del capitalismo italiano negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra mondiale era stato quello della ricostruzione del ciclo economico del capitale; negli anni ’50 il problema è l’incremento della produttività, il quale sfocerà nel “miracolo economico” del triennio 1960-’62. “L’interesse generale del sistema alla fine degli anni ’40 appare diverso dall’interesse generale della seconda metà degli anni ’50: prima occorreva procedere in profondità liberandosi dei rami secchi, poi sembra più necessario procedere in estensione su tutto il sistema, magari recuperando le zone ‘arretrate’, tutelando la piccola industria, facendo concessioni al settore contadino e in una certa misura alla classe operaia”. Lo scelbismo, che può essere definito come la politica dell’ordine pubblico sotto il centrismo, vive il suo periodo d’oro negli anni in cui si imposta la riorganizzazione produttiva dell’economia del paese (gli anni che vanno, grosso modo, dalla rottura del tripartito [1947] alla sconfitta della “legge truffa” [1953]): in questa fase di ricostruzione e riorganizzazione, di ripresa e rilancio, il sistema borghese si trova nell’esigenza di scoraggiare la classe operaia dalle pretese ‘eccessive’, di dissuadere il PCI da eventuali velleità diverse dal ruolo che esso stesso peraltro ha abbondantemente dimostrato di voler ricoprire, di capofila dell’opposizione di sua maestà. Di qui la linea dura, la polizia come unico mezzo di dialogo con le classi subalterne, la strategia dell’attacco contro il movimento contadino, la repressione come estremo sviluppo consequenziale dell’attività di prevenzione. La sconfitta della legge truffa segna l’avvio del “declino politico del centrismo come formula parlamentare quadripartita e metodo di governo”; De Gasperi definisce la DC un “partito di centro che guarda a sinistra”: nascono i piani che sfoceranno un decennio più tardi nel centrosinistra. Ma la strategia morbida è per il momento solo una meta anche se la fase terroristica dello scelbismo accenna a scemare, per cedere il passo a una più ‘normale’ attuazione della teoria preventiva, il bilancio di 19 morti operai per mano delle forze dell’ordine nel periodo 1951-’59 parla da sé. La costante della storia italiana contemporanea è il fuoco della polizia contro i lavoratori e i civili. I “luttuosi incidenti” dovevano venire considerati dall’opinione pubblica alla stregua di eventi inevitabili e iscritti nell’ordine delle umane cose democristiane: a tal fine tendevano ovviamente i comunicati e gli interventi di parte filogovernativa.

Mario Scelba lascia il ministero di polizia nel 1951; Fanfani e Andreotti gli succedono per 2 brevi gestioni ‘ordinarie’; quindi è di nuovo Scelba alla guida del Viminale: ma un ‘uomo nuovo’ bussa alle porte. Egli, in un discorso tenuto il 15/8/1955 a Badia Prataglia (Arezzo), vale a dire poco più di un mese dopo essersi insediato al ministero, si presenta con queste parole: “Una polizia moderna è al servizio dello Stato nella sua continuità di tradizioni e di scopi e la fatica che ogni giorno essa compie è nobilissima. Difendere le libere istituzioni rafforzare gli strumenti della difesa, aumentare il margine di sicurezza della democrazia, garantire i cittadini dell’effettivo esercizio della libertà. Una libertà che non deve essere impedimento all’esercizio della libertà altrui, ma armonia di diritti e di doveri, rispetto sostanziale di tutte le leggi, soggezione ideale e sincera ai superiori interessi della comunità nazionale: in una parola sola, alla Patria”. L’uomo che con tali nobili espressioni si insediava nel suo ministero era Fernando Tambroni. Due mesi soli più tardi il linguaggio del nuovo ministro dell’interno è radicalmente mutato: scoprendo le proprie carte nel discorso pronunciato alla camera il 15 ottobre egli afferma: “Ogni tentativo di minaccia alle istituzioni (l’ho già detto, ma mi pare che nel nostro Paese vi sia molta gente con l’ovatta nelle orecchie), e quindi di pericolo per la libertà, sarà decisamente contenuto e, ove sia necessario, senza esitazioni, e per il bene della collettività decisamente represso.” Tambroni era un fascista (aveva anche ricoperto il grado di ‘centurione’ della milizia), con in più una forte mania di persecuzione e un arrivismo personale che passava al di sopra di tutto; quale fosse la sua strategia del ‘contenimento’ e della ‘prevenzione’ si seppe con abbondanza di particolari solo nel 1960, quando le manovre anticostituzionali di Gronchi, la colpevole acquiescenza della DC, le pressioni della destra reazionaria, portarono alla presidenza del consiglio l’ex centurione dell’invitta e gloriosa milizia, il quale in 4 giorni avrebbe scatenato la polizia sulle piazze del paese ottenendo il brillante risultato di 12 morti. Ma prima degli omicidi del luglio 1960, che avvennero con l’avallo del ministro dell’interno dell’epoca, il democristiano di destra Spataro, ma a cura del capo del governo, il nostro uomo nella sua conduzione del Viminale aveva istaurato un metodo di lavoro e una prassi di polizia che riprendeva pari pari i più tipici sistemi ‘preventivi’ del regime fascista. Il neoministro infatti creò un “ufficio psicologico“, cui prepose due suoi sgherri ,e un ‘ufficio speciale di polizia politica’, affidato all’ex questore di Trieste, De Nozza che alcuni anni dopo si sarebbe distinto nel guidare le forze dell’ordine nella battaglia di piazza Cavour contro il movimento studentesco romano. Ruggero Zangrandi su Paese sera, definendo il De Nozza uomo “assai intrinseco dei servizi segreti americani” richiamava come modello di paragone l’OVRA; mentre Gianni Corbi sull’Espresso, sempre nel luglio ’60, dopo la caduta di Tambroni, scriveva che con quelle sue primissime iniziative Tambroni “sperava di riuscire a creare una polizia simile al servizio segreto che negli USA è diretto da Allen Dulles”. Il golpe del ‘piano solo‘ del luglio ’64, l’inchiesta sul SIFAR, fa capire meglio il senso delle iniziative tambroniane, che meritano tutta la considerazione che va tributata all’opera degli antesignani rispettosi delle tradizioni dei padri. Servendosi di quegli speciali ‘uffici’, Tambroni riuscì ad acquistare nell’amministrazione della pubblica sicurezza, un potere enorme di tipo personale basato su alleanze di uomini, intrighi, scambi di ‘favori’: doveva davvero trattarsi di un potere significativo se nel corso della crisi del luglio ’60 lo stesso Moro, segretario della DC, si sentiva “minacciato nella sua persona” e ricorse, in via cautelativa, alla protezione dell’arma fedelissima, la quale aveva si sparato sui cittadini proprio come la PS, ma non condivideva “l’impostazione data dal Viminale ai fatti di luglio”. Inoltre l’uso spregiudicato della polizia per pedinare, spiare, schedare avversari politici e gli stessi colleghi di partito coi quali aveva rapporti di rivalità, avevano posto Tambroni in una posizione di sicurezza da eventuali attacchi politici, dandogli in mano un abbondante materiale di ricatto e di pressione, cosa che dovette non poco servirgli a tenerlo in sella in quei difficili momenti della ‘coalizione imperfetta’ coi missini.

Gli avvenimenti verificati si nel mese di luglio del 1960 sono troppo noti perché si debbano qui rievocare particolareggiatamente: gli scontri di Genova (dove una mobilitazione decisa e cosciente della popolazione riuscì ad avere la meglio sulle forze di polizia, sconfiggendo fascisti e governativi); i morti di Licata, Palermo e Catania (qui Salvatore Novembre diciannovenne operaio edile è abbattuto a colpi di manganello: “mentre egli perde i sensi, un poliziotto gli spara addosso ripetutamente, deliberatamente. Uno, due, tre colpi fino a massacrarlo, a renderlo irriconoscibile. Poi il poliziotto si mischia agli altri, continua la sua azione. Ma Salvatore non è ancora morto: alcuni sbirri ne prendono il corpo martoriato ,e lo trascinano fino al centro della piazza dove si svolgono gli incidenti: deve servire da esempio e da orribile monito alla cittadinanza catanese: cosi finiscono gli attentatori all’ordine democratico e tambroniano. Alcuni CC rimangono a guardia del corpo che va lentamente diventando un cadavere, impedendo, mitra alla mano, a chicchessia di avvicinarsi e prestare soccorso al giovane: egli finirà dissanguato”; le cariche, rimaste famose per la tecnica multipla (con le camionette, i cavalli, gli idranti, e una coscienziosa caccia al manifestante), di Porta San Paolo a Roma. Tuttavia, il massacro di Reggio Emilia del 7 luglio, quando carabinieri e celerini spararono ininterrottamente per 40 minuti ammazzando 5 persone, merita di essere brevemente raccontato, almeno nella sua fase saliente; lo facciamo con le parole di Piergiuseppe Murgia, che al luglio 1960 ha dedicato un intero libro: “… e poi, d’un tratto, ancora tra il fumo accecante, si sente lo sgranare degli spari. La polizia spara. Spara sulla folla. La gente per un attimo si ferma, stupita. Non sa rendersi conto. Sparano da ogni parte della piazza. Sparano a distanza ravvicinata. Sugli uomini. Sparano senza sosta. Il primo a cadere è Lauro Ferioli, 22 anni, padre di un figlio. Ai primi spari, si è lanciato incredulo verso i poliziotti come per fermarli; gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto, gli sparano sulla faccia. Dirà un ragazzo testimone: ‘Ha fatto un passo o due, non di più, e subito è partita la raffica di mitra. lo mi trovavo proprio alle sue spalle e l’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca. Mi è caduto addosso con tutto il sangue. Intanto l’operaio Marino Serri che piangeva di rabbia si è affacciato oltre l’angolo della strada per protestare gridando: ‘Assassini, assassini!’ Un’altra raffica lo ha subito colpito e anche lui è caduto.’ Ovidio Franchi, un ragazzo operaio di 19 anni, muore poco dopo. Un proiettile l’ha ferito all’addome. ‘Ferito, cercava di tenersi su, aggrappandosi a una serranda. Un altro, ferito lievemente, lo voleva aiutare, poi è arrivato uno in divisa e ha sparato su tutti e due. Emilio Reverberi, 30 anni, operaio, ex partigiano: lo spezza in due una raffica di mitra. L’operaio Afro Tondelli, 35 anni, viene assassinato freddamente da un poliziotto che s’inginocchia a prendere la mira in accurata disposizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Afro Tondelli dice: ‘Mi hanno voluto ammazzare: mi sparavano addosso come alla caccia’. I feriti cadono a mucchi.”

 

Rsp (individualità Anarchiche)